Prospettive assistenziali, n. 152, ottobre - dicembre 2005

 

 

LE REGIONI E L’INSERIMENTO LAVORATIVO DEI SOGGETTI SVANTAGGIATI

 

Continua il dibattito sulla praticabilità dell’articolo 14 del decreto legislativo 276/2003,  che regolamenta  la cosiddetta “legge Biagi” (1).

Soprattutto prosegue il confronto, spesso serrato, tra chi lo sostiene perché lo ritiene una modalità a favore dell’inclusione sociale dei lavoratori deboli, altrimenti esclusi dal mercato del lavoro e chi, al contrario,  ne chiede l’abrogazione, perché vede il pericolo reale di un ritorno all’esclusione dal lavoro presso le aziende pubbliche e private delle persone in situazione di handicap con capacità lavorative.

La nostra posizione al riguardo è stata decisamente critica (2) sin dalla sua entrata in vigore. Inoltre la nostra diffidenza circa i decantati effetti benefici per l’occupazione di chi ha più difficoltà (come è il caso delle persone con handicap e limitata autonomia), cresce con l’aumentare delle iniziative di promozione dell’art. 14, che non esplicitano chiaramente i limiti entro cui operare e, soprattutto, non precisano a quale tipologia di soggetti con minorazioni debba essere applicata tale disposi­zione.

È quanto, ad esempio, è accaduto nel convegno tenutosi a Milano, promosso da Italia Lavoro su incarico del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (3). Nell’invito si legge che il Ministero del lavoro «intende procedere alla verifica dell’applicabilità e dell’efficacia dell’articolo 14 della legge di riforma del mercato del lavoro (…)» e che «l’azione progettuale è finalizzata all’individuazione di modalità innovative per l’elaborazione e la stipula fra i vari soggetti coinvolti sul territorio [Centri per l’impiego, parti sociali, cooperative sociali, e loro consorzi, n.d.r.] delle convenzioni quadro previste dalla normativa, nonché per una loro più efficace attuazione, per il conferimento di commesse da parte delle aziende e per l’assunzione di persone con disabilità da parte delle cooperative sociali».

 

L’art. 14 non deve essere applicato a tutti i “disabili”

Come si può notare, l’articolo 14 del decreto legislativo 276/2003 si riferisce genericamente alle persone “disabili” senza alcun riferimento al  loro grado di autonomia e capacità lavorativa.

Pertanto, come già avevamo evidenziato in un precedente articolo (4), resta altissimo il rischio che persone in situazione di handicap che potrebbero lavorare benissimo in una normale azienda pubblica o privata in quanto la loro minorazione non pregiudica la loro abilità lavorativa, siano costrette ad accettare il lavoro presso le cooperative sociali. Inoltre, preoccupa l’insistenza da parte del Governo di canalizzare a tutti i costi commesse (e lavoratori svantaggiati) alle cooperative sociali. Purtroppo anche dette cooperative intervengono per ottenere lavoro dalle aziende e, soprattutto, per mantenere la confusione sulla definizione dei soggetti a cui l’articolo 14 dovrebbe essere rivolto.

Ovviamente, a parità di benefici, è facile capire che la cooperativa sociale non ha alcun interesse ad inserire un soggetto con alcune difficoltà lavorative (ad esempio un giovane con handicap intellettivo medio-lieve), piuttosto che una persona con una minorazione fisica o sensoriale che non pregiudica la sua piena capacità lavorativa.

 

I limiti di applicazione introdotti dalla Regione Piemonte

Vista la situazione, mentre continuiamo ad adoperarci perché sia abrogato l’articolo 14, riteniamo più equilibrata e rispettosa dei diritti delle persone disoccupate in situazione di handicap, la posizione espressa nel documento prodotto dal coordinamento delle Regioni, Assessorati al lavoro, che riproduciamo integralmente.

Infatti, nel succitato documento si ravvisa lo sforzo di interpretare la norma in modo da escludere da percorsi protetti chi può (e deve) essere collocato in normali posti di lavoro: in primo luogo i soggetti definiti “svantaggiati” (5) e, in secondo luogo, le persone con handicap in grado di raggiungere, mediante il collocamento mirato, una capacità lavorativa piena o ridotta, ma comunque proficua per l’azienda.

La collocazione lavorativa attraverso le modalità dell’articolo 14, viene pertanto suggerita solo per chi abbia dimostrato reali limiti di occupabilità in normali aziende, così come già peraltro previsto dalla delibera della Giunta regionale piemontese (6). Da rilevare, infine, il richiamo ad utilizzare in prima istanza l’articolo 12 della legge 68/1999 (7).

 

Necessarie ulteriori tutele per il soggetto in situazione di handicap

Il Csa, Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base, pur apprezzando l’interpretazione più restrittiva adottata dalla Regione Piemonte con la suddetta delibera, ritiene necessarie ulteriori garanzie. Ad esempio, con il documento distribuito in occasione del convegno “L’altra abilità: esperienze e politiche per le persone con disabilità”, che ha avuto luogo a Torino l’8 ottobre 2004, il Csa ha chiesto alla Regione di intervenire perché i Centri per l’impiego provinciali autorizzino l’utilizzo dell’articolo 14 solo se l’azienda procede contestualmente all’assolvimento totale della quota d’obbligo di assunzioni a cui è tenuta ai sensi della legge 68/1999, così come previsto dal decreto legislativo 276/2003. In questo modo dovrebbe essere esclusa la possibilità per l’azienda di usufruire dei vantaggi dell’articolo 14, se si è già avvalsa di norme più favorevoli, ad esempio convenzioni specifiche stipulate in precedenza con i Centri per l’impiego provinciali (8).

Inoltre, nella lettera inoltrata all’Assessore al lavoro della Regione Piemonte il 10 agosto 2005, il Csa, sempre al fine di limitare in tutta la misura del possibile gli effetti nefasti che potrebbe avere un’applicazione acritica dell’articolo 14 del decreto legislativo 276/2003, sollecita ulteriori tutele e propone pertanto di introdurre la facoltà, per l’interessato, di ricorrere contro l’eventuale parere negativo, espresso nei suoi confronti da parte del Centro per l’impiego, in merito alle sulle sue effettive capacità lavorative. 

Ad avviso del Csa, è urgente inserire limiti alla discrezionalità praticamente illimitata dei servizi per il lavoro, che – senza alcun controllo o verifica di terzi – possono oggi decidere che “quella persona” non ha alcuna possibilità di essere assunta.

Se vengono introdotte norme di salvaguardia a tutela del diritto al lavoro presso le normali aziende pubbliche e private, ivi comprese le cooperative sociali (ma non “solo” nelle cooperative sociali), il percorso proposto nel documento che riportiamo di seguito potrebbe addirittura rivelarsi un fatto positivo, in quanto permetterebbe il collocamento, presso cooperative sociali, di persone con gravi limitazioni personali che, altrimenti, rischiano di essere emarginate a vita in circuiti assistenziali.

 

 

TESTO DEL DOCUMENTO DEL GRUPPO INTERREGIONALE DEL COORDINAMENTO LAVORO E FORMAZIONE PROFESSIONALE DELLE REGIONI “LE REGIONI E I PROBLEMI APPLICATIVI DELL’ARTICOLO 14 DEL DECRETO LEGISLATIVO 276/2003” (9)

 

Generalità

In seguito ad alcuni incontri tecnici il Gruppo interregionale che approfondisce le questioni connesse all’applicazione dell’articolo 14 del decreto legislativo 276/2003 ha definito un approccio all’argomento che potremmo definire “pragmatico”.

Infatti, com’è noto, in particolare sugli articoli 13 e 14 del decreto legislativo 276/2003, le posizioni che hanno preceduto l’approvazione delle norme sono state particolarmente e vivacemente divergenti.

È naturale che i sostenitori delle posizioni critiche, che hanno preceduto ed accompagnato l’approvazione delle norme, mantengano anche oggi le loro forti riserve od opposizioni al contenuto o ad alcune componenti di contenuto della norma. Tuttavia è altrettanto chiaro a tutte le Regioni come in seguito all’approvazione delle norme ed alla loro entrata in vigore, in mancanza di eventuali sentenze da parte della Corte costituzionale, tutte le istituzioni hanno l’obbligo del rispetto di tali norme.

Il rispetto istituzionale in merito all’applicazione della norma non può per ciò stesso cancellare le posizioni critiche e le riserve espresse a suo tempo; tuttavia il legislatore consapevole evidentemente delle particolari difficoltà attuative di tali norme ha indicato le stesse come sperimentali per 18 mesi a partire dalla loro entrata in vigore. Pertanto l’obbligo di legge si lega ad una sperimentalità delle prescrizioni, collegata ad una verifica alla fine di tale sperimentazione e ad uno spazio di ridisegno normativo.

Concludendo le Regioni ovviamente daranno il loro apporto istituzionale all’attuazione delle norme, ma concordano nel sottolineare a tutti gli attori istituzionali e di servizio interessati, ed in maniera possibilmente ancora più impegnativa alle imprese ed alle persone destinatarie di tali interventi, che la sperimentazione rappresenta il terreno per verificare se e come la loro attuazione dia luogo a risultati positivi; innanzitutto per i beneficiari finali, e cioè per le persone alle quali ci si rivolge, ma anche per le imprese e le cooperative sociali che ne utilizzerebbero le risorse lavorative.

Insomma, il punto di vista dei beneficiari finali ap­pare particolarmente rilevante ai fini dei criteri da as­sumere per una valutazione dei casi rientranti nella sperimentazione. In tal modo anche le posizioni ante legem positive o critiche avranno modo di confrontarsi con specifici casi dai quali trarre elementi a confronto o a correzione delle posizioni iniziali.

Le Regioni chiedono, innanzitutto al Governo, il rispetto della sperimentazione prevista dal decreto legislativo 276/2003 nei tempi fissati ed individuandone con le Regioni le modalità di organizzazione e di verifica.

 

Le indicazioni dell’articolo 14

Il meccanismo individuato dalla norma prevede che l’assunzione di persone appartenenti ad aree deboli della popolazione avvenga attraverso la loro assunzione da parte di imprese cooperative sulla base di un accordo con imprese che affidano commesse di lavoro alle succitate cooperative.

Questi accordi specifici avvengono nel contesto di una convenzione territoriale tra le associazioni rappresentative delle imprese, delle cooperative, dei lavoratori, i servizi pubblici, che deve essere validata dalle Regioni.

Una osservazione generale fatta dalle Regioni riguarda il fatto che il meccanismo succitato viene presentato dall’articolo 14 in una versione allargata con possibilità di molteplici target di fasce deboli (più o meno nei termini sopra sinteticamente descritti); tuttavia alla luce della applicabilità concreta del meccanismo indicato dalla stessa norma assume evidenza come praticabile in una prospettiva sperimentale, una versione ristretta concernente le persone con disabilità per le quali vale l’obbligo all’assunzione previsto dalla legge 68/1999. Infatti appare evidente come il meccanismo di cui sopra possa mettersi in moto soltanto in presenza di un obbligo di assunzione per le imprese che possa essere convertito in commesse alle cooperative che assumano il lavoratore disabile. Non appare realistico procedere in questa direzione per gli altri target in mancanza della previsione normativa di un obbligo all’assunzione, prevista soltanto nel caso delle persone con disabilitá superiore al 46% dalla legge 68/1999.

In base a queste considerazioni l’unico target al quale ci si possa riferire attualmente riguarda la popolazione disabile per la quale vale l’obbligo di assunzione previsto dalla legge 68/1999.

 

I rapporti con la legge 68/1999

Nel caso dell’articolo l4 il legislatore, con riferimento al target delle persone con disabilità, ha avuto cura di definire il rapporto di queste norme con gli altri strumenti di politica del lavoro ed innanzitutto con la legge 68/1999. Infatti si sostiene che i servizi preposti al collocamento mirato debbano, oltreché partecipare ad ogni accordo generale e specifico per l’attuazione dell’articolo 14, indicare in base alla loro “esclusiva valutazione” quali persone in cerca di occupazione possano essere candidate alla partecipazione ad iniziative ex articolo 14 qualora «presentino particolari caratteristiche e difficoltà di inserimento nel ciclo lavorativo ordinario».

In sostanza in questi anni la modalità principale per sostenere l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità è stata individuata dalla legge 68/1999 e dalla strumentazione ad essa riferita che, seppur con parecchie difficoltà (disomogeneità territoriali, eccessiva complessità burocratica,...), ha consentito un salto di qualità significativo rispetto alla situazione precedente. In sostanza si è verificata una maggiore spinta alla organizzazione di inserimenti lavorativi di persone con disabilità con riscontri significativamente positivi in molte realtà territoriali.

Da questo punto di vista l’articolo 14 si configura non come strumento alternativo a quelli attualmente esistenti, con particolare riferimenti a quelli messi in campo per il collocamento mirato dalle legge 68/1999, bensì come strumento complementare eventualmente attivabile in via esclusiva dai servizi cui è affidato il collocamento mirato soltanto per quei soggetti per i quali esistano particolari difficoltà di occupabilità nei contesti produttivi ordinari.

Dal punto di vista della specificazione del target, le Regioni sottolineano la natura di strumento integrativo e complementare delle convenzioni ex-articolo 14 rispetto al collocamento mirato in base alla legge 68/1999. In effetti i primi anni di attuazione della legge 68/1999 hanno evidenziato che esistono alcune aree di popolazione con disabilità che presentano maggiori difficoltà di inserimento nei progetti ex-legge 68/1999 proprio perché hanno un minore grado di occupabilità. Le Regioni ritengono che l’univoco riferimento ai servizi del collocamento mirato per l’individuazione delle persone eventualmente indirizzabili in progetti fondati su convenzione ex-articolo 14, costituisca una garanzia per l’utilizzo di questo strumento in forte coerenza con il collocamento mirato, che continua a rappresentare l’asse portante delle politiche del lavoro per i disabili.

 

L’articolo 12 della legge 68/1999

D’altra parte, il legislatore ha tenuto presente quan­to ha cercato di fare con l’articolo 12 della legge 68/1999 che ha prodotto pochissime sperimentazioni e pochissimi inserimenti lavorativi.

L’articolo 14 del decreto legislativo 276/2003, pur avendo presente i limiti realizzativi dell’articolo 12, non lo abroga e pertanto risulta un ulteriore strumento disponibile.

Gli inconvenienti dell’articolo 12 sui quali si registrano differenze di approccio significative con l’articolo 14 sembrano incentrarsi in particolare, sulla in­di­cazione, di difficile gestione, dell’articolo 12 se­condo la quale il rapporto di lavoro a tempo indeterminato si instaura con l’impresa conferente e non con la cooperativa sociale nella quale la persona viene inserita. A fronte di un target di persone disabili difficilmente occupabili, si prefigurano progetti di inserimento lavorativo in imprese cooperative chiaramente individuate in ragione sia della loro natura di imprese (interventi non assistenzialistici), sia di or­ganizzazioni aventi come mission una particolare attenzione all’utilizzo delle risorse umane per le qua­li esistono elementi di svantaggio sociale. Le risorse economiche per tali inserimenti ed i servizi di sostegno interni alla cooperativa deriverebbero da commesse da parte di altre imprese alle cooperative.

Attraverso questo scambio l’impresa commissiona alla cooperativa la fornitura di beni o servizi, la cooperativa assume la persona disabile, in tal modo l’impresa assolve almeno parzialmente l’obbligo previsto dalla legge 68/1999.

Al di là delle difficoltà tecnico-procedurali, ammessa l’intenzionalità da parte di tutti gli attori interessati in un dato territorio di sperimentare meccanismi di questa natura, l’opinione che è emersa nel confronto tra le Regioni ha consentito di evidenziare alcuni rischi e preoccupazioni che possono spingere ad utilizzare questo strumento in direzioni molto differenziate e, per certi versi, forse opposte.

In particolare nulla si dice nella norma rispetto al fatto che queste assunzioni assumano carattere temporaneo o stabile. Ora, se è senz’altro vero che non si possa e non si debba fissare aprioristicamente e tantomeno per legge una durata definita, tuttavia appare significativo che la sperimentazione per alcune categorie di disabili con problemi rilevanti di occupabilità di percorsi protetti in ambienti lavorativi “dedicati” in cooperative sociali possa assumere come riferimento due modelli contrapposti che per economia potremo definire laboratori protetti e imprese di transizione.

Il modello del laboratorio protetto prefigura un rapporto essenzialmente assistenzialistico (non coerente se svolto in un contesto di politica attiva) con persone del tutto non occupabili nel cui contesto il lavoro assumerebbe una caratteristica terapeutica e la cooperativa sarebbe un luogo che si presta ad un servizio di carattere assistenziale. In questo caso l’inserimento nella cooperativa avrebbe un carattere permanente. Il modello dell’impresa di transizione rimanda invece, al mantenere e sottolineare come la mission della cooperativa sia quella di favorire il miglioramento dell’occupabilità delle persone, attraverso un’esperienza lavorativa il più possibile definita e controllata progettualmente, limitata nel tempo (senza definirne rigidamente ed aprioristicamente una durata) per collocare in contesti produttivi ordinari queste persone.

È evidente come occorra in ogni caso rivedere il ruolo della cooperativa che mantiene la configurazione generale di impresa che produce beni e servizi per committenti esterni e per il mercato, e che tuttavia in questi casi non accompagna semplicemente l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, ma produce ulteriori servizi specialistici alla persona volti a garantire a queste persone tutto il sostegno professionale al processo di inserimento lavorativo e di miglioramento dell’occupabilitá. È anche chiaro come questa caratterizzazione richieda una puntuale definizione nel progetto del rapporto tra cooperativa (servizi specialistici interni) e servizi specialistici esterni.

Le Regioni concordano nell’assumere come riferimento un modello di coinvolgimento della cooperativa sociale come impresa specializzata nel miglioramento dell’occupabilitá di persone disabili che si muove nella prospettiva di favorire l’inserimento presso altre imprese (transizione), in quanto compatibile con un quadro di politica attiva del lavoro quale esplicito riferimento ad esso nella sperimentazione e nella sua valutazione.

Nel rapporto di lavoro con la cooperativa si tratta di garantire il pieno rispetto di quanto previsto contrattualmente per i lavoratori della cooperativa (sia sul versante economico che su quello delle garanzie). Ma allo stesso tempo occorre garantire alla cooperativa il recupero dei costi relativi ai servizi prestati alla persona nonché occorre tener conto della minore produttività corrispondente alla sua ridotta occupabilitá. Tenendo ferma l’impostazione generale, nella fase sperimentale sarebbe utile che alcune indicazioni venissero fornite dal livello interregionale/nazionale attraverso un confronto con le parti sociali lasciando, tuttavia, grande flessibilità nell’utilizzo concreto dello strumento.

Segnaliamo tra l’altro, che la norma indica le associazioni sindacali di lavoratori ed imprenditori «comparativamente maggiormente significative a livello nazionale» quali soggetti dell’eventuale stipula di convenzioni quadro territoriali, allorché appare evidente che la rappresentatività andrebbe riportata anch’essa alla dimensione territoriale.

In sostanza lo strumento ammesso che sia concretamente praticabile può assumere connotati positivi o meno a seconda che inserito in un percorso progettuale più ampio (a monte il lavoro con i servizi di diagnosi ed orientamento, a valle l’inserimento lavorativo pieno, puntando il più possibile a contesti ordinari di impresa), approdi a risultati effettivi di inserimento lavorativo in un contesto produttivo e sociale che valorizzi in maniera non episodica le abilità della persona.

Le Regioni su queste basi intendono verificare con il Ministero del lavoro le modalità di sviluppo e di monitoraggio della sperimentazione ex-decreto legislativo 276/2003, proponendosi di portare ai responsabili istituzionali, anche sulla base di apporti specifici, una conclusione “ragionata” della sperimentazione ai fini delle prese di posizione e delle determinazioni che le diverse istituzioni assumeranno successivamente.

 

 

 

 

(1) Il decreto legislativo 10 settembre 2003 n. 276 è pubblicato sul n. 235 del 9 ottobre 2003, supplemento ordinario n. 159 della Gazzetta ufficiale e riguarda l’attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30. Il testo dell’articolo 14 (cooperative sociali e inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati) è il seguente:

«1. Al fine di favorire l’inserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati e dei lavoratori disabili, i servizi di cui all’articolo 6, comma 1, della legge 12 marzo 1999, n. 68, sentito l’organismo di cui all’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, così modificato dall’articolo 6 della legge 12 marzo 1999, n. 68 stipulano con le associazioni sindacali dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale e con le associazioni di rappresentanza, assistenza e tutela delle cooperative di cui all’articolo 1 comma 1, lettera b), della legge 8 novembre 1991, n. 381, e con i consorzi di cui all’articolo della stessa legge, convenzioni quadro su base territoriale, che devono essere validate da parte delle Regioni, sentiti gli organismi di concertazione di cui al decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469 aventi ad oggetto il conferimento di commesse di lavoro alle cooperative sociali medesime da parte delle imprese associate o aderenti.

«2. La convenzione quadro disciplina i seguenti aspetti:

a) le modalità di adesione da parte delle imprese interessate;

b) i criteri di individuazione dei lavoratori svantaggiati da inserire al lavoro in cooperative. L’individuazione dei disabili sarà curata dai servizi di cui all’articolo 6, comma 1, della legge 12 marzo 1999, n. 68;

c) le modalità di attestazione del valore complessivo del lavoro annualmente conferito da ciascuna impresa e la correlazione con il numero dei lavoratori svantaggiati inseriti al lavoro in cooperativa;

d) la determinazione del coefficiente di calcolo del valore unitario delle commesse, ai fini del computo di cui al comma 3, secondo criteri di congruità con i costi del lavoro derivati dai contratti collettivi di categoria applicati dalle cooperative sociali;

e) la promozione e lo sviluppo delle commesse di lavoro a favore delle cooperative sociali;

f) l’eventuale costituzione, anche nell’ambito dell’agenzia sociale di cui all’articolo che precede, di una struttura tecnico-operativa senza scopo di lucro a supporto delle attività previste dalla convenzione;

g) i limiti di percentuali massime di copertura della quota d’obbligo da realizzare con lo strumento della convenzione.

«3. Allorché l’inserimento lavorativo nelle cooperative sociali, realizzato in virtù dei precedenti commi, riguardi i lavoratori disabili, che presentino particolari caratteristiche e difficoltà di inserimento nel ciclo lavorativo ordinario, in base alla esclusiva valutazione dei servizi di cui all’articolo 6, comma 1, della legge 12 marzo 1999, n. 68, lo stesso si considera utile ai fini della copertura della quota di riserva, di cui all’articolo 3 della stessa legge cui sono tenute le imprese conferenti. Il numero delle coperture per ciascuna impresa è dato dall’ammontare annuo delle commesse dalla stessa conferite diviso per il coefficiente di cui al precedente comma 2, lettera d) e nei limiti di percentuali massime stabilite con le convenzioni quadro di cui al comma 1. Tali limiti percentuali non hanno effetto nei confronti delle imprese che occupano da 15 a 35 dipendenti. La congruità della computabilità dei lavoratori inseriti in cooperativa sociale sarà verificata dalla Commissione provinciale del lavoro.

«4. L’applicazione delle disposizioni di cui al comma 3 è subordinata all’adempimento degli obblighi di assunzione di lavoratori disabili ai fini della copertura della restante quota d’obbligo a loro carico determinata ai sensi dell’articolo 3 della legge 12 marzo 1999, n. 68».

(2) Cfr. Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base, “L’inserimento lavorativo dei soggetti con handicap: le gravi ripercussioni negative dell’articolo 14 del decreto legislativo 276/2003”, Prospettive assistenziali, n. 146, 2004.

(3) Il convegno nazionale si è tenuto a Milano, il 10 ottobre 2005, sul tema “Sviluppo territoriale ed inclusione sociale. La sperimentazione dell’inserimento lavorativo con l’articolo 14 del decreto legislativo 276/2003”, organizzato da Italia Lavoro, nell’ambito del progetto Lincs, Lavoro e inclusione sociale, per conto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

(4) Cfr. “Legge Biagi: i primi tentativi di applicazione dell’articolo 14 del decreto legislativo 276/2003 per le persone in situazione di handicap”, Prospettive assistenziali, n. 148, 2004.

(5) Ricordiamo che la legge 381/1991 considera persone svantaggiate «gli invalidi fisici, psichici e sensoriali, gli ex degenti in istituti psichiatrici, i soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti, gli alcoolisti, i minori in età lavorativa in situazione di difficoltà familiare, i condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione», compresi i soggetti con piena capacità lavorativa.

(6) La Giunta regionale del Piemonte, con delibera n. 45-12524 del 18 maggio 2004 ha giustamente stabilito che si considerano «ammissibili eventuali proposte progettuali relative alla sperimentazione di cui all’articolo 14 del decreto legislativo 276/2003, soltanto con riferimento alle persone disabili individuate dai servizi di cui all’articolo 6, comma 1, legge 68/1999 che presentano particolari caratteristiche e difficoltà di inserimento lavorativo e in particolare con disabilità intellettiva e psichica i cui inserimenti lavorativi non hanno avuto reiteratamente esito positivo».

(7) L’articolo 12 della legge 68/1999 prevede che le aziende assumano il lavoratore handicappato nel proprio organico; questi non svolge la propria attività lavorativa nella stessa azienda ma  presso una cooperativa sociale che riceve  in cambio dall’azienda una commessa di lavoro sufficiente a garantire la retribuzione al soggetto inserito. L’articolo 12 prevede che al termine di due anni, ripetibili a discrezione del Comitato tecnico dei servizi per l’impiego provinciali, la persona handicappata venga rivalutata per decidere il rientro o meno nell’azienda. Con l’articolo 14 del decreto legislativo 276/2003 questa possibilità, già molto limitata nel sopra menzionato articolo 12, viene definitivamente cancellata con l’assunzione diretta della persona handicappata da parte della cooperativa sociale, che in questo modo solleva per sempre l’azienda da ogni obbligo relativo all’inserimento di quel soggetto con handicap.

(8) La richiesta nasce dalla necessità di impedire che l’impresa richieda anche di poter utilizzare l’articolo 14, oltre ad avere ottenuto con convenzioni ad hoc di poter assumere solo una parte dei soggetti handicappati che, in base alla legge 68/1999, era obbligata ad inserire nel suo organico. È quanto potrebbe accadere nella Provincia di Torino dove è stata firmata una convenzione che permette alle imprese di assumere ogni anno solo l’11% della quota totale dei lavoratori handicappati di loro pertinenza in base alla legge 68/1999.

(9) Il documento è stato presentato al seminario che ha avuto luogo a Torino il 7 luglio 2005. Confidiamo che, in attesa che sia abrogato l’articolo 14, le Regioni approvino delibere che recepiscano le linee di principio tracciate dal documento tecnico.

Per informazioni rivolgersi a Rosangela Zito, Regione Piemonte, Assessorato al lavoro, Via Magenta 12, Torino, tel. 011/432.35.21.

 

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