Prospettive assistenziali, n. 152, ottobre - dicembre 2005
CHIESTO
IL RITIRO DELLE PROPOSTE DI LEGGE N. 5724 E 5725 SULLE ADOZIONI APERTE E MITI E
SULL’AFFIDAMENTO FAMILIARE INTERNAZIONALE
In data 30 settembre 2005 il Csa, Coordinamento
sanità e assistenza fra i movimenti di base di Torino, ha inviato la lettera
che riproduciamo ai Parlamentari che hanno presentato il 16 marzo 2005 alla
Camera dei Deputati le proposte di legge n. 5724 “Modifiche alla legge 4 maggio
1983, n.
Alcune parti della lettera del Csa sono state
tratte dall’articolo di F. Santanera,
“L’adozione mite: come svalorizzare la vera
adozione”, Prospettive
assistenziali,
n. 147, 2004, di cui è stata inviata fotocopia a tutti i Parlamentari, mentre
le dichiarazioni di Padre Wielsaw Stepien
sono state riprese dal n. 138, 2002 della stessa rivista.
TESTO DELLA LETTERA DEL CSA
Risulta, invece, che, con una
procedura, peraltro non prevista da nessuna disposizione di legge o
regolamentare, il Consiglio superiore della magistratura si è limitato a «prendere atto» dell’iniziativa del
Tribunale per i minorenni di Bari, com’è precisato
nella lettera inviata dal Consiglio superiore della magistratura al Presidente
del Tribunale per i minorenni di Bari in data 4 luglio 2003, prot. 13713.
In secondo luogo, il Tribunale
per i minorenni di Bari ha pronunciato e pronuncia l’adozione “mite” (vocabolo
che non compare mai nelle leggi dello Stato italiano in materia di adozione) in base all’articolo 44, comma d, della legge
184/1983, violandone apertamente i contenuti.
Infatti, dette norme consentono
l’adozione in casi particolari esclusivamente «quando vi è la constatata impossibilità di affidamento preadottivo».
Orbene, poiché l’affidamento preadottivo può essere disposto dai Tribunali per i
minorenni solamente nei confronti dei minori dichiarati adottabili, la
pronuncia dell’adozione mite nei riguardi dei fanciulli
non dichiarati adottabili,
costituisce una sicura e gravissima violazione delle disposizioni varate dal
Parlamento a tutela dei minori adottabili in quanto «privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei
parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a
cause di forza maggiore di carattere transitorio» (articolo 8, comma 1
della legge 184/1983) e non per
sottrarre i figli minorenni ai nuclei familiari in difficoltà.
Sottrazione di minori alle loro
famiglie d’origine anche in presenza di legami
affettivi
Al riguardo è assai allarmante che, come risulta dall’articolo
“L’affido-infinito e l’adozione mite”, apparso sul settimanale Vita del 16 settembre 2005, il
Presidente del Tribunale per i minorenni di Bari abbia avuto l’ardire di
precisare che l’adozione mite viene disposta dal suddetto Tribunale anche nei
casi in cui «la famiglia d’origine, pur
essendo incapace di rispondere alle esigenze educative del proprio figlio, non
lo ha del tutto abbandonato e, anzi, mantiene
con lui un rapporto affettivo significativo».
Dunque, il Tribunale per i
minorenni di Bari, invece di promuovere l’intervento dei servizi di interesse generale (sanità, istruzione, casa, ecc.) e, se
necessario, quelli preposti all’assistenza sociale affinché i nuclei familiari
di origine in difficoltà siano adeguatamente supportati coerentemente a quanto
stabilito dalla legge 184/1983, sottrae questi bambini ai loro genitori, ai
fratelli e sorelle, ai nonni e agli altri congiunti.
Da notare che, da quanto risulta,
vengono tolti senza che sia stato disposto
dall’autorità giudiziaria un procedimento volto ad accertare la situazione del
minore (nella proposta di legge definita di “semi-abbandono
permanente”) e quindi senza consentire a tutte le parti in causa (genitori,
fratelli, sorelle, nonni, ecc.) di esprimere le loro posizioni e di portare
direttamente a conoscenza del Tribunale per i minorenni fatti e testimonianze
in merito alla vicenda dei loro congiunti.
Perché chiediamo il
ritiro della proposta di legge n. 5724
Partendo dall’allarmante
iniziativa assunta dal Tribunale per i minorenni di Bari, la proposta di legge
n. 5724 stabilisce al comma 1 del previsto nuovo articolo 7 bis che possono
essere sottratti alle loro famiglie d’origine «i minori per i quali è stata accertata la situazione di grave e
continua insufficienza a rispondere
ai loro bisogni da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi o nei
cui confronti questi pongono in essere in maniera reiterata e continua un
rapporto lesivo e gravemente pregiudizievole per la loro crescita, pur in presenza di una relazione
interpersonale che, nell’interesse del minore, non può essere totalmente
interrotta».
Al riguardo, osserviamo con
estrema preoccupazione che l’individuazione da parte del Tribunale per i
minorenni di una sia pur «grave e continua insufficienza»
lascia ampi e allarmanti spazi di discrezionalità, mentre risulta inammissibilmente contraddittorio l’accertamento di un «rapporto
lesivo e gravemente pregiudizievole» dei genitori e degli altri
congiunti con i minori «in presenza di una relazione interpersonale
che, nell’interesse del minore, non può essere totalmente interrotta».
Nella stessa proposta di legge n.
5724 si arriva, nientemeno, a prevedere che «lo
stato di semiabbandono permanente è presunto
quando, disposto l’affidamento familiare, allo scadere del termine previsto (e
cioè dopo appena 24 mesi, n.d.r.)
e dopo la proroga e i provvedimenti di
cui all’articolo 4, commi 4 e 6, con modificazione dell’affidamento familiare
in affidamento a tempo indeterminato, risulti del tutto impossibile il rientro
del minore nella famiglia d’origine per le ragioni indicate al comma 1 del
presente articolo» (il cui testo è stato integralmente da noi riportato in
precedenza).
Premesso che nella legge 184/1983
non è previsto il sopra citato «affidamento
a tempo indeterminato» (si tratta di un’altra particolare interpretazione
del Tribunale per i minorenni di Bari?), vi sono purtroppo molte possibilità
(soprattutto in assenza di interventi idonei dei
servizi sociali causati, ad esempio, da assenza di personale) da parte degli affidatari per rendere
impraticabile il rientro del minore nella sua famiglia di origine. Un altro
espediente, specie se si tratta di bambini in tenera età, è quello del
trasferimento della residenza degli affidatari in una località lontana dal
luogo in cui abita il nucleo familiare di origine del
minore.
Stupisce, inoltre, che le norme
del disegno di legge in oggetto non prevedano né gli adempimenti che il
Tribunale per i minorenni dovrebbe osservare per la dichiarazione del
semiabbandono permanente, né le possibilità di ricorso da parte dei congiunti del minore e del suo eventuale tutore.
D’altra parte, le esperienze di affidamento finora realizzate dimostrano senza ombra di
dubbio che spesso questo intervento deve durare anche molti anni, pur in
presenza di un rapporto significativo dell’affidato con i suoi congiunti.
Inoltre, un certo numero di affidamenti si conclude con l’autonomo inserimento
socio-lavorativo dell’affidato, come emerge anche dall’attività svolta dal
Comune di Torino di cui si riferisce in
seguito.
Rileviamo, inoltre, che, se è
vero che con l’adozione mite il minore non rompe i rapporti giuridici con la
sua famiglia d’origine, è altrettanto certo che si tratta di un aspetto non
sostanziale, in quanto i poteri parentali sono assunti completamente dai
genitori adottivi. Essi hanno, pertanto, ampie possibilità di impedire od
ostacolare i rapporti affettivi con tutti i componenti
d’origine; hanno, altresì, la già ricordata possibilità di trasferire la loro
residenza dove ritengono.
Inoltre, è allarmante
la possibilità di passaggio dall’adozione mite all’adozione legittimante (nuovo
articolo 7 octies)
nei confronti di minori non
dichiarati adottabili, possibilità che può determinare abusi anche di estrema
gravità umana e sociale nei confronti di nuclei d’origine in difficoltà e dei
loro figli.
Valorizzazione
dell’affidamento familiare a scopo educativo
Ci permettiamo di richiamare
Il ruolo dell’affido non deve
essere né considerato né regolamentato come l’anticamera dell’adozione, ferma
restando la pronuncia nei casi in cui i Tribunali per i minorenni accertino che i minori affidati sono diventati «privi di assistenza morale e materiale da
parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di
assistenza non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio»,
come stabilisce giustamente la legge 184/1983.
Infatti, la finalità dell’affidamento
familiare è l’aiuto al minore e, per quanto possibile, al suo nucleo familiare
d’origine affinché possano superare le difficoltà. Allo scopo è indispensabile,
altresì, il sostegno dei settori primari (sanità, istruzione, casa, ecc.) e dei
servizi socio-assistenziali nei confronti dei nuclei familiari di origine.
Partendo da questi principi
essenziali di solidarietà e di giustizia sociale, che impongono
l’aiuto ai nuclei familiari in difficoltà e tenendo inoltre presente i vigenti
articoli 154 e 155 del regio decreto 773/1931 sulle competenze obbligatorie dei
Comuni in materia di assistenza sociale, il Consiglio comunale di Torino, su
iniziativa di questo Coordinamento, 29 anni or sono, ha approvato in data 14
settembre 1976 una delibera stabilendo le seguenti priorità di intervento:
messa a disposizione dei servizi primari (asili nido, scuole materne e
dell’obbligo, casa trasporti), assistenza domiciliare, aiuti economici,
adempimenti in materia di adozione, istituzione di comunità alloggio.
Per quanto concerne i minori in
difficoltà, le suddette iniziative erano state assunte e sono state
sviluppate nella constatazione che occorreva provvedere al loro inserimento
presso coppie o persone affidatarie nei casi in cui non era
sufficiente o opportuno aiutare i nuclei familiari d’origine e non c’erano le
condizioni per la dichiarazione di adottabilità.
In attuazione delle linee sopra
precisate, il Comune di Torino ha assunto provvedimenti per garantire la
prosecuzione dell’affidamento familiare anche dopo il compimento del 18° anno di età dell’affidato, impossibilitato a rientrare nella sua
famiglia d’origine.
Pertanto, come risulta
dalla “Guida del Comune di Torino all’affidamento familiare” «vista la complessità di talune situazioni
di affidamento e l’impossibilità o l’inopportunità di un rientro presso la
famiglia di origine» il Comune suddetto ha previsto «la prosecuzione dell’affidamento oltre il diciottesimo anno di età,
sino al raggiungimento dell’autonomia, ma non oltre il ventunesimo anno di età
dell’affidato».
Inoltre, dal Comune di Torino «sono previsti progetti individualizzati al
fine di intraprendere percorsi di autonomia per quei
giovani in affidamento familiare che hanno raggiunto la maggiore età (…). Destinatari
di questi progetti possono essere quei giovani che, in affidamento familiare al
compimento del diciottesimo anno di età, non possono
rientrare presso la loro famiglia, e per i quali è possibile avviare un
percorso per l’autonomia personale, lavorativa ed abitativa».
Allo scopo, il Comune di Torino
eroga agli affidatari un contributo massimo di euro
5.164,57 da utilizzare per il pagamento della cauzione dell’alloggio in cui
andrà ad abitare il giovane, l’acquisto dei mobili e per le altre sue esigenze.
Poiché «tali progetti devono (…) concludersi non
oltre il compimento del venticinquesimo anno di età del giovane», significa
che l’affidamento può durare fino all’età suddetta dell’affidato. Anche durante questo periodo il Comune di Torino corrisponde
agli affidatari il contributo economico, i rimborsi per le spese straordinarie
e garantisce la copertura assicurativa.
Ricordiamo, inoltre, che «al raggiungimento della maggiore età, per i
giovani in affidamento con handicap riconosciuto, è possibile la prosecuzione
dell’affidamento senza limiti d’età». In questi casi, la
competenza passa dal settore minori del Comune di Torino a quello che
interviene nei confronti dei soggetti in situazione di handicap.
Non è quindi vero che i minori
che non possono rientrare nel loro nucleo d’origine «non hanno la possibilità di essere aiutati» com’è erroneamente
scritto nella relazione della proposta di legge n. 5724, anche perché, come già
precisato in precedenza, i Comuni sono obbligati ad assistere i minori (nonché gli adulti e gli anziani) in difficoltà ai sensi
degli ancora vigenti articoli 154 e 155 del regio decreto 773/1931.
2. Per
quanto concerne la proposta di legge n. 5725 riguardante l’affidamento
familiare internazionale, questo Coordinamento ritiene che, anche in questo caso, detto intervento debba essere fondato sulla
solidarietà e sulla giustizia sociale.
Pertanto, le relative norme di
legge non dovrebbero poter essere utilizzate, come consente la proposta in
esame, per sottrarre i minori dai loro nuclei familiari di origine.
Una delle condizioni fondamentali
degli affidamenti nazionali riguarda, salvo casi del tutto eccezionali, la
permanenza dei minori in difficoltà nel loro ambiente di vita, allo scopo di
consentire la conservazione e, quando possibile, il miglioramento dei rapporti
con tutti i suoi familiari (e non solo con i genitori).
Per quanto concerne i casi
eccezionali, assai raramente viene praticato nel
nostro Paese l’affidamento familiare a famiglie e persone residenti in zone
molto lontane dal luogo di residenza dei minori appartenenti a nuclei in
condizione di disagio.
Come ha giustamente osservato
Pasquale Andria, Presidente dell’Associazione
italiana dei magistrati per i minorenni e la famiglia e del Tribunale per i
minorenni di Potenza, nel documento datato 21 aprile 2005 “Osservazioni sulle
proposte di modifica della legge 476/1999” «con
l’alibi umanitario di assicurare trattamenti terapeutici o permanenze
climatiche favorevoli ai bambini che ne hanno bisogno (così essi nacquero dopo Cernobyl), in realtà procurano ai bambini gravissime
sofferenze a causa di una disumana e prolungata instabilità, con reiterati e
traumatici distacchi. Tra l’altro, tutto è gestito da associazioni private, fuori da ogni controllo». «Una legge – ha precisato
Pasquale Andria – che
preveda un istituto quale quello progettato (si
riferisce al disegno di legge n. 3373 presentato al Senato dai Ministri Prestigiacomo, Pisanu e Castelli,
ma a nostro avviso le stesse considerazioni valgono per la proposta in oggetto,
n.d.r.) conterrebbe
una sorta di messaggio a continuare su questa linea e finirebbe per
reintrodurre surrettiziamente una nuova forma di adozione “fai da te”, forse
ancora più deregolata di quella che abbiamo
conosciuto in passato».
A questo proposito ricordiamo che
gli affidamenti, in base alle norme delle proposte di legge in esame, possono
diventare adozioni se in qualche modo si riesce a giustificare l’impossibilità
del minore di rientrare nel suo nucleo d’origine.
Circa i soggiorni in Italia di
minori stranieri, segnaliamo alla Vostra attenzione che Padre Wielsaw Stepien, direttore della Caritas nazionale della Chiesa cattolica latina d’Ucraina,
è recentemente intervenuto (cfr. Avvenire del 27 aprile 2002) in merito ai soggiorni terapeutici che
ogni anno conducono in Italia dall’ex Repubblica Sovietica e dalla vicina Bielorussia, per periodi di cura e vacanza, circa 30 mila
minori residenti nelle aree colpite dal disastro nucleare di Cernobyl.
Dopo aver ricordato che il
movimento dell’accoglienza, che in Italia mobilita centinaia di
organizzazioni, cattoliche e laiche, e migliaia di volontari e famiglie,
“fattura” ogni anno oltre 40 milioni di euro di spese, Padre Wielsaw segnala che «noi
gestiamo quattro centri in aree non contaminate dell’Ucraina. In detti centri
dal 1997 abbiamo cominciato ad accogliere bambini da
Poiché con la spesa che si
sostiene per la permanenza in Italia di un bambino, in Ucraina ne possono
essere ospitati dieci, non sarebbe preferibile - come propone Padre Wielsaw - che vengano finanziati
gli interventi locali?
Osserva, altresì, il direttore
della Caritas che i soggiorni terapeutici in patria
non solo hanno effetti collaterali benefici sull’occupazione e sull’economia
ucraina, ma soprattutto «evitano ai
bambini un doppio choc: l’impatto con una realtà socio-economica completamente
altra e poi il rientro in un contesto meno ricco e più
problematico (soprattutto quando si tratta di un orfanotrofio). Questo doppio
choc può essere causa di disagio, disorientamento e insoddisfazione, nella
psicologia del minore e nelle relazioni familiari».
Premesso quanto sopra esposto,
questo Coordinamento insiste nel ritiro delle proposte di legge n. 5724 e 5725
allo scopo di evitare gli innumerevoli e gravi abusi verificatisi negli anni
1967-1983, periodo in cui coesistevano l’adozione
speciale legittimante e l’adozione ordinaria, le cui finalità e strutture corrispondevano
sostanzialmente alle norme previste per l’adozione mite.
(1) La proposta di legge n. 5724 è stata presentata
dagli Onorevoli Bolognesi, Finocchiaro, Montecchi, Ruzzante, Vigni,
Lucidi, Delbono, Coluccini,
Frigato, Giacco, Gambini, Diana, Filippeschi, Tolotti, Zanotti, Giulietti, Chiti, Labate, Maura Cossutta, De Brasi,
Sciacca, Crisci, Squeglia, Bellillo, Chiaromonte, Lulli, Battaglia, Bova, Mariotti, Rotundo, Trupia, Adduce, Camo, Sereni, Amici,
Preda, Zanella, Mantini, Ranieri, Tidei,
Angioni, Luigi Pepe, Zunino,
Olivieri, Quartiani, Bielli,
Raffaella Mariani, Benvenuto, Carbonella, Pollastrini,
Turco, Cima, Annunziata, Cennamo e Sasso.
(2) I presentatori della proposta di legge n. 5725 sono gli
Onorevoli Bolognesi, Turco, Finocchiaro, Ruzzante, Montecchi, Lucidi, Sereni, Pollastrini,
Giacco, Cima, Trupia, Manzini, Coluccini, Vigni, Labate, Zanella, Delbono, Chiaromonte, Diana, Giulietti, Chiti, Frigato, Gambini, Amici, Zanotti, Tolotti, Filippeschi, Bellillo, De Brasi,
Annunziata, Sciacca, Crisci,
Squeglia, Lulli, Camo, Bova, Battaglia, Mariotti, Rotundo, Adduce, Preda, Cennamo, Mantini, Ranieri, Olivieri, Bielli,
Quartiani, Sasso, Angioni,
Luigi Pepe, Zunino, Raffaella Mariani e Benvenuto.
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