Prospettive assistenziali, n. 152, ottobre - dicembre 2005

 

LA multiforme paura dell’anziano

Luigi Maria Pernigotti (*)

 

  

È di 79 anni l’età media di un campione di 355 persone tra 72 e 99 anni che hanno risposto, intervistate nelle loro case, ad una approfondita analisi sulle loro condizioni.

 

L’evidenza delle prove contrasta la visione dello stereotipo di vecchio solo, disperato ed impaurito

Vissuti emotivi recenti di contentezza, soddisfazione, fiducia, orgoglio, conforto sono emersi in misura variabile tra il 60-90% dei casi; vissuti emotivi di frustrazione, tristezza, rabbia, noia, dispiacere, colpa, paura, vergogna sono emersi solo tra il 15-40% dei casi.

La gradazione della frequenza  delle emozioni positive vissute nei giorni prima dell’intervista (non ho avuto emozioni di questo tipo, le ho avute per poco, spesso) è significativamente più alta rispetto alla frequenza delle emozioni negative.

Il 50% degli intervistati vivevano a casa da soli, il 7% avevano problemi economici per i quali godevano di un supporto sociale, in media in ogni persona erano presenti 4 malattie croniche, nel 55% le malattie croniche erano considerate gravi.

Il campione è uno spaccato rappresentativo della popolazione anziana, in parte malata, ma non ancora infragilita, forte per avere mantenuta la dignità di una propria casa e di una capacità di linguaggio e conoscenza.

Questo e molti altri studi sul benessere soggettivo, sulla soddisfazione di vita, sulle possibilità di una esistenza ricca di sensazioni negative o positive hanno contribuito alla scoperta di un mondo interiore del vecchio che sostanzia la possibilità di mantenere anche nella vecchiaia più avanzata il senso di una vita di maggiore o minore qualità.

Gli studi e le prove empiriche quindi non supportano la visione aneddotica che la vecchiaia sia il tempo della disperazione psicologica e della vulnerabilità della vita emotiva.

 

Il modo diverso, nel vecchio, di avere paure

Il vecchio è quindi persona che può ancora avere emozioni, ma i timori che lo accompagnano sono spesso nascosti e si esprimono limitandone il fisico.

La vecchiaia di per se non restringe la possibilità fisiologica di porsi in quello stato di allerta, che può essere provocata da una situazione di pericolo reale, anticipata dalla previsione, evocata dai ricordi e dalle considerazioni sui vissuti dei simili od anche prodotta dalla fantasia, che si definisce paura e si spiega come azione psicologica primaria di difesa.

Il godimento di questa sana paura, che aiuta ad individuare gli oggetti del timore si arricchisce, vieppiù con il tempo, del bagaglio delle esperienze passate che hanno la forza di allontanare l’angoscia e lo spavento dalla paura, dando capacità di stemperare i timori, di prepararsi e predisporsi agli eventi.

Questo modo di approccio al significato delle paure, alla paura come esperienza complessa, rende ragione del perché molti vecchi appaiano senza paure, apparentemente insensibili ai segnale di timori, di incompetenza, di perdite, di sofferenza, di morte che pur esistono, modificano e condizionano esistenze altamente emotivizzate ma adattate ad una sorta di vita emotiva silenziosa.

Esistono eccome i timori e sono tanti, più che nei più giovani. Tuttavia le reazioni difensive, le paure appunto, assumono spesso forme poco eclatanti, non si esprimono angosciose e lo spavento si confonde nella riduzione della forza per resistere alle fatiche somatiche della esistenza.

Il sintomo somatico può pertanto divenire equivalente di un messaggio di richiesta di aiuto, di attenzione da parte sociale, di paura di vita o di depressione mascherata.

La decodificazione del somatismo tipico della vecchiaia infragilita e della depressione dell’anziano comporta il riferirsi al significato della vita che ogni individuo si è costruito sotto le condizioni della propria cultura e del proprio tempo.

Il mascheramento delle paure e della depressione può derivare non tanto dalla inconsapevolezza delle emozioni e della malattia quanto dalla assenza della sua considerazione  nel proprio bagaglio culturale, dalla sua incapacità di comunicare il senso di paura con segnali verbali o psichici.

 

La paura di un corpo modificato ed il suo allontanamento dal

La diminuzione dell’uso del corpo quale mezzo di comunicazione e di relazione sociale conduce alla sua negazione progressiva od improvvisa scatenata da eventi violenti che minano l’indebolito equilibrio psicosomatico.

Se ne ha esperienza nella efficacia della psicoterapia breve per far riprendere a camminare operati di frattura al femore, che aggiustati nell’anca, mantengono un blocco dell’articolazione e dei muscoli, biologicamente immotivati e condizionati da una paura, inconsapevole espressione di una negazione del proprio corpo.

Più ancora drammaticamente il vecchio malato fragile si rinchiude in una camicia di forza emozionale, per un corpo il cui peso e la cui vitalità dà dolore, nella ricerca di un isolamento forzato dalla voglia di non soffrire fisicamente.

Questo è lo spazio dell’intervento, della possibilità di ridare spazialità perduta ad una mente isolata curando i malanni del corpo, della sordità, delle limitazioni del cammino, delle difficoltà respiratorie, della alimentazione impedita dalle disfagie.

 

La paura del costar molto

30 anni fa, fra i giovani 70enni, l’80% denunciava quale timore più importante quella di essere di peso ai figli, ma, allora, la spesa di una famiglia per educare i figli era maggiore di quella impiegata per assistere i genitori anziani.

Nell’immaginario collettivo di oggi quel rapporto è completamente ribaltato ed è ingenerata la certezza che l’aumento della sopravvivenza degli anziani, il costo delle loro malattie e delle cure per la non autosufficienza sia il motivo più importante della attuale contingenza economica contemporanea.

Riferendosi alle analisi anagrafiche e demografiche è da considerare l’inesattezza di ascrivere ai vecchi la colpa della congiuntura economica, che peraltro rischia di allontanare proprio da loro stessi i benefici del patto sociale.

La società accusa il peso dei vecchi, dalle pensioni, alla sanità, non per un incremento del costo che questi elementi comportano, ma per la colpa dei giovani che hanno rimpicciolito la loro presenza e la loro globale forza contributiva, insita nel patto sociale.

 

Il silenzio emotivo come paura di farsi sentire esistere

La discolpa del costar tanto, può giungere anche dall’analisi psico-sociologica, dalla quale emerge un risultato sintetizzabile nel morire stanco che caratterizza l’uomo di oggi differenziandolo da quello di ieri, che affrontava la morte sazio della vita.

Ciò deriva dal fatto che la società ha etichettato l’anziano come soprannumerario, in omaggio ad un primato dell’efficientismo produttivo che premia il giovane e costringe il vecchio nelle retrovie sociali, altrove. L’umanità è nata con il concetto del gruppo, l’espulsione dal gruppo equivale all’inesistenza, e così capita che il vecchio di oggi conduca una vita vissuta a sua insaputa, in una sorta di agonia psicologica.

L’origine dei più diffusi timori dell’anziano, di tanta espansione della sua depressione, e dei suoi costi, può nascere nella psico-pato-metamorfosi che la paura della vita ha subito passando da una essenza basata sui sensi di colpa ad una basata sulla incapacità funzionale, sulla inefficienza nella corsa produttiva in cui si è stati coinvolti.

Da questa analisi emerge il cosiddetto pensiero debole che caratterizza, secondo alcuni, la società contemporanea, segnato dal crollo dei pilastri ideologici che sostenevano la vita di tutti, superando le barriere dei gruppi, ed in particolare, di quelli generazionali.

Già molti anni fa si scriveva dell’eutanasia da abbandono che in una società siffatta segna la fine dei vecchi, ipocritamente mantenuti in vita senza essere degni di essere curati, ma solo custoditi, oltretutto a costi elevati.

Ciò è tanto più paradossale quanto più il vecchio, come quello di oggi ed ancor più quello di domani, si presenta e si presenterà sempre più fisicamente sano e capace, condannato dalla società alla incompetenza.

 

  

(*) Direttore del Dipartimento di Geriatria dell’Asl 2, Torino.

 

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