Prospettive assistenziali, n. 152, ottobre - dicembre 2005
Notiziario
dell’Unione per la tutela degli insufficienti mentali
UNA ISTRUTTIVA VICENDA SUI
CONTRIBUTI ECONOMICI
il contesto
L’Asl -
Servizio disabili della provincia
di Bergamo, gestisce, su delega di molti Comuni della provincia, i servizi
socio assistenziali tra i quali il centro diurno di Ghisalba.
L’Asl ha stabilito le quote a
carico degli utenti, ma questi sono persone il cui unico reddito deriva dalla
pensione di inabilità (233 euro nel 2005) e quindi non
sono in grado di pagare. Non ha comunque tenuto in
nessun conto quanto stabilito dall’articolo 25 della legge 328/2000 che rimanda
ai decreti legislativi 130/2000 e 109/1998 che stabiliscono che nel determinare
la quota a carico dell’utente dei servizi socio-assistenziali si deve
considerare la situazione economica del solo interessato, se si tratta di
persona con handicap intellettivo in situazione di gravità.
I fatti
L’Asl
dopo aver determinato, come detto, le quote, applicando la delibera n. 285 del
5 marzo 2001 del Direttore generale della stessa Asl
della provincia di Bergamo, ha chiesto alle famiglie
degli utenti il pagamento delle rette. Diverse famiglie, al corrente della
legislazione vigente, dopo averci consultato, hanno fatto presente all’Asl che la richiesta era illegittima, perché non teneva
conto dei decreti legislativi prima ricordati e che, semmai, la richiesta
doveva essere inoltrata al Comune inviante e non alle famiglie. Facevano quindi
presente che, proprio in applicazione dei decreti sopra citati, non avrebbero
provveduto al pagamento in quanto non dovuto.
Anche l’Utim,
su delega di 13 famiglie, ha provveduto a contestare
le richieste fatte alle famiglie e ha posto in evidenza:
– che ad una persona con handicap
intellettivo in situazione di gravità la sola pensione di inabilità
non è sufficiente nemmeno per vivere;
– che le famiglie si accollano
molti oneri e provvedono alle esigenze dei loro congiunti per ben 128 ore alla settimana per tutto l’anno a fronte di sole 40 ore dei
centri diurni, non sempre erogati per tutto l’anno;
– che il costo della retta comunque deve essere richiesto al Comune di residenza e non
all’utente in quanto gli obblighi assistenziali per le persone di cui stiamo
parlando sono appunto in carico ai Comuni;
– che le famiglie, con la loro
scelta, del tutto volontaria, di prendersi cura di
queste persone sono la migliore fonte di benessere per loro ma sono anche
un’ottima fonte di risparmio per i Comuni che dovrebbero provvedere in tutto al
loro mantenimento e cura, oltretutto in situazioni certamente non confortevoli
(per usare un eufemismo) come la propria casa.
L’azione dell’Asl
Per tutta risposta, l’Asl della provincia
di Bergamo con lettera del 24 settembre 2003, inviava
alle 13 famiglie che si sono rivolte a noi una diffida di pagamento nella quale specificava che, se non si ottemperava al pagamento
delle somme richieste, sarebbe stata emesso un atto di ingiunzione.
L’azione del csa
e dell’utim
Immediatamente il Csa, Comitato per la difesa degli assistiti, di cui fa parte l’Utim, provvedeva a
protestare formalmente contro l’illegale richiesta di contributi avanzata dall’Asl della provincia
di Bergamo ai genitori degli utenti che frequentano il centro diurno di Ghisalba.
Ancora una volta si provvedeva a ricordare la normativa che regolamenta le
modalità per determinare eventuali rette a carico degli utenti, si chiedeva di
riesaminare la questione ed il ritiro delle diffide inviate ai genitori.
Il dottor L.
Nicoli,
responsabile del servizio disabili dell’Asl,
con lettera dell’8 marzo 2004 riconosceva «la
fondatezza dei riferimenti legislativi»; riteneva però di dover applicare
il regolamento.
Nuovamente il Csa
ribadiva con sua lettera del 23 marzo 2004 il dovere
del rispetto delle leggi vigenti da parte di tutti, quindi anche dall’Asl della Provincia di Bergamo, pur in presenza di
regolamenti diversi.
Per tutta risposta a questo lungo
carteggio, l’Asl emetteva il 5 aprile 2004 per ognuna
delle famiglie da noi seguite un atto
di ingiunzione ai sensi del regio decreto n. 639/1910
con il quale si richiedeva il pagamento delle somme, a suo dire, dovute. È
stato con ogni evidenza un atto intimidatorio di grave portata dal quale ci si
poteva difendere solo rivolgendosi al giudice ordinario, anche per evitare
eventuali confische.
La difesa
A questo punto l’Utim ha provveduto tramite le proprie conoscenze ad
individuare un legale di fiducia nel foro di Bergamo. Ha quindi contattato lo studio legale Trussardi al
quale ha fornito il resoconto della vicenda e inviato i documenti a supporto. Tutte
le famiglie hanno quindi delegato detto studio
legale a rappresentarle.
L’avv. Trussardi
chiedeva al giudice di merito innanzitutto la
sospensione dell’ingiunzione e, in seguito, di pronunciarsi nel merito della
richiesta dell’Asl.
Il giudizio
Il Giudice istruttore in data 28
maggio 2004 accoglieva la sospensione dell’ingiunzione e rinviava la nuova
udienza al 10 novembre 2004.
In seguito i ricorsi delle
tredici famiglie sono stati assegnati dal Tribunale a diversi giudici.
Dopo vari rinvii, tra aprile e
luglio 2005, tutti i giudici hanno emesso le sentenze, tutte favorevoli (con
motivazioni simili) alle famiglie ricorrenti. In particolare, i giudici hanno
rilevato «il difetto di legittimazione
attiva dell’Asl a richiedere il costo del
servizio erogato» ed hanno quindi revocato le ingiunzioni di pagamento
emesse a carico dei familiari degli utenti.
Conclusioni
Il riconoscimento da parte del
Tribunale di Bergamo della non legittimità dell’Asl a
richiedere il pagamento delle rette è sicuramente positivo.
Il fatto che i Comuni possano
delegare ad altri enti l’organizzazione e la gestione di taluni servizi, in
questo caso la gestione del centro diurno di Ghisalba,
«non costituisce vero e proprio
trasferimento dei compiti e della titolarità del rapporto di assistenza
che si instaura con l’assistito ed i suoi familiari», come ha sentenziato
il Tribunale di Bergamo.
Nulla è stato detto invece nel
merito dell’applicazione dell’articolo 25 della legge 328/2000 della quale ribadiamo l’operatività e l’obbligo per tutti di applicarla
come prevedono le leggi vigenti.
DIRITTO AL VOTO ASSISTITO
La legge n. 104/1992 prevede all’articolo 29 terzo comma che «un accompagnatore di fiducia segue in cabina i cittadini handicappati
impossibilitati ad esercitare autonomamente il diritto di voto. L’accompagnatore
deve essere iscritto nelle liste elettorali. Nessun elettore può esercitare la
funzione di accompagnatore per più di un handicappato.
Sul certificato elettorale dell’accompagnatore è fatta apposita
annotazione dal presidente del seggio nel quale egli ha assolto tale compito».
In seguito il legislatore è
nuovamente intervenuto in questa materia con la legge n. 17 del 15 febbraio
2003 con la quale sono state introdotte importanti
semplificazioni per gli elettori handicappati che, per ragioni di grave
infermità, hanno diritto al voto assistito e quindi di essere accompagnati
all’interno della cabina elettorale da un altro elettore, al fine di poter
validamente esprimere il proprio voto. Per agevolarlo è stata introdotta la
possibilità, per l’elettore affetto da grave infermità, di richiedere al Comune
di iscrizione elettorale l’apposizione di un timbro
sulla tessera elettorale personale che attesti il diritto permanente
all’esercizio del voto assistito, evitando così la necessità di richiedere le
certificazioni mediche in occasione di ogni tornata elettorale.
Infatti il primo comma dell’articolo
unico della legge n. 17/2003 modifica sia l’articolo 55, secondo comma, del Dpr 30 marzo 1957, n. 361 (Testo unico per l’elezione della
Camera dei deputati, vigente in occasione di elezioni politiche, europee e di
referendum), sia l’articolo 41, secondo comma, del Dpr
16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico per le elezioni comunali, da applicare
anche in occasione di provinciali e regionali) dando ampia facoltà di scelta
dell’accompagnatore, che potrà essere individuato dal disabile fra gli elettori
di un qualsiasi comune della
Repubblica e non più tra i soli elettori dell’ente locale in cui è ubicato il
seggio.
Il secondo comma invece prevede
la possibilità, per gli stessi elettori fisicamente impediti ad esprimere
autonomamente il voto, di presentare una richiesta al Comune di
iscrizione nelle liste elettorali per ottenere l’annotazione permanente
del diritto al voto assistito mediante apposizione, da parte dello stesso
Comune, di un corrispondente simbolo o codice sulla tessera elettorale
personale.
L’attestazione apposta
dall’ufficio elettorale del Comune di residenza deve riportare una dicitura
codificata che non viola il diritto alla tutela dei
dati personale dell’elettore. Pertanto, nei casi in questione, l’ufficio
comunale dovrà apporre, per esempio, sulla tessera elettorale personale la
sigla “avd”, composta dalle lettere iniziali delle
parole “diritto voto assistito”, opportunamente posposte, per renderne il significato
meno intelligibile
La richiesta deve essere
corredata da apposita documentazione sanitaria,
attestante che l’elettore è impossibilitato ad esercitare autonomamente il
diritto di voto, che viene rilasciata, su domanda dell’interessato,
dall’ufficio di medicina legale dell’Asl in cui
risiede il richiedente. Le certificazioni mediche richieste a tale scopo alle
competenti sedi dell’Asl, sono gratuite, nonché esenti da qualsiasi diritto o applicazione di marche.
Si precisa infine che, in base al
Dpr 445/2000, l’istanza per
ottenere l’apposizione del timbro permanente sulla tessera elettorale personale
potrà essere presentata anche da persona diversa dall’interessato purché in
possesso di delega su carta semplice, fotocopia del documento di identità
dell’interessato e, ovviamente, della tessera elettorale dell’interessato in
originale.
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