Prospettive assistenziali, n. 153, gennaio - marzo 2006
Notiziario dell’Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie
SPUNTI DI RIFLESSIONE PER UNA SCUOLA DI QUALITÀ PER TUTTI
In
questi ultimi anni un gruppo di insegnanti, coordinati
da Emilia De Rienzo, hanno partecipato ad incontri in cui si è affrontato
l’inserimento dei figli adottivi e affidati a scuola e, più in generale, gli
aspetti che si ritengono importanti nella formazione dei bambini, il modo con
cui costruire una scuola che possa accogliere tutte le diversità e che oltre a
produrre cultura possa formare cittadini più attenti agli altri e soprattutto
ai più deboli, che sappiano incontrarsi e valorizzarsi nelle loro rispettive
diversità. Da questi incontri è emerso lo scoraggiamento di molti genitori che
si trovano soli ad affrontare un’istituzione che è spesso
poco sensibile ai ragazzi più svantaggiati, poco attenta nel trattare argomenti
delicati quali l’adozione e l’affidamento, a inserire ed integrare ragazzi
provenienti da mondi diversi spesso con alle spalle situazioni e storie
difficili.
Il
gruppo ha incontrato, altresì, insegnanti che lavorano con passione in questo
senso, ma che si sentono isolati e non trovano all’esterno
riferimenti che possano supportarli.
È emerso
che mancano momenti di aggregazione, momenti in cui
confrontarsi e ricercare insieme strategie e strade praticabili.
I
convegni, i corsi di aggiornamenti, cui Emilia De
Rienzo e le sue colleghe hanno partecipato, sono stati momenti importanti per
lanciare suggestioni e pensieri, ma potevano rischiare di diventare dispersivi
se intorno ad essi non si riusciva a costruire momenti di confronto più
continuativi e diversificati a seconda delle situazioni e dei problemi che
emergono. Pertanto hanno pensato di costituire un gruppo di studio di insegnanti, ma anche di genitori e possibilmente di
operatori, che si confronti e sappia evidenziare alcuni punti imprescindibili
su cui lavorare e che cerchi strategie e modi il più possibile efficaci per
portarli avanti.
A tale
proposito hanno chiesto all’Anfaa un incontro su queste tematiche
per lavorare con noi in questo senso, da cui sono emerse alcune problematiche e
spunti di riflessione comune, che riportiamo.
Nell’incontro
tenuto a Milano il 21 gennaio 2006 si sono discusse alcune proposte per portare
avanti il discorso sulla scuola in modo sempre più incisivo e coordinato. Abbiamo
ribadito la necessità di costituire un gruppo di
studio di insegnanti, ma anche di genitori e possibilmente di operatori che si
confronti e sappia evidenziare alcuni punti imprescindibili su cui lavorare e
che cerchi strategie e modi il più possibile efficaci per portarli avanti.
Per
avviare una riflessione il più possibile seria sulla scuola, è necessaria
un’analisi del contesto sociale e politico in cui essa
opera:
– i
cambiamenti politici, sociali ed economici degli ultimi trent’anni,
infatti, hanno visto imporsi un modo di vita incentrato sull’iperconsumo e sulla mercificazione generalizzata di ogni bene e servizio, l’esplosione di una società
tecnologica e la globalizzazione liberista;
– come
conseguenza di questo modello l’uomo non viene più
visto come soggetto di diritti, ma come “risorsa umana” che come tale ha
diritto all’esistenza e al reddito solo se dimostra di rispondere ad alcuni
canoni di efficienza e di redditività (via via
definiti a seconda delle necessità del mercato);
– in
questo contesto è quindi il mercato che decide le
finalità, l’organizzazione e i contenuti dell’istruzione.
L’istruzione viene
presentata come lo strumento-chiave per garantire la sopravvivenza agli
individui e ai paesi nell’era
della competizione mondiale
In
questo modo la sfera educativa tende a trasformarsi in un “luogo” dove si impara la cultura della competizione (ognuno per sé, per scavalcare l’altro) piuttosto che la cultura
della cooperazione e del diritti all’istruzione (vivere insieme agli altri, nell’interesse generale). Malgrado gli sforzi di buona parte degli educatori, il
sistema scolastico è stato così spinto a privilegiare la funzione di selezione
dei migliori, piuttosto che la funzione di valorizzazione delle capacità
specifiche di ogni allievo.
Ne
deriva un uso del sistema educativo come mezzo di legittimizzazione
di nuove forme di divisione sociale. Pensiamo alle
proposte di divisione delle classi non in base all’età, ma alle capacità; alla promozione di scuole per la formazione delle “eccellenze”,
ecc., ai tagli operati dalle ultime finanziarie
che vede sempre di più a squalificare la scuola pubblica e la sua funzione per
dare sempre più spazio alla scuola privata o alla privatizzazione stessa della
scuola pubblica.
Noi crediamo, quindi, che sia
necessario battersi, invece, per un’istruzione pubblica di qualità per tutti
Per noi
lo scopo primario del sistema educativo è che ogni cittadino apprenda a
riconoscere l’esistenza dell’altro come base fondamentale della propria
esistenza e del vivere insieme. Alla base ci deve essere la capacità di
dialogare, una capacità che non è acquisita ma che deve essere alla base di ogni apprendimento: dialogo tra insegnante e alunni,
dialogo tra alunno e alunno, dialogo tra insegnante e insegnante, tra
insegnante e dirigenza, dialogo tra scuola e famiglia, tra scuola e territorio.
È importante porci,
allora, alcune domande:
1) stiamo
progettando una scuola che pensa al bambino solo in termini cognitivi; o che
pensa al bambino nella sua interezza e che quindi mette al suo centro la
relazione educativa?;
2) stiamo
progettando una scuola fatta di tante classi isolate una dall’altra o una
scuola in cui gli insegnanti imparano a lavorare in équipe?;
3) una scuola dove i
rapporti con i genitori sono conflittuali o che invece sa costruire con loro un unione solidale
per il bene del bambino?;
4) stiamo costruendo
un territorio dove le scuole diventano, come diceva una direttrice didattica, «un supermercato delle offerte: più corsi, più attività, più tempo a scuola» oppure che sa
rispondere ai bisogni reali dei bambini, una scuola della qualità e non della
quantità?;
5) stiamo
progettando una scuola isolata dal contesto in cui
vive o che sappia integrarsi in esso e sappia quindi, insieme alle altre
risorse, costruire una rete di comunicazione e di interazione?;
6) una scuola chiusa
in se stessa o con tante finestre aperte che sappiano guardare la realtà in
tutte le sue sfaccettature:
• la realtà dei
bambini che cambiano (per esempio a Torino il 12% della popolazione scolastica
sono bambini figli di immigrati…);
•
la realtà delle famiglie: famiglie adottive, affidatarie, genitori separati,
bambini che vivono con un solo genitore (in genere la mamma), famiglie
straniere…;
• la realtà virtuale
con cui i bambini si confrontano tutti i giorni perché sempre più
videodipendenti.
Date queste premesse ci sembra importante evidenziare alcuni punti
imprescindibili su cui lavorare:
• bisogna invitare
tutti a essere più corresponsabili. Una classe è una
classe di bambini e di insegnanti, ma anche di
genitori che in qualche modo devono fare la loro parte.
Dobbiamo ricostruire
una corresponsabilità per crescere i nostri figli bene e, se possibile, e sarebbe auspicabile, meglio di noi. Dobbiamo essere più
partecipi nelle varie situazioni.
Dice Morin: «L’indebolimento
di una percezione globale conduce all’indebolimento
del senso di responsabilità così come all’indebolimento della solidarietà,
poiché ciascuno tende a essere responsabile solo del proprio compito
specializzato».
La scuola deve saper
affrontare ed armonizzare fra di loro le diverse
storie dei bambini. Pertanto gli insegnanti devono darsi delle priorità:
• il primo compito di ogni insegnante dovrebbe essere quello di creare un clima
di classe perché la scuola diventi un luogo di confronto dove ogni singolo
individuo si senta all’interno di una rete, di una situazione di aiuto;
• i ragazzi non devono incontrare
un’istituzione dove si va ad
apprendere un sapere frammentato, un sapere che divide
il corpo dalla mente, la ragione dall’emozione, la conoscenza dall’esperienza.
In questo contesto proprio il bambino con una storia alle spalle più
problematica dovrà capire che il posto, dove è entrato,
• è un posto
speciale
• dove anche lui,
che si sente a volte triste, arrabbiato,
solo, senza spesso neanche capire fino in fondo perché, troverà un luogo
caldo e disponibile ad ascoltarlo, ad ascoltare non
solo quello che sa, ma anche quello che sente.
Perché nella scuola il bambino possa
apprendere serenamente è importante:
– saper
attivare in ogni ragazzo l’autostima;
– saper attivare la
coscienza: la capacità cioè di guardare l’altro con
rispetto e amore;
– saper dare la
sicurezza di trovarsi in un luogo dove può cimentarsi senza sentirsi giudicato
o peggio squalificato;
– saper attivare la forza
per cambiare sia se stessi sia la realtà in cui vivono;
– saper attivare la
voglia di imparare;
– accettare la sfida di riuscire a modificare un percorso
che sembra già segnato e prestabilito, di chi, cioè,
prende sul serio l’insuccesso scolastico, ma non come dato di fatto, non per
svalutare il bambino, ma per intraprendere con il ragazzo stesso un cammino che
permetta di sbloccare il suo processo di apprendimento.
L’apprendimento, quindi, non può
prescindere da una relazione stretta tra funzione affettiva e cognitiva
Una scuola buona non è tanto quella che insegna tante cose,
tante materie, è una scuola della qualità non della quantità. Una scuola dove l’educazione, come diceva già Montaigne,
ha come finalità che si lavori per una testa “ben fatta” e non per una testa
piena; per un sapere che sappia trasformarsi in saggezza piuttosto che in
erudizione. Quello che, infine, dobbiamo
assolutamente evitare, è di dare etichette al bambino. I bambini (handicappati,
adottivi, extracomunitari, affidati…) sono prima di tutto
bambini e come tali vogliono essere considerati.
«Ricevere
un’etichetta equivale ad essere imprigionati in una sorta di destino
preordinato». Bisogna,
invece, fare giorno dopo giorno della scuola un luogo
che sappia vedere nelle persone individui, che riconosca “la molteplicità”:
ogni individuo si può esprimere in diversi modi e questo riconoscimento «non dovrebbe riguardare solo le persone che
hanno problemi, ma anche quelle che si considerano “normali”, affinché possano
finalmente disfarsi, con loro grande sollievo, della terribile e dolorosa
etichetta di “normale”, per poter assumere e abitare le molteplici dimensioni
della fragilità».
Quali strategie e modi il più possibile efficaci per portare avanti questi principi
e questa cultura
– creare un gruppo permanente di
studio lavoro e ricerca;
– promuovere convegni per lanciare le parole d’ordine
fondamentali;
– creare una rete di contatti con chi le condivide;
– creare in loco gruppi di discussione e di organizzazione di iniziative di formazione.
Si sono poi
individuati alcuni esempi di formazione su temi specifici:
– una scuola che
valorizzi la diversità;
– come creare un
buon clima di classe;
– come lavorare
sull’ascolto e sul racconto di sé;
– come
e quali testi utilizzare;
– come creare gruppi
di collaborazione tra le varie componenti della
scuola;
– uso di diversi
linguaggi: pittura, poesia, musica, teatro…
Sarebbe importante,
a nostro avviso, prendere iniziative all’interno della scuola di tutti i gradi,
compresa quella superiore, con uno sguardo anche ai ragazzi e non solo agli
insegnanti e ai genitori e favorire:
– dibattiti;
– spettacoli;
– inchieste.
Proponiamo, inoltre, l’eventuale stesura di un libro che raccolga l’esperienza diretta (positiva o negativa) che
genitori adottivi, affidatari e non solo hanno fatto con i loro figli nella
scuola, in modo da mettere a nudo la realtà e poterla raccontare.
www.fondazionepromozionesociale.it