Prospettive assistenziali, n. 151, luglio - settembre 2005
LEGGE
DELLA REGIONE LOMBARDIA CONCERNENTE I MINORI: POCHE LUCI, MOLTE OMBRE
La legge della Regione Lombardia
14 dicembre 2004 n. 34 “Politiche regionali per i minori” presenta l’indubbio
aspetto positivo di porre termine all’assurda
discriminazione fra l’assistenza ai minori nati nel matrimonio e gli interventi
riguardanti i fanciulli generati al di fuori di esso. Finalmente, tutte le
relative funzioni sono state attribuite ai Comuni singoli e associati.
Considerate le precedenti posizioni assunte dal Consiglio della Lombardia,
auspichiamo che si tratti di una decisione definitiva. Infatti, mentre la legge
lombarda 5 gennaio 2000 n. 1 aveva disposto l’assegnazione ai Comuni di tutti i
compiti di assistenza ai minori, con la legge 27 marzo
2000 n. 18 lo stesso Consiglio regionale aveva riaffidato
alle Province le competenze assistenziali relative ai minori nati fuori del
matrimonio (1).
Permangono alle Province lombarde le funzioni assistenziali
relative ai ciechi e ai sordi
Dalle notizie assunte, il capovolgimento
della scelta operata dal Consiglio regionale lombardo era stato determinato
dalle proteste dell’Unione italiana ciechi e dall’Ente nazionale sordomuti, che
avevano manifestato la loro contrarietà alla gestione
da parte dei Comuni singoli e associati delle prestazioni rivolte ai loro
associati.
Il Consiglio regionale lombardo
ha tenuto nuovamente in considerazione il suddetto dissenso. Difatti nella
legge in oggetto, all’articolo 5 è previsto che le
Province «continuano ad esercitare le
funzioni loro attribuite dalla legislazione vigente in materia di disabili
sensoriali».
Al riguardo, ricordiamo che, ai
sensi dell’ancora vigente regio decreto 383/1934, le
Province non sono tenute ad assistere tutti i «disabili sensoriali», ma esclusivamente quelli «poveri e rieducabili».
Dunque, le Province dovrebbero
accertare in via preliminare se i ciechi ed i sordi sono «poveri e rieducabili» e garantire, solo a coloro
che soddisfano queste due condizioni, le prestazioni di assistenza
sociale, che possono comprendere:
- le azioni di
sostegno degli interessati e dei loro congiunti volte a promuovere la massima
autonomia possibile dei soggetti colpiti da cecità o da sordità e il loro
adeguato inserimento familiare, scolastico, lavorativo e sociale;
- la segnalazione all’autorità giudiziaria dei
minori privi di sostegno morale e materiale da parte dei loro genitori e degli
altri congiunti;
- l’affidamento familiare a scopo educativo nei casi in
cui non sia opportuna la permanenza dei fanciulli nella loro famiglia di
origine e non sussistano le condizioni per la loro adozione;
- l’assegnazione di aiuti economici ai soggetti
non in possesso di sufficienti mezzi economici;
- il servizio di assistenza domiciliare ai
soggetti parzialmente autonomi per la pulizia dell’alloggio, l’igiene personale
e altre incombenze;
- l’inserimento presso comunità alloggio per i
minori e gli adulti privi di sostegno familiare;
- i rapporti con l’autorità giudiziaria in materia
di tutela, curatela e amministrazione di sostegno;
- la vigilanza sulle condizioni di vita dei
soggetti ricoverati presso strutture residenziali.
Pertanto, tenuto conto che le prestazioni dovrebbero essere fornite in
qualsiasi località della Lombardia abitino gli utenti, è sicuramente contrario
agli interessi dei «ciechi e sordi poveri
rieducabili» l’attribuzione delle suddette competenze alle Province (2).
l’assistenza alle
gestanti e madri e il segreto del parto
Nella succitata legge della Regione Lombardia è stabilito (articolo 4) il
trasferimento ai Comuni delle funzioni attualmente
svolte dalle Province per l’assistenza alle gestanti e madri in gravi
difficoltà psico-socio-economiche.
A questo proposito, il Consiglio regionale della Lombardia ha ignorato che,
in base alle disposizioni vigenti volte anche ad evitare gli aborti non voluti
e alla prevenzione degli infanticidi, le donne nubili e coniugate hanno diritto:
a) ad essere adeguatamente informate sulla
possibilità di riconoscere o non riconoscere i propri nati;
b) alla segretezza del parto;
c) a ricevere le necessarie
prestazioni socio-assistenziali e sanitarie sia nel caso di riconoscimento, sia
nell’eventualità che decidano altrimenti.
Risulta evidente che i singoli Comuni,
in particolare quelli con poche decine o centinaia di abitanti, non sono e non
saranno mai in grado di svolgere i compiti loro assegnati dalla legge n.
34/2004.
Vi è, dunque, l’esigenza che il
nuovo Consiglio regionale approvi una legge in modo da definire adeguatamente
le questioni di cui sopra (3).
Enunciazioni condivisibili, ma nessun diritto
Pienamente condivisibili sono
quasi tutte le enunciazioni della legge della Regione Lombardia n. 34/2004. Ne
citiamo due:
«a) La Regione adotta ogni azione idonea ad assicurare il diritto del
minore a crescere ed essere educato nella famiglia, luogo naturale per il suo
sviluppo e il suo benessere, in sinergia con gli altri
ambienti educativi e sociali a lui destinati (4);
b) La Regione promuove e sostiene iniziative a favore del minore, senza
distinzione di sesso, di diversa abilità, nazionalità, etnia, religione e
condizione economica, volte a salvaguardarne l’integrità fisica, nonché a facilitare lo sviluppo armonioso della sua
personalità e l’inserimento nella realtà sociale, economica e istituzionale».
Tuttavia, non solo non sono
precisate le iniziative concrete assunte (predisposizione degli atti per la
chiusura degli istituti di assistenza entro il 31
dicembre 2006 come previsto dalla legge nazionale 149/2001, riduzione dei
ricoveri, sviluppo degli affidamenti familiari a scopo educativo, garanzia di
un minimo vitale economico ai nuclei familiari in condizioni di povertà o
addirittura di miseria, ecc.), ma viene stabilito (articolo 1, comma 3) che «in applicazione del principio di sussidiarietà, concorrono alla realizzazione degli
obiettivi della presente legge la famiglia, singola o associata, i Comuni e le
Province, nonché i soggetti di cui all’articolo 1, comma 4 e 5, della legge 8
novembre 2000 n. 328 (legge quadro per la realizzazione del sistema integrato
di interventi e servizi sociali)», e cioè le cooperative sociali, gli enti
di promozione sociale, le fondazioni e le associazioni di volontariato.
Dunque, essendo la famiglia posta
al primo posto, c’è il rischio reale che proprio sulla famiglia vengano scaricati compiti anche troppo gravosi.
Anche gli articoli 2 (obiettivi) e 3 (Compiti delle Regioni)
contengono solo enunciazioni di principio.
L’unica misura concreta è
prevista dall’articolo 3, lettera g, riguardante il
sostegno economico della Regione Lombardia a favore dei «piccoli Comuni» per gli interventi sociali obbligatori «derivanti dall’affidamento familiare e
dall’ospitalità in strutture residenziali per i minori sottoposti a
provvedimenti dell’autorità giudiziaria».
Per quanto concerne i fanciulli in difficoltà, la legge in oggetto stabilisce che
i Comuni devono tener conto dell’articolo 6 della sopra citata legge 328/ 2000
in base al quale le prestazioni sono fornite solamente «nell’ambito delle risorse disponibili» (5).
La legge della Regione Lombardia
dedica due articoli (il 5° e il 6°) rispettivamente alle reti di offerta sociale e sanitaria. Sono semplicemente elencate
le prestazioni che sono (o meglio dovrebbero essere) erogate
dalle agenzie educative (interventi per la prima infanzia, servizi
ludico-ricreativi, prevenzione della dispersione scolastica, ecc.) e dal
servizio sanitario (forme di assistenza ambulatoriale, diurna e domiciliare,
che riducano il ricorso all’ospedalizzazione, definizione e sviluppo del
percorso nascita, interventi di prevenzione, assistenza e recupero psicoterapeutico
dei minori vittime di abusi, ecc.) senza prevedere però, anche in questo caso,
nulla di nuovo e di esigibile.
Infine, fatto che conferma la
caratterizzazione declamatoria della legge n. 34/2004, non è previsto nessun stanziamento finanziario aggiuntivo.
(1) Cfr. “Perché la Regione
Lombardia ha reintrodotto l’odiosa discriminazione fra nati nel e fuori dal matrimonio?”, Prospettive
assistenziali, n. 144, 2003.
(2) Mentre la legge 142/1990 aveva trasferito ai Comuni
tutte le competenze assistenziali delle Province (minori nati fuori del
matrimonio, fanciulli già assistiti dall’Onmi - Opera
nazionale per la protezione della maternità e dell’infanzia, ciechi e sordi
poveri rieducabili, gestanti e madri in gravi difficoltà socio-psico-economiche),
con la legge 6/1993, fortemente appoggiata dall’Unione nazionale ciechi e
dall’Ente nazionale sordomuti, tutte le suddette funzioni sono state riaffidate alle Province. Cfr.
“Tutto da rifare per il trasferimento ai Comuni delle funzioni assistenziali delle Province: una proposta di legge”, Ibidem, n. 109, 1993. Come abbiamo
riferito più volte su questa rivista, la legge 328/2000 (articolo 8, comma 5)
ha attribuito alle Regioni il compito di disciplinare l’attribuzione delle
funzioni assistenziali delle Province «ai Comuni o agli enti locali»,
consentendo quindi la prosecuzione della gestione da parte delle Province, come
purtroppo avviene tuttora in molte zone del nostro Paese.
(3) Nella legge della Regione Piemonte n. 1/2004 è previsto
(articolo 58, comma 2) che «la Giunta
regionale, sentita la competente Commissione consiliare, adotta, entro
centottanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge, linee guida per
gli enti gestori istituzionali per l’esercizio delle competenze relative agli
interventi socio-assistenziali nei confronti delle gestanti e delle madri in
condizione di disagio individuale, familiare e sociale, compresi quelli volti a
garantire il segreto del parto alle donne che non intendono riconoscere i
propri figli, e gli interventi a favore dei neonati nei primi sessanta giorni
di vita». Essendo trascorsi i sopra previsti centottanta giorni senza che
la Giunta regionale piemontese abbia assunto alcuna iniziativa
concreta, occorre a questo punto l’approvazione di una disposizione regionale
il cui contenuto potrebbe essere il seguente: «Gli interventi socio-assistenziali nei confronti delle gestanti in
condizione di disagio individuale, familiare e sociale, compresi
quelli volti a garantire il segreto del parto alle donne che non intendono
riconoscere i loro nati, e quelli riguardanti le madri già assistite come
gestanti e dei neonati nei primi sessanta giorni di vita sono obbligatoriamente
assicurati dai soggetti gestori individuati dalla Giunta regionale, sentita la
competente Commissione consiliare ed i Comuni.
«Gli interventi suddetti sono forniti su semplice
richiesta delle donne interessate, senza ulteriori
formalità, indipendentemente dalla loro residenza anagrafica e da qualsiasi
altra condizione personale o sociale.
«Con il suddetto provvedimento di
individuazione dei soggetti gestori competenti, la Giunta regionale
definisce altresì criteri e procedure per l’esercizio delle funzioni.
«Le risorse necessarie a
finanziare le attività trovano specifico stanziamento nel fondo regionale».
(4) Si osservi che nella legge in oggetto non si fa mai
riferimento al “nucleo familiare” ma sempre e solo alla “famiglia”, che, ai
sensi della Costituzione (articolo 29), è la «società naturale fondata sul matrimonio».
(5) Come ha giustamente sostenuto Livio
Pepino nella relazione “L’esigibilità dei diritti sociali” tenuta ad un
convegno svoltosi a Torino il 20 settembre 2002 «un diritto “subordinato alle risorse” è semplicemente un non diritto».
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