Prospettive assistenziali, n. 152, ottobre - dicembre 2005
LE
REGIONI E L’INSERIMENTO LAVORATIVO DEI SOGGETTI SVANTAGGIATI
Continua il dibattito sulla
praticabilità dell’articolo 14 del decreto legislativo 276/2003, che regolamenta la cosiddetta “legge Biagi”
(1).
Soprattutto prosegue il
confronto, spesso serrato, tra chi lo sostiene perché lo ritiene una modalità a
favore dell’inclusione sociale dei lavoratori deboli, altrimenti esclusi dal
mercato del lavoro e chi, al contrario, ne chiede l’abrogazione, perché vede
il pericolo reale di un ritorno all’esclusione dal lavoro presso le aziende
pubbliche e private delle persone in situazione di handicap con capacità
lavorative.
La nostra posizione al riguardo è stata decisamente
critica (2) sin dalla sua entrata in vigore. Inoltre la nostra diffidenza circa
i decantati effetti benefici per l’occupazione di chi
ha più difficoltà (come è il caso delle persone con handicap e limitata
autonomia), cresce con l’aumentare delle iniziative di promozione dell’art. 14,
che non esplicitano chiaramente i limiti entro cui operare e, soprattutto, non
precisano a quale tipologia di soggetti con minorazioni debba essere applicata
tale disposizione.
È quanto, ad esempio, è accaduto nel convegno tenutosi a Milano, promosso
da Italia Lavoro su incarico del Ministero del lavoro e delle politiche sociali
(3). Nell’invito si legge che il Ministero del lavoro «intende procedere alla verifica dell’applicabilità e dell’efficacia
dell’articolo 14 della legge di riforma del mercato del lavoro (…)» e che «l’azione progettuale è finalizzata
all’individuazione di modalità innovative per l’elaborazione e la stipula fra i
vari soggetti coinvolti sul territorio [Centri per l’impiego, parti
sociali, cooperative sociali, e loro consorzi, n.d.r.] delle convenzioni quadro previste dalla
normativa, nonché per una loro più efficace
attuazione, per il conferimento di commesse da parte delle aziende e per
l’assunzione di persone con disabilità da parte delle cooperative sociali».
L’art. 14 non deve essere applicato a tutti i “disabili”
Come si può notare, l’articolo 14
del decreto legislativo 276/2003 si riferisce genericamente alle persone
“disabili” senza alcun riferimento al loro grado di autonomia e capacità
lavorativa.
Pertanto, come già avevamo evidenziato in un precedente articolo (4), resta
altissimo il rischio che persone in situazione di handicap che potrebbero
lavorare benissimo in una normale azienda pubblica o privata in quanto la loro
minorazione non pregiudica la loro abilità lavorativa, siano costrette ad
accettare il lavoro presso le cooperative sociali. Inoltre, preoccupa
l’insistenza da parte del Governo di canalizzare a tutti i
costi commesse (e lavoratori svantaggiati) alle cooperative sociali. Purtroppo
anche dette cooperative intervengono per ottenere lavoro dalle aziende e,
soprattutto, per mantenere la confusione sulla definizione dei soggetti a cui
l’articolo 14 dovrebbe essere rivolto.
Ovviamente, a parità di benefici,
è facile capire che la cooperativa sociale non ha alcun interesse ad inserire
un soggetto con alcune difficoltà lavorative (ad esempio un giovane con
handicap intellettivo medio-lieve), piuttosto che una
persona con una minorazione fisica o sensoriale che non pregiudica la sua piena
capacità lavorativa.
I limiti di applicazione introdotti dalla Regione Piemonte
Vista la situazione, mentre
continuiamo ad adoperarci perché sia abrogato
l’articolo 14, riteniamo più equilibrata e rispettosa dei diritti delle persone
disoccupate in situazione di handicap, la posizione espressa nel documento
prodotto dal coordinamento delle Regioni, Assessorati al lavoro, che
riproduciamo integralmente.
Infatti, nel succitato documento
si ravvisa lo sforzo di interpretare la norma in modo da escludere da percorsi
protetti chi può (e deve) essere collocato in normali posti di lavoro: in primo
luogo i soggetti definiti “svantaggiati” (5) e, in secondo luogo, le persone
con handicap in grado di raggiungere, mediante il collocamento mirato, una
capacità lavorativa piena o ridotta, ma comunque
proficua per l’azienda.
La collocazione
lavorativa attraverso le modalità dell’articolo 14, viene pertanto suggerita
solo per chi abbia dimostrato reali limiti di occupabilità
in normali aziende, così come già peraltro previsto dalla delibera della Giunta
regionale piemontese (6). Da rilevare, infine, il richiamo ad utilizzare in
prima istanza l’articolo 12 della legge 68/1999 (7).
Necessarie
ulteriori tutele per il soggetto in situazione di handicap
Il Csa,
Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base, pur apprezzando
l’interpretazione più restrittiva adottata dalla Regione Piemonte con la
suddetta delibera, ritiene necessarie ulteriori
garanzie. Ad esempio, con il documento distribuito in occasione del convegno
“L’altra abilità: esperienze e politiche per le persone con disabilità”, che ha
avuto luogo a Torino l’8 ottobre 2004, il Csa ha chiesto alla Regione di intervenire perché i Centri
per l’impiego provinciali autorizzino l’utilizzo dell’articolo 14 solo se
l’azienda procede contestualmente all’assolvimento totale della quota d’obbligo
di assunzioni a cui è tenuta ai sensi della legge 68/1999, così come previsto
dal decreto legislativo 276/2003. In questo modo dovrebbe essere esclusa la
possibilità per l’azienda di usufruire dei vantaggi dell’articolo
14, se si è già avvalsa di norme più favorevoli, ad esempio convenzioni
specifiche stipulate in precedenza con i Centri per l’impiego provinciali (8).
Inoltre, nella lettera inoltrata
all’Assessore al lavoro della Regione Piemonte il 10 agosto 2005, il Csa, sempre al fine di limitare in tutta la misura del possibile gli effetti nefasti che potrebbe avere
un’applicazione acritica dell’articolo 14 del decreto legislativo 276/2003,
sollecita ulteriori tutele e propone pertanto di introdurre la facoltà, per
l’interessato, di ricorrere contro l’eventuale parere negativo, espresso nei
suoi confronti da parte del Centro per l’impiego, in merito alle sulle sue
effettive capacità lavorative.
Ad avviso del Csa,
è urgente inserire limiti alla discrezionalità praticamente
illimitata dei servizi per il lavoro, che – senza alcun controllo o verifica di
terzi – possono oggi decidere che “quella persona” non ha alcuna possibilità di
essere assunta.
Se vengono
introdotte norme di salvaguardia a tutela del diritto al lavoro presso le
normali aziende pubbliche e private, ivi comprese le cooperative sociali (ma
non “solo” nelle cooperative sociali), il percorso proposto nel documento che
riportiamo di seguito potrebbe addirittura rivelarsi un fatto positivo, in
quanto permetterebbe il collocamento, presso cooperative sociali, di persone
con gravi limitazioni personali che, altrimenti, rischiano di essere emarginate
a vita in circuiti assistenziali.
TESTO DEL DOCUMENTO DEL GRUPPO
INTERREGIONALE DEL COORDINAMENTO LAVORO E FORMAZIONE PROFESSIONALE DELLE
REGIONI “LE REGIONI E I PROBLEMI APPLICATIVI DELL’ARTICOLO 14 DEL DECRETO LEGISLATIVO
276/2003” (9)
Generalità
In seguito ad alcuni incontri tecnici il Gruppo interregionale che
approfondisce le questioni connesse all’applicazione dell’articolo 14 del
decreto legislativo 276/2003 ha definito un approccio
all’argomento che potremmo definire “pragmatico”.
Infatti, com’è noto, in particolare sugli articoli 13 e 14 del
decreto legislativo 276/2003, le posizioni che hanno preceduto l’approvazione
delle norme sono state particolarmente e vivacemente divergenti.
È naturale che i sostenitori delle posizioni critiche, che hanno preceduto
ed accompagnato l’approvazione delle norme, mantengano anche oggi le loro forti
riserve od opposizioni al contenuto o ad alcune componenti
di contenuto della norma. Tuttavia è altrettanto chiaro a tutte le Regioni come
in seguito all’approvazione delle norme ed alla loro entrata in vigore, in
mancanza di eventuali sentenze da parte della Corte
costituzionale, tutte le istituzioni hanno l’obbligo del rispetto di tali
norme.
Il rispetto istituzionale in merito all’applicazione della norma non può
per ciò stesso cancellare le posizioni critiche e le riserve espresse a suo
tempo; tuttavia il legislatore consapevole evidentemente delle particolari
difficoltà attuative di tali norme ha indicato le stesse come sperimentali per
18 mesi a partire dalla loro entrata in vigore. Pertanto
l’obbligo di legge si lega ad una sperimentalità
delle prescrizioni, collegata ad una verifica alla fine di tale sperimentazione
e ad uno spazio di ridisegno normativo.
Concludendo le Regioni ovviamente daranno il loro apporto
istituzionale all’attuazione delle norme, ma concordano nel sottolineare a
tutti gli attori istituzionali e di servizio interessati, ed in maniera
possibilmente ancora più impegnativa alle imprese ed alle persone destinatarie
di tali interventi, che la sperimentazione rappresenta il terreno per
verificare se e come la loro attuazione dia luogo a risultati positivi;
innanzitutto per i beneficiari finali, e cioè per le persone alle quali ci si
rivolge, ma anche per le imprese e le cooperative sociali che ne
utilizzerebbero le risorse lavorative.
Insomma, il punto di vista dei beneficiari finali appare particolarmente
rilevante ai fini dei criteri da assumere per una valutazione dei casi
rientranti nella sperimentazione. In tal modo anche le posizioni ante legem positive o critiche avranno modo di confrontarsi con
specifici casi dai quali trarre elementi a confronto o a correzione delle
posizioni iniziali.
Le Regioni chiedono, innanzitutto al Governo, il
rispetto della sperimentazione prevista dal decreto legislativo 276/2003 nei
tempi fissati ed individuandone con le Regioni le modalità di organizzazione e
di verifica.
Le indicazioni dell’articolo 14
Il meccanismo individuato dalla norma prevede che l’assunzione di persone
appartenenti ad aree deboli della popolazione avvenga attraverso la loro
assunzione da parte di imprese cooperative sulla base
di un accordo con imprese che affidano commesse di lavoro alle succitate
cooperative.
Questi accordi specifici avvengono nel contesto di
una convenzione territoriale tra le associazioni rappresentative delle imprese,
delle cooperative, dei lavoratori, i servizi pubblici, che deve essere validata dalle Regioni.
Una osservazione generale fatta dalle Regioni riguarda il
fatto che il meccanismo succitato viene presentato dall’articolo
In base a queste considerazioni l’unico target al quale ci
si possa riferire attualmente riguarda la popolazione disabile per la quale
vale l’obbligo di assunzione previsto dalla legge 68/1999.
I rapporti con la legge 68/1999
Nel caso dell’articolo l4 il legislatore, con riferimento al target delle
persone con disabilità, ha avuto cura di definire il rapporto di queste norme
con gli altri strumenti di politica del lavoro ed innanzitutto
con la legge 68/1999. Infatti si sostiene che i
servizi preposti al collocamento mirato debbano, oltreché
partecipare ad ogni accordo generale e specifico per l’attuazione dell’articolo
14, indicare in base alla loro “esclusiva valutazione” quali persone in cerca
di occupazione possano essere candidate alla partecipazione ad iniziative ex
articolo 14 qualora «presentino
particolari caratteristiche e difficoltà di inserimento nel ciclo lavorativo
ordinario».
In sostanza in questi anni la modalità principale per sostenere
l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità è stata individuata dalla
legge 68/1999 e dalla strumentazione ad essa riferita
che, seppur con parecchie difficoltà (disomogeneità territoriali, eccessiva
complessità burocratica,...), ha consentito un salto di qualità significativo
rispetto alla situazione precedente. In sostanza si è verificata una maggiore spinta alla organizzazione di inserimenti lavorativi di
persone con disabilità con riscontri significativamente positivi in molte
realtà territoriali.
Da questo punto di vista l’articolo 14 si configura non come strumento
alternativo a quelli attualmente esistenti, con
particolare riferimenti a quelli messi in campo per il collocamento mirato
dalle legge 68/1999, bensì come strumento complementare eventualmente
attivabile in via esclusiva dai servizi cui è affidato il collocamento mirato
soltanto per quei soggetti per i quali esistano particolari difficoltà di occupabilità nei contesti produttivi ordinari.
Dal punto di vista della specificazione del target, le Regioni sottolineano la natura di strumento integrativo e
complementare delle convenzioni ex-articolo 14 rispetto al collocamento mirato
in base alla legge 68/1999. In effetti i primi anni di
attuazione della legge 68/1999 hanno evidenziato che esistono alcune aree di
popolazione con disabilità che presentano maggiori difficoltà di inserimento
nei progetti ex-legge 68/1999 proprio perché hanno un minore grado di occupabilità. Le Regioni ritengono che l’univoco
riferimento ai servizi del collocamento mirato per l’individuazione delle
persone eventualmente indirizzabili in progetti fondati su convenzione
ex-articolo 14, costituisca una garanzia per l’utilizzo di questo strumento in
forte coerenza con il collocamento mirato, che continua a rappresentare l’asse
portante delle politiche del lavoro per i disabili.
L’articolo 12 della
legge 68/1999
D’altra parte, il legislatore ha tenuto presente quanto ha cercato di fare
con l’articolo 12 della legge 68/1999 che ha prodotto
pochissime sperimentazioni e pochissimi inserimenti lavorativi.
L’articolo 14 del decreto legislativo 276/2003, pur avendo presente i
limiti realizzativi dell’articolo 12, non lo abroga e pertanto risulta un ulteriore strumento disponibile.
Gli inconvenienti dell’articolo 12 sui quali si registrano differenze di approccio significative con l’articolo 14 sembrano
incentrarsi in particolare, sulla indicazione, di difficile gestione,
dell’articolo 12 secondo la quale il rapporto di lavoro a tempo indeterminato
si instaura con l’impresa conferente e non con la cooperativa sociale nella
quale la persona viene inserita. A fronte di un target di persone disabili
difficilmente occupabili, si prefigurano progetti di inserimento
lavorativo in imprese cooperative chiaramente individuate in ragione sia della
loro natura di imprese (interventi non assistenzialistici),
sia di organizzazioni aventi come mission una
particolare attenzione all’utilizzo delle risorse umane per le quali esistono
elementi di svantaggio sociale. Le risorse economiche per tali inserimenti ed i
servizi di sostegno interni alla cooperativa deriverebbero da commesse da parte
di altre imprese alle cooperative.
Attraverso questo scambio l’impresa commissiona alla cooperativa la
fornitura di beni o servizi, la cooperativa assume la persona disabile, in tal
modo l’impresa assolve almeno parzialmente l’obbligo previsto
dalla legge 68/1999.
Al di là delle difficoltà tecnico-procedurali,
ammessa l’intenzionalità da parte di tutti gli attori interessati in un dato
territorio di sperimentare meccanismi di questa natura, l’opinione che è emersa
nel confronto tra le Regioni ha consentito di evidenziare alcuni rischi e
preoccupazioni che possono spingere ad utilizzare questo strumento in direzioni
molto differenziate e, per certi versi, forse opposte.
In particolare nulla si dice nella norma rispetto al fatto che queste
assunzioni assumano carattere temporaneo o stabile. Ora, se è senz’altro vero
che non si possa e non si debba fissare aprioristicamente e tantomeno
per legge una durata definita, tuttavia appare significativo
che la sperimentazione per alcune categorie di disabili con problemi rilevanti
di occupabilità di percorsi protetti in ambienti
lavorativi “dedicati” in cooperative sociali possa assumere come riferimento
due modelli contrapposti che per economia potremo definire laboratori protetti
e imprese di transizione.
Il modello del laboratorio protetto prefigura un rapporto essenzialmente assistenzialistico (non coerente se svolto in un contesto di politica attiva) con persone del tutto non
occupabili nel cui contesto il lavoro assumerebbe una caratteristica
terapeutica e la cooperativa sarebbe un luogo che si presta ad un servizio di
carattere assistenziale. In questo caso l’inserimento nella cooperativa avrebbe
un carattere permanente. Il modello dell’impresa di transizione rimanda invece,
al mantenere e sottolineare come la mission della cooperativa sia quella di favorire il
miglioramento dell’occupabilità delle persone,
attraverso un’esperienza lavorativa il più possibile definita e controllata progettualmente, limitata nel tempo (senza definirne
rigidamente ed aprioristicamente una durata) per collocare in contesti
produttivi ordinari queste persone.
È evidente come occorra in ogni caso rivedere il
ruolo della cooperativa che mantiene la configurazione generale di impresa che
produce beni e servizi per committenti esterni e per il mercato, e che tuttavia
in questi casi non accompagna semplicemente l’inserimento lavorativo di persone
svantaggiate, ma produce ulteriori servizi specialistici alla persona volti a
garantire a queste persone tutto il sostegno professionale al processo di
inserimento lavorativo e di miglioramento dell’occupabilitá.
È anche chiaro come questa caratterizzazione richieda
una puntuale definizione nel progetto del rapporto tra cooperativa (servizi
specialistici interni) e servizi specialistici esterni.
Le Regioni concordano nell’assumere come riferimento un modello di
coinvolgimento della cooperativa sociale come impresa specializzata nel
miglioramento dell’occupabilitá di persone disabili
che si muove nella prospettiva di favorire
l’inserimento presso altre imprese (transizione), in quanto compatibile con un
quadro di politica attiva del lavoro quale esplicito riferimento ad esso nella
sperimentazione e nella sua valutazione.
Nel rapporto di lavoro con la cooperativa si tratta di garantire il pieno
rispetto di quanto previsto contrattualmente per i lavoratori della cooperativa
(sia sul versante economico che su quello delle
garanzie). Ma allo stesso tempo occorre garantire alla cooperativa il recupero
dei costi relativi ai servizi prestati alla persona
nonché occorre tener conto della minore produttività corrispondente alla sua
ridotta occupabilitá. Tenendo ferma l’impostazione
generale, nella fase sperimentale sarebbe utile che alcune indicazioni venissero fornite dal livello interregionale/nazionale
attraverso un confronto con le parti sociali lasciando, tuttavia, grande
flessibilità nell’utilizzo concreto dello strumento.
Segnaliamo tra l’altro, che la norma indica le associazioni sindacali di
lavoratori ed imprenditori «comparativamente
maggiormente significative a livello nazionale»
quali soggetti dell’eventuale stipula di convenzioni quadro territoriali,
allorché appare evidente che la rappresentatività andrebbe riportata anch’essa
alla dimensione territoriale.
In sostanza lo strumento ammesso che sia concretamente praticabile può
assumere connotati positivi o meno a seconda che
inserito in un percorso progettuale più ampio (a monte il lavoro con i servizi
di diagnosi ed orientamento, a valle l’inserimento lavorativo pieno, puntando
il più possibile a contesti ordinari di impresa), approdi a risultati effettivi
di inserimento lavorativo in un contesto produttivo e sociale che valorizzi in
maniera non episodica le abilità della persona.
Le Regioni su queste basi intendono verificare con il Ministero del lavoro
le modalità di sviluppo e di monitoraggio della sperimentazione ex-decreto
legislativo 276/2003, proponendosi di portare ai responsabili istituzionali,
anche sulla base di apporti specifici, una conclusione
“ragionata” della sperimentazione ai fini delle prese di posizione e delle
determinazioni che le diverse istituzioni assumeranno successivamente.
(1) Il decreto legislativo 10 settembre 2003 n. 276 è
pubblicato sul n. 235 del 9 ottobre 2003, supplemento ordinario n. 159 della Gazzetta ufficiale e riguarda
l’attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro di
cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30. Il testo
dell’articolo 14 (cooperative sociali e inserimento lavorativo dei
soggetti svantaggiati) è il seguente:
«1. Al fine di favorire l’inserimento
lavorativo dei lavoratori svantaggiati e dei lavoratori
disabili, i servizi di cui all’articolo 6, comma 1, della legge 12 marzo 1999,
n. 68, sentito l’organismo di cui all’articolo 6, comma 3, del decreto
legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, così modificato dall’articolo 6 della
legge 12 marzo 1999, n. 68 stipulano con le associazioni sindacali dei datori
di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative a
livello nazionale e con le associazioni di rappresentanza, assistenza e tutela
delle cooperative di cui all’articolo 1 comma 1, lettera b), della legge 8
novembre 1991, n. 381, e con i consorzi di cui all’articolo della stessa legge,
convenzioni quadro su base territoriale, che devono essere validate
da parte delle Regioni, sentiti gli organismi di concertazione di cui al
decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469 aventi ad oggetto il conferimento
di commesse di lavoro alle cooperative sociali medesime da parte delle imprese
associate o aderenti.
«2. La convenzione quadro
disciplina i seguenti aspetti:
a) le modalità di adesione
da parte delle imprese interessate;
b) i criteri di individuazione
dei lavoratori svantaggiati da inserire al lavoro in cooperative. L’individuazione
dei disabili sarà curata dai servizi di cui all’articolo 6, comma 1, della
legge 12 marzo 1999, n. 68;
c) le modalità di attestazione
del valore complessivo del lavoro annualmente conferito da ciascuna impresa e
la correlazione con il numero dei lavoratori svantaggiati inseriti al lavoro in
cooperativa;
d) la determinazione del
coefficiente di calcolo del valore unitario delle commesse, ai fini del computo
di cui al comma 3, secondo criteri di congruità con i costi del lavoro derivati dai contratti collettivi di
categoria applicati dalle cooperative sociali;
e) la promozione e lo sviluppo
delle commesse di lavoro a favore delle cooperative sociali;
f) l’eventuale costituzione, anche nell’ambito
dell’agenzia sociale di cui all’articolo che precede, di una struttura
tecnico-operativa senza scopo di lucro a supporto delle attività previste dalla
convenzione;
g) i limiti di percentuali
massime di copertura della quota d’obbligo da realizzare con lo strumento della
convenzione.
«3. Allorché l’inserimento lavorativo nelle
cooperative sociali, realizzato in virtù dei precedenti commi, riguardi i
lavoratori disabili, che presentino particolari caratteristiche e difficoltà di inserimento nel ciclo lavorativo ordinario, in base alla
esclusiva valutazione dei servizi di cui all’articolo 6, comma 1, della legge
12 marzo 1999, n. 68, lo stesso si considera utile ai fini della copertura
della quota di riserva, di cui all’articolo 3 della stessa legge cui sono
tenute le imprese conferenti. Il numero delle coperture per ciascuna
impresa è dato dall’ammontare annuo delle commesse dalla stessa
conferite diviso per il coefficiente di cui al precedente comma 2, lettera d) e
nei limiti di percentuali massime stabilite con le convenzioni quadro di cui al
comma 1. Tali limiti percentuali non hanno effetto nei confronti delle imprese
che occupano da
«4. L’applicazione delle
disposizioni di cui al comma 3 è subordinata all’adempimento degli obblighi di assunzione di lavoratori disabili ai fini della copertura
della restante quota d’obbligo a loro carico determinata ai sensi dell’articolo
3 della legge 12 marzo 1999, n. 68».
(2) Cfr. Coordinamento
sanità e assistenza fra i movimenti di base, “L’inserimento lavorativo dei
soggetti con handicap: le gravi ripercussioni negative dell’articolo 14 del
decreto legislativo 276/2003”, Prospettive
assistenziali, n. 146, 2004.
(3) Il convegno nazionale si è tenuto a Milano, il
10 ottobre 2005, sul tema “Sviluppo territoriale ed inclusione sociale. La sperimentazione dell’inserimento lavorativo con l’articolo 14
del decreto legislativo 276/2003”, organizzato da Italia Lavoro, nell’ambito
del progetto Lincs, Lavoro e inclusione sociale, per
conto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
(4) Cfr. “Legge Biagi: i primi tentativi di applicazione
dell’articolo 14 del decreto legislativo 276/2003 per le persone in situazione
di handicap”, Prospettive assistenziali,
n. 148, 2004.
(5) Ricordiamo che la legge 381/1991 considera
persone svantaggiate «gli invalidi
fisici, psichici e sensoriali, gli ex degenti in istituti psichiatrici, i
soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti, gli alcoolisti, i
minori in età lavorativa in situazione di difficoltà familiare, i condannati
ammessi alle misure alternative alla detenzione», compresi i soggetti con
piena capacità lavorativa.
(6)
(7) L’articolo 12 della legge 68/1999 prevede che le
aziende assumano il lavoratore handicappato nel proprio organico; questi non
svolge la propria attività lavorativa nella stessa azienda ma presso una cooperativa sociale che
riceve in cambio dall’azienda una
commessa di lavoro sufficiente a garantire la retribuzione al soggetto
inserito. L’articolo 12 prevede che al termine di due anni, ripetibili a
discrezione del Comitato tecnico dei servizi per l’impiego provinciali, la
persona handicappata venga rivalutata per decidere il
rientro o meno nell’azienda. Con l’articolo 14 del decreto legislativo 276/2003
questa possibilità, già molto limitata nel sopra menzionato articolo 12, viene definitivamente cancellata con l’assunzione diretta
della persona handicappata da parte della cooperativa sociale, che in questo
modo solleva per sempre l’azienda da ogni obbligo relativo all’inserimento di
quel soggetto con handicap.
(8) La richiesta nasce dalla necessità di impedire
che l’impresa richieda anche di poter utilizzare l’articolo 14, oltre ad avere
ottenuto con convenzioni ad hoc di
poter assumere solo una parte dei soggetti handicappati che, in base alla legge
68/1999, era obbligata ad inserire nel suo organico. È quanto potrebbe accadere
nella Provincia di Torino dove è stata firmata una convenzione che permette
alle imprese di assumere ogni anno solo l’11% della
quota totale dei lavoratori handicappati di loro pertinenza in base alla legge
68/1999.
(9) Il documento è stato presentato al seminario che ha
avuto luogo a Torino il 7 luglio 2005. Confidiamo che, in
attesa che sia abrogato l’articolo 14, le Regioni approvino delibere che
recepiscano le linee di principio tracciate dal documento tecnico.
Per informazioni rivolgersi a Rosangela Zito, Regione Piemonte, Assessorato
al lavoro, Via Magenta 12, Torino, tel. 011/432.35.21.
www.fondazionepromozionesociale.it