Prospettive assistenziali, n. 153, gennaio - marzo 2006
CONTRIBUZIONI ECONOMICHE ABUSIVAMENTE IMPOSTE DA
COMUNI E ASL AI PARENTI DEGLI ASSISTITI
Come abbiamo
più volte rilevato su questa rivista e come risulta evidente dal testo delle
leggi in vigore, i Comuni e gli altri enti pubblici non possono pretendere dal
1° gennaio 2001 (1) contributi economici:
a) dai parenti non conviventi con
gli assistiti (2);
b) dai congiunti conviventi
qualora i beneficiari delle prestazioni siano ultrasessantacinquenni non
autosufficienti o soggetti con handicap in situazione di gravità (3).
Sentenza della Corte costituzionale
Nella sentenza della Corte
costituzionale n. 106 decisa il 7 marzo 2005 e depositata in Cancelleria il 18
dello stesso mese e anno, è stato affermato un principio estremamente
importante, a nostro avviso, applicabile anche per quanto concerne i contributi
economici richiesti ai parenti degli assistiti.
In effetti la sentenza ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale
dell’articolo 12 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 3 ottobre
2003, n. 15 (Anticipazione dell’assegno di mantenimento a tutela del minore)»
per quanto concerne «la surrogazione
legale della Provincia autonoma nel credito di mantenimento a fronte del
pagamento delle prestazioni assistenziali disciplinate dalla legge» succitata.
Pertanto, precisa
Da notare che
l’Avvocatura dello Stato aveva sostenuto l’illegittimità costituzionale
dell’articolo 12 della legge della Provincia autonoma di Bolzano n. 15/2003
perché «la tutela dei minori e la
disciplina dei rapporti di famiglia, anche nei loro aspetti patrimoniali, sono
sempre state considerate come una parte del diritto civile e dovrebbe essere
evitata la loro “atomizzazione” a livello regionale o provinciale, atteso che
esse si riferiscono a valori essenziali della persona che debbono
essere uniformi su tutto il territorio nazionale».
Orbene, com’è noto,
la questione dei rapporti economici fra i parenti è regolamentata dagli
articoli 433 e seguenti del codice civile. Si tratta, dunque, com’è previsto
nella sentenza in oggetto, di norme contenute in «un istituto di diritto civile».
Di conseguenza,
mentre le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano hanno competenza
per quanto concerne i rapporti con i soggetti assistiti, le suddette
istituzioni, anche dopo la legge costituzionale n. 3/2000, non hanno alcun
potere legislativo o regolamentare nei confronti dei rapporti delle persone che
non sono direttamente coinvolte nelle prestazioni di assistenza
sociale, e quindi nemmeno con i congiunti di coloro che ricevono prestazioni
sociali, salvo quelli conviventi che beneficiano pure essi degli interventi,
com’è il caso, per esempio, degli aiuti domiciliari di pulizia dell’abitazione.
Da
notare che nella legge 328/2000 mai si fa riferimento ai parenti degli
assistiti per quanto concerne le condizioni economiche, ma solamente al
richiedente (cfr. l’articolo 25 riportato
alla nota 1) o agli utenti (articoli 8 e 18).
Sulla
base di
quanto esposto in precedenza, risulta confermata ulteriormente la nostra
posizione secondo cui i Comuni, le Province, le Asl e
gli altri enti pubblici gestori delle attività socio-assistenziali non possono
pretendere contributi economici dai parenti non conviventi con gli assistiti,
nonché, per quanto concerne gli ultrasessantacinquenni non autosufficienti ed i
soggetti con handicap grave, dai congiunti conviventi.
Ricordiamo, infine, che in materia
di contributi economici, deve essere rispettato l’articolo 23 della
Costituzione che prevede quanto segue: «Nessuna
prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla
legge», legge che, ovviamente deve essere approvata dal Parlamento oppure
dal Governo sulla base di una delega concessa dalla
Camera dei deputati e dal Senato,
com’è successo con i sopra richiamati decreti legislativi 109/1998 e 130/2000.
Imposizioni abusive
Purtroppo, sono
ancora numerosi i Comuni che, sovente con il parere favorevole dei Sindacati Cgil, Cisl e Uil,
pretendono contributi economici dai parenti degli assistiti, spesso con vere e
proprie forme di ricatto. Infatti, se i parenti, conviventi o non, si rifiutano
di sottoscrivere l’impegno a pagare, il loro congiunto non viene
assistito (5).
1. Sul n. 149, 2005 di Prospettive assistenziali abbiamo segnalato l’accordo intervenuto in
data 18 dicembre 2003 fra
Secondo i Sindacati,
detto versamento, non previsto dalle leggi vigenti, è stato stabilito sulla base di «un
principio di equità, ma anche un principio di solidarietà, perché è la rete
della parentela ad essere responsabilizzata nella contribuzione e, dopo di
questa, la collettività, per la parte che eccede il “tetto di sopportabilità”» (7).
Per motivare
l’intervento economico dei parenti ricoverati presso le Rsa, nel documento
della Cgil viene affermato,
non tenendo in alcuna considerazione i più elementari principi giuridici, che
quanto stabilito dai decreti legislativi 109/1998 e 130/2000 «è superato perché si prevede una
contribuzione al 50% da parte del Comune con rimando alla regolamentazione
regionale per quanto riguarda la compartecipazione dell’utente».
È vero che
l’articolo 54 della legge 289/2002 ha previsto che gli oneri della retta praticata
dalle Rsa vengano corrisposti nella misura massima del 50% da parte dell’utente/Comune
(8), ma non rimanda assolutamente alle norme regionali la definizione degli
oneri a carico dell’utente, né prevede alcun onere a carico dei parenti dei
malati cronici.
Nel documento in
oggetto i Sindacati sostengono altresì che successivamente
all’emanazione dei sopra citati decreti legislativi «è intervenuta la riforma del titolo V della Costituzione; l’assistenza
non è citata (tranne quella propriamente sanitaria) né tra le materie di
legislazione esclusiva della Stato, né tra quelle di legislazione concorrente
Stato-Regioni. È quindi materia di legislazione regionale».
Al riguardo
In secondo luogo
Come abbiamo già rilevato, commentando la sentenza della Corte
costituzionale n. 106/2005, lo Stato non solo ha competenza esclusiva in
materia di «ordinamento civile» ai
sensi dell’articolo 117 della Costituzione, ma anche in base all’articolo 23
della stessa Costituzione. Pertanto è lo Stato, e non le Regioni, che ha competenze in merito agli eventuali oneri a carico dei
parenti degli assistiti.
In ogni caso è
singolare che gli accordi di Cgil, Cisl e Uil con il Comune di
Bergamo e di Pavia (e probabilmente anche molti altri) siano stati stipulati
prevedendo oneri per i parenti degli assistiti non previsti dalle leggi
vigenti. sarebbe quindi
interessante conoscere le opinioni dei loro associati una volta informati delle
vigenti norme di legge.
3. Anche il Comune di Parma ha fatto finora orecchie da
mercante per quanto concerne le disposizioni sui contributi economici. Infatti, continua a pretendere dai congiunti degli anziani cronici
non autosufficienti, che hanno il diritto di essere ricoverati presso le Rsa,
la previa sottoscrizione del modulo “Impegno al pagamento della retta prevista
per l’accoglienza a tempo prolungato in una struttura protetta”.
In detto modulo è
previsto che il parente «a nome e per
conto del proprio congiunto Sig./ra…
nato/a a… il… si impegna al pagamento degli oneri
finanziari conseguenti all’ospitalità del/la medesimo/a presso la struttura
protetta che saranno a totale carico proprio, degli altri familiari obbligati
ai sensi dell’articolo 433 del codice civile e dell’ospite Sig./ra…
«Con il presente impegno di pagamento, assunto in via
solidale con l’ospite, il/la sottoscritto/a, nella
qualità di cui sopra, si impegna a pagare direttamente all’ente, con le
modalità e le scadenze da esso stabilite, le rette di degenza previste e
determinate annualmente dall’ente stesso.
«Il/la sottoscritto/a accetta
fin d’ora eventuali variazioni degli importi originariamente dovuti,
conseguenti a maggiori oneri di assistenza causati da aggravamenti delle
proprie condizioni di salute certificati dall’Uvg [Unità valutativa geriatria, n.d.r.] sia da
trasferimenti in altre strutture dell’ente sia da variazioni della retta
deliberati dall’ente stesso.
«Il/la sottoscritto/a dichiara
che venendo meno all’impegno assunto, si assoggetterà, con gli altri familiari
obbligati, all’applicazione della procedura coattiva prevista dalle
disposizioni di legge, per consentire il recupero del credito.
«Per quanto occorrer possa, precisa che il presente
impegno di pagamento viene assunto dal/la
sottoscritto/a in proprio nome e per conto degli altri familiari obbligati e
dell’ospite Sig./ra… quale
assunzione del debito nei termini di cui sopra, in via solidale».
Da notare che, quale
modalità di pressione e di ricatto, la mancata sottoscrizione dell’impegno di
cui sopra determina il rifiuto del Comune di Parma a provvedere al ricovero del
soggetto cronico non autosufficiente, nonostante che le leggi vigenti, compreso
l’articolo 54 della legge 289/2002, assicurino agli
anziani colpiti da patologie invalidanti e da non autosufficienza il personale
diritto alle cure presso le Rsa (9).
Va, inoltre,
aggiunto che, richiedendo la sottoscrizione dell’impegno di cui sopra
riportato, i servizi sociali del Comune di Parma impongono altresì la
comunicazione dei nominativi e degli indirizzi degli
obbligati al mantenimento ai sensi dell’articolo 433 del codice civile,
costringendo il parente sottoscrittore a violare la legge sulla riservatezza
dei dati personali, infrazione che coinvolge anche gli stessi addetti del
Comune di Parma, nonché i responsabili del provvedimento amministrativo
concernente le modalità di corresponsione delle rette di ricovero.
4. Il Comitato dei genitori di soggetti maggiorenni con handicap intellettivo
che frequentano un Centro diurno si sono rivolti al difensore civico della Provincia di
Arezzo per sapere se era corretto che le quote richieste agli utenti fossero
calcolate sulla base delle risorse dell’intero nucleo familiare.
Il Difensore civico,
avvocato Federica Bartolini, ha risposto in data 24
novembre 2005 precisando che «l’Amministrazione
non può estendere la sua valutazione al reddito familiare, ma deve far
riferimento esclusivamente alla situazione economica del solo assistito»,
aggiungendo che la normativa vigente (leggi 104/1992 e 328/2000 e decreti
legislativi 109/1998 e 130/2000) «ha carattere
prescrittivo e cogente e non semplicemente
programmatico».
Di conseguenza,
puntualizza il Difensore civico, «il
regolamento comunale nel disciplinare la materia avrebbe dovuto osservarne il
contenuto».
Infine, «ciò posto, il Difensore civico richiede
notizie più precise e circostanziate sull’argomento, invitando
l’Amministrazione, nel frattempo, a non avviare atti ingiuntivi, né iscrizioni
nei ruoli delle somme che si presumessero dovute».
Il suddetto parere,
pienamente conforme alle norme vigenti, è respinto dal Sindaco di Civitella in Val di Chiana, Massimiliano Dindalini che, dopo aver ricordato che «in data 14 novembre 2003 il Consiglio comunale con atto n.
Il Sindaco aggiunge
che «non risulta essere stato ancora
emanato il decreto di cui all’articolo 3 comma 2 ter
del decreto legislativo n. 130/2000, che avrebbe dovuto fissare i limiti di applicazione della disposizione relativa al reddito di
riferimento per i cittadini con disabilità grave e gli ultrasessantacinquenni».
Le affermazioni del
Sindaco sono del tutto infondate in quanto nelle leggi
vigenti non c’è alcuna disposizione che «lascia
liberi gli enti di effettuare una serie di scelte ritenute più consone agli
obiettivi prefissati».
Inoltre, il Sindaco
dimentica (volutamente?) che il decreto previsto dal comma 2 ter dell’articolo 3 del testo unificato dei
decreti legislativi 109/1998 e 130/2000 ha lo scopo di «evidenziare la situazione economica del solo assistito» per quanto
concerne i soggetti con handicap grave e gli ultrasessantacinquenni non
autosufficienti (10).
Il Sindaco di Civitella in Val di Chiana, invece di applicare la legge e,
ad esempio, di aumentare di qualche centesimo l’Ici (Imposta comunale sugli
immobili) minaccia di impedire la frequenza del centro diurno affermando che «se vi sarà, da parte dei genitori dei
ragazzi frequentanti i centri per disabili, un rifiuto a sostenere le spese relative agli importi richiesti, ci vedremo costretti a non
rinnovare le convenzioni in atto, per l’anno 2006, con le strutture per
problematiche di carattere economico», scordando anche in questo caso che i
Comuni sono obbligati fin dal regio decreto 773/1931 (articoli 154 e 155) ad
assistere i soggetti con handicap inabili al lavoro. Se rispettasse le leggi e
le esigenze dei soggetti con handicap, il Comune dovrebbe riconoscere l’assunzione,
da parte dei congiunti del ruolo, alta-mente sociale, concernente il
volontariato intrafamiliare (11), assunzione che determina altresì consistenti
risparmi da parte dell’ente locale che, altrimenti, sarebbe
costretto a provvedere al loro ricovero, senza alcun onere economico per iparenti.
Il Comune di Bologna
ha inviato una ingiunzione di pagamento allo zio
materno di una persona colpita da gravissimo handicap invalidante (100%)
frequentante da circa vent’anni un centro diurno, il
cui importo della pensione è di appena 244,20 euro, mentre la misera indennità
di accompagnamento (che non costituisce reddito) è di euro 443,83.
L’ingiunzione di pagamento è una misura estremamente vessatoria in quanto o si provvede al
versamento del denaro richiesto (nel caso in esame euro 196,48 al mese, per cui
l’utente dovrebbe vivere con meno di 3 euro al giorno) (12) oppure si deve
avviare (com’è successo nel caso in esame) una causa civile assumendone tutti i
conseguenti oneri a partire dalla parcella del legale.
Conclusioni
È assai allarmante che vi siano
ancora numerosi Comuni che continuano ad ignorare le leggi e impongono, a volte
con il ricatto, oneri economici abusivi ai congiunti di persone con handicap
grave o di ultrasessantacinquenni colpiti da patologie invalidanti e da non
autosufficienza.
È altrettanto preoccupante che i Sindacati Cgil, Cisl e Uil,
invece di tutelare i diritti degli utenti, stipulino accordi in cui sono
previsti oneri per i congiunti.
Da parte nostra ci impegniamo a
proseguire la nostra azione di tutela della legalità e dei diritti dei
cittadini incapaci di autodifendersi, grazie anche all’aiuto fornitoci dal Csa (Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di
base) e dalla Fondazione Promozione sociale.
(1) È, all’incirca, la data di entrata in vigore
della legge 328/2000 di riforma dell’assistenza, il cui articolo 25 è così
redatto: «Ai fini dell’accesso ai servizi
disciplinati dalla presente legge, la verifica della condizione economica del
richiedente è effettuata secondo le disposizioni
previste dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, come modificato dal
decreto legislativo 3 maggio 2000, n. 130». A seguito dell’entrata in
vigore delle disposizioni sopra citate, sono state abrogate le discutibili
norme sulle contribuzioni economiche previste dalla legge
1580/1931.
(2) In base all’articolo 2 del testo unificato dei
citati decreti legislativi 109/1998 e 130/2000, risulta quanto segue:
- comma 1: «la valutazione della situazione economica del richiedente
è determinata con riferimento alle
informazioni relative al nucleo familiare di
appartenenza»;
- comma 2: «Ciascun
soggetto può appartenere ad un solo nucleo familiare»;
- comma 6: «Le
disposizioni del presente decreto non modificano la disciplina relativa ai soggetti tenuti agli alimenti ai sensi
dell’articolo 433 del codice civile e non possono essere interpretate nel senso
dell’attribuzione agli enti erogatori della facoltà di cui all’articolo 438,
primo comma, del codice civile nei confronti dei componenti il nucleo familiare
del richiedente la prestazione sociale agevolata».
Premesso che il primo comma dell’articolo 438 del codice civile stabilisce
che «gli alimenti possono essere chiesti solo da chi versa in istato di bisogno e non è in grado di provvedere
a se stesso», ne deriva che per nessun motivo possono essere
avanzate richieste di rivalsa ai parenti non conviventi con l’assistito.
(3) Il comma 2 ter
dell’articolo 3 del decreto legislativo 109/1998, come risulta modificato dal
decreto legislativo 130/2000 stabilisce quanto segue: «limitatamente alle
prestazioni sociali agevolate assicurate nell’ambito di percorsi assistenziali integrati di natura socio-sanitaria, erogate a
domicilio o in ambito residenziale a ciclo diurno o continuativo, rivolte a
persone con handicap permanente grave, di cui all’articolo 3, comma 3 della
legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertato ai sensi dell’articolo 4 della stessa
legge, nonché a soggetti ultrasessantacinquenni la cui non autosufficienza sia
stata accertata dalle aziende unità sanitarie locali, le disposizioni del
presente decreto si applicano nei limiti stabiliti con decreto del Presidente
del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la solidarietà sociale
e della sanità. Il suddetto decreto è adottato, previa intesa con
• i decreti amministrativi non possono modificare in nulla e per nulla le
disposizioni aventi valore di legge, come lo sono i decreti legislativi
109/1998 e 130/2000;
• il decreto amministrativo di cui sopra non è più necessario in quanto la
legge 328/2000 indica in modo dettagliato le misure dirette a «favorire la permanenza dell’assistito
presso il nucleo familiare di appartenenza»;
• se la mancata emanazione di un decreto
amministrativo potesse bloccare o sospendere una legge, significherebbe che il
Presidente del Consiglio dei Ministri può limitare i poteri del Parlamento
compiendo una semplice omissione.
(4) Il secondo comma dell’articolo 117 della
Costituzione stabilisce quanto segue: «Lo
Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: (…) l) giurisdizione e
norme processuali, ordinamento civile e penale, giustizia amministrativa».
(5) Si tratta di una deplorevole violenza anche nei
confronti dell’assistito che l’ente pubblico rifiuta di assistere nonostante
che le leggi vigenti (si veda per ultimo l’articolo 54 della legge 289/2002 sui
Lea, Livelli essenziali di assistenza) prevedano diritti esigibili in materia
di prestazioni sanitarie e sociosanitarie. Da notare che, se sottoscrivono una impegnativa con un ente pubblico o privato che gestisce
strutture residenziali, i parenti sono costretti a corrispondere somme, spesso
non indifferenti (in certi casi 60-70mila euro per un ricovero della durata di
due anni), non perché obbligati dalle leggi, ma per il fatto di aver assunto un
obbligo di natura contrattuale. Si può ovviare al ricatto sottoscrivendo
l’impegnativa imposta dal Comune (al fine di ottenere la prestazione, ad
esempio il ricovero presso una Rsa, Residenza sanitaria assistenziale)
e inviando la relativa disdetta appena ottenuta la prestazione. La disdetta non
è praticabile se l’impegnativa è stata sottoscritta a favore di
Ipab (Istituzioni pubbliche di assistenza e
beneficenza) o di enti privati.
(6) Ricordiamo che in data 15 novembre 2002
l’Assessore ai servizi sociali della Regione Marche ha affermato che i suoi
uffici hanno «più volte espresso parere
circa l’applicazione del decreto legislativo 130/2000, ribadendo che il calcolo
del reddito vada effettuato in modo individuale, e non del nucleo familiare,
per i portatori di disabilità e per gli ultrasessantacinquenni» ed ha
aggiunto che «anche per quanto riguarda
la compartecipazione dei familiari, si è precisato che, in base all’articolo
433 del codice civile, questa deve essere richiesta solo dall’interessato e non
direttamente dall’ente erogante il servizio» (cfr.
Prospettive assistenziali,
n. 152, 2005, pag. 8). Segnaliamo, inoltre, che
(7) È sperabile che detti principi di equità e di
solidarietà, a cui fanno appello Cgil, Cisl e Uil per il ricovero degli
anziani affetti da malattie croniche, non vengano invocati dagli stessi
Sindacati per le «prestazioni di tipo
riabilitativo che necessitano di trattamenti prolungati» com’era ipotizzato
nella proposta di legge di iniziativa popolare redatta nel 1993 dal
Dipartimento alle politiche sociali della Cgil
nazionale. Cfr. “Una irragionevole
e controproducente proposta di legge dei Sindacati dei pensionati Cgil, Cisl e Uil
sulla non autosufficienza”, Prospettive
assistenziali, n. 152, 2005.
(8) La delibera della Giunta della Regione Piemonte
n. 17/2005 stabilisce che la retta delle Rsa è corrisposta nella misura del 54%
da parte del Servizio sanitario regionale, mentre il 46% è a carico
dell’utente, ma solamente nel limite delle sue personali risorse economiche.
(9) Avendo le leggi sanzionato il diritto esigibile
al soggetto malato cronico non autosufficiente alle prestazioni del Servizio
sanitario nazionale, è evidente che la sua attuazione non può per nessun motivo
essere condizionata dal comportamento dei congiunti.
(10) In merito all’applicabilità dei sopraccitati
decreti legislativi anche in assenza del decreto a cui fa riferimento il
Sindaco di Civitella in Val di Chiana, abbiamo già
esposto le nostre considerazioni nella nota 3.
(11) Cfr. Mauro Perino, “Volontariato intrafamiliare: dalla sperimentazione
alla regolazione definitiva”, Prospettive
assistenziali n. 144, 2003. Il principio del
volontariato intrafamiliare è stato riconosciuto anche dal Consiglio comunale
di Torino con la delibera del 26 settembre 2005 avente per oggetto “Riordino
delle prestazioni sociali e sociosanitarie”.
(12) Da
notare che in base alle citate leggi vigenti, il Comune di Bologna non solo
deve far riferimento esclusivamente alla situazione economica personale
dell’assistito, ma non può nemmeno considerare uno zio fra le persone che sono
tenute agli alimenti.
www.fondazionepromozionesociale.it