Prospettive assistenziali, n. 151, luglio - settembre 2005
STRUTTURE RESIDENZIALI PER ANZIANI CRONICI NON
AUTOSUFFICIENTI: IL NUOVO MODELLO DELLA REGIONE PIEMONTE
Maria
Grazia Breda
Gli effetti positivi della petizione popolare
Nel numero scorso della rivista
(1), ho illustrato i principali benefici ottenuti a favore degli anziani
cronici non autosufficienti, ricoverati nelle strutture residenziali
socio-sanitarie della Regione Piemonte (2).
Ho anche riferito che le
disposizioni più favorevoli sono state conquistate proprio grazie alla tenacia
delle associazioni di volontariato, organizzatesi in un apposito
Comitato (3).
Certamente determinante
è stata l’azione con cui si è dapprima promossa e poi portata avanti – ad
oltranza – la petizione popolare (4), nata allo scopo di contrastare
l’applicazione dei livelli essenziali di assistenza (Lea) (5). Senza dubbio le
circa 45 mila firme raccolte hanno influito, perché, come abbiamo visto già nel
numero scorso (6), la Dgr piemontese n. 17-15226 del
30 marzo 2005 stabilisce che il pagamento della retta di ricovero nelle strutture
residenziali per anziani cronici non autosufficienti è richiesto solo
all’interessato, che contribuisce in base alla propria situazione economica
come previsto dalle leggi vigenti (7). Inoltre, nel caso in cui l’interessato
non disponga di sufficienti redditi e beni, sono i
Comuni (e non i parenti dei ricoverati) a provvedere all’integrazione della
retta alberghiera.
Gli enti locali chiedono più risorse alla sanità
In un certo senso, questa importante conquista è stata ottenuta anche grazie
alle rivendicazioni degli stessi Enti locali che, ad un certo punto, si sono
trovati in difficoltà di fronte alle richieste sempre più pressanti avanzate
dai cittadini anche attraverso la petizione (8). Se da un lato non potevano
negare quanto era previsto dalle leggi, dall’altro erano preoccupati per le
risorse che avrebbero
dovuto destinare a questo riguardo.
Alla fine hanno deciso di tentare
un’azione di forza nei confronti della Regione Piemonte (andata a buon fine),
perché venisse riconosciuto che l’aggravamento delle
condizioni di salute degli anziani cronici non autosufficienti ricoverati era
una questione squisitamente sanitaria e che i maggiori costi, che ne
derivavano, dovevano essere sostenuti dal Servizio sanitario regionale e non
dagli utenti.
La trattativa non è stata né semplice, né tanto meno
era scontato l’esito favorevole. Ma la
Regione alla fine ha fissato una percentuale minore a carico degli
utenti, rispetto a quanto stabilito dalla norma nazionale (9).
Tornerò ancora su questo aspetto importante, ma per ora mi preme evidenziare
che, grazie alle nostre iniziative, anche gli Enti locali si sono attivati con
risultati positivi non solo per gli utenti, ma anche per loro stessi.
Infatti, grazie ai maggiori oneri a
carico del Servizio sanitario regionale, è diminuito in misura consistente sia
il costo delle rette alberghiere a carico degli utenti, sia l’impegno economico
degli Enti locali per l’integrazione delle suddette rette, anche perché
aumentano i cittadini che riescono a pagare l’intera retta di ricovero. Va,
però, rilevato che molti Enti locali, non ancora soddisfatti del risultato
raggiunto, premevano per continuare a far pagare, comunque,
anche i familiari dei ricoverati. Anche questo
tentativo è stato bloccato.
Enti locali e volontari alleati
Decisivo è stato lo sforzo
compiuto dal Comitato, che si è speso in incontri tra le diverse componenti (sindaci,
presidenti e direttori dei consorzi socio-assistenziali, rappresentanti delle
organizzazioni sindacali) allo scopo di promuovere un’azione congiunta nei
confronti della Regione Piemonte, volta a chiedere ulteriori risorse da
destinare al nuovo capitolo di spesa dei Comuni. Sulla questione si è
realizzata una alleanza tra Enti locali e volontariato
che, con comunicati stampa e documenti congiunti, ha fatto sì che la Regione
Piemonte stanziasse altre risorse (10), vincolate (anche su nostra precisa
richiesta) al finanziamento di un fondo regionale destinato all’integrazione
delle rette a carico degli Enti locali (11). Anche
questo traguardo, insieme al riconoscimento che gli Enti pubblici non possono
pretendere contributi economici dai congiunti degli ultrasessantacinquennni
non autosufficienti, segna un punto a favore del riconoscimento dei diritti
degli assistiti e contribuisce a ridurre il rischio povertà delle migliaia di
famiglie con congiunti anziani cronici non autosufficienti (12).
Il problema delle situazioni “monoreddito”
A questo proposito
il Comitato, inizialmente in totale solitudine, ha anche evidenziato il rischio
di esclusione sociale dei nuclei familiari monoreddito
o equiparabili.
Succede, infatti,
che, nel caso di ricovero del titolare dell’unico reddito da pensione, chi
resta a casa (ad esempio il coniuge, il figlio disoccupato o in situazione di
handicap, il fratello o parente con pensione minima) è privato dell’unica fonte
di sostentamento e, sovente, non può più fare fronte a
impegni di spesa precedentemente assunti (ad esempio il pagamento delle
cambiali relative all’acquisto di mobili).
Queste persone
precipitano in breve in uno stato di povertà e la Dgr
17/2005 prevede che si rivolgano all’assistenza fornita dai Comuni.
Oltre
all’umiliazione, essi ricevono comunque molto poco,
perché l’importo del minimo vitale, quando è concesso, generalmente è molto
basso e quasi sempre non permette a queste persone di provvedere alle loro
esigenze fondamentali di vita.
Purtroppo, per il momento
dobbiamo accontentarci di essere riusciti a
inserire il problema nella Dgr 17/2005, ma la questione dovrà essere riaffrontrata con la nuova amministrazione regionale (13).
Riconosciuto lo “status” di malato agli anziani cronici non autosufficienti
Al di là dei pur importanti aspetti
economici, che ho voluto ricordare perché presuppongono il riconoscimento della
competenza sanitaria nella cura degli anziani cronici non autosufficienti, mi
preme ora evidenziare altri punti qualificanti della delibera.
Ad esempio, è assai rilevante
che, per la prima volta, i ricoverati siano descritti come persone affette da
patologie croniche, che necessitano di interventi
sanitari e non siano più trattati solo come anziani bisognosi di semplici
prestazioni di assistenza sociale. Come ho già segnalato nel
primo articolo (14), il percorso è stato lungo. Per comprendere le
difficoltà incontrate dal Comitato e i risultati raggiunti, anche se ancora non
rispondenti appieno alle nostre richieste, è necessario soffermarci ad
analizzare la situazione in cui si trovavano le cosiddette “case di riposo per
anziani non autosufficienti” della Regione Piemonte nel 2003.
L’azione svolta dal volontariato dei diritti
La decisione della Giunta della
Regione Piemonte di porre mano alla revisione della
delibera n. 41-42433 del 9 gennaio 1995, che regolamentava le strutture di
ricovero per anziani cronici non autosufficienti in Piemonte, è anche il
risultato dei lunghi anni di attività di volontariato promozionale svolto dal Csa. I lettori conoscono l’impegno con cui ci si è
adoperati in questi anni, in primo luogo, per lo sviluppo delle cure
domiciliari (15) e, quando queste non sono praticabili, per evitare le
dimissioni dagli ospedali o dalle case di cura private (16), in difesa del
diritto alle cure sanitarie senza limiti di durata sancito dalle leggi vigenti,
ma sovente non rispettato nel caso di anziani cronici
non autosufficienti e malati di Alzheimer (17).
Inoltre, siamo stati i primi (e
gli unici) a contestare il decreto Craxi (18) che,
purtroppo, ha dato il via al ricovero di questi malati in strutture assistenziali inidonee a curarli: dalle case di riposo alle
case protette, per passare alle residenze assistenziali flessibili inventate
dalla Regione Piemonte (19) fino alle prime Rsa (Residenze sanitarie
assistenziali), si è trattato sempre e solo di luoghi ideati per sistemare i
malati cronici non autosufficienti al di fuori della competenza del Servizio
sanitario nazionale.
Dal 1985 in poi, con questa
politica, migliaia di anziani cronici non
autosufficienti sono stati condannati a condizioni di vita spesso disumane.
I controlli dei Nas
Questa situazione è emersa in
tutta la sua crudezza dall’ultima relazione dei Nas disponibile (20). In Piemonte, nel 2002, su 290
ispezioni effettuate, in 161 (e cioè nel 56% dei casi)
erano state riscontrate irregolarità. Di queste ben 137 erano infrazioni di
natura penale. Occorreva, dunque, che il gruppo di lavoro regionale incaricato
di rivedere gli standard delle prestazioni erogate in queste strutture,
prendesse atto della gravità della situazione esistente.
Pertanto, uno dei miei compiti,
quale rappresentante del Comitato nel suddetto gruppo di lavoro, è consistitito inizialmente nel richiamare l’attenzione sulla
relazione dei Nas, sia per sottolineare
le deplorevoli carenze delle Asl in materia di
vigilanza dei presidi socio-assistenziali (21), sia per dimostrare
l’insufficienza degli standard che, anche se applicati sulla base delle
disposizioni regionali, risultavano del tutto inadeguati in relazione ai
bisogni dei ricoverati, prevalentemente anziani cronici non autosufficienti.
Quindi, non solo era inaccettabile il ricovero di questi malati nelle residenze
assistenziali flessibili (Raf),
ma anche le Rsa dovevano essere gestite direttamente o indirettamente dalle Asl prevedendo prestazioni in misura di gran lunga maggiore
rispetto agli standard in vigore.
Peggiorate le
condizioni di salute degli anziani ricoverati
A sostegno delle richieste
avanzate a nome del Comitato, ho poi distribuito e
illustrato ai partecipanti del sopra richiamato gruppo di lavoro, il documento
presentato al seminario internazionale
sulla terza età organizzato a Milano dalla Fondazione Don Gnocchi, dal Pio
Albergo Trivulzio e dall’Amministrazione Ipab ex Eca Milano, soffermandomi
in particolare sulla parte in cui si afferma che «oggi le Rsa sono divenute il luogo dove si assistono anziani che prima
erano curati in ospedale (quando le degenze prolungate e i ricoveri ripetuti
erano una prassi largamente condivisa). Ma una parte rilevante degli anziani
non più assistibili a domicilio sono stati “filtrati”
dal sistema di assistenza basato sulle badanti, per cui arrivano in Rsa solo
gli anziani con un’elevata compromissione clinica e
dell’autosufficienza, quelli cioè che il sistema informale a pagamento (di
supporto ai tradizionali sistemi di caregiving familiare) non è più in grado di sostenere
in maniera decente» (22). Questa mia insistenza sull’aspetto sanitario ha
scatenato non poche reazioni contrarie, specie (ma non solo) da parte dei
direttori generali e sanitari delle Asl.
Non sono certo mancati momenti
anche vivaci, a volte veri e propri scontri verbali, che hanno però alla fine favorito l’avvio di un confronto più franco e
oggettivo tra tutti i componenti del gruppo.
Progressivamente ci siamo così
trovati concordi nel concentrare l’attenzione sulla gravità delle condizioni
patologiche degli anziani ricoverati per cui da parte
di tutti è stato richiesto un maggior impegno del settore sanitario.
Presa d’atto delle criticità
Come premessa per la costruzione
del nuovo modello concernente il ricovero di anziani
cronici non autosufficienti, il gruppo ha riconosciuto i seguenti elementi di
criticità:
-
standardizzazione delle prestazioni finora assicurate, indipendentemente dalla
valutazione dei bisogni effettivi degli ospiti;
- crescita dei bisogni sanitari
ed assistenziali sia degli anziani ricoverati, sia di
quelli che richiedevano alle Uvg (Unità valutative geriatriche) il rilascio della certificazione di non
autosufficienza;
- aumento delle richieste di
ricovero di anziani gravemente non autosufficienti, a
causa di patologie ad andamento cronico-degenerativo,
quali le demenze;
- crescita dei livelli di insoddisfazione da parte dei famigliari dei soggetti
ricoverati;
- assenza di
strumenti di valutazione della qualità delle prestazioni erogate agli ospiti.
Alla luce delle risultanze, viene deciso di procedere alla revisione del
modello in atto e di introdurre elementi «che
consentano di assicurare agli anziani che vengono ricoverati prestazioni
personalizzate e calibrate sugli effettivi bisogni sanitari ed assistenziali».
La titolarità delle
cure degli anziani cronici non autosufficienti “ritorna” al Servizio sanitario nazionale
Si affronta, quindi, il problema
delle misure da assumere per assicurare cure sanitarie e socio-sanitarie alle
persone gravemente malate e si stabilisce pertanto di recuperare gli aspetti
migliorativi introdotti da alcune delibere regionali, ottenute dopo il 1995
(grazie anche alle pressioni del Csa) e dai
provvedimenti varati dalle Asl, che gestiscono
direttamente Rsa (23).
Accogliendo le istanze
avanzate dal Csa, molte Asl
avevano recepito già con proprie deliberazioni la valenza sanitaria delle Rsa
e, conseguentemente, erogavano prestazioni sanitarie e socio-sanitarie in
misura maggiore rispetto agli standard organizzativi previsti dalla già citata
delibera regionale n. 41-42433 del 9 gennaio 1995 (24).
Tenendo conto delle positive esperienze realizzate, nei “Principi generali”
della delibera della Giunta regionale del Piemonte 17/2005 (25), viene
stabilito quanto segue: «È compito del
Servizio sanitario nazionale garantire le prestazioni sanitarie e
socio-sanitarie attraverso interventi di prevenzione, diagnosi, cura e
riabilitazione previsti dalla normativa vigente e riconducibili ai livelli
essenziali di assistenza». Il testo prosegue
confermando che «l’area delle prestazioni
interessata dal presente modello (relativo all’assistenza residenziale
socio-sanitaria, n.d.r.) afferisce a quest’ultima tipologia e riguarda le
prestazioni terapeutiche, di recupero e mantenimento funzionale delle abilità
per non autosufficienti in regime residenziale, compresi gli interventi di
sollievo erogati nel livello di assistenza “attività
sanitaria e socio-sanitaria nell’ambito di programmi riabilitativi a favore di
anziani” (rif. Dpcm 20 novembre 2001, punto 1.C)».
Come risolvere il
problema degli squilibri nelle prestazioni erogate
Come ho già segnalato nel
precedente articolo, il panorama delle “case di riposo per gli anziani non
autosufficienti” presenta divari enormi tra le diverse strutture di ricovero,
in particolare a seconda delle realtà territoriali in
cui sono situate.
Ferma restando la migliore
qualità delle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie fornite nelle Rsa il cui
funzionamento è assicurato direttamente dalle Asl, si
rileva uno squilibrio enorme nelle rette alberghiere praticate dalle strutture
gestite non solo da privati, ma anche da Ipab e da
Comuni (26).
Al riguardo è stato rilevato che
le rette più basse erano dovute sia alla carenza di
adeguate cure sanitarie e socio-sanitarie, sia alle sfavorevoli condizioni
contrattuali di lavoro del personale (27). Di conseguenza, a parità degli stati
di malattia, gli anziani ricoverati ricevevano prestazioni molto differenti a seconda della struttura di ricovero.
Non solo: emergeva in tutta la
sua drammaticità che una consistente parte delle strutture residenziali era ben
lungi dall’aver rispettato gli standard delle prestazioni stabilite dalla
delibera regionale in vigore (28), benché le stesse
strutture fossero state autorizzate o accreditate dalla Regione Piemonte.
Con una siffatta situazione era
improponibile chiedere ulteriori aumenti degli
standard e diventava necessario, anche da parte delle associazioni del
Comitato, rimodulare le richieste alla luce della
disastrosa situazione rilevata.
Quindi, gli obiettivi primari
diventano quelli di garantire il mantenimento dei positivi
livelli di qualità presenti e, soprattutto, puntare ad aumentare decisamente
quelli bassissimi delle strutture inidonee.
La mediazione si raggiunge con
l’individuazione di un nuovo modello di struttura residenziale e con la definizione
della gradualità della sua attuazione in tutto il territorio regionale.
Il nuovo modello
In primo luogo, si concorda nel
ritenere indispensabile l’individuazione di un unico modello residenziale per
la cura e l’assistenza degli anziani affetti da patologie croniche invalidanti
e da non autosufficienza, nonché sulla necessità di
eliminare la possibilità che questi malati siano ricoverati nelle Raf, peraltro al solo scopo di risparmiare sui costi
sanitari. Non si può continuare a far finta di ignorare che molte Asl sono solite negare
l’aggravamento degli ammalati ricoverati nelle Raf,
pur di non concedere loro il trasferimento nelle Rsa, fatto che comporta il
versamento di una quota sanitaria maggiore a carico della stessa Asl. D’altronde è anche insostenibile il continuo ricorso
al pronto soccorso degli ospedali, praticato dalle strutture che non hanno al
loro interno personale sanitario, ogni qualvolta si presenti
un evento acuto, per le evidenti conseguenze deleterie sulla salute
dell’anziano e anche per gli aggravi economici per il Servizio sanitario
regionale.
La revisione organizzativa
A questo punto si conviene che
l’attuale risposta residenziale «deve
essere progressivamente riarticolata e connotata
attraverso livelli di intensità e di complessità più o
meno elevati a seconda delle esigenze di salute e dei bisogni assistenziali
dell’utente». Ovviamente il percorso presuppone la ridefinizione
degli standard esistenti, troppo rigidi e ancorati a tipologie organizzative e gestionali superate dalla realtà dei fatti. In sostanza, per
la prima volta, si parla di superamento della Raf, “inventata”, lo ripetiamo ancora una volta,
dalla Regione Piemonte al solo scopo di ricoverare presso una struttura
dell’assistenza sociale (e quindi meno costosa) anziani malati cronici non
autosufficienti.
Purtroppo, resta esclusa dal
riordino la Ra, Residenza assistenziale,
prevista per accogliere anziani autosufficienti, ma che, in base ad un
provvedimento assunto dalla Giunta regionale, poteva (e può) continuare a provvedere
anche gli anziani diventati non autosufficienti.
Il provvedimento, che
apparentemente sembra favorire gli anziani, non allontanandoli dalla struttura,
in realtà autorizza la prosecuzione del loro ricovero in condizioni del tutto
inidonee, tenendo conto del peggioramento della loro salute. Su questo punto si
dovrà riaprire il confronto con la nuova Amministrazione regionale.
Individuata
un’unica struttura per il ricovero di anziani cronici non autosufficienti
Il nuovo modello consente «all’anziano assistito in una struttura e/o
in un nucleo residenziale con un progetto di lunga assistenza a bassa intensità
assistenziale ed esigenze correlate ad una situazione
di moderata non autonomia nell’espletamento delle funzioni quotidiane, di poter
ottenere nella medesima struttura, in caso di deterioramento del quadro di
inabilità non tale da richiedere un intervento riabilitativo specifico, una
prestazione assistenziale adeguata all’evoluzione del suo bisogno, attraverso
un progetto a media intensità e di livello base, senza necessariamente essere
spostato altrove (…). Al contrario, l’utente inserito in una struttura
residenziale con un progetto ad alta intensità, qualora la sua situazione si
stabilizzi, dopo un certo periodo di tempo, su livelli che richiedono
un’intensità terapeutica e/o assistenziale minore,
potrà ottenere l’intervento appropriato nell’ambito della stessa struttura, con
un progetto a minore intensità e/o complessità, definito secondo le sue
specifiche necessità».
Introdotte le fasce di intensità
Le prestazioni sono definite
sulla base «di tre fasce assistenziali (bassa, media, alta) degli interventi da
erogarsi nell’ambito delle strutture socio-sanitarie per anziani non
autosufficienti. Per le fasce assistenziali media e
alta l’intervento erogato può articolarsi in due livelli di complessità delle
prestazioni – un livello base ed un livello più elevato – da individuare nel
progetto assistenziale in relazione alla tipologia specifica di bisogno della
persona inserita».
La valutazione del Comitato
I livelli delle prestazioni in
definitiva sono cinque e, a nostro avviso, sono decisamente
troppi. Abbiamo insistito – anche se da soli – fino all’ultimo perché fosse
eliminata almeno la fascia più bassa, ma la Regione Piemonte ha voluto
mantenere a tutti i costi lo standard di prestazioni
più basso introdotto con una delle ultime delibere da noi aspramente contestata
(29). In compenso, si è riusciti a ottenere che «nel caso di nuovi rapporti convenzionali da
definirsi tra Asl, Ente gestore delle prestazioni
socio-assistenziali e strutture socio-sanitarie interessate, i valori tariffari
delle varie tipologie di intervento sono stabiliti in base ai livelli
assistenziali erogati con riferimento ai tetti tariffari» indicati nella
delibera 17/2005 (cfr. la
tabella 1). Tale clausola, che vieta di fatto alle Asl
di erogare agli enti gestori delle strutture residenziali rette inferiori a
quelle fissate con la Dgr 17/2005, salvaguarda
altresì i contratti di lavoro degli operatori; inoltre dovrebbe impedire, o almeno
ridurre, l’attuale rilevante turnover del
personale e garantire ai malati ricoverati una migliore qualità delle
prestazioni erogate.
Il Comitato ha deciso di
sottoscrivere l’accordo e monitorare l’avvio del nuovo modello, anche se sono
previsti livelli di prestazione inferiori alle nostre richieste, perché
rappresentano un miglioramento, in certi casi rilevante, rispetto alla
situazione fotografata dalla relazione dei Nas citata
in precedenza.
Con il nuovo modello
l’anziano cronico non autosufficiente, anche se viene ricoverato con
l’assegnazione di prestazioni appartenenti alla fascia più bassa, in caso di
aggravamento ottiene comunque gli interventi sanitari d’urgenza e più complessi
di cui ha bisogno, che devono essere assicurati dal personale medico e
infermieristico, la cui presenza nella struttura deve essere in misura tale da
fornire agli utenti gli interventi previsti per la fascia più alta (30). La
suddivisione in fasce di intensità lascia ovviamente
aperte ancora molti spazi discrezionali. Un ruolo decisivo è assegnato alle
Unità di valutazione geriatrica, di cui la Dgr 17/2005 prevede il potenziamento.
Il ruolo dell’Unità valutativa geriatrica (Uvg)
Il nuovo modello è fondato sul
progetto individualizzato attraverso il quale viene
determinato il grado di bisogno di cure dell’ammalato e l’attribuzione della
fascia di intensità di prestazione da cui discende il costo della retta di
ricovero. È evidente quanto siano estremamente
delicati questi passaggi: vedremo sicuramente in conflitto gli interessi dei
gestori privati (che punteranno ad inserire i malati nelle fasce alte) e quelli
delle Asl, che saranno indotti a non concedere gli
aggravamenti per evitare i maggiori oneri economici.
In merito ai diritti dell’utente,
rammento che sono state riconosciute sia la facoltà di farsi rappresentare
all’interno della Commissione Uvg, sia la possibilità
di ricorrere contro il parere stesso della suddetta commissione (31).
Tuttavia è un
elemento di importanza assai rilevante la decisione di
potenziare il ruolo dell’Uvg, definita come servizio
proprio dell’Asl, al quale l’utente deve inoltrare le
richieste di intervento. Inoltre, sono state definite con chiarezza le funzioni
attribuite alle Uvg. Le principali sono:
- individuare i
bisogni sanitari e assistenziali delle persone
anziane, identificando le risposte più idonee al loro soddisfacimento e
privilegiando, ove possibile, il loro mantenimento a domicilio;
- predisporre il
progetto di intervento individualizzato;
-
fornire la documentazione necessaria per l’eventuale integrazione della retta
da parte del Comune o dell’Ente gestore socio-assistenziale competente;
- verificare la realizzazione dei progetti individualizzati;
- su
richiesta delle Commissioni di vigilanza e/o dei Nas,
effettuare valutazioni volte a definire l’eventuale non autosufficienza degli
anziani ospiti di strutture
residenziali.
A mio avviso, di particolare
rilevanza sarà senz’altro l’attività di monitoraggio del progetto
individualizzato.
Il piano di assistenza individualizzato (Pai)
Nella Dgr 17/2005 la tutela dei diritti degli anziani cronici non
autosufficienti ricoverati è strettamente collegata al
rispetto del piano di assistenza individualizzato. Infatti, viene
affermato che «il Pai
è redatto, in attuazione del progetto individuale definito dall’Uvg e sulla base del quadro informativo sullo stato di
salute attuale dell’ospite fornito dal medico di medicina generale. La
predisposizione, la verifica e l’aggiornamento del Pai
avviene nell’ambito di un’équipe multidisciplinare,
composta dal medico di medicina generale, dal coordinatore dell’assistenza
infermieristica e/o tutelare, in stretta collaborazione con le altre
professionalità operanti nella struttura (direttore sanitario, responsabili dei
vari settori/reparti, fisioterapista, assistente sociale, educatore o animatore
professionale). All’équipe possono partecipare le assistenti sociali che hanno
seguito l’ingresso dell’ospite in struttura (…).
«Il Pai viene
trasmesso entro cinque giorni all’Uvg ed in copia
all’interessato o al familiare o al tutore; viene altresì portato a conoscenza
dei parenti e dei volontari operanti nella struttura, i quali possono essere
coinvolti nella sua attuazione. (…). La
responsabilità dell’esecuzione operativa del Pai è in
capo al direttore sanitario nelle strutture che erogano interventi nella fascia
alta di intensità (…) (32).
«L’andamento del Pai è soggetto
a periodiche verifiche da parte dell’équipe della struttura di valutazione del
progetto individuale e
può essere richiesta anche dall’utente stesso o dal tutore con
richiesta diretta all’Uvg o all’Asl
di residenza e con facoltà di farsi assistere da un medico di sua fiducia e/o
da un’associazione di tutela».
Come ho già
evidenziato, non mancheranno i conflitti e, anche in presenza
di un potenziamento a breve delle Uvg, senz’altro
trascorrerà molto tempo prima che il nuovo modello funzioni e si possa
procedere ad eventuali modifiche o miglioramenti attraverso il monitoraggio del
tavolo regionale.
Anche per questo motivo è stato
concesso un anno di tempo per gli adeguamenti. Bisogna, infatti, organizzare le
tre fasce di livello indicate dal nuovo modello, che comportano, ovviamente,
l’assunzione del personale necessario a garantire le prestazioni a bassa, media
e alta intensità che dovranno essere erogate a regime da tutte le strutture
residenziali.
Il monitoraggio
Consapevoli della diversificata situazione esistente, i firmatari dell’accordo
hanno chiesto che venisse prevista una fase di transizione che è stata
stabilita nella durata di un anno, a partire dal 1° maggio 2005, data di
entrata in vigore della delibera stessa.
La fase di transizione,
espressamente indicata nella relazione introduttiva della Dgr
17/2005, serve a garantire il passaggio dalla tipologia organizzativa
precedente a quella individuata con il nuovo
provvedimento «con la gradualità e
progressione territoriale necessarie per realizzare un ottimale impatto del
modello di integrazione sugli utenti, sulle famiglie e sugli Enti coinvolti
nell’erogazione degli interventi».
L’attuazione progressiva del
nuovo modello sarà «monitorata
nell’ambito del tavolo congiunto Regione-territorio
per l’applicazione dei Lea sull’area socio-sanitaria» che «prosegue la propria attività di confronto e
concertazione nel triennio 2005-2007». La Giunta regionale, preso atto dei
risultati della fase transitoria, adotterà entro il 30 aprile 2006, il piano di intervento per gli anni successivi «onde condurre alla realizzazione a regime del modello assistenziale».
L’aumento delle rette corrisponde all’aumento delle
prestazioni?
Un’ampia discussione è stata
rivolta alla questione dell’aumento delle rette alberghiere a carico degli utenti (33). Era un passaggio prevedibile, che è stato
sempre tenuto in considerazione e che, tutto sommato, è ragionevole che venga praticato tenuto conto che è dal 1995 che le Asl non aumentavano, neppure sulla base degli incrementi Istat, la quota sanitaria di loro pertinenza, mentre erano
aumentati i costi anche a seguito dei rinnovi contrattuali.
È vero che, dopo l’accordo
intervenuto con la Regione Piemonte, gli utenti pagheranno di più, ma le
prestazioni sarano migliori; inoltre gli importi
saranno calcolati solo in base alla loro situazione economica. Nulla verrà richiesto ai loro familiari.
Spiace che, come ho già rilevato,
resti ancora scarsamente tutelata la questione dei nuclei monoreddito. In ogni caso, se l’obiettivo è quello di aumentare il numero del
personale sanitario e socio-sanitario perché gli ammalati siano
adeguatamente curati e assistiti, è logico che aumentino i costi e, quindi, le
rette.
Chi vigila?
Piuttosto occorrerà promuovere
sinergie tra Asl, Enti locali, organizzazioni
sindacali e rappresentanti degli utenti per verificare che effettivamente
all’aumento dei costi corrisponda l’incremento delle prestazioni. Al riguardo
ci stiamo attivando per ottenere che nella nuova delibera, che dovrà essere
predisposta per la commissione di vigilanza, sia prevista non solo la
rappresentanza degli utenti, ma altresì quella degli Enti locali e dell’Asl del territorio, direttamente interessati a verificare
che le risorse stanziate siano ben utilizzate e, soprattutto, che le strutture
private non pretendano dagli utenti pagamenti extra, non previsti dalla
delibera (34).
Anche i Comuni devono tutelare i cittadini
Ultimo, ma forse il più
importante elemento critico, è il rapporto tra Asl e
Comuni singoli o associati, per quanto concerne l’attribuzione della fascia di intervento (bassa, media, alta) e degli incrementi.
Su questo punto è auspicabile che
l’Anci e la Lega per le autonomie locali sostengano gli amministratori dei piccoli Comuni, perché
assumano una linea politica a tutela dei loro cittadini anziani malati non
autosufficienti e verifichino che le valutazioni delle Commissioni Uvg, che hanno tra i loro componenti anche operatori degli
Enti locali, corrispondano alle reali esigenze
dei ricoverati (35).
Un appello alle associazioni di volontariato
Infine, un appello alle
associazioni di volontariato che operano nelle strutture che ricoverano anziani
malati non autosufficienti, perché vigilino sull’attuazione
della Dgr 17/2005 e, in particolare, sulla
corretta effettuazione dell’imboccamento delle
persone non in grado di alimentarsi autonomamente, verifichino la presenza del
personale medico i cui orari devono essere indicati in modo visibile, informino
i parenti e/o i tutori delle facoltà di chiedere nuove valutazioni all’Uvg per ottenere prestazioni aggiuntive per i loro cari.
Anche il rispetto di queste condizioni migliora le condizioni di vita di coloro che sono ricoverati (36).
Tabella 1
Fasce assistenziali Retta
complessiva Quota
sanitaria Quota alberghiera
Alta intensità con incremento 98,00 56,50 41,50
Alta intensità 90,00 48,50 41,50
Media intensità con incremento 83,00 41,50 41,50
Media intensità 73,00 36,50 36,50
Bassa intensità 68,00 34,00 34,00
(1) Cfr. Maria Grazia Breda, “I livelli
essenziali di assistenza sanitaria: i positivi
risultati raggiunti dal volontariato dei diritti nella vertenza con la Regione
Piemonte”, Prospettive assistenziali,
n. 150, 2005.
(2) Mi riferisco ai contenuti della delibera della
Giunta regionale del Piemonte (Dgr) del 30 marzo
2005, n. 17-15226 “Il nuovo modello integrato di assistenza residenziale
socio-sanitaria a favore delle persone anziane non autosufficienti. Modifiche e integrazioni alla Dgr n.
51-11389 del 23 dicembre 2003”, Bollettino
ufficiale della regione Piemonte,
n. 14 del 7 aprile 2005. Nella delibera suddetta non sono compresi i
malati di Alzheimer o di altre forme di demenza
senile, perché è stata richiesta – e ottenuta – dalle associazioni di
volontariato una trattativa specifica con la Regione Piemonte, non ancora
conclusa. Cfr. “Presentata alla Regione Piemonte una
piattaforma sulle esigenze e diritti dei malati di Alzheimer”,
Prospettive assistenziali, n. 148, 2004.
(3) Il Comitato è stato costituito dall’Avo
(Associazione volontari ospedalieri), Sea (Servizio
emergenza anziani), Utim (Unione per la tutela degli
insufficienti mentali), Cpd (Consulta per le persone
in difficoltà), Diapsi (Difesa ammalati psichici), Csa (Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di
base), Aima (Associazione italiana malati di
Alzheimer), Gruppi di volontariato vincenziano,
Società di S. Vincenzo de Paoli. All’iniziativa hanno
aderito anche i Forum del volontariato e del terzo settore.
(4) I contenuti della petizione popolare sono
riportati nell’editoriale di Prospettive
assistenziali, n. 138, 2002.
(5) I livelli essenziali di assistenza (Lea)
riguardano i servizi e gli interventi che il sistema sanitario nazionale deve
assicurare ai propri cittadini e, per quanto ci interessa, concernono le
prestazioni afferenti all’area dell’integrazione socio-sanitaria. Sono entrati
in vigore con l’articolo 54 della legge 289/2002, che ha trasformato in legge
le disposizioni del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (Dpcm) del 29 novembre 2001, la cui natura era invece solo amministrativa. La sua attuazione non era quindi
obbligatoria per le Regioni. I Lea non sono nuovi diritti, ma il tentativo,
purtroppo riuscito, di addebitare agli utenti e agli enti locali costi
economici e responsabilità di cura che competevano interamente al Servizio
sanitario nazionale. Sarebbero stati assai gravosi i costi posti a carico degli
utenti e/o dei Comuni, se la Regione Piemonte avesse applicato immediatamente
le percentuali previste dal provvedimento nazionale. A titolo di esempio si veda la tabella n. 1, “Costi delle prestazioni
e oneri a carico degli utenti”, Prospettive
assistenziali, n. 150, 2005, pag.
20.
(6) Vedere la nota 1.
(7) Con la petizione popolare si chiedeva al Presidente della Regione Piemonte, ai
Sindaci dei Comuni piemontesi e ai Direttori generali delle Asl
il rispetto di quanto contenuto nell’art. 25 della legge 328/2000 e nei decreti
legislativi 109/1998 e 130/2000.
(8) Non si deve dimenticare che i contenuti della
petizione popolare riprendevano quanto il Csa,
Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base, richiedeva da anni.
(9) In base all’articolo 54 della legge 289/2002 il
Servizio sanitario regionale deve concorrere al pagamento delle rette di
ricovero presso le residenze sanitarie assistenziali (Rsa) nella misura di
almeno il 50% dell’importo totale. Con la deliberazione della Giunta regionale
del Piemonte del 30 marzo 2005, n. 17-15226 è previsto
che la percentuale della quota sanitaria raggiunga anche il 57,75% del costo
totale della retta per i pazienti più gravi.
(10) La Giunta della Regione Piemonte è stata
sollecitata a stanziare maggiori fondi anche dai presidi organizzati dal
Comitato promotore della petizione popolare che ha manifestato tutti i lunedì
mattina e tutti i giovedì pomeriggio davanti alla sede della Giunta regionale
del Piemonte nei mesi di ottobre, novembre e dicembre 2004 con cartelli,
striscioni, megafono, volantini e raccolta di firme. Un’altra manifestazione è
stata indetta il 14 febbraio 2005 dalle organizzazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil,
a ridosso delle elezioni amministrative, alla quale hanno aderito anche le
associazioni degli Enti locali.
(11) Il Fondo specifico per l’integrazione delle
rette si richiama al “Fondo per non autosufficienti” previsto dall’articolo 15
della legge 328/2000. La nostra posizione, al riguardo, è sempre stata critica,
perché tutte le proposte all’ordine del giorno proponevano il fondo solo come
sostegno alle prestazioni erogate dai Comuni e avvallavano pertanto il
trasferimento illegale degli anziani malati cronici dal settore sanitario a
quello assistenziale in modo da ridurre i costi
sanitari. Nel caso della Regione Piemonte, il fondo si inserisce
in un percorso corretto perché è confermata la titolarità delle prestazioni in
capo al Servizio sanitario regionale e si prevedono risorse aggiuntive per
permettere agli Enti locali di assicurare l’integrazione delle rette di
ricovero dei cittadini non abbienti.
(12) Ricordiamo che nel 1999, secondo i dati forniti
dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, riportati in un documento
dell’ottobre 2000, erano scese sotto la soglia della povertà oltre due milioni
di famiglie italiane impegnate nell’assistenza e cura a proprie spese di
congiunti malati e non autosufficienti. Per quanto riguarda il Piemonte, una
ricerca effettuata dalla Caritas ha rilevato che la
presenza di un anziano malato cronico determina spesso condizione di povertà
dei suoi familiari.
(13) Il Csa, Coordinamento
sanità e assistenza fra i movimenti di base, per risolvere un caso che si era
presentato nei suoi uffici, ha inoltrato in data 15 novembre 2002 all’Assessore
all’assistenza del Comune di Torino la seguente bozza di delibera, finora non
accolta: «Nei casi in cui la persona
anziana ricoverata presso Rsa/Raf o analoghe
strutture gestite dal Comune di Torino o da enti pubblici e privati debba
sostenere spese relative al mantenimento del coniuge o
di altri soggetti privi di adeguati mezzi economici, la quota relativa alla
retta alberghiera è ridotta dell’importo concernente il mantenimento del o dei
soggetti di cui sopra, calcolato nella misura della pensione minima Inps per i pensionati ultrasettantenni.
«Inoltre, la quota relativa alla
retta alberghiera è ridotta dell’importo delle spese a carico della persona
anziana ricoverata concernenti:
- l’affitto dell’alloggio occupato dalla stessa
prima del ricovero e attualmente utilizzato dal
coniuge o da altri congiunti;
- gli oneri relativi al
riscaldamento dell’appartamento di cui sopra e alle spese condominiali;
- il rimborso di prestiti,
mutui e altre analoghe obbligazioni, previa esibizione della relativa
documentazione.
Si precisa, infine, che per il
calcolo della quota alberghiera a carico delle persone anziane ricoverate
presso Rsa/Raf e analoghe strutture non si tiene
conto del patrimonio immobiliare rappresentato dalla prima casa di proprietà
del ricoverato o di comproprietà dello stesso con il coniuge o altri congiunti».
(14) Vedi la nota 1.
(15) L’ultima iniziativa assunta al riguardo è la
presentazione di una proposta di legge al Consiglio regionale piemontese,
affinché sia sancito il diritto alle cure sanitarie domiciliari nei casi in cui
siano contemporaneamente soddisfatte le seguenti condizioni:
- non vi
siano controindicazioni cliniche o di altra natura;
- il
malato sia consenziente e gli possano essere fornite a domicilio le necessarie cure mediche, infermieristiche e, se occorrenti,
riabilitative;
- i
congiunti o altri soggetti siano disponibili ad assicurare il necessario
sostegno domiciliare e siano riconosciuti idonei dall’Asl
di competenza territoriale;
- vengano previsti gli interventi di emergenza sia nel caso
che i soggetti di cui al punto precedente non siano più in grado di prestare
gli interventi di loro competenza, sia per l’insorgere di esigenze del paziente
che ne impongono il ricovero presso idonee strutture sanitarie;
- i
costi a carico delle Asl non siano superiori a quelli
di loro spettanza nel caso di degenza presso ospedali o case di cura private
convenzionate.
Cfr. l’articolo “Cure
sanitarie domiciliari: una proposta di legge presentata alla Regione Piemonte”,
Prospettive assistenziali, n. 142,
2003. Per un approfondimento sul tema si vedano inoltre gli
ultimi articoli pubblicati sulla stessa rivista: A. Barone, A. Cella, E. Palummeri, “La spedalizzazione
territoriale a Genova, sperimentazione di una nuova forma di cure domiciliari”,
n. 136, 2001; AA.VV, “L’ospedalizzazione a domicilio:
un servizio ‘ponte’ tra ospedale e territorio”, n. 141, 2003.
(16) A titolo esemplificativo si veda l’articolo “La
difesa del diritto alle cure sanitarie di un’anziana malata cronica non
autosufficiente: un’altra positiva esperienza”, Ibidem, n. 146, 2004.
(17) Cfr. l’opuscolo “Tutti hanno diritto alle cure sanitarie compresi
anziani malati cronici non autosufficienti, malati di Alzheimer, malati
psichiatrici, handicappati con gravi patologie”. L’opuscolo è consultabile sul
sito www.fondazionepromozionesociale.it oppure si può richiedere alla
Fondazione promozione sociale, via Artisti 36, 10124
Torino (tel. 011-812.44.69, fax 011/812.25.95, e-mail: info@fondazionepromozionesociale.it).
(18) Si tratta del decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri (Dpcm) dell’8 agosto 1985
“Atto di indirizzo e coordinamento alle Regioni e alle Province autonome in
materia di attività di rilievo sanitario connesse con quelle
socio-assistenziali, ai sensi dell’art. 5 della legge 23 dicembre 1978 n. 833”.
A seguito del suddetto decreto amministrativo, le Regioni hanno disposto il
trasferimento (illegale) degli anziani cronici non autosufficienti, dei dementi
senili e dei pazienti psichiatrici dal settore sanitario a quello dei servizi
sociali. Cfr. l’editoriale
“Un decreto per l’emarginazione di massa dei più deboli”, Ibidem, n. 72, 1985.
(19) La Raf, residenza
assistenziale flessibile, regolamentata dalla deliberazione della Giunta
regionale del 29 giugno 1992, n. 38-16335, è stata ideata dalla Regione
Piemonte allo scopo di autorizzare il ricovero di anziani malati non
autosufficienti in residenze assistenziali previste per gli anziani autonomi.
Ovviamente, gli interventi sanitari e le prestazioni di assistenza erogate
erano e sono del tutto inadeguate per soddisfare i bisogni di cure sanitarie
degli anziani cronici non autosufficienti.
(20) Cfr. l’articolo “Controlli effettuati dai Nas
sulle strutture residenziali per anziani: altre allarmanti infrazioni penali e
amministrative”, Ibidem, n. 143,
2003. Sullo stesso argomento si vedano anche gli articoli: “Comunicato
stampa dei Nas sui controlli eseguiti in campo
nazionale alle strutture ricettive per anziani”, Ibidem, n. 136, 2001; “Secondo comunicato stampa dei Nas sulle strutture ricettive per anziani: nuove gravi
infrazioni penali e amministrative”, Ibidem,
n. 139, 2002; Elena Brugnone, “Fatti illeciti in
strutture ricettive per anziani e abbandono di ricoverati non autosufficienti:
considerazioni sui due ultimi comunicati stampa dei Nas”, Ibidem, n. 140, 2002.
(21) Cfr. l’articolo “Sono deplorevolmente
scarsi i controlli svolti dalle Asl piemontesi nei
riguardi dei presidi socio-assistenziali”, Ibidem,
n. 141, 2003.
(22) Si consulti il sito www.dongnocchi.it/html/interv03/interv 047.htm
(23) Cfr. “Regolamento di
due Rsa gestite dall’Asl 2 di Torino”, Prospettive assistenziali,
n. 139, luglio-settembre 2002; “Regolamento della Rsa gestita dall’Asl 4 di Torino”, Ibidem,
n. 142, 2003; “Regolamento e progetto di gestione della Rsa ‘Latour’ dell’Asl 8 del Piemonte:
una struttura a valenza prevalentemente sanitaria di cura e di accoglienza”, Ibidem, n. 146, 2004.
(24) La delibera della Giunta regionale del Piemonte
del 9 gennaio 1995 n. 41-42433 definiva i parametri gestionali per le residenze
sanitarie assistenziali e per le residenze assistenziali flessibili.
(25) Cfr. la nota 1.
(26) Sulle rette alberghiere è stato registrato un
divario che spaziava da un minimo di 28 euro ad un massimo di 55 euro al
giorno.
(27) Le strutture che praticano le rette più basse
sovente applicano contratti di lavoro non sottoscritti dai Sindacati Cgil, Cisl e Uil.
Pertanto sono praticati stipendi inferiori ai
contratti collettivi nazionali del settore; inoltre, in particolare, può essere
esclusa la quattordicesima mensilità ed essere retribuita solo in misura
parziale l’assenza per malattia.
(28) Vedi la
nota 25.
(29) Mi riferisco alla Dgr
46/2003 che consente l’istituzione nelle Raf di
prestazioni sanitarie di bassa intensità.
(30) Il modello entra a regime nel 2006 e tutte le
strutture dovranno prevedere per quella data l’erogazione delle tre fasce di
intensità comprensive degli incrementi stabiliti per le fasce media e alta.
(31) La Dgr 17/2005 prevede che «rispetto alla valutazione effettuata a livello locale (Uvg dell’Asl di residenza o
struttura ospitante), l’interessato, se ne ha la capacità, o il famigliare o il
tutore o l’amministratore di sostegno, può avvalersi, in sede valutativa o
comunque prima che le commissioni si siano formalmente espresse, della perizia
di propri esperti e/o farsi rappresentare da un’associazione di categoria e/o
di volontariato che opera a difesa dei diritti delle persone anziane.
«La Commissione centrale per le
rivalutazioni cliniche di cui alla Dgr n. 74-28035
del 2 agosto 1999, integrata con le figure professionali in possesso di
specifica competenza sull’area degli anziani, da individuarsi con apposito provvedimento regionale, costituisce il livello di
riferimento e di garanzia in ordine alle eventuali controversie che dovessero
insorgere fra i diversi soggetti (Asl, soggetti
gestori socio-assistenziali, gestori dei presidi residenziali o relativi
organismi rappresentativi, utenti/famigliari/tutori/associazioni
rappresentative) in merito alle valutazioni e rivalutazioni espresse a livello
locale».
(32) Nelle
altre strutture socio-sanitarie tale responsabilità operativa è in capo al
coordinatore delle attività infermieristiche, o laddove non sia presente la
figura di coordinamento infermieristico, al coordinatore delle attività di
assistenza tutelare alla persona.
(33) Su questo punto, proprio negli ultimi mesi di
trattativa, quando già incombevano le elezioni amministrative e ogni decisione
era viziata dal clima elettorale, le organizzazioni sindacali hanno chiesto
alla Regione Piemonte di fissare per tutti gli utenti un’unica retta
alberghiera, quella della fascia più bassa. Di per sé la richiesta era
condivisibile anche da parte nostra, benché, per quanto ci riguarda, con la
petizione non avevamo posto limiti in questo ambito.
Tuttavia, con il documento del 16 settembre 2002, il Comitato aveva avanzato la
stessa richiesta alla Regione, sostenendo allora – come adesso il sindacato –
che l’aggravamento degli anziani e il conseguente passaggio alle fasce di intensità più elevate, era dovuto al peggioramento delle
condizioni di malattia e che pertanto gli oneri maggiori dovevano essere
imputati al Servizio sanitario regionale. Il Comitato non era contrario in
linea di principio alle tesi del sindacato, ma ha ritenuto sbagliati i tempi in
cui veniva posta una questione così complessa. Ci
siamo anche chiesti perché il sindacato non aveva sostenuto tre anni prima la
nostra proposta e si impuntava ora, quando ormai non
c’era più spazio per una trattativa con
la Regione il cui mandato era ormai agli sgoccioli.
(34) A mio avviso è fondamentale che si giunga ad
ottenere che tutte le pratiche amministrative, ivi compresa l’accettazione del
ricovero e la firma del contratto, siano effettuate presso l’Uvg, purché il cittadino abbia come interlocutore l’ente
pubblico e non la struttura privata. Su questo punto rinvio all’articolo di
Francesco Santanera, “L’accreditamento delle
strutture residenziali: una procedura utilizzabile anche per negare diritti
agli utenti”, Prospettive assistenziali, n. 148, 2004. Si veda, altresì,
l’articolo “L’integrazione delle rette di ricovero assistenziale:
un altro imbroglio”, Ibidem, n. 142,
2003.
(35) A questo proposito, ad esempio, è inquietante quanto è
emerso nel convegno del 22 luglio 2005 promosso dal sindacato dei pensionati Spi Cgil, a Cuneo. Guglielmo
Piovano, responsabile Spi Cgil,
nella sua relazione introduttiva afferma: «Nelle
case di riposo dell’Asl 16 di Mondovì-Ceva
il costo complessivo della retta (quota sanitaria + quota sociale) è sui 60-64
euro giornalieri, nelle Asl 15 e 17 il costo medio per un posto Rsa è
sui 90 euro/giorno. (…) Riguardo alla determinazione
delle rette nella fase transitoria a partire dal 1° maggio 2005, le Asl della Provincia si comportano nei modi più disparati:
- l’Asl 17 pare interpreti correttamente quanto disposto nella delibera.
Aumenta di 7 euro gli importi della retta in vigore al 31 dicembre 2003 e
quindi ripartisce 50% e 50% per le Raf e 46% e 54%
per le Rsa osservando i tetti massimi di 70 euro per le Raf
e gli 86 euro per le Rsa;
- l’Asl 15 invece, ha
“saltato” letteralmente la fase transitoria, non ha tenuto conto delle rette in
vigore al 31 dicembre 2003, ed ha determinato l’importo partendo dalle rette attualmente in vigore che avevano subito aumenti
spropositati nel corso del 2004 con decorrenza retroattiva dal 1° gennaio;
- l’Asl 16 applicherebbe
normalmente la delibera senza problemi;
- l’Asl
18, in accordo con i Consorzi e gli Enti gestori delle strutture, per l’anno in
corso non intenderebbe fare alcun aumento».
(36) Le altre parti significative della Dgr 17/2005 (che cosa comprende la retta alberghiera, le
prestazioni assicurate dal Servizio sanitario regionale, ecc.) sono descritte
nell’articolo citato nella nota 1.
www.fondazionepromozionesociale.it