Prospettive assistenziali, n. 153, gennaio - marzo 2006

 

 

Notizie

 

 

SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE in materia di non discriminazione e di sanità

 

Con la sentenza n. 432, decisa il 28 novembre 2005 depositata in Cancelleria il 2 dicembre 2005, la Corte costituzionale ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 2, della legge della Regione Lombardia 12 gennaio 2002, n. 1 (Interventi per lo sviluppo del trasporto pubblico regionale e locale), come modificato dall’art. 5, comma 7, della legge della Regione Lombardia 9 dicembre 2003, n. 25 (Interventi in materia di trasporto pubblico locale e di viabilità), nella parte in cui non include gli stranieri residenti nella Regione Lombardia fra gli aventi il diritto alla circolazione gratuita sui servizi di trasporto pubblico di linea riconosciuto alle persone totalmente invalide per cause civili» (1).

In merito, la Corte costituzionale ha ribadito che «il principio costituzionale di uguaglianza non tollera discriminazioni fra la posizione del cittadino e quella dello straniero solo quando venga riferito al godimento dei diritti inviolabili dell’uomo (v., fra le tante, la sentenza n. 62 del 1994): così da rendere legittimo, per il legislatore ordinario, introdurre norme applicabili soltanto nei confronti di chi sia in possesso del requisito della cittadinanza – o all’inverso ne sia privo – purché tali da non compromettere l’esercizio di quei fondamentali diritti».

Per quanto concerne la «funzione dei singoli “bisogni” di locomozione (fra i quali ben possono annoverarsi – ma non necessariamente e non soltanto – quelli connessi alla salute o al lavoro)» la Corte costituzionale afferma che «essa rinviene la propria ragion d’essere in una logica di solidarietà sociale, nella ragionevole presupposizione delle condizioni di difficoltà in cui versano i residenti che, per essere totalmente invalidi, vedono grandemente compromessa, se non totalmente eliminata, la propria capacità di guadagno».

Precisa inoltre che «distinguere, ai fini della applicabilità della misura in questione, cittadini italiani da cittadini di paesi stranieri – comunitari o extracomunitari – ovvero apolidi, finisce dunque per introdurre nel tessuto normativo elementi di distinzione del tutto arbitrari, non essendovi alcuna ragionevole correlabilità tra quella condizione positiva di ammissibilità al beneficio (la cittadinanza italiana, appunto) e gli altri peculiari requisiti (invalidità al 100% e residenza) che ne condizionano il riconoscimento e ne definiscono la ratio e la funzione».

A questo proposito la sentenza ricorda che «l’articolo 41 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) espressamente sancisce il principio secondo il quale gli stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno, nonché i minori iscritti nella loro carta di soggiorno o nel loro permesso di soggiorno, sono equiparati ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale, incluse quelle previste (...) per i sordomuti, per i ciechi civili, per gli invalidi civili e per gli indigenti».

 

Norme fondamentali in materia di sanità

Per quanto riguarda lo «specifico versante del diritto alla salute», nella sentenza viene ricordato che la Corte costituzionale «ha reiteratamente puntualizzato che “il diritto ai trattamenti sanitari” necessari per la tutela della salute è “costituzionalmente condizionato” dalle esigenze di bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti, salva, comunque, la garanzia di “un nucleo irrinunciabile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana, il quale impone di impedire la costituzione di situazioni prive di tutela, che possano appunto pregiudicare l’attuazione di quel diritto” […]. Questo “nucleo irriducibile” di tutela della salute quale diritto della persona deve perciò essere riconosciuto anche agli stranieri, qualunque sia la loro posizione rispetto alle norme che regolano l’ingresso ed il soggiorno nello Stato, pur potendo il legislatore prevedere diverse modalità di esercizio dello stesso. Pertanto, anche lo straniero presente irregolarmente nello Stato “ha diritto di fruire di tutte le prestazioni che risultino indifferibili ed urgenti”».

 

OBBLIGHI DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE NEI RIGUARDI DI UN GIOVANE AUTISTICO

 

Come risulta dalla sentenza n. 15246 del 15-19 settembre 2005 emanata dal Tribunale di Roma «Antonio A. e Giuliana V. sono genitori di tre figli, uno dei quali, Valerio, è affetto da una grave forma di autismo. In seguito a trasferimento di Antonio A., per ragioni di servizio, la sua famiglia ha vissuto in Gran Bretagna dal gennaio 1993 al settembre 1997. Durante questo soggiorno il giovane Valerio è stato ammesso in una delle numerose strutture altamente specialistiche del Regno Unito per la cura dell’autismo, l’Istituto Longdon H. S.; il costo del ricovero è stato sostenuto in misura del 95% dal servizio sanitario pubblico italiano, in particolare della Asl Rm/B, anche successivamente al rientro della famiglia A. in Italia. Nel dicembre 2000, in seguito ad una riduzione di posti presso l’istituto inglese, Valerio A. è rientrato in Italia. I suoi genitori hanno constatato che nel Lazio esisteva soltanto una struttura in grado di assicurare le cure necessarie per l’autismo, il centro Anni V. convenzionato con il servizio pubblico, ma non hanno potuto ottenervi l’ammissione di Valerio, essendovi una lunga lista di attesa. Essi si sono rivolti alla struttura specialistica inglese The Orchard S., che si è dichiarata disponibile al ricovero del giovane Valerio. L’Asl Rm/B non si è dichiarata disponibile al pagamento delle relative rette, pari a 125.000 sterline annue (circa 180.000 euro). I genitori di Valerio A. si sono rivolti al Tribunale di Roma facendo presente che il loro reddito annuo era largamente inferiore all’importo della retta richiesta dall’istituto inglese e chiedendo al magistrato di ordinare al Ministero della Sanità, alla Regione Lazio e all’Azienda Sanitaria Locale Rm/B di adottare tutte le misure necessarie affinché il figlio Valerio avesse l’assistenza indispensabile per la cura dell’autismo mediante strutture specialistiche e di provvedere al pagamento della retta dovuta per la frequenza del centro The Orchard S. o di altro centro altamente specializzato per la cura dell’autismo».

Nella relazione presentata dal consulente tecnico incaricato dal Tribunale viene evidenziato che «il giovane Valerio è affetto da una forma molto grave di “sindrome autistica” che richiede interventi continuativi di carattere terapeutico-riabilitativo, scolastico e parascolastico, ma soprattutto di tipo assistenziale e sociale, a fronte dei disordini comportamentali e relazionali del malato. Egli ha individuato, nel Comune di N., una struttura ricettiva, denominata Centro O., idonea a garantire al giovane Valerio un sufficiente livello socio assistenziale, non disgiunto da elementari contenuti di ordine socio riabilitativo, con minor dispendio organizzativo ed economico, sia per la famiglia che per la comunità, rispetto alla soluzione britannica, in attesa di una definitiva sistemazione del malato in una struttura maggiormente idonea. Dopo il deposito della relazione del consulente, il Tribunale ha acquisito documentazione comprovante la mancanza di disponibilità di posti anche presso il Centro O.».

Conclusa l’istruttoria, il Tribunale di Roma «ha condannato la Asl Rm/B, in favore dei ricorrenti, al pagamento della retta mensile di frequenza della struttura “Selwyn C.G.” di Gloucester da parte di Valerio A., fino a quando non si renderà disponibile un posto per il medesimo presso il Centro “Anni Verdi” di Roma. Il Giudice ha inoltre condannato la Asl Rm/B a corrispondere a ciascuno dei ricorrenti la somma di euro 77.000,00 a titolo di risarcimento del danno esistenziale».

 

 

FIRENZE: INAMMISSIBILI CARENZE RISCONTRATE NELLE RSA

 

ladina (Associazione per la difesa dei diritti delle persone non autosufficienti), con sede in Firenze, Via Vittorio Emanuele 135, tel. 055.48.68.38, fax 055.46.25.985, e-mail: adina.firenze@email.it, ha pubblicato un libretto dal titolo Una vecchiaia serena…? in cui sono state raccolte e presentate dalla presidente Anna Nocentini storie vere sugli anziani non autosufficienti ricoverati presso Rsa (Residenze sanitarie assistenziali).

Fra le testimonianze riportiamo quella di un familiare: «Come di consueto mi reco a far visita e compagnia, nonché assistenza personale, ad una mia parente stretta che è ricoverata in una struttura dove vengono assistite persone non autosufficienti. Puntualmente si evidenziano situazioni di malessere e drammatiche realtà che ormai, sfortunatamente consolidatesi, fanno parte della quotidianità. Non essendo conosciute dalla maggior parte delle persone, ne elenco soltanto alcune.

«Gli ospiti vengono spesso lasciati in stanze al buio (forse per risparmiare la corrente elettrica?).

«Gli ospiti che non hanno patologie sofferenti si ritrovano nel soggiorno comune insieme ad altri che urlano, si lamentano, piangono per le loro malattie, gettandoli in uno stato d’animo di angoscia tanto da venirne loro stessi “contagiati” (perché le Rsa non hanno almeno tre sale a disposizione per dividere in gruppi i vari pazienti invece di raggrupparli tutti insieme in una stanza comune?).

«Spesso ci sono ricoverati che allungano le mani in pazienti di sesso femminile, magari immobilizzate su sedie a rotelle, per palpeggiarle. Si può trovare il personaggio psicotico che picchia senza motivo altri ricoverati che fisicamente non possono difendersi neppure a parole. C’è quello che dice parolacce o si masturba e così via senza che alcun operatore intervenga in quanto gli ospiti vengono tutti abbandonati nella stanza comune senza alcun controllo. Infatti quando qualcuno cade viene ritrovato anche dopo ore prima di essere soccorso.

«Il personale addetto, ovvero gli “operatori”, sono figure improvvisate per fare assistenza agli anziani ed intervengono anche come infermieri senza alcuna specializzazione o preparazione. Capita così che, nel muovere un anziano fisicamente debole, possono anche rompergli un arto. Quindi il personale delle Rsa dovrebbe, oltre a usare sensibilità e cervello, essere anche ben preparato alle cure del paziente. Le pulizie delle camere, dei bagni, della sala da pranzo sono molto carenti.

«La cura dell’igiene orale nei ricoverati dovrebbe essere eseguita con la massima attenzione e controllo, sia in presenza di protesi dentarie che dei pochi denti, in alcuni casi, rimasti. Questo servizio previsto è costantemente “dimenticato” e pertanto disatteso, con le conseguenze del caso: infiammazioni, infezioni. Così come la pulizia dell’ospite, anche quella giornaliera: unghie sporche, macchie di cibo nel viso e sui vestiti.

«Manca personale, possibilmente specializzato, per intrattenere e coinvolgere gli ospiti durante la giornata, magari anche con musica.

«Alimentazione per gli anziani che devono essere imboccati. In pochi minuti il personale cerca di farli mangiare, ma siccome trattasi di patologie “grandi invalidi” che già deglutiscono con difficoltà o hanno masticazioni lente, questi riusciranno al massimo a buttar giù pochi cucchiai e nessuno si prende cura di farli bere. D’altra parte il personale ha pochissimo tempo a disposizione e nessuna motivazione ad impegnarsi, né esiste alcun controllo da parte delle assistenti sociali che hanno fatto il ricovero; pertanto se le famiglie non intervengono personalmente o remunerano persone private per imboccare il proprio caro, dopo un po’ l’anziano passa ad essere alimentato con flebo, sondini ed altre torture fino a soccombere quanto prima. Finalmente! Tanto le Rsa hanno liste di attesa chilometriche.

«Le Rsa pretendono dai ricoverati e dagli enti erogatori troppi soldi per i servizi che non offrono».

 

 

ROMA: CHIUSO DAI CARABINIERI UN ALTRO OSPIZIO ABUSIVO

 

a seguito di una segnalazione anonima, i Carabinieri hanno ispezionato Villa Nobili, una struttura a due passi da Ardea, a trenta minuti di auto da Roma.

Hanno scoperto un uomo di novantacinque anni, una donna ottantacinquenne e una giovane di trentadue anni con problemi psichiatrici «quasi reclusi in una struttura che non aveva uno straccio di qualsiasi certificazione per fare assistenza geriatrica o di qualsiasi altro tipo».

È, quindi, stata immediatamente sequestrata e chiusa dagli uomini dell’Arma.

I ricoverati erano custoditi da una cittadina bulgara senza permesso di soggiorno e priva di qualunque qualifica. La titolare è stata denunciata.

Purtroppo continuano a proliferare le strutture abusive che traggono notevoli vantaggi economici dal ricovero dei vecchi e degli adulti malati.

È questa la triste conseguenza delle mancate prestazioni del Servizio sanitario nazionale che continua a violare le leggi vigenti che gli impongono di curare anche le persone non autosufficienti.

Da notare che, come è stato precisato su Avvenire del 30 agosto 2005, «nel periodo compreso fra il gennaio 2002 e l’agosto 2003, i Nas avevano effettuato 4.109 ispezioni in strutture sanitarie e sociali per anziani, durante le quali erano state rilevate 1.620 infrazioni penali e 1.053 infrazioni amministrative, 15 persone erano state arrestate, 998 segnalate all’autorità giudiziaria e 591 all’autorità amministrativa».

Nello stesso periodo «i militari avevano chiuso 80 “case” ed effettuato centinaia di sequestri di mezzi, infrastrutture ed attrezzature per un valore complessivo di 48 milioni di euro».

 

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