Prospettive assistenziali, n. 153, gennaio - marzo 2006
PRESENTATA ALLA REGIONE PIEMONTE
Le associazioni aderenti al Csa, Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base, secondo
una metodologia di lavoro praticata da molti anni (1), hanno presentato, in data 10 ottobre 2005, alla nuova Amministrazione
regionale del Piemonte (2) la
piattaforma di cui riportiamo integralmente il testo.
Premessa: operare
per la prevenzione del bisogno assistenziale
La prevenzione dal bisogno assistenziale presuppone che i settori sociali (sanità,
istruzione, formazione professionale, lavoro, casa, trasporti, tempo libero,
ecc.) assicurino l’accesso a tutti i cittadini, ivi compresi i soggetti che
presentano difficoltà personali (persone in situazione di handicap) o sociali
(minori con famiglie problematiche o in difficoltà economiche, soggetti
anziani con limitati redditi, ecc.).
È pertanto
indispensabile che ogni Assessorato si assuma anche gli oneri in termini di
risorse e personale perché siano assicurate le prestazioni anche ai soggetti in
difficoltà.
Ad esempio,
eventuali sussidi per la
frequenza dell’asilo nido o della scuola materna devono essere di
competenza dell’Assessorato all’istruzione; i contributi economici per il
sostegno all’affitto in abitazioni private spettano al settore della casa; gli
aiuti alle persone disoccupate devono essere predisposti dall’Assessorato al
lavoro ed essere collegati a interventi di reinserimento attraverso riqualifiche professionali; il trasporto per gli allievi
della formazione professionale con handicap intellettivo deve essere assicurato
da questo settore in collaborazione con il settore trasporti; gli inserimenti
lavorativi dei soggetti con handicap sono di competenza del settore lavoro; le
attività sportive per le persone con handicap devono essere assicurate
dall’assessorato allo sport, ecc.
LE NOSTRE RICHIESTE E PROPOSTE AI SINGOLI SETTORI
Istruzione
o Assumere le funzioni in materia
di asili nido, funzioni che non dovrebbero più essere svolte dall’assessorato
regionale all’assistenza;
o promuovere
l’istituzione
o approvare un atto di indirizzo
in merito alle competenze dei Comuni e delle Province, affinché in tutti gli
ordini di scuola siano garantiti il
trasporto scolastico e l’assistenza specialistica per gli allievi in situazione
di handicap grave come sancito dall’articolo 13, comma 3, della legge 104/1992;
o sostenere
la prosecuzione dei percorsi educativi avviati nella scuola superiore, in
particolar modo per gli allievi con
limitata autonomia in possesso di potenzialità lavorative, con il passaggio ad
altri indirizzi per permettere l’acquisizione di ulteriori competenze che
favoriscano la continuità dello sviluppo della persona e delle abilità finalizzate
all’inserimento lavorativo;
o favorire
iniziative tra scuola superiore e servizi socio-assistenziali
Formazione professionale
o Recepire, nel testo di riforma della legge regionale sulla formazione professionale
(disegno di legge n. 68 “Disciplina del sistema di istruzione e formazione
professionale in Piemonte”) l’esperienza positiva dei corsi prelavorativi.
Tali corsi, rivolti a giovani con handicap intellettivo in possesso di capacità
lavorative, sono idonei a soddisfare gli obblighi formativi previsti
dall’articolo 68 della legge 144/1999 (obbligo formativo) e l’alternanza
scuola/formazione/lavoro richiamata dalla legge 53/2003;
o potenziare
i corsi Fal (formazione
al lavoro) indispensabili a quanti non
siano ancora immediatamente occupabili, pur avendo già frequentato un corso prelavorativo. I corsi Fal
dovrebbero essere collegati alle attività dei Centri provinciali per l’impiego
perché le attività di tirocinio siano effettuate nelle aziende scoperte e che
hanno obbligo di assunzione ai sensi della legge
68/1999;
o assicurare
in tempo utile l’approvazione dei corsi di formazione professionale regionale
perché le famiglie devono essere messe in condizione di poter scegliere la
strada della formazione professionale già nel mese di gennaio. Pertanto esse
devono avere la
garanzia che i corsi della formazione professionale (compresi i corsi prelavorativi) possano partire negli stessi tempi della
scuola di Stato;
o aumentare
le attività di orientamento per gli
allievi con handicap intellettivo in modo da evitare inutili parcheggi nell’uno
o nell’altro percorso formativo.
Trasporto
o Dare attuazione a quanto
previsto dall’articolo 26, comma 1 e 2 della legge 5
febbraio 1992 n. 104 e dall’art. 4 (competenze regionali) e
dall’articolo 14 (disposizioni particolari) della legge 15 gennaio 1992 n. 21,
al fine di garantire il diritto al trasporto, anche con mezzi di
trasporto pubblici non di linea, delle persone in situazione di handicap
impossibilitate all’utilizzo dei tradizionali mezzi di trasporto pubblico;
o modificare
ed adeguare alla normativa suindicata il Piano
regionale dei trasporti, nonché i piani provinciali e dei bacini
di trasporto, con particolare riferimento alla istituzione di servizi di
trasporto individualizzati per quei soggetti che sono impossibilitati all’uso
dei tradizionali mezzi pubblici di trasporto e/o di taxi;
o rendere
accessibili e fruibili alle persone con handicap fisici motori tutti i
tradizionali mezzi di trasporto pubblico. La concessione di contributi
regionali per l’acquisto e il rinnovo dei suddetti mezzi è
subordinata e finalizzata esclusivamente all’acquisto di mezzi di
trasporto privi di barriere architettoniche;
o provvedere ad attivare e
finanziare buoni taxi a favore di persone con handicap fisico motorio
impossibilitate all’uso dei tradizionali mezzi pubblici di trasporto, con
validità su tutto il territorio regionale e per percorsi urbani, suburbani ed
extraurbani, con le stesse tariffe pagate dagli altri utenti fruitori dei
tradizionali mezzi di trasporto, in relazione allo stesso tipo di percorrenza,
nell’attesa dell’immissione in circolazione dei tradizionali mezzi pubblici di
trasporto totalmente accessibili;
o assicurare
il diritto al trasporto allievi con handicap intellettivo della formazione
professionale. Si chiede di individuare, di concerto con gli Assessorati ai
trasporti, regionale e provinciali, le modalità da introdurre per soddisfare tale esigenza. A seconda dell’autonomia
del soggetto potrebbe essere necessario:
• il riconoscimento di un onere
aggiuntivo all’ente di formazione professionale per azioni di
accompagnamento;
• la fornitura
di tessere/pass per auto pubbliche o servizi di trasporto collettivo;
o istituire
apposito capitolo di spesa per l’eliminazione delle barriere architettoniche
per la progressiva totale accessibilità delle stazioni e fermate dei mezzi
pubblici di trasporto;
o istituire
apposito capitolo di spesa per finanziare l’acquisto di taxi accessibili che
consentano l’incarrozzamento di sedie a rotelle e
minibus attrezzati;
o riconoscere
la validità delle tessere urbane di circolazione rilasciate in ragione
dell’invalidità su tutti i percorsi suburbani o extraurbani effettuati anche da
autolinee in concessione.
Lavoro
Come è noto la legge 68/1999 non
prevede una quota obbligatoria di assunzioni di soggetti con limitata autonomia
e conseguente riduzione della capacità lavorativa. Pertanto nella Regione
Piemonte, secondo i dati disponibili forniti dall’Agenzia Piemonte lavoro (cfr. il documento del 27 marzo 2004), sono state avviate finora
circa 9.000 persone con menomazioni lievi e capacità lavorativa piena, mentre
non più di 450 risultano essere le persone con handicap intellettivo e fisico
con limitata autonomia inserite in tutta
o rendere stabili i servizi per
l’inserimento lavorativo, strumenti indispensabili per realizzare il
collocamento mirato, stanziando le risorse necessarie per dotare tali servizi
del personale necessario, con l’indicazione ai Centri per l’impiego che le assunzioni
dovranno essere dirette e, in misura minore, mediante convenzione (con agenzie
formative, Consorzi socio-assistenziali, cooperative), purché il personale sia
funzionalmente dipendente dal Centro per l’impiego e con contratto di lavoro a
tempo indeterminato;
o prevedere l’obbligo di avvio di
almeno 2 persone con difficoltà (1 con handicap intellettivo, 1 con handicap
fisico con limitata autonomia) ogni 5 avvii di persone con minorazioni lievi
(sono ovviamente necessarie iniziative di tutela anche per le persone con
malattia psichiatrica, ma il Csa non ha esperienza al
riguardo);
o assicurare
la presa in carico permanente dell’utente da parte del Centro per l’impiego e
cioè fino alla definitiva assunzione, oppure fino ad escludere l’occupabilità, avendo ben presente che tale decisione
comporta l’invio ai servizi socio-assistenziali competenti territorialmente e
l’obbligo per questi ultimi, ai sensi della legge regionale 1/2004, di prendere
in carico, a vita, i soggetti. Pertanto, è interesse di tutti adoperarsi al
massimo perché sia realizzata l’assunzione quando il
soggetto ha capacità lavorative spendibili nel mercato del lavoro;
o introdurre
l’obbligo per il Centro per l’impiego di informare per iscritto tutti gli
interessati (almeno ogni quattro mesi) dell’andamento
o individuare
un referente
o assicurare
all’utente la possibilità di ricorrere contro valutazioni o proposte del Centro
per l’impiego territoriale, che ritiene non rispettose dei suoi diritti e la
facoltà di farsi rappresentare da persona o associazione di sua fiducia. Tale
procedura è già stata recepita nell’ambito delle
delibere della Giunta regionale n. 51/2003 e n. 17/2005 (Lea). Al riguardo si
segnala che sia nell’ambito dell’Uvg, Unità
valutativa geriatria, che dell’uvh, unità valutativa handicap, è previsto il ricorso
ad apposita Commissione regionale. In questo caso si
potrebbe ipotizzare il ricorso al Comitato tecnico provinciale;
o mantenere
in capo al Centro per l’impiego provinciale la titolarità
o favorire
l’occupazione dei soggetti a maggior rischio di esclusione sociale con le
seguente azioni:
a) condizionare gli incentivi o
appalti a terzi all’assunzione da parte loro di un regolamento analogo a quello
deliberato il 31 marzo 2005 dalla Città di Torino per l’affidamento a terzi di
servizi, che prevede la clausola di assunzione di
almeno il 20% di soggetti con handicap intellettivo e fisico con limitata
autonomia. Tale proposta potrebbe essere fatta ad esempio:
• alle imprese collegate con
l’evento Olimpiadi, quali alberghi e ristoranti;
• alle case di cura e alle
residenze sanitarie assistenziali convenzionate con
l’ente pubblico (settore pulizie, servizi generali, mense);
b) impostare
correttamente il lavoro di monitoraggio e verifica dell’Agenzia Piemonte Lavoro. A questo riguardo rivolgiamo
l’ennesimo richiamo alla suddetta
Agenzia perché, in attuazione all’articolo 1 della legge 68/1999,
deve monitorare separatamente i dati che interessano le persone con handicap
intellettivo e i dati che riguardano invece le persone che presentano problemi
psichici (malati psichiatrici) per poter prevedere programmi e inserimenti
mirati per le due differenti tipologie di soggetti e per conoscere i dati reali
delle assunzioni realmente effettuate. È gravissimo che si considerino ancora
sotto la definizione “handicap psichico” sia le
persone con handicap intellettivo, sia le persone con malattia mentale e non si
rispetti, pertanto, quanto previsto dalla legge 68/1999;
o limitare
al massimo gli effetti nefasti che potrebbe avere un’applicazione acritica
dell’articolo 14
Casa
o Eliminazione delle barriere
architettoniche interne alle abitazioni ed esterne
(accessi agli alloggi, marciapiedi, ecc.) per tutte le nuove costruzioni,
qualsiasi sia il numero dei piani costruiti e, in tutta la misura
o assegnazioni
di alloggi distribuiti nelle comuni case di abitazione per i soggetti con
handicap e per comunità alloggio di 8-10 posti al massimo, con l’attenzione
necessaria a non creare ghetti;
o previsione di una commissione
permanente preposta al controllo del rispetto di quanto sopra richiesto, così
come stabilito dalla legge 179/1992, che fissa la percentuale di almeno il 15%
di alloggi da destinare a scopi sociali;
o apertura
permanente
o revisione
delle norme per le assegnazioni ai soggetti extracomunitari, limitando i
requisiti per la presentazione della domanda al possesso
o assunzione
delle iniziative occorrenti per verificare periodicamente il possesso dei
requisiti da parte degli assegnatari e, ovviamente, prevedere le procedure per
il loro allontanamento quando sono in grado di sostenere il pagamento di
affitti nel libero mercato.
Cultura, sport, tempo libero
o Eliminazione delle barriere
architettoniche dagli edifici pubblici e privati e dai mezzi di trasporto con
l’incentivazione delle ristrutturazioni dirette alla eliminazione delle
barriere architettoniche, in modo da garantire il massimo di fruibilità e di
accesso anche alle persone con handicap fisici e motori;
o promozione
di attività di volontariato civico d’intesa con le amministrazioni comunali e
finalizzate all’accompagnamento di giovani con handicap intellettivo nelle
attività di tempo libero.
Sanità
o Predisporre interventi per
assicurare il diritto alle cure sanitarie domiciliari:
• approvazione di una legge sulla base di quella presentata nella scorsa legislatura dal
Consigliere Chiezzi;
• rivedere l’Adp (assistenza
domiciliare programmata) eliminando detto intervento o almeno fissando un tetto
massimo rispetto all’Adi (assistenza domiciliare integrata);
• riconoscere il volontariato
intrafamiliare;
• erogare
assegni di cura in misura di almeno 2/3 della quota sanitaria versata dall’Asl per il ricovero in struttura residenziale;
• sviluppare l’Oad (ospedalizzazione
a domicilio - Molinette) presso altri ospedali e Asl;
o prevedere un unico centro di
riferimento per l’utente (Uvg) delle attuali
commissioni di valutazione Uvg e Uva (unità valutativa alzheimer), con assunzione da parte
dell’Uvg anche delle funzioni dell’Uva (cfr. la delibera del Direttore generale dell’Asl 5, concordata con i Consorzi dei servizi
socio-assistenziali della zona), nonché di quelle dell’Uvh
per i soggetti adulti e anziani affetti da patologie invalidanti e non
autosufficienza;
o garantire
la continuità terapeutica:
• informazione
scritta ai cittadini da parte delle Asl (diritto alla
continuità delle cure sanitarie e prestazioni previste dalla delibera Giunta regionale 72/2004, durata e
modalità dei ricoveri in casa di cura convenzionata come previsto dalla
delibera Giunta regionale 34/2000, importi delle rette di ricovero in Rsa/Raf ai sensi della delibera Giunta regionale 17/2005);
• necessità di
un valido e costante monitoraggio delle somme stanziate e finalizzate
all’abbattimento delle liste d’attesa per il ricovero in strutture residenziali
socio-sanitarie e all’incentivazione delle cure domiciliari;
• abrogazione della delibera
Giunta regionale 33/2000, che autorizza il mantenimento presso le Ra, residenze assistenziali per
autosufficienti degli anziani diventati cronici e non autosufficienti. Come è emerso dalla relazione dei Nas,
presentata al convegno dell’Assessorato all’assistenza della Regione Piemonte
il l9 giugno 2003, si tratta di una prassi che ha conseguenze devastanti per
gli ammalati che restano in strutture assolutamente non idonee a soddisfare le
esigenze di cura di cui necessitano;
• porre fine alla
incongruità dei ricoveri in case di cura private convenzionate di
anziani cronici non autosufficienti e destinare le risorse alle Asl per la creazione nell’ambito delle Rsa di posti letto
per la deospedalizzazione protetta;
o dare attuazione agli atti
deliberativi mancanti per l’applicazione dei Lea (Dgr
17/2005):
• approvazione al più presto di
un atto deliberativo per l’assunzione a totale carico delle Asl
dell’erogazione dei farmaci di fascia C per gli utenti ricoverati nelle Rsa-Raf e del trasporto in ambulanza degli utenti
ricoverati secondo le modalità indicate nella delibera Giunta regionale
17/2005, che indicava la data del 1° luglio 2005 per la messa a punto della
delibera suddetta; si rammenta che tale disposizione è quanto mai urgente
perché le somme richieste ingiustamente ai ricoverati per l’acquisto dei
farmaci non coperti attualmente dal prontuario
farmaceutico arrivano anche a 150-200 euro mensili;
• definizione di una corretta
normativa riguardante la determinazione della compartecipazione degli utenti al
pagamento delle prestazioni sociali, allo scopo di
rendere omogenei nel territorio piemontese i regolamenti di Comuni e Consorzi
socio-assistenziali. Tale provvedimento dovrà comunque
rispettare appieno quanto previsto dall’art. 25 della legge 328/2000 e dai
decreti legislativi 109/1998 e 130/2000. Si rammenta che sono state depositate
alla Presidenza della Giunta regionale precedente circa 45 mila firme raccolte
mediante una petizione promossa dalle Associazioni Avo (assistenza volontari ospedalieri), Sea
(servizio emergenza anziani), Consulta per le persone in difficoltà, Csa
(comitato per la difesa dei
diritti degli assistiti), Diapsi (difesa ammalati psichici), Società San
Vincenzo de Paoli, Gruppi di volontariato vincenziano, Auser, Associazione
Alzheimer Piemonte, Utim (Unione tutela insufficienti
mentali). L’obiettivo era, tra l’altro, quello di ottenere dagli Enti locali il
pieno rispetto delle norme vigenti in materia di contribuzioni economiche.
• delibera in
materia di vigilanza delle strutture di ricovero, che preveda anche
rappresentanti delle associazioni di volontariato, delle organizzazione
sindacali e degli enti locali;
o garantire nell’ambito delle
strutture residenziali (Rsa) i livelli di intensità delle prestazioni sanitarie
occorrenti per curare adeguatamente anche i malati in fase terminale o in coma apallico. Siamo contrari a “hospice” o
creazione di nuovi servizi che, oltre a parcellizzare personale
e risorse, possono privilegiare una categoria di malati (ad esempio
quelli di cancro) mentre ne emarginano altre (anziani cronici non
autosufficienti, malati di Alzheimer, ecc.);
o mantenere
la titolarità del Servizio sanitario regionale per i malati di Alzheimer e
delle demenze similari, con oneri totalmente a carico del Servizio sanitario
regionale dei centri diurni, compresi mensa e trasporto e quindi:
• creare almeno
un centro diurno in base al rapporto con la popolazione e quindi un centro ogni
50 mila abitanti, la cui capienza massima non deve superare i 20/25 posti, con
un’apertura di almeno 40 ore settimanali. Nessun onere deve essere posto a carico
dell’ammalato o dei congiunti. Vanno escluse anche richieste
per pasti e trasporti. Inoltre, la presenza di problemi comportamentali,
anche disturbanti, o il rifiuto del paziente non ne devono
precludere l’ammissione: in questi casi si può instaurare una terapia specifica
durante la visita dell’inserimento, che viene fatto gradualmente e con la
presenza di un familiare, e prevedendo attività diversificate in base alle
necessità del paziente;
• accorpare le
commissioni Uva con le Uvg, al fine di evitare
sprechi di risorse e ridurre i disagi per gli utenti;
• garantire ai malati di Alzheimer o con altre demenze similari, ricoverati nelle
strutture residenziali socio-sanitarie, la fascia di livello di prestazioni più
alta, con incremento, e ogni ulteriore prestazione aggiuntiva in caso di
certificazione di gravità da parte della commissione Uvg,
fissando la quota alberghiera a carico dell’utente comunque non oltre i limiti
indicati per la fascia più alta della Dgr 17/2005;
o assunzione
da parte del Servizio sanitario regionale della
titolarità delle prestazioni da erogare ai malati psichiatrici anche
nella fase cosiddetta di bassa intensità, ivi compresi gli oneri relativi alla
necessità di interventi economici (assegni terapeutici);
o prendere
in carico da parte dei dipartimenti di salute mentale delle Asl,
della cura e organizzazione di servizi per i soggetti che presentano prevalenti
problemi sanitari (ivi comprese forme di psicosi) associate ad insufficienza
mentale. Si segnala al riguardo l’esempio positivo
della residenza socio-sanitaria gestita dall’Asl 3 di
Torino, in corso Svizzera 140, che risponde alle esigenze della Città di Torino
e dei Comuni della prima cintura. È necessario ora programmare strutture
analoghe nelle altre Province in misura di almeno una struttura ogni 4-5 Asl;
o è
altresì necessario attivare al più presto anche centri diurni a gestione
sanitaria, per la stessa tipologia di soggetti affetti da psicosi
prevalentemente associata ad insufficienza mentale. Queste persone, che le famiglie desiderano continuare ad
accogliere a casa loro, il più a lungo possibile, al termine della scuola
dell’obbligo non possono essere inserite – come succede – nei centri diurni assistenziali predisposti per i soggetti affetti da
insufficienza mentale in situazione di gravità e non avviabili al
lavoro. Non si tratta di voler “ghettizzare” chi è affetto anche da gravi forme
di psicosi, come più volte ci è stato strumentalmente
risposto in questi anni, ma al contrario di realizzare dei servizi mirati alle
loro esigenze, profondamente diverse e, spesso, incompatibili, con chi ha un
handicap di natura intellettiva. Chiediamo che per i soggetti affetti da
psicosi (oltre che da insufficienza mentale) il personale sia anche in possesso
di professionalità sanitarie in grado di governare crisi che, come è già capitato, possono essere violente con
ripercussioni gravi sia per gli altri utenti, che per lo stesso personale;
o realizzare
comunità alloggio a totale carico del Servizio sanitario regionale per minori
con problemi psichiatrici. Una comunità sanitaria dovrebbe essere in primo
luogo realizzata a Torino, collegata
ad una struttura ospedaliera di neuropsichiatria infantile al fine di evitare
il ripetersi di ricoveri di minori nei repartini psichiatrici previsti per gli adulti. Sono in ogni caso necessarie almeno altre due comunità alloggio
da realizzarsi in altre aree della Regione, anche per impedire il ripetersi di
quanto accaduto nelle comunità alloggio socio-assistenziali per minori Peter Pan e Trilli di Torino dove, a causa dell’assenza di
strutture sanitarie idonee, erano stati impropriamente ricoverati minori con
problemi psichiatrici insieme a soggetti con problemi di natura assistenziale. Si
veda l’articolo allegato “Agghiaccianti violenze subite dai minori assistiti
presso due comunità di Torino”, pubblicato in Prospettive assistenziali, n. 149, 2005;
o garantire l’assunzione da parte
delle Asl di persone in situazione di handicap, ivi
compresi gli handicappati intellettivi e fisici con limitata autonomia, ai
sensi della legge .68/1999, con l’adozione di procedure analoghe a quelle
adottate dal Comune di Torino per l’esternalizzazione
di servizi alle cooperative sociali, mediante il regolamento approvato il 31
marzo 2005. Si rammenta che sono assai gravi le inadempienze delle Asl e che la mancanza di lavoro produce inevitabilmente una
ricaduta di questi soggetti nell’area assistenziale,
con oneri a carico della collettività a vita. Si ritiene pertanto che questo
problema debba essere inserito nella programmazione socio-sanitaria;
o sospendere
i lavori in corso per la realizzazione di strutture di ricovero destinate a più
categorie di soggetti (anziani malati cronici non autosufficienti, minori cerebrolesi, dimessi dagli ospedali psichiatrici,
handicappati intellettivi in situazione di gravità) e ridefinizione
dell’unica tipologia di utenza a cui devono essere destinate (solo anziani non
autosufficienti, solo malati psichiatrici, solo handicappati intellettivi,
ecc.);
o dare indicazioni alle Uvg e Uvh delle Asl perché segnalino all’autorità giudiziaria competente,
quando nel corso delle valutazioni riscontrino la necessità di misure di
protezione (nomina del tutore o del curatore o dell’amministrazione di sostegno
o di quello provvisorio) delle persone prive in tutto o in parte di autonomia
per effetto di infermità, che si trovino nell’impossibilità o nell’incapacità
di provvedere ai propri interessi;
o assicurare la continuità della
presa in carico sanitaria oltre il 18° anno di età, alle persone in situazione di handicap,
mediante un collegamento efficace fra i Servizi di Neuropsichiatria infantile
ed i Servizi di Igiene Mentale o altri servizi di cura e riabilitazione che
possano supportare la prosecuzione dei progetti di vita nella scuola superiore,
nei centri socio terapeutici, nella formazione professionale o nel mondo del
lavoro.
Assistenza
o Interventi ritenuti indispensabili per le persone in situazione di handicap
non avviabili al lavoro a causa della
gravità delle loro condizioni intellettive e/o fisiche.
Ai sensi dell’articolo 22, comma
3, della legge regionale 1/2004 i soggetti che rientrano nella definizione
suddetta hanno priorità di accesso alle prestazioni
socio-sanitarie che gli Enti locali, titolari delle suddette prestazioni,
devono assicurare secondo quanto disposto dal successivo articolo
3 riconoscere il
volontariato intrafamiliare. Le Asl e gli enti gestori socio-assistenziali,
in base all’obbligo previsto dalla legge regionale 1/2004 per le attività a
rilievo socio-sanitario, dovrebbero erogare congiuntamente un contributo
forfetario mensile al familiare che continua a farsi carico di un suo congiunto ultradiciottenne in situazione di
particolare gravità, quale rimborso degli oneri maggiori sostenuti. In questo
modo, mentre assicurano il mantenimento a domicilio il più a lungo possibile di
queste persone, con indubbi vantaggi per gli interessati, si realizza altresì
per gli enti sopra indicati un risparmio economico rispetto al ricovero dello
stesso soggetto. Si veda la positiva delibera adottata
il 6 novembre 2003 dal Cisap, Consorzio intercomunale
servizi alla persona di Collegno e Grugliasco (Torino);
3 garantire il
diritto alla frequenza
3 programmare e finanziare comunità alloggio. Le
strutture devono avere al massimo 8 posti letto (e 2 di sollievo o pronto
intervento) con obbligo alle Asl di stanziare i
finanziamenti necessari, secondo quanto stabilito dalla Dgr
51/2003 (Lea) e ai Comuni secondo i principi fissati dall’articolo 35 della
legge regionale 1/2004. I finanziamenti regionali, aggiuntivi, dovrebbero
essere previsti esclusivamente per le strutture di proprietà comunale, al fine
di evitare situazioni di monopolio da parte dei privati, mentre ovviamente la
gestione potrà essere affidata dai Comuni anche a
soggetti privati. Al riguardo si chiede l’attivazione di un gruppo di lavoro
con rappresentanti dell’utenza per la revisione della
legge regionale 43/1997 e delle Dgr 34 e 230/1997. Lo
stesso gruppo dovrebbe, altresì, riesaminare e aggiornare parte
della Dgr 38/1992, in particolare per quanto
concerne la definizione di casa, Raf e bagno
assistito. La richiesta è determinata dalla necessità di recepire
le innovazioni introdotte dalle leggi e delibere emanate successivamente agli
atti suddetti.
Si ritiene che sia altresì
indispensabile:
• prevedere almeno una comunità
alloggio ogni 30 mila abitanti, non accorpata ad altre strutture o nuclei e con
le caratteristiche organizzative indicate dalla Dgr 42/2002;
• assicurare agli utenti
handicappati intellettivi delle strutture residenziali socio-assistenziali le
cure domiciliari da parte delle Asl del territorio di
competenza, secondo quanto stabilito dalla Dgr
51/2003 e cioè in base alla valutazione personale del
bisogno del singolo soggetto. Per le comunità alloggio pertanto le prestazioni
sanitarie (mediche, fisioterapiche, infermieristiche) devono essere assicurate
dall’Asl di pertinenza della struttura e non
dall’ente gestore sia esso privato o pubblico;
• programmare e
finanziare gruppi appartamento per soggetti con minorazione e parziale
autonomia secondo i fabbisogni evidenziati dai piani di zona;
• richiamare l’obbligo per le Asl e gli enti gestori alle disposizioni relative
all’Uvh introdotte dalla Dgr
51/2003;
3 sviluppare le iniziative
domiciliari alternative al ricovero di soggetti con minorazioni permanenti e
grave limitazione dell’autonomia personale. Si chiede di destinare le risorse provenienti
dalla legge 104/1992 e dalla legge 162/1998 solo per gli interventi destinati
alle persone con handicap permanente e grave limitazione dell’autonomia
personale, che vivono a domicilio e che necessitano di
servizi di aiuto alla persona e/o di assistenza domiciliare senza i quali
dovrebbero ricorrere al ricovero in istituto. Le risorse che derivano dalle
suddette leggi potrebbero anche essere utilizzate per promuovere il
riconoscimento di servizi assistenziali gestiti
direttamente dalla persona disabile o dai suoi familiari quali il volontariato
intrafamiliare di cui al precedente punto 5 e i progetti per la “vita
indipendente”. Gli interventi attualmente finanziati
con queste risorse (progetto Ali, Osservatorio, varie attività di cultura,
tempo libero, assistenza scolastica, inserimento lavorativo...) dovranno essere
trasferite ai rispettivi assessorati di competenza e non essere più finanziati
dall’assessorato all’assistenza;
3 istituire gli uffici di pubblica tutela. Si chiede
l’attuazione di quanto previsto dalla legge regionale 1/2004 circa
l’istituzione degli uffici di pubblica tutela in capo alle Province (che devono
preventivamente trasferire tutte le residue funzioni assistenziali
ai Comuni). L’ufficio di pubblica tutela dovrebbe avere i seguenti compiti:
a) esercizio delle
funzioni di tutore, curatore, amministrazione di sostegno, amministratore
provvisorio, assegnate dall’autorità giudiziaria;
b) prestazioni della
consulenza sulle funzioni di cui alla precedente lettera a) alle persone ed
alle organizzazioni che ne facciano richiesta;
c) promozione del volontariato singolo od organizzato al fine
di incentivare la personalizzazione delle funzioni di cui alla precedente
lettera a).
Le Province
dovrebbero svolgere le funzioni di cui al precedente comma 1 mediante proprio
personale e avvalendosi del volontariato.
o azioni per la tutela
1. Predisporre un piano straordinario (“tutti
in famiglia, nessuno in istituto”) collegato al superamento del ricovero in
istituto dei minori previsto dalla legge entro il 31 dicembre 2006.
Dalla ricerca “Tutti
i bambini hanno diritto ad una famiglia” è emerso che nelle strutture
residenziali per minori (istituti, comunità, case famiglia, ecc.) del Piemonte
erano ricoverati al 31 dicembre 2002 ben 1.289 minori, di cui 296 della fascia di età 0-5 anni, 221 dai 6 ai 10, 225 dagli 11 ai 13 e 547
dai 14 ai 18 anni. Anche per le carenze dei servizi,
il ricovero dura spesso anche diversi anni. Il suddetto piano straordinario
dovrebbe prevedere:
3 il recepimento da parte degli
Enti gestori (con specifici atti deliberativi che devono prevedere anche il
personale occorrente ed il
finanziamento dei servizi suddetti) delle competenze loro
attribuite dalla legge regionale 1/2004
che ha stabilito:
a) il diritto dei
minori «specie se in condizioni di disagio familiare»
ad accedere «prioritariamente ai servizi
e alle prestazioni erogati dal sistema integrato di interventi e servizi
sociali»;
b) la obbligatorietà
della gestione in forma associata da parte degli Enti gestori e della
istituzione da parte degli stessi, nell’ambito delle prestazioni essenziali,
dei servizi di assistenza economica e domiciliare, dei servizi per
l’affidamento familiare e per l’adozione, nonché di quelli relativi
all’accreditamento e alla vigilanza sulle strutture residenziali;
3 la revisione della Dgr
79/11035
3 la verifica della sperimentazione sugli
affidamenti “professionali” prevista dalla Dgr
78/11034 del 17 novembre 2003, su cui il Csa ha
espresso in più sedi parere contrario, in quanto svalorizza
lo stesso ruolo svolto invece dalla famiglia affidataria
come attività di volontariato;
3 il potenziamento degli interventi di sostegno alle famiglie di origine e
agli affidamenti da parte dei servizi socio-sanitari;
3 la revisione della Dgr 41/12003 del 15 marzo 2004
“Tipologia, requisiti
strutturali e gestionali delle strutture residenziali e
semiresidenziali per minori” per quanto riguarda in particolare i seguenti
punti:
a) gli standard delle comunità
educative. Si propone di:
• prevedere non più di una
comunità per stabile e per ognuna non più di 6 minori (cui possono essere
aggiunti due posti di pronto intervento);
• precisare in modo idoneo i
criteri di ammissione e dimissione dei minori; ridurre
le tipologie di comunità, superando la divisione fra comunità “di pronta
accoglienza” e quelle “educative”;
• aumentare di almeno due gli
educatori turnanti in quanto la previsione di cinque
non consente la compresenza nei momenti significativi
della vita dei minori ospitati;
b) gli standard delle
case-famiglia. Si propone di definirla come una struttura costituita da un
normale alloggio o da una abitazione mono o pluri familiare, gestita
da un nucleo familiare stabile – coadiuvato da personale adeguato – in cui
siano inseriti non più di quattro minori per assicurare loro l’attenzione e le
cure di cui necessitano. Se nel nucleo sono presenti
figli, il numero complessivo non deve superare il numero di sei. In base alla
delibera, invece, a una coppia (di cui un componente
può svolgere un’attività lavorativa all’esterno) possono essere affidati fino a
sei minori. A questi vanno aggiunti gli eventuali figli della coppia fino ad un
massimo di otto minori, numero peraltro derogabile per
«i casi di fratellanza per i quali è
ragionevole non dividere né rinunciare all’inserimento…»;
c) gli standard delle comunità madre/bambino. Si propone di:
• ridurre il numero degli ospiti
dagli attuali
• prevedere comunità distinte per
le gestanti che hanno deciso per il non riconoscimento del loro nato o sono ancora incerte da
quelle per le madri con bambini in cui potrebbero essere inserite anche le
partorienti che hanno già deciso in merito al riconoscimento;
d) la documentazione sul minore
accolto nella struttura residenziale. Si
propone di prevedere una cartella per ogni minore contenente la documentazione
socio-sanitaria, la scheda riassuntiva della situazione personale e familiare
del minore, i provvedimenti assunti dall’autorità giudiziaria nei confronti dei
componenti del suo nucleo familiare, ecc… richiamando
quanto previsto anche dalla delibera n. 124/18354 del 23 aprile 1997;
e) la sospensione dell’attività
delle strutture che non rispondono ai parametri definiti dalla succitata
delibera e che hanno deciso di non proseguire la loro attività. Vanno previste
condizioni più restrittive: è inaccettabile che possano comunque
operare fino al 31 dicembre 2006;
3 monitoraggio continuativo dei minori ricoverati, avviato anni fa dalla
Regione Piemonte, per fornire agli Enti gestori degli interventi assistenziali,
alle Autorità giudiziarie minorili e – rispettando le disposizioni sulla
riservatezza – alle associazioni impegnate in questo settore i dati aggiornati
(almeno tre volte nell’anno) sulle situazioni dei minori inseriti nelle
strutture in modo da poter anche attivare tempestivamente progetti “mirati”
diretti alla loro dimissione e alla prevenzione di nuovi inserimenti. La
rilevazione periodica sui minori presenti nelle strutture socio-assistenziali e
sanitarie da parte della Regione Piemonte dovrebbe essere concordata con
3 indicazione agli enti gestori perché siano organizzati progetti finalizzati
all’autonomia dei minori che, diventati maggiorenni, non possono rientrare
nella famiglia d’origine e non sono però ancora pronti per un
inserimento sociale autonomo. Previa attenta valutazione dei singoli casi,
andrebbe prospettata non solo la possibilità di permanenza nelle comunità oltre
il diciottesimo anno di età, ma dovrebbe essere
prevista anche la possibilità di convivenze “guidate” in normali appartamenti,
reperiti ad esempio nell’ambito dell’edilizia residenziale pubblica;
2. assicurare la necessaria assistenza alle
gestanti con gravi difficoltà e la tutela del diritto alla segretezza del parto. Al
riguardo è urgente l’approvazione di una legge regionale che, in attuazione a
quanto previsto dall’articolo 58 della legge 1/2004, disponga
che le funzioni relative agli interventi socio-assistenziali nei confronti
delle gestanti e madri in condizione di disagio individuale, familiare e
sociale, compresi quelli volti a garantire il segreto del parto alle donne che
non intendono riconoscere i loro nati, e gli interventi a favore delle madri
già assistite come gestanti e dei neonati nei primi sessanta giorni di vita,
siano obbligatoriamente gestite dagli enti gestori (2 oppure 3 per tutto il
Piemonte) individuati dalla Giunta regionale fra i Comuni singoli o associati,
sentita la competente Commissione consiliare. Gli interventi suddetti vanno
forniti su semplice richiesta della donna interessata e senza ulteriori formalità, indipendentemente dalla sua residenza
anagrafica.
PROCEDURE PER L’ACCREDITAMENTO DEI SERVIZI SOCIO-SANITARI
Si chiede che il piano
socio-sanitario indichi i criteri ai quali Asl ed
Enti locali devono attenersi in caso di esternalizzazione dei servizi affinché siano rispettati i
diritti degli utenti, quasi sempre non in grado di difendersi e/o di esprimere
i propri bisogni. In base alla nostra esperienza è necessario che siano
previste le seguenti condizioni:
a) obbligo per
le Asl e per gli enti gestori di garantire la
titolarità delle prestazioni e, quindi, la responsabilità diretta nei confronti degli utenti. Deve essere
vietata ogni forma di contratto sottoscritto direttamente tra strutture private
convenzionate e utenti, salvo i casi in cui l’utente intenda
usufruire privatamente delle prestazioni delle Asl e
dei Comuni;
b) inserimento nelle convenzioni
e/o nelle disposizioni per l’accreditamento delle strutture (da parte degli
Enti gestori pubblici che affidano la gestione dei
servizi socio-assistenziali ad organizzazioni del privato sociale, comprese le
cooperative sociali) di clausole a tutela delle esigenze dell’utenza. Ad
esempio, dovrebbero essere precisati non solo il numero e la qualifica degli
operatori, ma anche l’obbligo da parte dell’ente gestore (cooperative, ecc.) di
fornire mensilmente fotocopia del libro di matricola, del libro paga, delle
fatture riguardanti gli operatori a rapporto professionale, nonché
le fotocopie delle attestazioni relative al titolo di studio del personale
addetto. Inoltre, al fine di limitare al massimo l’alto turnover
degli operatori, tenuto altresì conto delle numerose tipologie di contratto di
lavoro esistenti, si chiede che
c) obbligo, inserito nel
contratto ente pubblico-ente gestore, dell’esposizione in ogni reparto di
degenza o di altra attività di un tabellone indicante
per ciascun turno di lavoro la quantità del personale addetto e le relative
qualifiche;
d) acquisizione, da parte
dell’Ente locale che accredita, di tutti i posti disponibili, specialmente nel
caso di comunità alloggio di minori e di soggetti con handicap intellettivo. In
ogni caso l’Ente locale dovrebbe essere responsabile degli eventuali
inserimenti effettuati da altri enti gestori affinché gli utenti inseriti
abbiano caratteristiche compatibili con quelle degli altri ospiti. Al riguardo
riteniamo che debba essere abrogato l’art. 29 della legge regionale 1/2004 che,
pretendendo la disponibilità dei posti letto, senza assicurare nel contempo la loro copertura totale, non assicura
l’entrata delle risorse indispensabili al gestore e, conseguentemente, incita
il settore privato ad operare contro gli interessi degli utenti inserendo
soggetti tra loro anche non compatibili. Non deve più accadere che siano
ricoverati nella stessa comunità alloggio soggetti con handicap intellettivo e
soggetti affetti da psicosi; oppure di minori con problemi socio-assistenziali
e minori con problemi psichiatrici, al solo scopo di assicurare la copertura di tutti i posti letto disponibili;
e) obbligo di rapporti scritti da
parte degli operatori dei servizi territoriali con il personale responsabile
delle strutture di ricovero per quanto concerne gli aspetti più importanti da
definire;
f) idonee forme di vigilanza, ivi
compresa quella delle associazioni degli utenti sull’esempio della positiva delibera del Comune di Torino del febbraio 1983, oltre a controlli anche straordinari,
non programmati e tanto meno preannunciati nelle strutture di ricovero;
g)
autorizzazione da parte dell’Ente locale per l’ingresso di nuovi utenti, al
fine di garantire la compatibilità tra gli stessi e, soprattutto, il rispetto dei loro
diritti;
h) mantenimento in capo all’ente
pubblico di almeno il 50% della gestione diretta delle strutture al fine di
assicurare il confronto qualità/prezzo delle prestazioni e provvedere
a calmierare i prezzi del settore privato;
i)
continuità educativa in caso di cambio di gestione, ma anche valutazione
dell’idoneità del personale ad operare con persone non in grado di difendersi. Allo scopo di
prevenire maltrattamenti e/o abusi nei confronti degli utenti, tutto il personale
operante nelle strutture assistenziali pubbliche e/o convenzionate a diretto
contatto con le persone non in grado di difendersi, dovrebbe essere in possesso
di una certificazione attestante che non presenta controindicazioni, per le
caratteristiche della sua personalità, allo svolgimento delle proprie mansioni.
Gli Enti gestori dovrebbero individuare un centro scientificamente valido
(d’intesa con le organizzazioni sindacali ed i rappresentanti dell’utenza), cui
conferire questo incarico.
(1) Cfr. Prospettive assistenziali:
“Piattaforma sul problema della riabilitazione”, n. 49, 1980; “Piattaforma sui
problemi degli handicappati”, n. 63, 1983; “Piattaforme presentate dal Csa e altre iniziative contro l’emarginazione”, n. 73,
1986; “Piattaforme presentate dal Csa alla Regione
Piemonte, al Comune e alla Provincia di Torino, alle Ussl
cittadine e al Provveditorato agli studi”, n. 93, 1991; “Piattaforma presentata
dal Csa alla Giunta della Regione Piemonte”, n. 113,
1996; “Piattaforma presentata alla Regione Piemonte dal Csa”,
n. 135, 2001; “Piattaforma presentata dal Csa al
Comune di Torino”, n. 138, 2002; “Presentata alla Provincia di Torino la
piattaforma del Csa”, n. 148, 2004.
(2) La lettera è stata inoltrata a Mercedes
Bresso, Presidente della Giunta regionale del Piemonte, a Davide Gariglio, Presidente del Consiglio regionale del Piemonte,
ai Capigruppo del Consiglio regionale del Piemonte e per conoscenza agli assessori della Giunta regionale del
Piemonte.
www.fondazionepromozionesociale.it