Prospettive assistenziali, n. 153, gennaio - marzo 2006
Libri
CHIARA SARACENO (a cura di), Le dinamiche
assistenziali in Europa - Sistemi nazionali e locali di contrasto alla povertà,
Società Editrice Il Mulino, Bologna, 2004, pag. 272, euro 19,00.
Come osservano Yves Bonny e Nicoletta Bono «al
fine di comprendere i meccanismi concreti di una misura di sostegno al reddito
e la sua efficacia di contrasto alla povertà, occorre insieme contestualizzarla e ricostruirne in dettaglio i
funzionamenti concreti».
Gli Autori propongono, quindi, tre livelli di analisi:
«Il primo riguarda il contesto
socio-demografico in cui una data misura viene applicata (…). Il secondo
livello di analisi deve tener conto del fatto che le
misure di sostegno al reddito sono attuate all’interno di formazioni sociali
caratterizzate da sistemi di riferimento culturale e politico per nulla
omogenei, che hanno un ruolo rilevante nella costruzione sociale della povertà
e nell’elaborazione di politiche (…). Infine, non si può comprendere pienamente
una specifica misura di contrasto alla povertà se non la si
colloca nell’insieme del sistema di protezione sociale in atto in un
determinato paese».
Ne consegue, come rileva Chiara Saraceno, che «il numero e le caratteristiche dei beneficiari di assistenza
sociale non sono solo un buon indicatore sociale della affidabilità ed
efficacia di un dato stato sociale nel suo insieme, ma della misura in cui le
politiche del lavoro, il sistema di previdenza e di sicurezza sociale, le
politiche della famiglia riescono o meno a offrire sostegni adeguati. Sono
anche un indicatore del tipo di “rischi” o “fallimenti” riconosciuti come
meritevoli di sostegno e a quali condizioni».
Sulla base di queste premesse, il volume mette a confronto le
concrete modalità operative attualmente intraprese in Europa: chi viene assistito
nei diversi sistemi nazionali e locali? per quanto
tempo in media riceve assistenza? in quali circostanze
è più facile che essa si prolunghi? è l’assistenza a
provocare dipendenza o sono particolari debolezze sociali e personali? esistono misure di inserimento lavorativo e che efficacia
hanno?
A queste domande il volume offre risposte articolate sulla
base di una ricerca che ha coinvolto tredici città, fra le quali
Cosenza, Milano e Torino, di sei paesi europei: Francia, Germania, Italia,
Portogallo, Spagna e Svezia.
MICHELE PETRONE, guida
teorico-pratica alla tutela dei genitori, Ebit Edizioni, Lecce, 2004,
pag. 736, euro 80,00.
Il manuale ha lo scopo di sciogliere i numerosi dubbi interpretativi legati
alla lettura comparata tra le disposizioni legislative concernenti
la tutela e il sostegno della maternità e della paternità con le
clausole di maggior favore previste dalla contrattazione collettiva delle
pubbliche amministrazioni (enti locali, scuola, sanità, ministeri, università,
enti pubblici non economici, istituzioni ed enti di ricerca, agenzie fiscali,
ecc.).
Nel volume sono riportate le principali circolari esplicative emanate in materia e le posizioni dei vari istituti
previdenziali (Inps e Inpdap),
di alcuni dicasteri (Ministeri del lavoro e delle politiche sociali,
dell’interno e della giustizia, ecc.), nonché gli indirizzi assunti dalla
giurisprudenza di merito e di legittimità (giudici
del lavoro, tribunali
amministrativi regionali, Consiglio di Stato, Corte di cassazione, Corte
costituzionale, Corte di giustizia europea).
Inoltre, sono presi in esame altri importanti
aspetti quali il divieto di licenziamento, le dimissioni, il lavoro notturno,
la conservazione del posto e delle mansioni, il sistema sanzionatorio,
l’applicazione del principio di non discriminazione e l’assegnazione ad altra
sede lavorativa ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa.
jACQUES pOHIER, La morte opportuna - I diritti dei viventi
sulla fine della loro vita, Edizioni Avverbi, Piazza in Piscinula
1, Roma, 2004, pag. 283, euro 14,00.
Dopo anni dall’uscita presso le Editions du seuil
(1998) viene pubblicato in Italia il volume di Jacques Pohier, domenicano dal
1949 al 1989.
Secondo l’Autore non c’è «alcuna
ragione cristianamente fondata che impedisce alla
gerarchia cattolica di estendere all’eutanasia volontaria e al suicidio
assistito ciò che già afferma a proposito del rifiuto o del consenso
all’accanimento terapeutico o a eccezionali misure di
terapia intensiva». Precisa, quindi, che «spetta esclusivamente alla persona interessata (non potendo i medici e
la famiglia essere nient’altro che i fiduciari e garanti delle sue volontà)
decidere se continuare a vivere o morire e in quali condizioni».
Al riguardo, Jacques Pohier
cita la dichiarazione della Dichiarazione della
Congregazione sulla fede del 5 maggio 1980 secondo cui «nell’imminenza di una morte inevitabile nonostante i mezzi usati, è
lecito in coscienza prendere la decisione di rinunciare a trattamenti che
procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita, senza
tuttavia interrompere le cure normali dovute all’ammalato in simili casi».
Ne deriva che, sostiene l’Autore, è «il
malato a decidere il momento della sua morte, sia richiedendo cure intensive e
prolungate, sia rifiutandole».
Nel volume, alla cui realizzazione ha contribuito l’Associazione Exit
(Associazione italiana per il diritto a una morte
dignitosa), fondata nel 1999 e la cui sede legale e operativa è a Torino, corso
Monte Cucco 144, è riportato il testo di un “Testamento biologico” il quale,
pur non essendo ancora riconosciuto dalle leggi vigenti nel nostro Paese,
raccoglie le volontà della persona interessata riguardo la fine della propria
esistenza.
Inoltre nel libro sono inseriti il testo e la relazione della proposta di
legge di iniziativa dell’on.
Pisapia “Disposizioni in materia di interruzione
volontaria della sopravvivenza” presentata alla Camera dei Deputati il 6 luglio
2001.
AA. VV., Volontariato a Brescia - L’orizzonte dei rapporti con gli enti locali, Associazione Centro Servizi per
il Volontariato, Brescia, 2004, pag. 136, senza indicazione di prezzo.
Il volume riporta i risultati di una ricerca, affidata dal Centro servizi
per il volontariato di Brescia all’equipe del prof. Maurizio Ambrosini, allo scopo di «cogliere le principali relazioni che
intercorrono fra i gruppi di volontariato, gli scopi sociali perseguiti nelle
diverse aree di intervento e l’interazione con gli enti locali».
L’attività di rilevazione «si è articolata i tre momenti: uno iniziale, di taglio maggiormente
strutturato e quantitativo, che ha visto la somministrazione di un questionario
a 300 organizzazioni di volontariato, presenti nella realtà bresciana
e iscritte ai registri previsti dalle leggi. Il questionario è stato completato da 128 organizzazioni, che hanno
fornito informazioni rispetto a 159 servizi. Un secondo momento ha riguardato
un approfondimento di taglio qualitativo che ha interessato complessivamente 25
organizzazioni, di cui la maggior parte rientra nella categoria delle
associazioni di volontariato (…). Una terza parte ha riguardato, infine,
l’analisi delle convenzioni, patti d’intesa, accordi formali, ecc., eventualmente stipulati con gli enti pubblici da parte
delle organizzazioni coinvolte in questa rilevazione».
Dalla ricerca risulta che le organizzazioni di
volontariato di Brescia si pongono in una posizione subalterna rispetto agli
enti locali. Infatti «da un lato vi sono
piccole realtà in grado di allestire “servizi leggeri” rivolti a destinatari
precari o marginali (…); dall’altro, vi sono realtà più strutturate,
orientate verso l’efficienza, impegnate nell’erogazione di prestazioni
specialistiche e continuative, garantite anche attraverso l’inserimento di
operatori retribuiti».
In sostanza, come emerge anche da un altro volume
edito nel 2004 dall’associazione Centro servizi per il volontariato di Brescia
che reca il titolo Le convenzioni tra
volontariato ed enti locali, le organizzazioni della zona sono praticamente
tutte impegnate nella gestione dei servizi per conto degli enti pubblici.
Ne deriva, come ha giustamente rilevato l’on. Domenico
Rosati, già Presidente nazionale delle Acli, la
scelta della gestione dei servizi da parte delle
organizzazioni di volontariato determina inevitabilmente la loro sudditanza nei
confronti delle istituzioni. Infatti (cfr. Avvenire del
26 giugno 2002) «il volontariato anziché
operare su autonomi progetti, realizza servizi per conto del “pubblico”, in
regime di contributo o di convenzione. Così diventa
indispensabile per il pubblico, ma, reciprocamente, non può farne a
meno».
Precisato quanto sopra, è preoccupante che nei volumi in oggetto non vi sia
nemmeno un cenno all’esperienza che il volontariato agisca, senza alcun
condizionamento istituzionale o di altra natura, a
difesa dei diritti fondamentali dei soggetti deboli, anche quando gli enti
pubblici, come troppo spesso avviene, li violiano.
GIANNI LIVIANO, Volontari di parte - Un’esperienza
di impegno nel sociale, Edizioni
L’Autore, nato nel 1965, racconta la sua esperienza di impegno
nel campo del sociale svolta a Taranto. Giovane studente universitario,
impegnato nelle attività parrocchiali, rimane colpito dalle
abissale differenze esistenti fra le condizioni di vita del quartiere in
cui abita (che definisce “Frettacity” poiché la
caratteristica dei residenti è «quella di
andare sempre di fretta» e quelle di ad un altro rione (quello che chiama “Poveracity”) che è la zona «della piccola delinquenza, della dispersione scolastica, della
tossicodipendenza, del contrabbando, della disoccupazione o sottoccupazione,
del degrado ambientale, dell’assenza di servizi, dello sfratto e della strada».
Tutti si disinteressano di queste persone «tranne i politici che sono bravi a ricordarsi dei suoi abitanti in
tempi di elezioni (…). Sono bravi a prenderli in giro,
promettendo posti di lavoro, servizi, “il massimo impegno per il fratello
disoccupato con quattro figli”, “la certezza del risultato per la pensione alla
nonna invalida”».
Insieme ad altri amici, provenienti anch’essi da
una lunga esperienza parrocchiale, costituiscono un gruppo “Le Sentinelle” con
lo scopo di fornire in un locale di circa venti metri quadrati «sede per la scuola popolare, per fare
formazione, per giocare con i ragazzi, per chiacchierare, per vivere insieme e
meglio».
Ben presto l’Autore e i suoi amici sentono la necessità di fare una scelta
diversa. Infatti «il nostro percorso era
stato fino ad allora, quello di bravi ragazzi che,
provenienti da un’importante esperienza di parrocchia, avevano deciso di fare
del bene ai bambini poveri di un quartiere periferico della città. (…) Da donatori dovevamo diventare condivisi. Da superbi a umili».
L’obiettivo scelto è quello di «educare
Poveracity ad una cittadinanza attiva, ad una cultura
di partecipazione e non di delega». Bisognava, dunque, «fare sentire ogni abitante soggetto di diritti e non destinatario di
favori».
In quegli anni Taranto aveva vissuto «una
guerra tra famiglie malavitose con oltre centocinquanta ammazzati nel triennio
tra il 1989 e il 1991».
In concreto, l’attività del gruppo “Le Sentinelle” si sostituiva «in maniera gratuita ai servizi sociali che
non funzionavano o funzionavano male».
Nello stesso periodo l’Amministrazione comunale era «presente solo nella spartizione dei ruoli e negli affari, ma assente
nei servizi alle persone».
Ne deriva che l’attività del gruppo “Le Sentinelle” «assolutamente gratuita e finalizzata a recuperare e a sottrarre i ragazzi
dal reclutamento della “mala” e a prevenire ogni rischio di devianza, non solo
non fosse aiutata, ma addirittura penalizzata dai silenzi dell’Amministrazione
comunale».
Di fronte alla notevole differenza del peso delle
forze in campo (un piccolo nucleo di volontari e una presenza mafiosa ricca di
sostegni in tutti i settori), il gruppo si spacca. Vi sono, infatti, coloro che intendono continuare ad operare come volontari,
mentre l’Autore, di fatto il leader de “Le Sentinelle”, sceglie di presentarsi
alle elezioni comunali.
A nostro avviso la fine dell’esperienza di Taranto dimostra che gli
obiettivi del volontariato devono essere individuati sulla base della forza che
il gruppo è in grado di esprimere. Inoltre, l’attività deve essere svolta in
modo da aumentare i consensi. Nei casi in cui, per qualsiasi motivo, le
finalità non vengano conseguite nemmeno gradualmente,
si crea inevitabilmente una situazione di sfiducia, con il conseguente
abbandono di ogni iniziativa da parte di tutti o di un consistente numero dei
volontari impegnati.
Antigone, Arci,
Cgil, Cnca, Legambiente, rapporto sui diritti
globali 2004, Edizioni Ediesse, Roma, 2004, pag. 1408, euro 22,00.
“Rapporto sui diritti globali
Il volume, curato dalla Associazione Società
Informazione, è diviso in quattro sezioni: i diritti economico-sindacali; i
diritti sociali; i diritti umani, civili e politici; i diritti globali ed ecologico-ambientali.
Ognuna delle quattro sezioni è ripartita in capitoli, ove è fatto il punto
della situazione in materia e sono delineate le
prospettive per il 2004.
Tra gli argomenti evidenziamo in particolare: il lavoro, gli anziani, le
politiche sociali, la povertà, i minori, la scuola, il carcere e la giustizia,
le droghe, il volontariato, la globalizzazione, i diritti
umani, la tortura, lo stato del pianeta e l’ambiente in Italia.
Per l’annualità di riferimento sono presenti cronologie dei fatti, schede tematiche, dati statistici, glossari, riferimenti
bibliografici e web ed un indice dei nomi citati.
Considerata la mole delle informazioni, organizzate in più di 1400 pagine,
un indice generale degli argomenti in ordine alfabetico sarebbe stato, a nostro
avviso, assai utile.
Altresì, sarebbe stato opportuno aiutare il lettore a distinguere meglio,
nella mole delle informazioni presenti, le enunciazioni di principio dalla
presenza di diritti effettivamente esigibili.
Per esempio, sarebbero stati utili per ciascun argomento specchietti
esplicativi contenenti riferimenti alle norme principali e in particolare ai
diritti previsti.
Così facendo, probabilmente, si sarebbero evitate improprietà, come per
esempio quella di pag. 51 ove è riportato che «la legge 328/2000 sull’assistenza è resa monca e inoperante
dall’assenza dei decreti attuativi e dalla mancata definizione dei Lea»,
senza riferire che, invece, la stessa legge è monca perché non garantisce di per se stessa nuovi diritti esigibili alle fasce più
deboli della popolazione.
Anzi, la 328/2000 ignora addirittura i diritti esistenti (sanciti, ancora
oggi, dagli articoli 154 e 155 del regio decreto 773/1931) e non cancella
nemmeno la vergognosa separazione degli interventi assistenziali
ai minori nati nel matrimonio (di competenza dei Comuni) e ai fanciulli nati
fuori dal matrimonio (la cui competenza è assurdamente conservata alle
Province).
Inoltre, è grave che nel volume non ci sia alcun accenno al diritto alle
cure sanitarie e socio-sanitarie delle persone, anziane e non, colpite da
patologie invalidanti e da non autosufficienza.
Così pure non si parla delle illegali informazioni fornite da parte di
Comuni e Asl sui contributi economici ai parenti
degli assistiti ultrasessantacinquenni non autosufficienti e dei soggetti
colpiti da handicap in situazione di gravità.
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