Prospettive assistenziali, n. 151, luglio - settembre 2005
Interrogativi
PERCHÉ
Com’è noto, vastissima e penetrante è l’influenza che la Caritas italiana ha nei confronti della popolazione e delle
istituzioni.
Inoltre, le sedi della Caritas
sono estese in tutto il territorio del nostro Paese e, quindi, sono a diretto
contatto con i cittadini.
Non comprendiamo, pertanto, per quali motivi, tenuto
conto delle esigenze delle decine di migliaia di persone (non solo anziane) colpite da patologie invalidanti e da non
autosufficienza, non abbia finora preso una posizione netta sulla questione
delle dimissioni illegittime e spesso selvagge dei suddetti soggetti da
ospedali e da case di cura private convenzionate e sui conseguenti gravosi
oneri economici che vengono scaricati sui malati e sulle loro famiglie a causa
della violazione delle leggi (e spesso del semplice buon senso) da parte del
Servizio sanitario nazionale e della stragrande maggioranza dei Comuni
italiani.
Perché finora sulla diffusissima rivista mensile Italia Caritas
non è mai stato pubblicato un articolo in cui venissero
precisati gli obblighi della sanità nei confronti delle persone malate,
guaribili o inguaribili?
Da notare che la Caritas italiana
gode di grandi aperture da parte dei media nazionali.
Difatti, nel 2004 sono state ben 1.243 le sue presenze su radio e tv ecclesiali
e laiche.
A Don Vincenzo Nozza, Direttore
della Caritas italiana, il Csa,
Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base, di Torino ha inviato in data 24 gennaio 2005 gli opuscoli predisposti
da alcune istituzioni (Comuni di Grugliasco e
Nichelino, Circoscrizioni 6 e 7 di Torino, Asl 1 del
Piemonte) e da un gruppo di associazioni di volontariato (Alzheimer Piemonte, Auser, Avo, Consulta per le persone in difficoltà, Csa, Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti, Diapsi, Servizio emergenza anziani, Società di San Vincenzo
de’ Paoli, Gruppo di
volontariato vincenziano) chiedendogli «di voler esaminare la possibilità da parte
della Caritas italiana di predisporre un analogo
opuscolo in cui siano precisati i doveri/diritti degli anziani cronici, dei
malati di Alzheimer e dei soggetti colpiti da altre forme di demenza senile,
nonché i compiti attribuiti dalle leggi vigenti al Servizio sanitario nazionale
ed ai Comuni».
Analoga richiesta è stata avanzata in data 29 aprile 2005
a Valter Nanni dell’Ufficio studi
e ricerche della Caritas italiana.
Perché la Caritas
italiana non appronta un foglio informativo anche di poche pagine? È
ammissibile che ai vecchi malati cronici non vengano
fornite senza alcuna interruzione le cure sanitarie? È giusto che migliaia e migliaia di famiglie italiane cadano nel baratro della
povertà perché non conoscono i diritti dei loro congiunti malati?
PERCHÈ COSTRUIRE NEI PAESI POVERI ISTITUTI PER I BAMBINI
IN DIFFICOLTÀ QUANDO ESISTONO VALIDE ALTERNATIVE?
Abbiamo saputo dagli organi d’informazione che alcuni
importanti gruppi, associazioni ed enti hanno pubblicizzato loro iniziative
benefiche consistenti nella costruzione d’istituti di accoglienza
per bambini in difficoltà in vari angoli del mondo.
Su La Stampa del
6 gennaio 2005 viene riferito che «nella Provincia di Guratthani, in Thailandia, dove la settimana prossima si recherà un
inviato de La Stampa per perfezionare
gli accordi con la comunità salesiana, si sta lavorando al progetto di un
orfanotrofio», al cui finanziamento contribuirebbero anche le società
calcistiche della Juventus e del Torino.
Inoltre, dall’informazione pubblicitaria de La Stampa del 24 giugno 2005 si apprende
che la Fondazione del gruppo Mediolanum patrocina
l’iniziativa di «costruire nei Paesi in
via di sviluppo case di accoglienza per i bambini che
a causa di malattie e malnutrizione finiscono per trascorrere la loro esistenza
in strada». Similmente una notizia apparsa su la Repubblica del 4 luglio 2005 riferisce in merito ad una iniziativa volta a «costruire
una casa di accoglienza» per i bambini di Bucarest.
Ci chiediamo a tal proposito se tutti i soggetti
coinvolti in queste iniziative siano o meno a
conoscenza del fatto che in campo scientifico da ormai 50 anni sono risapute le
deleterie conseguenze sullo sviluppo e la psiche del bambino causate dal
ricovero in istituto.
Sanno o no, i soggetti ora citati, che proprio in virtù
di questa consapevolezza, in Italia una legge (cfr. l’articolo 2 della legge 184/1983 come risulta modificato
dalla legge 149/2001) stabilisce che «il
ricovero in istituto deve essere superato entro il 31 dicembre 2006 mediante
inserimento in comunità di tipo familiare, caratterizzate da organizzazioni e
da rapporti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia»? Se ne sono
consapevoli perché stanziano fondi nonostante tale dato in loro possesso? Se
non lo sono, come è possibile intraprendere iniziative
che presuppongono ingenti stanziamenti di denaro senza aver condotto indagini
conoscitive riguardo tutti gli aspetti della questione?
Sono forse animati da una filosofia del tipo “il male
minore” e con tale convincimento ribatteranno o ribatterebbero
ai nostri rilievi? O che ciò che è valido in Italia non può esserlo in Paesi
così poveri, in cui qualunque cosa si faccia è comunque
qualcosa in più e in meglio? In tal caso sanno che ci sono invece iniziative
che stanno consentendo di togliere dalle strade tantissimi bambini senza per
questo dover accettare “mali minori”? Iniziative come quella della Comunità
Papa Giovanni XXIII di Rimini presieduta da Don Oreste
Benzi, che con il Rainbow
Project ha messo a punto un modello d’intervento efficace a raggiungere il
maggior numero possibile di bambini, sostenendo le loro famiglie e combattendo
ogni forma d’istituzionalizzazione, o aiutando quelle famiglie che accolgono
bambini che hanno perso la loro e prevedendo comunque, per l’accoglienza immediata,
delle case famiglia con una o due figure genitoriali
in grado di provvedere ad un numero limitato di fanciulli.
Tutto ciò considerato, i soggetti inizialmente citati non
ritengono doveroso rinunciare ai loro progetti e destinare eventualmente i fondi
per iniziative che, pur ottenendo lo scopo di sottrarre i bambini alle strade e
all’abbandono, non sacrifichino la loro crescita equilibrata anche in
considerazione dell’esistenza di migliori alternative
come abbiamo appena sopra documentato?
perché continua LA PIAGA DEI FALSI INVALIDI?
Nelle scorse settimane è stata scoperta l’ennesima truffa
all’Inps.
Secondo il resoconto di Enzo La
Penna (La Stampa del 2 agosto 2005) «marito, moglie, figli, cugini, suoceri,
cognati, nuore e generi: nessuno era scampato alla condanna di malattie
invalidanti, di quelle che inchiodano su una sedia a rotelle o costringono a
letto per il resto dei giorni».
Questa era la situazione risultante nelle certificazioni
rilasciate dalle apposite Commissioni per
l’accertamento dell’invalidità, che hanno consentito «a ben 20 esponenti di un
intero nucleo familiare di Arzano, Comune a nord di
Napoli» di beneficiare della pensione e delle indennità di accompagnamento
assegnate ai soggetti con handicap.
Sono state le foto scattate di nascosto dagli
investigatori della squadra mobile a smascherare l’imbroglio.
Precisa Enzo La Penna: «Le immagini documentano ad esempio il paralitico alla guida dell’auto, che parcheggia, apre il bagagliaio, afferra un
paio di pesanti pacchi e si incammina a passo svelto».
Si tratta dell’uomo «ora indicato come uno dei protagonisti della
vicenda: dopo essere riuscito a condurre felicemente in porto la sua pratica
(…) aveva pensato bene di sistemare la numerosa famiglia fino al quarto grado:
moglie, i loro tre figli, le due nuore, il genero, due zie del capofamiglia, la
madre di quest’ultimo, la cognata, i due consuoceri, quattro cugini, due cognate del figlio e la
cognata della figlia».
L’inchiesta della Procura della Repubblica di Napoli ha
coinvolto non solo la famiglia di Arzano; sono,
infatti, ben 102 gli indagati con 318 capi di imputazione:
gli accertamenti relativi alle invalidità fasulle ammontano a 82 casi.
Gli inquirenti «hanno
calcolato in 3,7 milioni di euro la cifra sottratta
illegalmente all’Inps».
Nonostante che negli anni scorsi siano emerse truffe
compiute da falsi invalidi (1), a nostro avviso non
sono state finora assunte dalle Autorità (Ministero del lavoro, Regioni e Asl) misure adeguate.
Non occorrerebbe assumere con decisione e con la massima
celerità possibile provvedimenti diretti ad evitare il ripetersi di simili
fatti che danneggiano non solo lo Stato, ma anche le persone effettivamente
colpite da handicap?
Inoltre, la presenza nelle
Commissioni per l’accertamento dell’invalidità di rappresentanti dell’Anmic (Associazione nazionale mutilati e invalidi
civili) e di altre organizzazioni composte da soggetti
colpiti da handicap (Ente nazionale sordomuti, Unione italiana ciechi, ecc.)
incentiva la corretta individuazione delle menomazioni che danno diritto alla
riscossione della pensione e dell’indennità di accompagnamento?
La trasmissione alle suddette
organizzazioni dei nominativi e degli indirizzi delle
persone che hanno presentato istanza per l’accertamento delle loro invalidità,
a parte l’importantissima questione relativa alla riservatezza dei dati
personali, aiuta le suddette Commissioni nella loro attività?
Infine, perché finora non si è
mai avuto notizia di condanne penali inflitte a componenti
delle Commissioni sanitarie per l’accertamento dell’invalidità che hanno
effettuato false certificazioni? Il nuovo Ministro della salute che cosa
intende fare?
(1) Si vedano i seguenti articoli di Prospettive assistenziali: Gruppo nazionale “Handicap e società”,
“Quali rimedi contro i falsi invalidi”, n. 107, 1994; “La piaga dei falsi
invalidi”, n. 108, 1994; “Più invalidi, più entrate”, n. 115, 1996.
www.fondazionepromozionesociale.it