Prospettive assistenziali, n. 152, ottobre - dicembre 2005
Editoriale
UNA
IRRAGIONEVOLE E CONTROPRODUCENTE PROPOSTA DI LEGGE Dei sindacati dei pensionati CGIL, CISL E UIL SULLA NON
AUTOSUFFICIENZA
i Sindacati dei pensionati Cgil, Cisl e Uil
hanno depositato in data 10 ottobre 2005 alla Corte di Cassazione una proposta
di legge di iniziativa popolare sulla non
autosufficienza, che riproduciamo integralmente in questo numero, volta a
chiedere al Parlamento:
- la definizione della non
autosufficienza e la predisposizione dei programmi di sostegno dei soggetti
privi di autonomia;
- l’emanazione del piano
nazionale per la non autosufficienza;
-
l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni socio-assistenziali
riguardanti le persone non autosufficienti;
- la creazione del fondo
nazionale per la non autosufficienza.
Gravi mancanze di
logica dell’iniziativa sindacale
La proposta di legge dei
Sindacati dei pensionati Cgil,
Cisl e Uil è un deludente
campionario di norme prive di raziocinio, sia per quanto concerne la
valutazione dell’attuale situazione, sia in merito alle proposte avanzate.
I principali aspetti
negativi riguardano:
- la creazione del fondo
nazionale per la non autosufficienza, che contrasta con le vigenti disposizioni
costituzionali;
- la collocazione
sullo stesso piano delle esigenze delle persone non autosufficienti a causa di
patologie in atto e dei soggetti non autonomi perché colpiti da handicap
fisici, psichici (1), sensoriali e relazionali (2);
- la mancanza di riferimenti alle
leggi vigenti che da decenni assicurano a tutte le
persone malate il diritto esigibile e senza limiti di durata alle cure
sanitarie e, dal 2002, alle prestazioni socio-sanitarie;
- il trasferimento al fondo
nazionale per la non autosufficienza delle risorse economiche attualmente destinate alle pensioni e alle indennità «erogate dallo Stato alle persone con
invalidità, sordomutismo e cecità»;
- l’omesso
riferimento alle disposizioni del comma 2 ter
dell’articolo 3 del decreto legislativo 109/1998, come modificato dal decreto
legislativo
130/2000. La “dimenticanza” sostiene, di fatto, l’operato
dei numerosi Comuni e Asl che, in violazione delle
norme succitate, continuano a pretendere contributi economici, spesso onerosi,
dai congiunti conviventi, al momento della richiesta di assistenza, degli
ultrasessantacinquenni non autosufficienti e dei soggetti con handicap in
situazione di gravità.
La vigente
Costituzione non consente la creazione di fondi nazionali vincolati
La sentenza n. 370 del 2003 della
Corte costituzionale ha ricordato che, a seguito della legge 18 ottobre 2001,
n. 3 “Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione” «per il finanziamento delle normali funzioni
di Regioni ed Enti locali, lo Stato può erogare solo fondi senza vincoli
specifici di destinazione».
Ne consegue che il Parlamento non
può istituire il fondo nazionale per la non autosufficienza
richiesto dai Sindacati dei pensionati Cgil, Cisl e Uil.
Handicap e malattia
La proposta di legge
dei Sindacati considera «non
autosufficienti le persone con disabilità fisica, psichica, sensoriale,
relazionale», indipendentemente dalle cause (malattia o handicap) che hanno
determinato la dipendenza dei soggetti sopra indicati.
Com’è ovvio, le
esigenze di un individuo non autosufficiente a seguito di una patologia
invalidante (ad esempio il cancro ad uno stato avanzato) sono estremamente diverse dalle necessità di un fanciullo colpito
da un severo handicap intellettivo.
Parimenti, vi sono
differenze abissali fra i trattamenti da assicurare agli anziani affetti dalla
malattia di Alzheimer o da altra forma di demenza
senile e gli interventi occorrenti per i soggetti colpiti da un handicap fisico
così grave da limitarne notevolmente la mobilità, ma che consente loro, in
presenza di opportune misure sociali (collocamento mirato, abbattimento delle
barriere architettoniche, ecc.) di svolgere una attività lavorativa retribuita
(3).
Numerosi altri
esempi possono essere segnalati per dimostrare che, agendo in modo razionale e cioè tenendo conto dell’effettiva realtà delle cose, le
leggi e le altre iniziative concernenti gli individui non autosufficienti
devono considerare attentamente le profonde differenze esistenti fra i bisogni
delle persone, in particolare quelle anziane, non autosufficienti a causa di
patologie in atto e le esigenze dei soggetti, specialmente quelli in età
minorile, con una limitata o nulla autonomia derivante dalla presenza di
handicap.
La rilevazione puntuale delle
cause della non autosufficienza, inoltre, è la condizione sine qua non per poter avanzare richieste valide nei riguardi del
funzionamento dei servizi di interesse collettivo
(sanità, casa, istruzione, formazione professionale, inserimento lavorativo,
trasporti, ecc.) nonché in merito alla realizzazione, a seconda delle
situazioni personali, delle misure di prevenzione degli infortuni, delle
malattie, della cronicità e dell’emarginazione sociale.
La posizione dell’organizzazione mondiale della sanità
Il primo comma
dell’articolo 2 della proposta di legge dei Sindacati dei pensionati Cgil,
Cisl e Uil fa riferimento
alle indicazioni dell’Oms, Organizzazione mondiale
della sanità, in materia di «valutazione multidimensionale
delle condizioni funzionali e sociali».
Orbene, come risulta dal volume Classificazione
internazionale del funzionamento e della disabilità edito nel 2002 da Erikson, l’Oms ha precisato che «malattia e disabilità sono costrutti
distinti che possono essere considerati indipendentemente. Quello di malattia
(per esempio, il morbillo, che possiede un agente eziologico
e una patogenesi specifica) è un costrutto; quello di disabilità (per esempio, rush cutaneo, limitazione nelle attività quotidiane o il
fatto che alla persona è vietato l’accesso a scuola per impedire il contagio) è
un altro. I due costrutti – sottolinea l’Oms – possono non
essere legati da una relazione biunivoca predicibile
in quanto ciascuno ha caratteristiche indipendenti» (4).
Inoltre, nello
stesso volume viene puntualizzato che «il concetto di menomazione è più ampio e
comprensivo rispetto a quello di disturbo o malattia; per esempio, la perdita
di una gamba è una menomazione della struttura corporea, non un disturbo o una
malattia».
Dunque, anche l’Oms
considera la malattia e l’handicap come problemi aventi loro specifiche
caratteristiche.
D’altra parte, sono
di palmare evidenza le profonde differenze sostanziali concernenti la diagnosi,
la terapia e la riabilitazione dei soggetti affetti da
patologie invalidanti (neoplasie, ictus, infarti, demenza senile, malattie
cardiovascolari, ecc.) e le prestazioni occorrenti alle persone colpite da
handicap.
Ne deriva la
necessità di interventi molto differenti, spesso con
caratteristiche tecniche e professionali estremamente diverse, da un lato per
le persone malate e d’altro lato per quelle con handicap.
Detta differenziazione è ancora
più marcata se si tiene conto delle specifiche esigenze dei fanciulli,
degli adulti e degli anziani.
Le vigenti norme di legge sugli
anziani non autosufficienti, se attuate correttamente, sono idonee a soddisfare
le loro esigenze
Fatte le
precisazioni sopra riportate, prima di prendere in
esame altri preoccupanti contenuti della proposta di legge dei Sindacati,
riteniamo necessario valutare se attualmente vi sia veramente la necessità di
una nuova normativa sulla non autosufficienza.
Tenuto conto che
l’iniziativa è stata assunta dai Sindacati dei pensionati, ci limitiamo a
riferire in merito agli aspetti fondamentali dell’attuale situazione
riguardante gli anziani non autosufficienti e le persone assimilabili (5).
In sintesi le
disposizioni vigenti assicurano:
1. il diritto alle
cure sanitarie gratuite e senza limiti di durata durante la fase acuta (6) e
alle cure socio-sanitarie, con degenza durante tutto il periodo in cui la
malattia si è stabilizzata (7). La degenza può aver luogo
presso il proprio domicilio, a cura di congiunti o di terzi o presso le Rsa,
Residenze sanitarie assistenziali;
2. terminata la fase
acuta, nei casi in cui non sia attuabile la permanenza a domicilio, deve essere
garantita, a cura e spese del Servizio sanitario nazionale, la continuità delle
cure, con trasferimento diretto dei pazienti dagli ospedali o dalle case di
cura private convenzionate alle Rsa;
3. l’obbligo, da parte degli ultrasessantacinquenni dichiarati
non autosufficienti dalle Unità valutative geriatriche o aventi un’età
inferiore purché sia stata accertata la loro condizione di soggetti con
handicap in situazione di gravità, di corrispondere la retta alberghiera delle
Rsa in base alle loro risorse economiche personali (redditi e beni) (8);
4.
il versamento da parte del Servizio sanitario nazionale di almeno il 50% della
retta complessiva di ricovero presso le Rsa. Di conseguenza, l’importo della
quota alberghiera a carico dell’utente non può in nessun caso essere superiore
alla metà dell’ammontare della suddetta retta (9).
Trattandosi di norme
oggettivamente accettabili (10), non si comprende per quali motivi i Sindacati
dei pensionati Cgil, Cisl e
Uil finora, salvo casi del tutto marginali, non solo
non siano mai intervenuti per l’attuazione delle
vigenti disposizioni, ma abbiano spesso sostenuto posizioni nettamente opposte
alle esigenze dei vecchi malati cronici e ai loro diritti.
Le iniziative
controproducenti dei Sindacati
Fra le iniziative dirette a
negare il diritto degli anziani non autosufficienti alle cure sanitarie
gratuite e senza limiti di durata, sostenute o tacitamente accettate da Cgil, Cisl e Uil
ricordiamo:
a) l’appoggio dato alla legge
della Regione Emilia-Romagna 1° settembre 1979, n. 30
il cui articolo 5 stabiliva quanto segue: «La
casa protetta è un servizio volto a fornire residenza ed adeguata assistenza a
persone anziane, in particolare a quelle in stato di non autosufficienza fisica
o psichica per le quali non sia possibile la
permanenza nel proprio alloggio». Da notare che le case protette, che in seguito hanno
assunto la denominazione di Rsa, afferivano e afferiscono al settore socio-assistenziale, caratterizzato
dall’assenza di diritti esigibili (riconosciuti invece dalla sanità) e
dell’obbligo di versamento della retta in contrapposizione alla gratuità delle
prestazioni sanitarie;
b) la decisione
del Consiglio sanitario nazionale dell’8 giugno 1984 diretta ad escludere gli
anziani cronici non autosufficienti dal diritto alle cure sanitarie gratuite e
senza limiti di durata e di inserire i relativi trattamenti nell’ambito del
settore socio-assistenziale con oneri economici a carico dei ricoverati;
c) l’emanazione da parte del
Presidente del Consiglio dei Ministri del decreto 8
agosto 1985 che ha sancito l’attuazione delle suddette decisioni assunte dal servizio sanitario nazionale. Nonostante
che detto decreto avesse natura meramente
amministrativa, e quindi non potesse modificare le leggi vigenti, non vi furono
opposizioni né critiche;
d) il sostegno determinante
dato dai Sindacati Cgil, Cisl
e Uil alla legge della Regione Emilia-Romagna
n. 1/1994 che:
- negava agli anziani cronici non
autosufficienti il diritto alle cure sanitarie in quanto non riconosceva la
loro caratteristica di soggetti malati;
- istituiva il nuovo comparto
socio-sanitario, allora non previsto da alcuna norma nazionale, caratterizzato
dalla discrezionalità propria degli interventi del settore della
assistenza/beneficenza;
- poneva a carico degli utenti e dei loro congiunti prestazioni che in base alle leggi allora
vigenti erano a carico totale del servizio
sanitario nazionale;
- attribuiva la responsabilità
del controllo dell’attuazione degli interventi sanitari (ad esempio la verifica
della validità delle cure oncologiche) ad un assistente sociale che –
ovviamente – non ha né deve avere alcuna competenza in
merito (11);
e) la proposta
di legge di iniziativa popolare redatta nel 1993 dal Dipartimento alle
politiche sociali della Cgil nazionale nel cui
articolo 2 era previsto che «le
Regioni e le Province autonome, sentite le Confederazioni sindacali
maggiormente rappresentative e le Organizzazioni di pensionati e dell’utenza
organizzata, stabiliscono altresì i limiti e i criteri di erogazione, nonché le
eventuali forme di partecipazione alla spesa degli assistiti per le prestazioni
di tipo riabilitativo che necessitano di trattamenti prolungati ad alta
intensità assistenziale» (12). Da notare che nella
suddetta proposta era stabilito che anche gli interventi di lungodegenza
non erano compresi fra le prestazioni che «non
sono assoggettabili ad alcuna forma di partecipazione alla spesa da parte degli
assistiti» (13);
f) la negazione
della condizione di malati degli
anziani malati non autosufficienti
espressa nella lettera inviata al Csa in data 30
luglio 1997
da Sergio Cofferati, all’epoca Segretario generale
della Cgil. Come aveva rilevato il Csa nella nota inviata il 9 ottobre
g) l’assoluta mancanza di iniziative dei Sindacati dei pensionati Cgil, Cisl e Uil
dirette a contrastare le dimissioni degli anziani cronici non autosufficienti
da ospedali e da case di cura private convenzionate nei casi in cui non veniva,
e non viene ancora attualmente garantita, la prosecuzione delle cure a
domicilio o presso strutture residenziali;
h) la supina accettazione delle
richieste avanzate da Comuni e Asl concernenti il
versamento di contributi economici da parte dei congiunti conviventi o non conviventi dei vecchi non autosufficienti ricoverati presso
Rsa o strutture similari, nei casi in cui tale richiesta non era e non è
consentita dalle vigenti norme di legge.
Rammentiamo, inoltre, che nella
proposta di legge sul riordino dell’assistenza sociale, predisposta dai
Sindacati dei pensionati Cgil, Cisl
e Uil, presentata al Senato il 27 ottobre 1994, era
previsto all’articolo 2 quanto segue: «Può essere chiesto agli utenti e alle
persone tenute al mantenimento e alla corresponsione degli alimenti il concorso
al costo di determinati servizi in relazione alle loro
condizioni economiche».
Non stupisce, quindi, che ne
siano danneggiati gli stessi dirigenti dei Sindacati. Quale esempio significativo dell’attuale situazione ricordiamo la vicenda
di U.M., segretario
della Camera del lavoro di Sasso Marconi, Bologna,
costretto ad assumere una badante per provvedere alla propria madre malata di
Alzheimer, nonostante che la moglie avesse già abbandonato il lavoro per lo
stesso motivo, dopo che il centro diurno del Comune «che all’inizio fu la sua prima ancora di salvezza gli aveva
riconsegnato la madre con una sentenza definitiva e inappellabile: “Non
possiamo più occuparci di lei, le sue condizioni richiedono un’assistenza
continua”» (14).
Non essendo sufficienti le
risorse economiche della madre per le prestazioni della badante (800 euro al mese, vitto e alloggio), il sindacalista dichiara che gli
oneri aggiuntivi sono a carico suo e della moglie. Denuncia, inoltre, di non
aver potuto ricoverare la madre in una Rsa perché «ci vogliono 5 milioni al mese».
Un nostro dubbio
Preso atto di quanto sopra
esposto, sorge il dubbio che la proposta di iniziativa
popolare, di cui è in corso la raccolta delle firme, sia stata decisa dai
Sindacati dei pensionati Cgil, Cisl
e Uil per trovare una via d’uscita alle situazioni
sempre più insostenibili determinate sia dalla maggiore presa di coscienza
della popolazione sulle esigenze e sui diritti dei vecchi malati (sono in
aumento le opposizioni alle dimissioni da ospedali e case di cura private
convenzionate degli anziani cronici non autosufficienti), sia dal rifiuto
sempre più esteso dei loro congiunti di essere costretti a corrispondere
contributi economici non previsti da alcuna legge dello Stato.
Ignorate le
competenze del Servizio sanitario nazionale
Non facendo alcun riferimento
alle competenze del Servizio sanitario nazionale in merito alle cure
(obbligatorie) anche nei riguardi degli anziani non autosufficienti colpiti da
malattie invalidanti, i Sindacati dei pensionati Cgil,
Cisl e Uil continuano a non
riconoscere (15) gli obblighi imposti dalle leggi vigenti (la prima, la n. 692,
risale addirittura al 1955!).
Ne consegue, quale effetto più
devastante dell’ultraventennale comportamento omissivo dei Sindacati Cgil, Cisl e Uil,
la prosecuzione da parte degli ospedali e delle case di cura private
convenzionate delle dimissioni spesso selvagge degli
anziani malati cronici non autosufficienti (16).
Dette dimissioni provocano ai malati non solo danni anche irreparabili (peggioramento
delle condizioni di salute, carenza degli interventi diretti ad eliminare o
almeno attenuare il dolore, ecc.) causati dall’abbandono terapeutico da parte
degli enti (Aziende ospedaliere e Asl) tenuti a
garantire la continuità delle cure sanitarie o socio-sanitarie, ma costringono
l’interessato ed i suoi congiunti a sborsare somme sovente rilevanti.
Coloro che, seguendo le
indicazioni del Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti della
Fondazione promozione sociale (17) non accettano le dimissioni da ospedali e da
case di cura private convenzionate dei loro congiunti, mediante il semplice invio
di 3-4 lettere raccomandate Ar, ottengono in tutti i casi la prosecuzione delle cure o in strutture sanitarie
oppure in Rsa (18).
Se, invece, le
dimissioni vengono accettate, il malato è quasi sempre
inserito in una lista di attesa, la cui durata può anche protrarsi per due
anni. In questo periodo il paziente ed i suoi congiunti, se non sono in grado
di provvedere a livello domiciliare, sono tenuti a
pagare l’intera retta di ricovero presso una Rsa, compresa la quota sanitaria. L’importo
complessivo è di 70-100 euro al giorno, per cui per
tutto il periodo di attesa si arriva a sborsare da
Per quanto possa sembrare inverosimile, nella proposta di legge dei
Sindacati non si fa alcun cenno alla pur importantissima questione delle liste
di attesa.
Infatti, il riferimento contenuto
nell’ultimo comma dell’articolo 8 («Restano
ferme le competenze del Servizio sanitario nazionale e le modalità di
finanziamento in materia di prevenzione, di cura e di riabilitazione con
continuità temporale e senza restrizioni per le persone individuate come non
autosufficienti») non modifica l’attuale situazione, in quanto ripete
quasi alla lettera le inefficaci disposizioni contenute negli articoli 15 e 22
della legge 328/2000 (19).
Gli assurdi e
controproducenti riferimenti al settore socio-assistenziale
Partendo dalla
negazione della malattia quale causa della non autosufficienza degli anziani
non autosufficienti, la proposta di legge dei Sindacati inizia con
l’affermazione che essa si pone «nell’ambito
del sistema integrato di interventi e servizi sociali
di cui alla legge 8 novembre 2000, n. 328».
Pertanto, non
soltanto non tiene conto delle già ricordate leggi 692/1955, 132/1968, 386/1974
e 833/1978 che garantivano e garantiscono tuttora anche ai vecchi cronici non
autosufficienti le cure sanitarie, gratuite e senza limiti di durata, comprese
quelle fornite dagli ospedali e dalle case di cura
convenzionate, ma ignora persino l’articolo 54 della legge 289/2002 sui Lea
(Livelli essenziali di assistenza), nonostante che dette norme, come abbiamo
già rilevato, confermino la competenza primaria del Servizio sanitario
nazionale proprio nei confronti dei suddetti soggetti.
Invece di operare per la corretta attuazione dei Lea, le
cui norme sono in vigore dal 1° gennaio 2003, i Sindacati propongono
l’istituzione dei Lesna (Livelli essenziali delle
prestazioni socio-assistenziali per le persone non autosufficienti), la cui
definizione è però rinviata all’approvazione del Piano nazionale per la non
autosufficienza.
Il rinvio
dell’entrata in vigore dei Lesna al momento dell’approvazione del Piano nazionale per la non
autosufficienza ripete quanto è già previsto dagli articoli 20 e 22 della legge
328/2000, senza introdurre alcun elemento nuovo.
Gravissima
omissione in materia di contributi economici
Come abbiamo già rilevato, nella proposta di legge dei Sindacati
non viene citato il comma 2 ter dell’articolo 3 del
decreto legislativo 109/1998, modificato dal decreto legislativo 130/2000, in
base al quale nessun contributo economico può essere richiesto ai parenti,
compresi quelli conviventi, degli ultrasessantacinquenni dichiarati non
autosufficienti dalle Unità valutative geriatriche.
Nei confronti dei
suddetti soggetti e delle persone con handicap in situazione di gravità, la
norma sopra citata stabilisce che essi devono contribuire al pagamento della
retta di ricovero esclusivamente sulla base delle loro
personali risorse economiche (redditi e beni) senza alcun onere per i
congiunti (20).
Circa l’illegittima
richiesta di contributi ai parenti dei vecchi malati, ancora una volta
ricordiamo, com’è scritto sul documento “Legge quadro per la realizzazione del
sistema integrato di interventi e servizi sociali”
della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ufficio del Ministro per la
solidarietà sociale, Roma, ottobre 2000 che «nel
corso del 1999, 2 milioni di famiglie italiane sono scese sotto la soglia della
povertà a fronte del carico di spese sostenute per la “cura” di un componente
affetto da una malattia cronica».
La situazione dal
1999 ad oggi si è notevolmente aggravata, anche perché il Servizio sanitario
nazionale ha avuto sempre più ampie possibilità di
dimettere i vecchi malati, escluse le poche zone del nostro Paese in cui detta
incivile prassi è stata contrastata.
Da notare che sul
sito web della Uil (www.ital-uil.it/vadesani) a proposito delle Rsa, è riportata
un’informazione sbagliata. Infatti, viene affermato
che «nel caso in cui l’anziano abbia un
reddito insufficiente è previsto l’intervento dei familiari o del Comune di
residenza» (21).
Anche nel sito della Federazione nazionale pensionati Cisl (www.intrage.it) è contenuta una
analoga fuorviante asserzione poiché viene sostenuto che «le spese, stabilite dagli enti che
gestiscono le Rsa in accordo con il Comune, sono in parte a carico del Comune
ed in parte a carico dell’utente e della
sua famiglia, secondo il reddito».
Trasferiti tutti gli stanziamenti
concernenti le pensioni e le altre misure economiche attualmente
erogate dallo Stato alle persone con handicap
Secondo quanto
previsto dall’articolo 6 della proposta di legge dei Sindacati dei pensionati,
devono essere trasferiti al Fondo nazionale per la non autosufficienza tutti
gli attuali stanziamenti riguardanti le pensioni per
le persone con handicap fisici, sensoriali, intellettivi, nonché le indennità
di accompagnamento e le altre misure economiche attualmente erogate dallo Stato
ai suddetti soggetti.
Ne derivano due
conseguenze allarmanti:
- tutti gli
individui con handicap sono considerati non autosufficienti e quindi possono
continuare a ricevere gli attuali sostegni economici;
- se, come sarebbe
ovvio, non vengono inseriti fra i non autosufficienti
coloro che hanno una parziale autonomia, per questi soggetti con handicap i
finanziamenti sono azzerati.
A questo proposito
occorre tener conto – fatto assai preoccupante – che la seconda parte del primo
comma dell’articolo 4 della proposta dei Sindacati precisa che «fatti salvi i benefici in atto ed i diritti
maturati fino all’entrata in vigore del Piano di cui all’articolo 5 (si
tratta del Piano nazionale per la non autosufficienza, n.d.r.)
la concessione della
prestazioni economiche (…) è effettuata all’interno della valutazione
delle condizioni psico-fisiche del richiedente».
Ne risulta che, a decorrere dalla data di approvazione del
Piano nazionale per la non autosufficienza, tutte le attuali disposizioni
(compresi gli importi?) concernenti le pensioni e le indennità per i soggetti
con handicap sono condizionate dalla valutazione di cui sopra.
A questo proposito occorre considerare che, ai sensi del
4° comma dell’articolo 2, la proposta di legge dei Sindacati stabilisce che «le fasce della non autosufficienza e le
corrispondenti misure assistenziali differenziate (compresa
l’assistenza economica, n.d.r.) sono definite in rapporto ai seguenti livelli di disabilità: incapacità
di provvedere autonomamente al governo della casa, all’approvvigionamento e
alla predisposizione dei pasti; incapacità di provvedere autonomamente alla
cura di sé, ad alimentarsi ed al governo della casa; incapacità di provvedere
autonomamente alle funzioni della vita quotidiana, alle relazioni esterne e
presenza di problemi di mobilità e instabilità clinica», mentre nulla viene
previsto per i giovani e gli adulti con handicap in merito alla loro effettiva
impossibilità di svolgere attività lavorative.
Inoltre, la proposta
di legge dei Sindacati, al 2° comma dell’articolo 4 stabilisce che alle persone
non autosufficienti ospitate in strutture semiresidenziali o residenziali deve
essere attribuita «una somma non
inferiore al 25 % dell’assegno sociale», ma non
considera la drammatica situazione dei nuclei familiari monoreddito.
In questi casi, se
l’unico percettore di reddito viene ricoverato in una
Rsa, numerosi Comuni, ad esempio quello di Torino, chiedono il versamento di
tutti i suoi redditi fino alla copertura dell’intera quota alberghiera, esclusa
la somma di euro 100,00 al mese riservata alle piccole spese personali del paziente.
Pertanto, se l’unico
introito del nucleo familiare è di 1.000,00 euro e la quota alberghiera è di 1.200,00 il ricoverato deve versarne 900 e gli restano i 100
euro di cui sopra.
Ne deriva che il
coniuge e gli altri congiunti a carico non hanno più alcuna risorsa economica
per vivere. A questo punto, vi sono Comuni, anche in questo caso incluso quello
di Torino, che pretendono che i congiunti si rivolgano ai loro servizi come
poveri, per ricevere un sussidio, fra l’altro di importo
molto limitato.
A nostro avviso, occorrerebbe che i Comuni considerassero
come prioritari gli obblighi previsti dalla legge per il mantenimento del
coniuge e delle altre persone a carico, ad esempio figli impossibilitati, a
causa di handicap o malattie, di svolgere attività lavorative proficue.
Diritti esigibili
Come abbiamo già rilevato, nella proposta dei Sindacati non
vengono richiamate le leggi vigenti (ripetiamo, la prima risale addirittura al
1955!) che garantiscono a tutti i cittadini, compresi gli anziani non
autosufficienti, le cure sanitarie e sociosanitarie.
I Sindacati hanno,
invece, previsto (articolo 7) che «le
persone non autosufficienti come sopra definite e, per quanto di competenza le
rispettive famiglie, hanno diritto alle prestazioni incluse nei Lesna anche su richiesta di chi li
rappresenta».
A questo proposito,
va precisato che, anche se l’iniziativa di Cgil, Cisl e Uil venisse
accolta dal Parlamento, sarebbe pur sempre necessaria – come è già previsto
dalla legge 328/2000 – l’approvazione del Piano nazionale per la non
autosufficienza, tenendo conto che, com’è stabilito dal 1° comma dell’articolo
3 della proposta dei Sindacati, «i
livelli essenziali delle prestazioni socio-assistenziali per le persone non
autosufficienti (Lesna) che devono essere parte
integrante dei livelli essenziali sociali da definire ai sensi degli articoli
18, comma 3 e 22 della legge 8 novembre 2000 n. 328 ed i relativi parametri
sono definiti nel Piano nazionale per la non autosufficienza e sono a carico
del Fondo nazionale per la non autosufficienza» (22).
A parte l’inutilità
delle sopra citate disposizioni della proposta di
legge sindacale, che si limita a ripetere norme in vigore da anni, è
stupefacente che l’approvazione dei Lesna sia
condizionata dalla definizione «dei
livelli essenziali sociali». Inoltre è assai controproducente che «in caso di inadempimento
da parte del competente ente» del diritto alle prestazioni incluse nei Lesna, i Sindacati prevedano che «è ammesso ricorso in via giurisdizionale».
Ne consegue che il «competente ente» (fra l’altro non
precisato) può violare i diritti, ad esempio dimettendo l’anziano non
autosufficiente dall’ospedale senza garantire la prosecuzione delle cure,
mentre il soggetto interessato o il suo tutore possono
solamente presentare ricorso all’autorità giudiziaria.
Al riguardo è sorprendente che Cgil,
Cisl e Uil si siano
dimenticati che sono ancora in vigore l’articolo 4 della legge 12 febbraio 1968
n. 132, che prevede il ricorso contro le dimissioni e
l’articolo 4 della legge 23 ottobre 1985 n. 595, nonché il 5° comma
dell’articolo 14 del decreto legislativo 30 dicembre 1992 n. 502 che consentono
ai cittadini di presentare osservazioni e opposizioni in materia di sanità
(23).
Altre principali
carenze della proposta di legge dei Sindacati
Nella proposta di
legge predisposta da Cgil, Cisl
e Uil non ci sono cenni di sorta sui seguenti
problemi che, a nostro avviso, rivestono la massima importanza:
- l’esigibilità alle cure domiciliari. Attualmente
i malati hanno solamente diritto alle prestazioni domiciliari del medico di
base, nei casi in cui non siano in grado di recarsi presso il suo ambulatorio,
mentre è necessario, nell’interesse dei malati, prevedere norme che
stabiliscano il diritto alle cure sanitarie domiciliari (24);
- il riconoscimento del volontariato intrafamiliare (25);
- la garanzia della continuità delle prestazioni fornite
da ospedali e da case di cura private convenzionate con quelle erogate a
domicilio o dalle Rsa, in modo da evitare l’attuale collocazione
dei vecchi malati nelle liste di attesa;
- la creazione di centri diurni per i malati di Alzheimer ed i soggetti colpiti da altre forme di demenza
senile;
- l’indicazione (2° comma dell’articolo 6) secondo cui,
ove sia carente da parte dei Comuni e del Servizio
sanitario l’offerta delle prestazioni, gli interventi «possono essere erogati anche secondo le indicazioni previste
dall’articolo 17 della legge 8 novembre 2000 n. 328» e cioè mediante la
concessione di «titoli validi per
l’acquisto di servizi sociali dai soggetti accreditati dal sistema integrato di
interventi e servizi sociali».
Le prestazioni
previste come carenti dalla proposta dei Sindacati
riguardano tutti gli interventi compresi nei Lesna:
assistenza tutelare alla persona a carattere domiciliare, aiuto domestico
familiare, assistenza economica, adeguamento e miglioramento delle condizioni
abitative ai fini di una miglior fruizione dell’abitazione (26), sostegno alla
mobilità.
A questo punto
gradiremmo sapere dai Sindacati dei pensionati, visto che i Comuni e il
Servizio sanitario, nei casi di carenza degli
interventi che dovrebbero erogare “possono” ma non “devono” concedere i titoli
di cui sopra, se questa formulazione non sia tale da rendere del tutto inefficace
la dichiarata esigibilità dei diritti individuati dai Lesna.
Conclusioni
Sarebbe opportuno che, tenuto conto non solo delle vistose carenze delle norme inserite nella proposta di
legge, ma anche del notevole arretramento rispetto alla situazione attuale
(27), i Sindacati dei pensionati ritirassero la proposta in oggetto e
incominciassero – finalmente – a intervenire per la corretta attuazione delle
leggi vigenti.
(1) Nel testo non si fa nemmeno alcuna distinzione
tra i malati psichiatrici e gli individui con limitazioni intellettive.
(2) Anche se nella legislazione vigente non c’è
alcun riferimento ai soggetti con problematiche relazionali, nel testo non ne
sono indicate le caratteristiche che ne consentano l’individuazione e la
valutazione delle specifiche esigenze, nonché la predisposizione delle relative
risposte.
(3) Cfr. Gianni Pellis, “L’assistenza personale autogestita:
una realtà innovativa per le persone con handicap fisico molto grave”, Prospettive assistenziali,
n. 137, 2002.
(4) Cfr. Maria Grazia Breda e Francesco Santanera,
“Handicap e malattia: i nuovi orientamenti dell’Oms”,
Ibidem, n. 138, 2002.
(5) Negli anni ’60-’70 Cgil,
Cisl, Uil ed i movimenti di
base hanno lottato insieme per ottenere l’utilizzo da parte dei soggetti con
handicap fisici, intellettivi, sensoriali dei normali servizi della sanità,
della casa, della scuola, della formazione professionale, dell’inserimento
lavorativo, dei trasporti e degli altri settori di interesse collettivo. Dette
iniziative hanno riguardato e riguardano tutte le
suddette persone, comprese quelle definibili non autosufficienti. Adesso, con
la proposta di legge in oggetto, gli stessi Sindacati separano addirittura i
soggetti con handicap non autosufficienti e non malati, da quelli aventi le
stesse minorazioni, ma in grado di provvedere autonomamente alle loro esigenze.
Una conseguenza allarmante, come vedremo in seguito,
riguarda il futuro delle pensioni attualmente erogate alle persone colpite da
handicap fisici, intellettivi e sensoriali. Da parte nostra non vogliamo
assolutamente alcuna norma che differenzi i servizi necessari alle persone con
handicap rispetto a quelli rivolti ai soggetti normali. Occorre impedire il
ritorno ai decenni scorsi quando, con il pretesto
della predisposizione di servizi adatti alle loro esigenze specifiche, i
soggetti con handicap erano separati dai cittadini cosidetti
normali e vivevano isolati nelle scuole e nelle classi speciali, nei laboratori
protetti ed emarginati dalle altre attività di interesse sociale. Si era arrivati,
addirittura, ad escludere le persone in carrozzella dall’accesso ai mezzi
pubblici di trasporto. Rispondendo ad una interrogazione
parlamentare, il 30 ottobre 1970 il Sottosegretario di Stato per i trasporti e
l’aviazione civile aveva affermato che «il
trasporto delle persone invalide, unitamente al proprio mezzo di locomozione, è
consentito nei bagagliai dei treni viaggiatori, nei limiti dello spazio
disponibile» e aveva aggiunto quanto segue: «Non si nasconde che l’attuale disciplina possa causare qualche
disagio; per questo verrà considerata la possibilità
di prevedere, nei veicoli ferroviari di nuova costruzione, la messa a punto di
specifici ambienti riservati agli invalidi e ai rispettivi mezzi di
locomozione».
(6) Cfr. le
leggi 692/1955, 132/1968, 386/1974, 833/1978.
(7) Cfr. l’articolo
54 della legge 289/2002.
(8) Più avanti questo problema verrà esaminato a fondo.
(9) Cfr. il
già richiamato articolo 54 della legge 289/2001.
(10) Cfr. il libretto Tutti
hanno diritto alle cure sanitarie, compresi anziani malati cronici non
autosufficienti, malati di Alzheimer, malati psichiatrici handicappati con
gravi patologie, predisposto da Alzheimer Piemonte, Auser,
Avo (Associazione volontari ospedalieri), Consulta per le persone in
difficoltà, Csa (Coordinamento sanità e assistenza
fra i movimenti di base), Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti, Diapsi (Difesa ammalati psichici), Gruppo volontariato vincenziano, Sea Italia (Servizio
emergenza anziani), Società S. Vincenzo de’ Paoli, Utim (Unione tutela
insufficienti mentali). Il libretto, il cui invio è
gratuito, può essere richiesto a Prospettive
assistenziali. Si vedano, inoltre, il sito web www.fondazionepromozionesociale.it,
nonché gli articoli di Maria
Grazia Breda “I livelli essenziali di assistenza
sanitaria: i positivi risultati raggiunti dal volontariato dei diritti nella
vertenza con
(11) Anche l’attuale proposta di legge di iniziativa
popolare dei Sindacati attribuisce ad un operatore del servizio sociale il
compito di monitorare la realizzazione del piano individualizzato di assistenza
che, come stabilisce il 5° comma dell’articolo 2, comprende anche «le prestazioni di cura e di
riabilitazione».
(12) Cfr. l’editoriale del n. 102, 1993 di Prospettive assistenziali.
(13) Ibidem.
(14) Cfr. l’articolo “Se il pensionato ha l’Alzheimer. Testimonianza di un sindacalista con la madre ammalata”, Cronaca di
Bologna de l’Unità del 17 marzo 2004.
(15) Fra gli articoli pubblicati su questa rivista
riguardanti il mancato riconoscimento dei Sindacati delle condizioni di malati degli anziani malati cronici non autosufficienti
ricordiamo i seguenti: “Il Sindacato pensionati Cisl
ignora gli anziani cronici non autosufficienti”, n. 103, 1993; “Preoccupante
svolta dei Sindacati in materia di anziani cronici non autosufficienti”, n.
105, 1994; “Cgil Cisl e Uil negano lo stato di malattia degli anziani cronici non
autosufficienti”, n. 119, 1997; “Continua la polemica con
(16) A nostro avviso le dimissioni sono selvagge nei
casi in cui il soggetto malato necessita ancora di cure sanitarie.
(17) Il Comitato ha sede presso
(18) Cfr. “Che cosa fare
per evitare le dimissioni dagli ospedali degli anziani cronici non
autosufficienti: quindici anni di esperienze”, Prospettive assistenziali, n. 113, 1996.
(19) Il primo comma dell’articolo 15 della legge
328/2000 di riforma dell’assistenza è così formulato: «Ferme restando le competenze del Servizio
sanitario nazionale in materia di prevenzione, cura e riabilitazione, per le
patologie acute e croniche,
particolarmente per i soggetti non autosufficienti (…)». Le medesime
espressioni sono contenute nell’articolo 22 della
stessa legge.
(20) Si veda in questo numero l’articolo “Un
importante convegno sui contributi economici richiesti ai parenti degli anziani
cronici non autosufficienti”.
(21) Cfr. “Diritto alle
cure sanitarie:
(22) Come abbiamo precisato in precedenza, le norme
costituzionali non consentono la creazione di fondi nazionali con specifici
vincoli di destinazione.
(23) Si tratta delle norme che vengono utilizzate dal
Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti per la presentazione delle
opposizioni alle dimissioni da ospedali e da case di cura private
convenzionate, opposizioni che finora sono sempre state accolte.
(24) Cfr. “Bozza di
proposta di legge sulle cure sanitarie domiciliari”, Prospettive assistenziali, n. 140, 2002 e
“Cure sanitarie domiciliari: una proposta di legge presentata alla Regione
Piemonte”, Ibidem, n. 142, 2003.
(25) Cfr. i seguenti articoli apparsi su Prospettive assistenziali: “Proposta di delibera sul volontariato
intrafamiliare”, n. 123, 1998; “Seconda proposta di delibera sul volontariato
intrafamiliare rivolto ai congiunti colpiti da malattie invalidanti e da non
autosufficienza”, n. 124, 1998; “Approvata la prima delibera sul volontariato
intrafamiliare”, n. 133, 2001; Mauro Perino,
“Volontariato intrafamiliare: dalla sperimentazione alla regolamentazione
definitiva”, n. 144, 2003. Anche il Consiglio comunale
di Torino, con delibera 26 settembre
(26) Non si comprende che cosa possano fare i servizi
socio-sanitari per l’adeguamento e il miglioramento dei servizi abitativi,
visto che si tratta di una competenza degli Assessorati all’edilizia, nonché
delle Agenzie territoriali per la casa (già Iacp).
(27) Per
quanto riguarda la situazione attuale, ci riferiamo in primo luogo alle vigenti
leggi sanitarie e dell’accordo intervenuto con
www.fondazionepromozionesociale.it