Prospettive assistenziali, n. 153, gennaio - marzo 2006

 

L’AFFIDAMENTO FAMILIARE DI MINORI STRANIERI

LIANA BURLANDO *

 

 

 

La presenza crescente in Italia di minori stranieri (con o senza famiglia) ed il fatto che diversi siano gli inserimenti in strutture residenziali a fronte di un esiguo numero d’affidamenti familiari, ha portato il Cnsa (Coordinamento nazionale dei servizi affido) ad un’articolata riflessione per leggere i nuovi bisogni e poter offrire di conseguenza risposte adeguate.

L’emigrazione è un evento sociale ed esistenziale fortemente segnato dal rischio, che non sempre prevede misure di salvaguardia e di protezione, in cui la recisione dei legami con il paese d’origine è molto netta.

Gli immigrati vivono situazioni spesso ambivalenti: la vita, le condizioni in cui si trovano non sono quelle che speravano o immaginavano, ma non riescono a migliorarle. Il ritorno in patria non è possibile perché sarebbe un ritorno da sconfitti, perdenti; sembra che restino in attesa degli eventi, subendoli. Ciò vale ancor di più per i minori, i quali, generalmente, sono legati alle scelte della loro famiglia (emigrare, rientrare nel paese d’origine o rimanere nel paese d’immigrazione), che a loro volta sono condizionate dalle opportunità che il paese d’arrivo offre e, più in generale, dalla politica che quest’ultimo adotta nei confronti dell’immigrazione.

Fino a qualche anno fa in Italia non erano presenti molti minori o famiglie straniere: le donne erano quasi sempre sole, occupate come colf fisse e per alcune aree geografiche; gli uomini erano soli e venivano per lavoro o per studio.

Negli ultimi anni si sono andate confermando situazioni prima quasi inesistenti:

• donne sole, capofamiglia, con minori, sfuggite a situazioni di guerra o di sfruttamento;

• ricongiungimenti familiari, in cui spesso il padre è in Italia da solo, con uno o più figli adolescenti, essendo la madre rimasta in patria con i figli più piccoli;

• ricongiungimenti familiari di nuclei familiari assai numerosi, dove sovente uno solo dei genitori ha un lavoro, magari precario.

Le famiglie si trovano così a vivere situazioni di estremo disagio per la mancanza del sostegno di altri membri adulti della famiglia, di adeguate soluzioni abitative, ed una condizione di perenne precarietà in assenza di garanzie che potrebbero assicurare alla famiglia immigrata migliori e più durature condizioni di vita. Ulteriori ostacoli sono rappresentati da orari di lavoro incompatibili con gli orari scolastici dei figli, da problemi linguistici nel seguire i loro studi, e, non ultimo, da una serie di quotidiane frustrazioni nel vedere irrealizzati i sogni e i desi­-
deri che sempre accompagnano un processo migratorio.

Bisogna poi avere sempre presente che le famiglie straniere sono portatrici di riferimenti culturali diversi che inevitabilmente le condizionano anche nella relazione con i servizi e nell’approccio all’affido familiare.

Perché i minori stranieri ottengano reali benefici nell’affido familiare è necessario tener conto della complessità delle dinamiche che tale intervento può indurre nella loro famiglia e in loro stessi ed in particolare che cosa può rappresentare, per loro e per i genitori, la delega, se pur temporanea e non totale, della loro educazione a persone disponibili ma appartenenti ad altra cultura.

Per quanto riguarda i genitori, come già evidenziato, è molto probabile un atteggiamento di sospetto e diffidenza per l’appartenenza degli affidatari a quella cultura cui spesso attribuiscono le loro difficoltà relazionali con il figlio e che fa temere loro pertanto che l’affido possa essere solo un’ulteriore occasione perché quest’ultimo rifiuti o perda i riferimenti ed i valori della loro cultura. L’aiuto che gli affìdatari possono allora dare è principalmente quello di fornire ai minori stranieri maggiori competenze personali e sociali per integrarsi nel paese ospitante e ciò è possibile nella misura in cui riescono a far scoprire ed assimilare i valori positivi di ambedue le culture a cui appartengono, in modo da poter acquisire un’identità multietnica integrata.

È indispensabile, quindi, il riconoscimento da parte di chi li ospita della validità della loro cultura d’origine e l’interesse a conoscerne gli aspetti più essenziali, in modo da comprenderli, ma anche da poter essere veramente vicini ed aiutarli concretamente anche nelle eventuali difficoltà che essi possono trovare nel confronto tra le due culture.

Ciò vale non solo per chi accoglie ragazzi in situazioni di contrasto con la propria famiglia, ma anche per chi accoglie bambini stranieri anche piccoli che vengono allontanati dalle loro famiglie solo per questioni di indigenza o di temporanea mancanza di abitazione adeguata dei loro genitori.

 

Per affrontare più adeguatamente questo delicato tema, è opportuno tenere conto anche di quanto emerso dall’indagine curata, nel 2003, dal Dipartimento immigrazione e politiche sociali dell’Anci, sulla presenza in Italia di minori stranieri non accompagnati, che in particolare ha messo in luce come tale fenomeno sia in crescita: dal 2002 al 2003 il numero delle presenze è aumentato del 14%.

È in crescita, seppure in maniera meno rilevante, anche il tempo della presa in carico: nel 2002 i minori assistiti dai Comuni per più di un mese sono stati pari al 39%, percentuale che è salita al 41% nel 2003.

È in lieve crescita anche il numero di minori non accompagnati che, dopo un periodo d’assistenza, si sono resi irreperibili: il dato emerge con più evi­denza nei Comuni con meno di 15.000 abitanti, che presentano un aumento del 25% dal 2002 al 2003, rispetto al 3% dei Comuni con più di 15.000 abitanti.

Il numero molto basso di richiedenti asilo tra i minori non accompagnati distingue inoltre la situazione italiana rispetto alla gran parte dei Paesi dell’Unione europea. Paesi come Gran Bretagna, Olanda, Svezia, Danimarca non hanno adottato strumenti di tutela specifica dei minori non accompagnati: l’unico titolo per permanere sul territorio in condizione di regolarità è il riconoscimento dello
status di rifugiato o di altre tipologie di protezione, per l’ottenimento delle quali la minore età non è condizione sufficiente.

L’analisi della variazione percentuale delle presenze per ciascuna Regione (2002/2003) fornisce un quadro piuttosto dinamico del fenomeno. Prendendo in considerazione le Regioni che hanno numeri rilevanti di minori, si vede come nel 2003 ci sia stato un aumento del fenomeno superiore alla media nazionale in Abruzzo, Toscana, Campania, Umbria, Friuli e Veneto, mentre esso è in significativa diminuzione in Puglia e nelle Marche. Per quanto riguarda la Puglia, la diminuzione può essere collegata alla riduzione degli arrivi dall’Albania, rispetto alla quale la regione rappresenta l’approdo privilegiato.

I minori stranieri non accompagnati di cittadinanza rumena si concentrano principalmente nel Friuli (prevalentemente a Trieste e Udine), in Lazio (quasi esclusivamente a Roma) ed in Lombardia (innanzitutto a Milano). Anche in Toscana il fenomeno è concentrato nel capoluogo di regione e così in Piemonte. Più diffusa sul territorio appare la presenza di minori rumeni in Emilia Romagna dove, pur essendo prevalente la presenza a Bologna, numeri non irrilevanti si trovano anche nelle città di Reggio Emilia, Parma e Modena.

I minori provenienti dall’Albania si trovano sia al nord sia nel sud del Paese, anche se con prevalenza nell’area rivolta ad est, sul mare Adriatico. La migrazione di minori albanesi, a differenza di quella rumena, appare come un fenomeno prevalentemente “cittadino”, con concentrazioni soprattutto a Firenze ed in Puglia. In quest’ultima tale presenza assume caratteristiche piuttosto diverse da quelle che improntano il fenomeno a livello nazionale: i minori sono, infatti, distribuiti tra ben 20 città con più di 15.000 abitanti. Da notare anche il numero consistente di minori in una regione di dimensioni demografiche non elevate come le Marche, in particolare nelle città di Ancona, Pesaro e Fano.

L’area di provenienza dei minori non accompagnati dal Marocco è piuttosto delimitata: la gran parte di loro arriva, infatti, dall’area intorno a Khouribga, nel Marocco centrale, e da Casablanca.

I minori marocchini si trovano prevalentemente in Lombardia (con una forte concentrazione a Milano), Piemonte (soprattutto a Torino, ma anche nei Comuni con meno di 15.000 abitanti) ed Emilia Romagna, dove si ritrova la diffusione territoriale che abbiamo visto caratterizzare il fenomeno rumeno ed albanese. Anche la Campania (prevalentemente Salerno) e la Liguria sono tra le Regioni che hanno avuto più di 50 minori non accompagnati provenienti dal Marocco.

Per quanto riguarda la spesa sostenuta dai Comuni, nel 2002 e nel 2003, per la presa in carico di minori non accompagnati, si rileva che, in termini percentuali, la spesa è cresciuta in maniera più che proporzionale rispetto al numero di minori: in questo periodo il numero di minori cresce del 14%, mentre la spesa aumenta del 20%.

 

Nel presentare ora i contenuti del documento elaborato dal Cnsa e condiviso con le associazioni, sottolineo che la riflessione è stata dedicata alle possibilità e modalità per l’affido di minori stranieri residenti in Italia con la propria famiglia e di minori stranieri non accompagnati, tenendo conto di due aspetti principali:

• se e quali sono le difficoltà a proporre ed avviare affidamenti familiari di minori stranieri e a reperire famiglie idonee alla loro accoglienza;

• se e come è possibile attivare affidi familiari omoculturali (famiglie della stessa etnia).

 

Per tali situazioni non sono sufficienti le risorse consuete. Occorre, innanzi tutto, che i servizi formino i propri operatori in merito alle diverse identità culturali e i conseguenti usi e comportamenti, verifichino l’adeguatezza o meno della propria organizzazione e predispongano ed attivino ausili specifici: percorsi di “rete” madre-bambino, affidi congiunti madre-bambino, affidi consensuali di appoggio al nucleo, calibrati in modo da rispondere al meglio a questi “nuovi” bisogni sociali.

Ciò comporta una modifica della metodologia operativa da parte dei servizi affido, sia rispetto alla valutazione della famiglia affidataria, all’abbinamento e al sostegno, sia rispetto al monitoraggio e verifica di tali esperienze.

È necessario, infatti, garantire ai minori stranieri strumenti di aiuto analoghi a quelli di cui usufruiscono i ragazzi italiani, ricercando percorsi che li possano garantire e favorire: come sottolineato nell’editoriale del n. 3/1999 di Minori Giustizia: «Dobbiamo ricercare quali sono i valori universali che possiamo richiedere a tutti, e quindi da subito anche agli stranieri, a protezione dei bambini stranieri».

Non bisogna poi dimenticare che questi minori possono trovarsi a:

- vivere fra due identità culturali;

- appartenere ad una minoranza e percepire un senso di diversità, con sviluppo di sentimenti ed atteggiamenti remissivi o di esaltazione di tale diversità;

- vivere sentimenti di rifiuto della cultura d’origine e dei relativi modelli di comportamento, con conseguenti conflitti all’interno della propria famiglia.

Tutti i progetti d’affido che riguardano minori stranieri non possono prescindere, quindi, dalla conoscenza delle differenze culturali e religiose e dalla collaborazione che si potrebbe attivare con le varie etnie utilizzando più figure professionali.

Le esperienze avviate in questi anni dalle Amministrazioni sono ancora limitate; tuttavia ve ne sono alcune che introducono elementi d’innovazione, quali, ad esempio, l’affido a famiglie della stessa etnia del minore (affido omoculturale). Riguardo a quest’ultimo punto, occorre però tenere particolarmente presente le impostazioni ed usi di ogni gruppo rispetto alle situazioni di minori con famiglie in difficoltà: vi è chi, in questi casi, ha “tradizioni” di accoglienza in gruppi familiari allargati e, in questo caso, avrà meno difficoltà ad accettare un affido familiare se omoculturale; in altri questa esperienza non è consueta ed anzi può essere vissuta come particolarmente “disonorevole”, ma c’è attenzione rilevante per i minori e la proposta di affido può essere compresa ed accettata proprio nell’interesse del minore; altri gruppi, ancora, per le loro tradizioni e superstizioni, possono accettare una  proposta di affido, ma non presso una famiglia della propria etnia.

L’attivazione di risorse anche nell’ambito dell’affido omoculturale non può prescindere da una forte azione di sensibilizzazione tramite contatti autorevoli con i gruppi delle diverse etnie presenti sul territorio locale per incontri di discussione e scambio, per:

• fornire informazioni e diffondere conoscenza sui servizi, sui punti valoriali rispetto alla protezione e cura del minore (ad esempio: no allo sfruttamento minorile), nel rispetto dell’identità culturale;

• informare sulla risorsa affido;

• sviluppare sensibilità e disponibilità all’affido.

La collaborazione, in tale fase, con associazioni e persone significative riconosciute dalle diverse etnie quali risorse d’informazione e integrazione sociale, può favorire notevolmente l’approccio con le differenti etnie e l’attenuarsi della diffidenza nei confronti del servizio pubblico, consentendo di poterlo riconoscere sia come risorsa nei momenti di difficoltà sia come catalizzatore delle disponibilità solidali nei confronti di minori in difficoltà.

Anche per quanto riguarda la ricerca di disponibilità di famiglie italiane per l’affidamento di minori stranieri (affido eteroculturale) non si può prescindere da un’informazione cui siano partecipi tutti i componenti del nucleo affidatario, anche i figli adolescenti o giovani adulti, circa i valori di riferimento e le differenze culturali e religiose.

Le radici culturali connotano le modalità relazionali e gli stili di vita e comprenderli agevola la comunicazione: si possono organizzare incontri con rappresentanti delle comunità, docenti universitari esperti di una data cultura, giuristi, etno-psicologi, etno-pedagogisti, ecc.

Obiettivi dei percorsi informativi e formativi, sia per l’affido omoculturale sia per quello eteroculturale, rimangono dunque, la conoscenza reciproca e lo scambio culturale, nonché la sollecitazione alla solidarietà.

Il percorso metodologico operativo di affido di minori italiani e stranieri è identico (valutazione, abbinamento, sostegno, diritti e doveri della famiglia affidataria), come pure l’attivazione delle varie tipologie di affido (residenziale, diurno, fine settimana e vacanze), ma le famiglie italiane disponibili all’affido di minori stranieri devono essere consapevoli che non si troveranno di fronte un soggetto con i loro stessi valori culturali e religiosi, che il bambino ha un’identità culturale diversa, che è in bilico fra due mondi e quindi è estremamente fragile.

Sono quindi richieste loro particolari caratteristiche e competenze, oltre a quelle in genere previste per l’affido di ragazzi italiani:

essere salde sui propri modelli di riferimento, ma capaci di accettare e riconoscere la diversità (ad esempio, non andare in crisi perché vengono messi in discussione o contrastati i propri modelli culturali);

essere disponibili e interessate a conoscere e confrontarsi con modelli culturali diversi dai propri, che costituiscono comunque una “ricchezza”, mediandoli all’interno della quotidianità.

Ma vi sono altri evidenti elementi che ostacolano un adattamento reciproco tra bambino e affidatari di altra etnia, in cui anche il primo possa avere una parte attiva nella costruzione del nuovo legame e quindi un giovamento dall’esperienza dell’affidamento.

In primo luogo la diversità del linguaggio e, a volte, anche la diversità nell’esprimersi con messaggi veicolati dalla mimica e dagli atteggiamenti corporei.

In secondo luogo, la probabile diversità tra ciò che è stato acquisito in passato dal bambino in termini di abitudini di vita e ciò che gli viene proposto dagli affidatari in rapporto alla loro cultura sia nell’ambito domestico sia nel più vasto ambito delle relazioni sociali.

In terzo luogo, infine, le diversità rispetto al passato che egli può sperimentare nella nuova famiglia nel ruolo di “bambino” che gli viene proposto, che corrisponde a diversi modi di intendere le caratteristiche infantili e l’educazione nelle diverse culture, e che spesso richiedono anche da parte sua un diverso modo di rapportarsi agli adulti in genere, all’interno, ma anche all’esterno della famiglia. Il rischio è che il minore usi alternativamente schemi di comportamento diversi a seconda di quando si rapporta con gli affidatari o con i suoi genitori.

Tutto questo si può evitare se genitori e affidatari accettano reciprocamente la validità delle due culture di provenienza e riescono di conseguenza a concordare nella crescita del bambino modalità e mete comuni che siano frutto di un avvicinamento e di un’integrazione delle loro convinzioni e delle loro tradizioni, piuttosto che di un’accettazione solo formale da parte dell’uno dei punti di vista dell’altro.

Ciò comporta peraltro che all’inizio dell’affidamento siano soprattutto gli affidatari ad accettare gli stili di vita e le modalità espressive a cui il bambino è abituato, adeguandosi ad essi e proponendo solo gradatamente, e in accordo con i genitori, cambiamenti che favoriscano il suo inserimento nel nuovo nucleo e nel contesto ambientale in cui esso è collocato, mentre in seguito siano i genitori a non stigmatizzare comportamenti ed abitudini che il figlio va gradatamente assumendo.

Ma questo è tanto più possibile quanto più vi è fin dall’inizio tra le due famiglie una stima ed una fiducia reciproca.

La figura del mediatore culturale, che si aggiunge agli altri attori dell’affido, distingue ancora il progetto dell’affidamento di un minore straniero da quello di un minore italiano.

Per quanto riguarda i minori stranieri non accompagnati che arrivano in Italia con la speranza di trovare un proprio futuro, possiamo equipararli ai ragazzi italiani che fino a cinquant’anni fa, per lo stesso motivo, emigravano da soli all’estero.

Cercando di imparare, quindi, dalla storia, possiamo evidenziare che è necessario offrire loro un “inserimento assistito” rispetto all’età e alle motivazioni che li hanno indotti alla “fuga” in Italia e si può quindi ipotizzare, più che un affido “canonico”, l’offerta da famiglie (o single), italiane o straniere, di una “esperienza di familiarità”, con un’azione particolarmente dedicata all’accompagnamento, attraverso un tutoraggio concreto unito ad una “intensa” accoglienza.

Un’ultima osservazione va dedicata alle esperienze d’ospitalità temporanea di minori stranieri, nate con l’obiettivo di offrire loro soggiorni per scopi sanitari, assistenziali, per scambi culturali e di tipo turistico. Tali vicende si sono sviluppate in Italia dal disastro di Chernobyl ed ampliate con esperienze di gemellaggio fra città italiane e paesi dell’Est europeo.

Questo fenomeno, non afferente ai servizi affidi, è stato portato all’attenzione di numerose associazioni che si occupano del settore minorile, più a conoscenza della situazione dal punto di vista sia qualitativo sia quantitativo.

Esse segnalano con forte preoccupazione come la mancanza di controlli possa creare inadeguate attese nei minori e nelle famiglie che li accolgono, anche riguardo al loro futuro, e creare situazioni di rischio.

Il Coordinamento nazionale servizi affido ha accolto tali preoccupazioni e ripresenta questo fenomeno sommerso affinché ci sia un momento di riflessione per individuare competenze, criteri e collaborazioni in merito.

 

 

(*) Responsabile del progetto “Affido familiare” del Comune di Genova. Relazione svolta al seminario “Le nuove frontiere dell’affidamento familiare: i minori stranieri” (Torino, 27 gennaio 2005), organizzato dall’Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie e dalla fondazione promozione sociale con il contributo dei Servizi sociali del Comune di Torino e con la collaborazione del Centro dei servizi per il volontariato Vssp.

 

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