Prospettive assistenziali, n. 154, aprile - giugno 2006

 

 

HANDICAP INTELLETTIVO E LAVORO: IL PERCORSO A OSTACOLI DI MARCO

MARIA GRAZIA BREDA

 

 

 

Premessa

La legge 68/1999 ha introdotto il collocamento mirato, ma, più passa il tempo e più è evidente che le imprese non assumono soggetti con handicap intellettivi lievi, approfittando del fatto che la legge 68/1999 ha soppresso ogni obbligatorietà. L’articolo che segue è volutamente molto dettagliato, allo scopo di spiegare (o almeno tentare di farlo) quanto sia difficile assicurare il diritto al lavoro per chi, pur in presenza di una menomazione intellettiva non grave, ha oggettive potenzialità lavorative.

La vicenda che descrivo è necessariamente lunga perché gli attori coinvolti nella vicenda sono tanti: Regione, Provincia, Comune, Centro per l’impiego, Servizio per l’inserimento al lavoro, Consorzio socio-assistenziale, senza dimenticare le aziende pubbliche e private, le cooperative sociali e il sindacato. I protagonisti sono un giovane di 29 anni, la sua famiglia, in particolare il papà, le associazioni di volontariato per la tutela dei diritti. La storia riguarda tutti i giovani come Marco, iscritti da anni nelle liste del collocamento al lavoro provinciali.

L’invito alla lettura è rivolto anche agli insegnanti della scuola dell’obbligo e superiore e della formazione professionale in quanto abbiamo bisogno anche del loro impegno: ottenere il diritto al lavoro per questi giovani con limitata autonomia è condizione imprescindibile per continuare a garantire (e mi­glio­rare) il loro inserimento scolastico e formativo pre­cedente e dimostrare che con un buon investimento scolastico possono diventare persone attive della società. Il protagonista è uno, ma la vicenda è la stessa di migliaia di giovani (e le loro famiglie) da anni e anni alla ricerca di un lavoro che non arriva mai.

 

Introduzione

Nell’articolo “Handicap: riflessioni sul lavoro in rete dei servizi per l’inserimento lavorativo”, pubblicato nello scorso numero (1), ho messo in evidenza gli articoli della legge 68/1999 che di fatto hanno finora impedito, o di molto rallentato, le assunzioni di giovani con handicap intellettivo in grado di svolgere  attività lavorative proficue.

In particolare, ho segnalato come sia  del tutto inefficace la rete dei Servizi di inserimento lavorativo (Sil),  introdotti dalla legge su citata, che non ha previsto  la loro stabilità con l’assunzione obbligatoria del personale indispensabile per un corretto funzionamento e in cui non sono neppure indicati obblighi precisi, da parte dei suddetti Sil, nei confronti degli utenti. Ne consegue che le persone con handicap restano anche anni e anni in lista in attesa di essere avviati al lavoro e molte non lo sono per nulla.

La carenza più grave della  legge, a mio avviso, resta in ogni caso la mancata precisazione dell’obbligo di assunzione di una percentuale di soggetti con limitata autonomia e ridotta capacità lavorativa che, come avevo già segnalato nel primo articolo di commento pubblicato su questa rivista (2), avevo individuato in almeno il  due per cento della percentuale totale (3) a cui sono soggette le grandi aziende. A ciò si deve aggiungere che molto spesso i Centri per l’impiego, come vedremo, non si adoperano affatto per tutelare gli interessi degli utenti e permettono alle imprese di proseguire per anni con persone in tirocinio, senza però arrivare all’assunzione. I soggetti  con limitata o nulla autonomia e/o con handicap intellettivo, rientrano tra coloro che hanno il più alto rischio di esclusione sociale. A mano a mano che passa il tempo, diventa sempre più difficile che siano  assunti.

Nel migliore dei casi finiscono per essere collocati definitivamente  nel circuito assistenziale, fuori per sempre dal mercato del lavoro e da ogni opportunità vera di integrazione sociale. A volte purtroppo restano a casa, in condizione di emarginazione vera e propria, costretti a vivere con i genitori che invecchiano e hanno sempre meno ruoli attivi nei confronti dei figli.

 

La storia di Marco (4)

Ho deciso di raccontare  la storia di Marco per spiegare cosa vuol dire per un giovane vivere un’esperienza così frustrante, ma anche per descrivere  le  molteplici iniziative  di Paolo (5), il papà,  tenacemente deciso a conquistare  un posto di lavoro per suo figlio.

La cronistoria delle loro vicissitudini mi permettono di spiegare, a chi non conosce il volontariato dei diritti (6), le modalità con cui opera il Csa (Coordi­namento sanità e assistenza fra i movimenti di base) di Torino (7), impegnato sin dal 1970 a promuovere il diritto al lavoro delle persone in situazione di handicap, in particolare di chi ha menomazioni intellettive o fisiche e limitata autonomia.

La riflessione riguarda anche il  ruolo svolto dalle istituzioni. Nel caso specifico gli enti preposti (Regione, Provincia e Comune) si adoperano poco o nulla per la difesa degli interessi di questi cittadini più deboli degli altri. Come già accade con le aziende private, sovente anche l’ente pubblico è  soddisfatto quando può delegare alle cooperative sociali (ovvero al settore assistenziale) l’inserimento di queste persone.

Non è ancora acquisito il valore in sé che rappresenta l’assunzione di un giovane con handicap intellettivo. Non è per nulla considerato una risorsa per la collettività (e quindi anche per il suo Comune), né tanto meno una persona che dal lavoro può trarne la giusta gratificazione per poter vivere da adulto, pienamente integrato, la sua vita.

Anche quando le Amministrazioni si dichiarano attente e solidali con le persone svantaggiate, alla fine, come vedremo nella storia di Marco, fanno tutto il possibile per non farsi carico di chi ha un handicap intellettivo né con assunzioni nella propria pianta organica, né con politiche attive che creino posti di lavoro nelle aziende pubbliche e private del territorio.

La storia di Marco comincia con i corsi prelavorativi dopo la scuola dell’obbligo.

 

L’esperienza senza sbocco dei tirocini assistenziali

Marco è un giovane di 29 anni con un handicap intellettivo lieve ed una percentuale di invalidità del 50%. Il minimo indispensabile per essere iscritto alle liste del collocamento obbligatorio ai sensi della legge 68/1999, ma che non dà diritto alla pensione di invalidità. Marco quindi è una persona a reddito zero (8). Dopo la scuola media frequenta i corsi prelavorativi (9) organizzati da un Centro di formazione professionale della Regione Piemonte, che si concludono con attività di tirocinio presso un supermercato del Comune di Venaria in cui abita.

Al termine del corso prelavorativo Marco resta a casa. Nessuno si preoccupa di cosa farà “da grande”. Non c’è alcun passaggio dall’esperienza formativa alla presa in carico del Centro per l’impiego provinciale, che dovrebbe seguirlo fino all’inserimento lavorativo. Lo scollamento tra l’attività formativa e i servizi per l’inserimento lavorativo è totale (10). Marco rimane a casa ed è costretto all’inattività.

Trascorso qualche tempo la mamma, preoccupata perché lo vede regredire, si rivolge ai servizi socio-assistenziali (11), che lo prendono in carico limitandosi  a trovare qualche attività socializzante. Non attivano alcuna segnalazione al Centro per l’impiego, né richiedono l’avviamento di Marco in un percorso di integrazione lavorativa, come previsto dalla legge 68/1999.

Propongono a Marco periodi di tirocinio in aziende, anche non soggette all’obbligo di assunzione, e si va avanti così per circa sette anni, senza alcuna prospettiva occupazionale.

 

Il papà di Marco si impegna in prima persona

Intanto Paolo, il  papà di Marco, va in pensione. Ha molto tempo a disposizione e decide di verificare le concrete possibilità lavorative di suo figlio. La mamma, che continua a lavorare, si è sempre fidata delle parole (di scritto non ha mai ricevuto nulla) dell’assistente sociale.

Paolo si informa, partecipa a convegni sul tema dell’handicap, incontra associazioni di categoria, che offrono una tutela generica ai soci, ma nessun supporto preciso per la ricerca del lavoro.

Infine approda al Csa di Torino che, nell’ambito della sua attività di volontariato promozionale, è particolarmente impegnato  ad ottenere dagli enti pubblici provvedimenti  di impegno per l’assunzione in proprio o presso terzi di soggetti in situazione di handicap e, tra questi, con particolare attenzione, di quelli con minorazione intellettiva o fisica e limitata autonomia. Il Csa, ovviamente, non promette a Paolo un posto di lavoro per suo figlio. Garantisce però l’impegno a sostenerlo per ottenere che i servizi preposti per il lavoro (Provincia, Centro per l’impiego, Sil) assicurino a Marco un percorso che abbia oggettive probabilità di arrivare all’assunzione.

Inoltre, come era già successo ad esempio per il Comune di Torino (12), si possono avviare iniziative nei confronti specifici del Comune di Venaria per ottenere delibere di assunzione diretta o per la promozione di iniziative che creino occupazione anche per questi soggetti, aumentando quindi le possibilità di trovare un posto di lavoro anche per Marco e per gli altri soggetti che sono inseriti da molti anni negli elenchi dell’ufficio di collocamento.

Paolo accetta, tanto ha nulla da perdere. Entra a far parte del Ggl, Gruppo genitori per il diritto al lavoro delle persone con handicap intellettivo, che aderisce al Csa ed ha come scopo quello di sostenere le famiglie nella ricerca del lavoro, anche attraverso iniziative rivolte alle Amministrazioni (non solo promozione di dibattiti ed incontri, progetti di inserimento, ma anche  presidi, interrogazioni, ecc.).

 

I primi passi con le associazioni di tutela dei diritti

In primo luogo è necessario acquisire tutte le informazioni possibili sul caso e verificare se sono state attivate tutte le procedure previste dalla legge 68/1999. Si richiede quindi  alla direttrice del Centro per l’impiego di Venaria un incontro al quale Paolo si presenta non più da solo, ma accompagnato dalla coordinatrice del Ggl. Si scopre così che, benché iscritto al Centro per l’impiego locale, Marco non è stato inserito nei programmi di valutazione attivati dalla Provincia di Torino. L’assistente sociale del Consorzio socio-assistenziale (13) non ha dato alcuna informazione al riguardo.

Paolo impara a sue spese che non bisogna dare per scontato che i servizi socio-assistenziali agiscono sempre in modo corretto. Inoltre viene a sapere che il servizio sociale non ha presentato il rendiconto sugli andamenti dei tirocini di Marco, adducendo come motivo i carichi di lavoro.

Paolo, su suggerimento del Csa, chiede spiegazioni, ma questa volta per iscritto. Invia una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno  al direttore del Centro per l’impiego di Torino, che sovrintende tutti i Centri per l’impiego, nella quale evidenzia la necessità di conoscere le valutazioni delle esperienze lavorative precedenti del figlio anche per impostare correttamente i percorsi formativi futuri.

 

A domanda scritta il Centro per l’impiego risponde

Il 15 dicembre 2003 risponde il direttore del Centro per l’impiego provinciale di Venaria, che scrive: «Marco C. è in carico al servizio socio-educativo di Venaria dal 1998; che gli operatori hanno elaborato per lui un progetto di inserimento lavorativo con l’attivazione di un tirocinio osservativo formativo e, in seguito, con un inserimento pilotato. Su richiesta della famiglia, l’inserimento è stato interrotto per poter accedere al progetto Itinera. Lo stage previsto da Itinera è stato effettuato presso il centro commerciale Alfa (14) di Venaria, con le mansioni di addetto caricamento reparto. Al termine dello stage, la valutazione degli operatori e dei responsabili dell’azienda, sui risultati raggiunti, ha concordato sul mancato pieno raggiungimento degli obiettivi fissati e sull’utilità di una prosecuzione dell’inserimento, che è avvenuto con l’attivazione di un tirocinio formativo orientativo. Al termine dell’inserimento, il datore di lavoro ha sostenuto che Marco non ha raggiunto gli obiettivi previsti, che il comportamento lavorativo non è stato sufficientemente maturo e responsabile e che ha creato difficoltà alla gestione aziendale; pertanto, si è dichiarato non disponibile all’assunzione. Di conseguenza, è stato proposto un inserimento pilotato presso la cooperativa sociale O., che presentava un contesto lavorativo particolarmente favorevole: l’inserimento in un piccolo gruppo di lavoro; una postazione individuale e un responsabile sempre presente; una mansione di facile esecuzione. A seguito del parere sfavorevole della famiglia, che ha proposto in alternativa l’inserimento presso l’azienda dove la mamma lavora, è stato attivato un inserimento pilotato presso la ditta Effe (15) di Savonera. Alla conclusione dell’inserimento, il datore di lavoro ha fatto presente che Marco non ha raggiunto gli obiettivi previsti, adducendo motivazioni simili a quelle espresse dalla ditta Alfa di  Venaria. In conclusione, il percorso di inserimento nel mondo del lavoro non è ancora concluso, non avendo Marco raggiunto soddisfacente autonomia, corretta socialità lavorativa, sufficiente apprendimento delle regole relative alla condizione di lavoratore». Ciononostante, prosegue la direttrice: «Si ritiene molto importante per il ragazzo non interrompere il contatto con il mondo del lavoro, perché la continuità gli consente di sviluppare gli apprendimenti acquisiti e di favorire il suo percorso di maturazione, che potrà essere agevolato e stimolato con l’inserimento in un contesto a lui idoneo».

 

Il tutor non dovrebbe seguire il soggetto in azienda?

Senz’altro è un risultato positivo l’avere finalmente ottenuto per iscritto il quadro della situazione, anche se non appare certamente confortante. Tuttavia, nella lettera di risposta del 17 dicembre 2003, che Paolo scrive a nome anche della moglie, emerge soprattutto il rammarico «per aver saputo solo ora quali siano stati i problemi inerenti alla sua mancata assunzione».

Inoltre non manca di evidenziare che avrebbe preferito entrare nel merito delle questioni sollevate durante i sette mesi di tirocinio, così come sarebbe stato senz’altro più proficuo per tutti «avere valutazioni da parte del referente del servizio (…) e non dal datore di lavoro, anche per poter eventualmente intervenire con azioni di rinforzo su Marco».

Paolo non riesce a capire quale sia stato il ruolo del tutor (16) incaricato dal Sil di seguire Marco, e non comprende per quali motivi non sia stato informato sull’andamento dei tirocini e sulle carenze di Marco, perché non abbia proposto ai congiunti di Marco i comportamenti necessari per correggerli e infine per quale ragione il tutor non abbia trasmesso alcun dato al Centro per l’impiego provinciale. Comunque, conclude la sua lettera la direttrice concordando «nel ritenere molto importante per il ragazzo non interrompere il contatto con il mondo del lavoro in modo che non si abbiano più a ripetere periodi di 12 mesi una volta e 17 mesi un’altra di assoluta inattività per Marco che potrebbero compromettere il suo proseguimento nel mondo del lavoro in modo negativo».

Termina con la richiesta che il figlio sia inserito nel progetto Itinera previsto per l’inizio del mese di gennaio 2004.

La richiesta scritta di Paolo e gli incontri che ne seguono producono un primo risultato. Circa un mese dopo, a fine gennaio 2004, il Centro per l’impiego di Venaria propone a Marco un tirocinio lavorativo presso un’azienda soggetta agli obblighi della legge 68/1999. La durata prevista è di quattro mesi, alle condizioni indicate nell’art. 11 della legge 68/1999 (17).

È previsto pertanto un progetto formativo e di orientamento, si individua il tutor aziendale e il tutor del servizio di inserimento lavorativo, ovvero l’educatore del Sil che dovrebbe svolgere le funzioni di monitoraggio.

Tutto sembra procedere per il meglio. Marco si trova bene e nel corso dei due incontri di verifica presso il Centro per l’impiego di Venaria risulta che anche la ditta Zeta (18) di Savonera è soddisfatta di come il giovane svolge la sua mansione di addetto aiuto magazzino. Alla scadenza del periodo concordato il tirocinio è rinnovato per altri due mesi, fino a metà agosto, data di chiusura della ditta per ferie.

Cosa pensa Paolo? Che senz’altro Marco svolge bene la sua attività; in caso contrario la ditta non avrebbe di certo rinnovato il tirocinio. Aspetta fiducioso la conferma dell’assunzione e dà per scontato che questa volta vi sia  un ruolo attivo da parte dell’operatore del Sil. È certo che, dopo i chiarimenti avvenuti, non capiteranno  più i disguidi verificatesi nelle esperienze precedenti. Paolo si attende che  l’educatore del Sil contatti  l’azienda e verifichi di persona, sul posto di lavoro, se  Marco risponde alle esigenze produttive richieste dalla sua mansione. Tutto lascia prevedere che  la sua resa produttiva sia certa e continua e che si possa  procedere con i passi necessari per l’assunzione a tempo indeterminato.

Non è questo il compito di monitoraggio che spetta al tutor del Sil? Non dovrebbe essere il tutor a mantenere i contatti e i collegamenti tra il Centro per l’impiego, l’azienda e l’utente per una valutazione finale del tirocinio? Invece non accade nulla di tutto questo. Anche questa volta, come nei casi precedenti, non arriva nessuna comunicazione alla famiglia da parte dell’operatore del Sil e neppure Marco viene informato su che cosa succederà alla riapertura della ditta dopo la pausa estiva.

 

Il tirocinio va bene, ma Marco non è assunto

Marco vive con ansia i suoi ultimi giorni di tirocinio fino al punto da cercare autonomamente di sapere se il suo lavoro procede bene. Alla sua richiesta esplicita il coordinatore del magazzino conferma che «per quel che mi riguarda potresti rientrare al primo giorno di riapertura dopo le ferie, ma il tuo rientro non dipende da me».

Persiste invece l’assoluto silenzio da parte dell’operatore del Sil e allora Paolo, il papà, una settimana prima dello scadere del secondo tirocinio, si attiva in prima persona nei confronti dell’azienda Zeta, anche se in verità non è corretto che la famiglia assuma iniziative dirette. La latitanza del personale del Sil giustifica tuttavia il comportamento di Paolo.

È così che viene a sapere, direttamente dalla responsabile del personale, che l’ufficio  ha già comunicato al Centro per l’impiego l’impossibilità a procedere, per il momento, all’assunzione di Marco. Sembra che non sia giunta in tempo l’autorizzazione della casa madre; il dirigente che è al corrente di tutto è già in ferie e, quindi, se ne riparlerà a settembre.

Qualche giorno dopo la stessa responsabile dell’ufficio personale dirà a Marco di stare tranquillo e che riceverà senz’altro una telefonata a casa, dopo le ferie. Invece a ricevere la chiamata è la famiglia, che è convocata, insieme a Marco, dal Centro per l’impiego di Venaria, ben due mesi dopo la fine dell’esperienza lavorativa, per sentirsi dire che il tirocinio non sarà seguito dall’assunzione.

All’incontro sono presenti la direttrice del Centro per l’impiego e l’educatrice del Sil. Dal colloquio emerge una situazione che ha dell’incredibile. Infatti, benché vi sia un giudizio tutto sommato positivo sulle due esperienze di tirocinio di Marco, l’azienda ha deciso di interrompere il rapporto di lavoro con la motivazione che in realtà ha bisogno di una figura con capacità professionali più elevate. E ci sono voluti tutti questi mesi per scoprirlo?

 

La famiglia chiede spiegazioni ai sensi della legge 241/1990

La delusione è grande. Il papà si confronta nuovamente con il Csa e si decide di scrivere direttamente all’Assessore al lavoro della Provincia di Torino.

Tenuto conto che la legge 68/1999 non prevede alcuna possibilità di ricorso, né sono previsti dalla legge regionale obblighi per il Centro per l’impiego di dare spiegazioni al riguardo, il Csa suggerisce di utilizzare la legge 241/1990 sulla trasparenza amministrativa (19). La lettera è firmata da Marco, che non essendo interdetto o inabilitato, è titolare del diritto di conoscere le ragioni comunicate al Centro per l’impiego della ditta Zeta. In specifico Marco sottolinea come «trattandosi di un tirocinio, la motivazione della mancata assunzione è ancora più importante per capire e per cercare per il futuro di migliorare quegli aspetti lavorativi che evidentemente non sono stati ritenuti soddisfacenti».

Marco si rammarica, infine, che «non si sia provveduto al momento del tirocinio stesso a rendere palesi tali aspetti in modo da avere il tempo e l’opportunità di porvi rimedio anche attraverso momenti formativi e di tutoraggio come previsto dalla legge 68/1999». Conclude rinnovando la sua volontà ad entrare nel mondo del lavoro e si dichiara pertanto disponibile per qualsiasi altra attività lavorativa.

L’azione intrapresa da Marco ha anche lo scopo di avviare una nuova procedura a tutela degli interessati, che potrebbe consistere nell’approvazione da parte della Giunta provinciale di una delibera in cui sia prevista la facoltà di poter ricorrere ad un organo diverso dal Centro per l’impiego quando, come in questo caso, vi sono elementi di valutazione differenti tra il soggetto interessato e il predetto Centro.

 Per il Csa si tratta inoltre di un intervento volto a responsabilizzare gli enti coinvolti (Province, Centri per l’impiego, Consorzi socio-assistenziali e operatori del Sil), affinché i tirocini di integrazione lavorativa prevedano verifiche in itinere e valutazioni finali, anche per quanto concerne gli eventuali fallimenti.

Quanto emerge dalla storia di Marco conferma, purtroppo, i risultati della ricerca della Regione Piemonte citata (20) e cioè che attualmente nella rete dei servizi per l’inserimento lavorativo non c’è un effettivo coordinamento e, spesso, questa è tra le cause della mancata realizzazione delle assunzioni dei soggetti che hanno maggiori difficoltà di collocamento. La lettera inviata da Marco ottiene una risposta. Non subito, perché è stato necessario sollecitarla più volte, ma entro i termini previsti (21) giunge la risposta dell’Assessore al lavoro e del dirigente del servizio lavoro della Provincia di Torino in cui viene segnalato che nei confronti di Marco «il Centro per l’impiego di Venaria, in collaborazione con le strutture territoriali di assistenza e d’intesa con l’azienda, abbia attivato un percorso individualizzato continuo, caratterizzato da frequenti verifiche per valutare nel tempo la realizzazione del progetto formativo parte integrante della convenzione di tirocinio di formazione e orientamento».

 

Il tirocinio: una nuova forma di sfruttamento?

In realtà nella lettera si cita un unico incontro di verifica, avvenuto il 7 luglio 2004, al termine dei primi quattro mesi di tirocinio,  presso il Centro per l’impiego. Erano presenti: la famiglia, Marco e il tutor, ovvero l’operatore del Sil “prestato” dal Consorzio socio-assistenziale.

In quell’occasione erano state esaminate le difficoltà segnalate dall’azienda. In base alle informazioni assunte dal Centro per l’impiego risultava che «Marco non comprende esattamente la consegna, inizia a svolgere un compito senza chiedere ulteriori spiegazioni, crea problemi di gestione, probabilmente la confusione presente nel reparto dovuta allo specifico del magazzino mette in crisi la sua capacità di attenzione provocando distrazioni».

Secondo il Centro per l’impiego proprio «tali difficoltà avevano peraltro indotto l’azienda, che ha collaborato efficacemente con il Centro per l’impiego per altri due inserimenti di persone con disabilità [ma non si precisa se sono state assunte, n.d.r.], a richiedere una proroga del tirocinio di ulteriori due mesi fino al 18 agosto 2004 per permettere la conclusione del progetto formativo previsto e sottoscritto nella convenzione di tirocinio citata».

Nella risposta l’Assessore e il Dirigente non mancano di ricordare poi a Marco che la «attivazione di un tirocinio di formazione e orientamento, pur stipulato dal Centro per l’impiego e dall’azienda nell’ottica di un successivo inserimento lavorativo, non implica un obbligo per l’azienda di addivenire, a conclusione del tirocinio, alla stipula di un contratto di lavoro». Spiegano inoltre che  nell’incontro effettuato dal Centro per l’impiego con l’azienda, a conclusione del tirocinio, sono state presentate  le varie possibilità previste dal Fondo regionale disabili e dalla vigente normativa per agevolare l’assunzione di Marco, ma non hanno portato esiti positivi. L’azienda, pur fornendo una valutazione positiva del tirocinio, non ha ritenuto raggiunti gli obiettivi previsti nel progetto formativo.

La lettera si conclude con la rassicurazione che il Centro per l’impiego di Venaria ed il Consorzio socio-assistenziale stanno lavorando «per individuare altre opportunità di inserimento lavorativo più favorevoli anche alla luce dell’esperienza appena conclusa». Ancora una volta si scopre “dopo” che Marco non è idoneo e ancora una volta l’amarezza è grande sia per  Marco che per la sua famiglia, lasciati fino all’ultimo all’oscuro di tutto.

Come nelle precedenti esperienze conta sempre e solo la valutazione dell’azienda, che non può essere contrastata da Marco (che non è in grado di farlo), ma che non viene neppure messa in dubbio dal Centro per l’impiego, che non ha ritenuto necessaria una verifica da parte dell’operatore del Sil per accertare  di persona come concretamente Marco si comporta nel posto di lavoro.

A questo punto il rapporto tra il papà di Marco e il tutor si incrina ulteriormente. Paolo ritiene che Marco, di nuovo, non sia stato sostenuto correttamente durante il percorso di tirocinio.

In questi mesi Paolo si è ulteriormente documentato, ha partecipato a diversi momenti pubblici (convegni, seminari) dove il ruolo del tutor nel collocamento mirato è stato presentato come un aspetto fondamentale per assicurare al soggetto in difficoltà l’appoggio nei momenti difficili e l’aiuto necessario per superarli. Non gli sembra quindi di pretendere niente di più di quello a cui ha diritto e imputa questo ulteriore fallimento soprattutto al comportamento dell’operatore del Sil che, per quanto Marco gli ha riferito, non lo ha affatto seguito sul posto di lavoro.

Inoltre, Paolo non ha per nulla gradito che ad una sua precisa richiesta di chiarimento, lo stesso operatore abbia inizialmente rifiutato di dare spiegazioni. È vero che attivando la legge 241/1990 è stata ottenuta una risposta, ma Paolo pensa a tutti i genitori che, non conoscendo il diritto ad ottenere le informazioni dovute, si fermano davanti al primo ostacolo e subiscono le prepotenze di chi ha il coltello dalla parte del manico.

Per questo si impegna con il Csa e con l’associazione Grh e decide di partecipare anche al tavolo di lavoro avviato nel frattempo dal Consorzio socio-assistenziale per predisporre il piano di zona. In quella sede, quando si affronterà il tema dell’inserimento lavorativo delle persone con handicap intellettivo, Paolo solleverà i problemi che ha vissuto in prima persona per sostenere la richiesta che gli operatori del Consorzio socio-assistenziale impegnati nel collocamento mirato, siano distaccati direttamente al Centro per l’impiego provinciale sull’esempio di quanto è stato fatto dal Centro per l’impiego di Rivoli (22).

Concorda poi con il Csa e il Ggl un documento e lo distribuisce  ai partecipanti del convegno dell’8 ottobre 2004 organizzato dalla Regione Piemonte (23), Assessorato al lavoro. Nel testo del volantino,  tra l’altro, si segnala che «sempre più spesso i tirocini sono un mezzo impiegato dalle imprese per non assumere mai soggetti con handicap intellettivo o fisico con limitata autonomia».

Il Csa chiede alla Giunta di approvare provvedimenti idonei ad impedire che i tirocini diventino nuove forme di sfruttamento legalizzato. Viene, altresì, rilevata la necessità di richiamare  i Centri per l’impiego alla stipula di convenzioni che rispettino almeno quanto previsto dall’articolo 11 della legge 68/1999 (24).

 

Necessario acquisire le delibere per coinvolgere le istituzioni

Il Csa, visto il perdurare delle carenze del Servizio di inserimento lavorativo del Centro per l’impiego di Venaria, decide di coinvolgere l’Amministrazione comunale.

Anche Paolo è interessato a capire quali siano i rapporti che devono intercorrere tra il Centro per l’impiego e il tutor e ad individuare quali siano le carenze (perché è evidente che ci sono) che hanno favorito il ripetersi delle esperienze negative vissute da Marco. Come è prassi del Csa, si acquisisce in primo luogo tutta la documentazione relativa.

Con qualche difficoltà e resistenza da parte del personale comunale (25) si riesce alfine a recuperare tutti gli atti che regolamentano i rapporti in materia di lavoro per i soggetti di cui alla legge 68/1999 e cioè:

- la convenzione tra i Comuni del territorio ed il Comune capofila;

- la convenzione tra il Comune capofila, Venaria, sede del Centro per l’impiego territoriale e la Provincia di Torino per la gestione e l’integrazione dei servizi per l’impiego e delle politiche attive del lavoro;

- la convenzione tra la Provincia di Torino ed il Consorzio socio-assistenziale «per il raccordo finalizzato a facilitare l’inserimento nel mondo del lavoro di persone disabili; l’appalto concorso dei servizi di orientamento, di supporto alla ricerca d’impiego, di formazione e di rinforzo individuale e delle competenze professionali, di inserimento lavorativo guidato mediante tirocinio relativo alle azioni in favore di soggetti deboli a rischio esclusione sociale»;

- la delibera del Consorzio socio-assistenziale con l’approvazione del programma annuale delle attività concordate fra il Centro per l’impiego e il Consorzio socio-assistenziale;

- il progetto “Laboratorio abilità sociali e tirocinio formativo per soggetti disabili” predisposto autonomamente dal Comune di Venaria.

Paolo recupera inoltre i tabulati disponibili presso il Centro per l’impiego di Venaria (26), che riportano i dati relativi alle scoperture delle aziende pubbliche e private del territorio, per avere elementi oggettivi di riferimento, oltre ai dati forniti dal Centro per l’impiego di Venaria.

Tutta la documentazione è attentamente studiata sia da Paolo, che dai volontari del Csa che lo sostengono, anche perché la ricerca di una soluzione per la sua vicenda personale può determinare ripercussioni positive per tutti coloro che si ritrovano nella stessa condizione di Marco.

Appena in possesso dei necessari elementi conoscitivi, viene richiesto un incontro con l’Assessore al lavoro del Comune capofila (Venaria) che, anche in base a quanto riportato nella convenzione (27), dovrebbe monitorare il Centro per l’impiego e assicurarsi che sia stato fatto tutto il possibile per tutelare il diritto al lavoro dei soggetti con handicap.

Lo stesso aspetto è ripreso anche nella convenzione tra il Comune capofila di Venaria e gli altri Comuni afferenti al Centro per l’impiego (28).

Paolo contatta la segreteria dell’Assessore per ottenere un incontro e, nel contempo, si attiva anche presso altri Consiglieri comunali. L’iniziativa è assunta come volontario dell’associazione Grh, di cui Paolo è socio.

Come volontario dell’associazione ha dato la sua disponibilità a farsi portatore degli interessi non solo di suo figlio, ma di tutti gli altri genitori dell’associazione con figli con handicap intellettivo del territorio in attesa di lavoro.

 

Istanza al Sindaco e altre iniziative

Un primo riscontro si ottiene dal rappresentante di un gruppo politico della maggioranza, che in data 15 ottobre 2004 presenta al Sindaco e all’Assessore competente di Venaria l’istanza che riproduciamo di seguito.

«La sottoscritta (…), in qualità di referente cittadina del partito Italia dei Valori, su precisa richiesta del Sig. Paolo, padre del giovane disabile Marco, presenta la seguente istanza relativa alla mancata assunzione del giovane presso la Ditta Zeta di Savonera.

- Venuta a sapere che la ditta Zeta di Savonera ha rifiutato di trasformare in assunzione la convenzione attivata ai sensi dell’art.11 della legge 68/1999 del sig. B. Marco giovane con handicap intellettivo residente a Venaria.

- Tenuto conto che il Centro per l’impiego di Venaria ha sostenuto – senza motivarlo per iscritto – che le è permessa tale facoltà, avendo altri soggetti con analoga tipologia di handicap inseriti.

- Preoccupata che, in mancanza di opportunità di lavoro, il carico di questi giovani passi al settore assistenziale con aggravio inappropriato delle spese per i Comuni.

- Temendo che le aziende aggirino gli obblighi della legge 68/1999 inserendo periodicamente soggetti in tirocinio per svolgere mansioni utili all’azienda, ma sottopagate, e con la facoltà di non assumerli, così come è stato per Marco e per l’altro giovane che lo aveva preceduto nella stessa ditta.

- Visto che il Centro per l’impiego non intende inserire Marco in altro percorso lavorativo, perché ritiene di non aver aziende scoperte a cui indirizzarlo.

- Considerato che la capacità lavorativa di Marco è stata valutata positivamente anche nell’ultimo tirocinio e che non è questo il motivo della mancata assunzione.

- Premesso che è interesse del Comune fare tutto il possibile perché Marco e altri giovani con handicap residenti a Venaria con capacità lavorativa trovino occupazione stabile

chiede al Sindaco e all’Assessore competente di intervenire direttamente per

1. verificare la veridicità della posizione della Ditta Zeta ai fini degli obblighi a cui è tenuta ai sensi della legge 68/1999, chiedendo risposta scritta al Centro per l’impiego di Venaria anche in merito alla mancata assunzione di Marco».

L’interpellanza prosegue poi con la richiesta dei dati relativi all’occupazione dei soggetti in situazione di handicap iscritti nella lista di collocamento.

Paolo è alla sua prima esperienza di rapporto con le istituzioni e si è scordato di segnalare al Csa che l’Amministrazione comunale è in scadenza e che è cominciata la campagna elettorale.

Infatti l’istanza  viene subito fermata e la rappresentante della lista invitata a ritirarla per non turbare il clima con gli altri partiti dell’alleanza.

Il rappresentante della lista accondiscende, ma ottiene un incontro dall’Assessore al lavoro, che lo promuove invitando anche l’Assessore all’assistenza, il responsabile del Consorzio socio-assistenziale e Paolo, come rappresentante delle organizzazione Grh e il Csa.

L’esito dell’incontro non è incoraggiante: gli As­ses­sori presenti ammettono di non conoscere bene la materia e chiedono tempo per assumere le informazioni necessarie dal Centro per l’impiego. Promettono di rivedersi a distanza di un paio di mesi.

Paolo non è per nulla soddisfatto di come si è svolto l’incontro. A nome dell’associazione Grh decide di inviare un pro-memoria all’Assessore al lavoro del Comune di Venaria allo scopo di rammentargli gli impegni assunti che prevedono il recupero, presso il Centro per l’impiego, dei seguenti dati:

«a) il numero degli avviamenti al lavoro di giovani con handicap intellettivo e capacità lavorative realizzati finora ai sensi della legge 68/1999;

«b) quante sono le assunzioni a tempo indeterminato realizzate;

«c) quanti soggetti hanno usufruito del Por (Programma operativo regionale) finanziato dalla Provincia per favorire il collocamento dei soggetti con maggiori difficoltà;

«d) quanti sono i soggetti con handicap intellettivo iscritti, in attesa di lavoro, non inseriti nei percorsi finalizzati all’assunzione;

«e) quanti soggetti con handicap e con quale tipologia sono stati collocati nelle aziende che hanno firmato i patti territoriali e che sono soggette agli obblighi della legge 68/1999;

«f) quante sono le aziende scoperte ai sensi della legge 68/1999 afferenti al territorio del Centro per l’impiego di Venaria, ivi compresi gli enti pubblici economici e gli enti pubblici non economici e le Asl».

«Quanto sopra – prosegue Paolo – è il passo necessario al fine di poter individuare le possibili azioni di politica attiva da intraprendere a tutela di questa fascia debole della popolazione, se del caso anche interessando la Provincia di Torino al fine di ottenere maggiori investimenti (in considerazione del momento di crisi di occupazione che attraversa la zona)».

All’Assessore all’assistenza invece chiede che sia previsto «che i tutor incaricati per conto del Centro per l’impiego, di seguire e monitorare gli inserimenti in azienda di giovani con handicap intellettivo, siano obbligati a:

- monitorare almeno ogni 3 mesi la situazione;

- riferire per iscritto al Centro per l’impiego e all’interessato e/o alla sua famiglia affinché, in caso di pro­blemi, si possa intervenire con tempestività (…)».

Conclude la lettera rammentando l’impegno a incontrarsi «a metà gennaio per la messa a punto della situazione, alla luce dei dati acquisiti, per finalizzare eventuali azioni per promuovere occasioni di lavoro».

Il Csa si mobilita nel contempo nei riguardi del Consiglio provinciale torinese e del Consiglio regionale del Piemonte. In entrambi i casi ottiene la presentazione di una interrogazione finalizzata a sollecitare i rispettivi enti per la promozione delle assunzioni delle persone con handicap ai sensi della legge 68/1999 (29).

 

L’abbaglio del posto pubblico e le promesse (false) elettorali

Parallelamente alle azioni intraprese  con le associazioni Grh e Csa, il papà di Marco non trascura altre opportunità per trovare un posto di lavoro al figlio. Nel corso di un incontro pubblico, a cui erano presenti gli Amministratori del Comune di Venaria, apprende che ci sono scoperture sia nell’Azienda municipalizzata, che nella pianta organica del Comune stesso.

Prontamente Marco presenta una domanda di assunzione ad entrambi gli enti. I politici (che sono in piena campagna elettorale) hanno fatto balenare l’ipotesi che il Comune possa avvalersi della chiamata nominativa, peraltro prevista dalla legge 68/1999. Vedremo più avanti come andrà a finire.

 

Guai anche se si cerca lavoro per conto proprio

Nello stesso periodo Paolo collabora con il Ggl all’allestimento della mostra “Anche noi al lavoro” (30) e incontra il responsabile di una cooperativa sociale che svolge, per conto del Centro per l’impiego della Provincia di Torino, il compito di selezione/abbinamento tra i soggetti in attesa di lavoro ai sensi della legge 68/1999 e di abbinamento con le aziende soggette agli obblighi di assunzione.

Uno dei responsabili, che è intervenuto al dibattito organizzato per presentare la mostra, conosce in quell’occasione anche Marco, che collabora alla gestione dello spazio espositivo.

Qualche giorno dopo la famiglia riceve una telefonata da parte della cooperativa. Propone per Marco un posto di lavoro a part-time presso un supermercato di Torino, con la mansione di ausiliario. Sembra l’occasione giusta e tanto attesa. Marco accetta al volo. Qualche giorno dopo viene convocato dal responsabile del supermercato per  sottoscrivere il contratto di assunzione, privo però di ogni riferimento alla legge 68/1999. Sia alla famiglia, che al Csa con cui si è consultata, questo particolare risulta alquanto incomprensibile, ma la cooperativa sociale, ente inviante, conferma che è tutto regolare. 

Paolo si informa se è previsto un tutor per sostenere Marco nelle prime fasi dell’inserimento. La risposta è negativa: non c’è Sil, non c’è collocamento mirato. È prevista solo una visita saltuaria di un operatore della cooperativa per valutazioni in azienda. Paolo si rivolge allora  al suo Centro per l’impiego per chiedere l’attivazione del collocamento mirato previsto dalla legge 68/1999. Scopre invece che Marco risulta  ancora disoccupato. Il Centro per l’impiego di Torino non ha segnalato a quello di Venaria – a cui è iscritto – che è stato avviato al lavoro.

In pratica la Provincia di Torino si avvale di più attori per abbinare le persone handicappate in attesa di lavoro, iscritte al collocamento, con le aziende soggette agli obblighi di assunzione previsti dalla legge 68/1999. Questi diversi attori (cooperative sociali, associazioni, agenzie, consorzi socio-assistenziali) non hanno però alcun obbligo di coordinarsi con il Centro per l’impiego di pertinenza del soggetto, il solo deputato per legge ad attivare il collocamento mirato.

La conclusione è che Marco non viene preso in carico neppure  dal Centro per l’impiego di Venaria e, quindi, non ha diritto ad usufruire del Sil.

 

Il nuovo lavoro non va a buon fine

Apparentemente sembra procedere tutto per il meglio e la famiglia decide quindi di soprassedere alle incongruità che ha rilevato. Dopo tutto è comprensibile che desiderino un po’ di serenità. Marco è contento del lavoro, che raggiunge con l’utilizzo autonomo dell’autobus. La mansione principale consiste nel riempire gli scaffali del supermercato sempre con un addetto che controlla se il lavoro è stato eseguito correttamente.

Trascorsa qualche settimana, in assenza di un operatore di riferimento, il papà di Marco si permette di chiedere al responsabile della cooperativa un parere sul figlio. Riceve la conferma che va tutto abbastanza bene. Tuttavia, una settimana prima dello scadere del 45° giorno di lavoro, Marco riceve una lettera con cui apprende che «la direzione di questa azienda è venuta nella determinazione di risolvere il rapporto di lavoro con la S.V. assunta presso questa azienda dal 18 marzo 2005 con un periodo di prova di 45 giorni di effettiva prestazione (periodo di prova risultante da atto scritto, durante il quale è reciproco il diritto di risoluzione del rapporto di lavoro senza preavviso). II rapporto di lavoro cesserà in data 16 maggio 2005».

Fine anche di questa esperienza, di nuovo senza neppure sapere che cosa non ha funzionato, quali sono – se ci sono – le carenze di Marco. Il tutto capita senza che vi sia alcun coinvolgimento della cooperativa sociale che opera per conto della Provincia di Torino e che ha provveduto all’inserimento lavorativo. Il papà di Marco non ci sta e chiede di nuovo al Csa aiuto per sapere che cosa può essere successo.

 

I buchi della rete dei servizi per l’inserimento lavorativo

Alla delusione si aggiunge anche la frustrazione per il senso di impotenza che pervade un po’ tutti. Comunque si decide di andare avanti. Il Csa suggerisce di tentare la carta del sindacato, almeno per verificare se il contratto di lavoro era in regola ed è stata rispettata la prassi. Inoltre, sempre al sindacato, si chiede di verificare anche la posizione dell’azienda rispetto alla legge 68/1999.

Paolo si muove e, dopo non poche telefonate, individua finalmente il delegato della zona. Racconta quanto accaduto e ottiene il suo interessamento. In poco tempo il rappresentante sindacale promuove un incontro di chiarimento con il responsabile della ditta, con la cooperativa sociale (che prima aveva tergiversato) e con Paolo.

In breve risulta che la ditta non solo si è comportata correttamente, ma ha anche assunto una giovane con handicap intellettivo, ai sensi della legge 68/1999, ma nella filiale di un Comune vicino. Anche questa persona, come Marco, era stata inviata dalla stessa cooperativa e nello stesso periodo. Soltanto che alla fine la ditta ha scelto la giovane e non Marco.

Ma perché nessuno si è sentito in dovere di spiegare sin dall’inizio come stavano le cose? E quali sono in definitiva le carenze di Marco, a cui mai nessuno ha rimproverato nulla?

Solo su insistenza di Paolo finalmente si viene a sapere che forse il problema sta nella diversa organizzazione del lavoro dei due supermercati. Nel primo l’ambiente è più sereno e tranquillo perché il responsabile è una persona capace, che si è fatto carico dell’inserimento della giovane e l’ha sostenuta anche nei riguardi degli altri lavoratori.

Nel supermercato di Marco, invece, la direzione è in mano ad un giovane che è alla sua prima esperienza. Si è trovato a gestire da solo le dinamiche che si sono scatenate tra Marco e gli altri colleghi di lavoro, come ad esempio dover  giustificare la stessa retribuzione a fronte di carichi di lavoro e responsabilità maggiori per questi ultimi rispetto a Marco. Alla fine ha scelto la strada più rapida e cioè liberarsi del problema.

Si fa nuovamente il punto con il Csa e si conviene che, ancora una volta, non ha funzionato la rete dei servizi. I Centri per l’impiego non hanno comunicato tra di loro, la cooperativa non ha svolto il suo ruolo in modo integrato, è mancato il collocamento mirato a cui Marco ha diritto ai sensi della legge 68/1999.

Gli uffici provinciali centrali e i Centri per l’impiego periferici appaiono scoordinati. I primi hanno adottato la scelta di non assumere direttamente il personale per i servizi di inserimento lavorativo. Affidano a terzi, in genere ogni tre anni, la realizzazione di progetti finalizzati all’inserimento di una particolare tipologia di soggetti in difficoltà. Viene riconosciuta una somma all’ente per ogni soggetto avviato in tirocinio. Finora non sono stati analizzati i motivi che sono all’origine della mancata assunzione dei soggetti inseriti in tirocinio, né sulla efficacia dei progetti stessi.

I soggetti che gestiscono i progetti (cooperative, associazioni, consorzi socio-assistenziali, ecc.) possono comunque non essere riconfermati anche in assenza di elementi oggettivi di valutazione. Ogni tre anni, circa,  nel territorio del Centro per l’impiego possono cambiare, anche totalmente, gli operatori di riferimento per l’inserimento al lavoro delle persone con handicap intellettivo.

Come emerge dalla ricerca di cui al già citato articolo pubblicato nello scorso numero (31) non si fanno bilanci e, quindi, gli errori si ripetono e non si prendono iniziative per  migliorare i servizi resi.

I risultati sono a dir poco drammatici. Nel documento distribuito nel corso dell’audizione del 12 dicembre 2005, chiesta dal Csa e indetta dalle Commissioni lavoro e assistenza della Provincia di Torino, risulta «un divario enorme (e inaccettabile) tra le aziende scoperte (7.000 al 31 dicembre 2004) e le assunzioni realizzate (il saldo al 31 dicembre 2004 tra assunzioni e cessazioni è 686). Anche la situazione degli enti pubblici non è certo migliore: a fronte di 1.300 scoperture sono state attivate 39 convenzioni per un totale di assunzioni di 29 persone».

Le risorse investite, per contro, sono rilevanti: 23.429.326,76 euro.

 

Le promesse elettorali (mancate)

Paolo verifica se è stata finalmente approvata la delibera promessa dall’Assessore al lavoro e dal Sindaco di Venaria per l’assunzione di alcune unità di soggetti con handicap intellettivo nella pianta organica del Comune.

Non è certo che vi sia la possibilità per Marco di essere tra i pochi ammessi, ma, essendo disoccupato e iscritto da oltre dieci anni, potrebbe avere qualche possibilità.

La campagna elettorale è finita, la nuova amministrazione si è insediata e le stesse persone che avevano detto a Paolo di stare tranquillo oggi occupano il ruolo di Sindaco e di Assessore al lavoro.

Paolo è però informato e viene a sapere che nell’Azienda municipalizzata è già stato occupato uno dei due posti scoperti con la sollecita assunzione di una persona con handicap fisico in possesso di diploma.

Per quanto riguarda il Comune, invece, non vi è ancora nulla di fatto. Gli raccontano che sono subentrati problemi non previsti, che è necessario rivedere tutto l’organigramma per verificare in quali ruoli vi sono scoperture, se vi sono soggetti inseriti da anni in tirocinio che avrebbero diritto ad essere assunti, che non è facile trovare mansioni adatte per giovani con handicap intellettivo. Insomma, ancora una volta niente.

 

Di nuovo in cerca di lavoro

Paolo comunque non demorde e scrive al Centro per l’impiego (giugno 2005) per chiedere «la reiscrizione di Marco nell’elenco delle persone inoccupate a partire dal 17 maggio 2005 e la presa in carico da parte del Centro per l’impiego di Venaria per l’invio in altro tirocinio lavorativo, ai sensi dell’art. 11 della legge 68/1999 possibilmente in ente pubblico non economico (Comune di Venaria, Azienda speciale multiservizi) ai sensi di quanto disposto anche dalla delibera della Giunta provinciale, protocollo 615-135272/2003 del 3 giugno 2003».

Il Centro per l’impiego risponde (luglio 2005) che «per quanto attiene alla sua situazione lavorativa (Lei mantiene l’anzianità pregressa e risulta ancora iscritto) e a rassicurarLa circa la riattivazione, di concerto con il Cissa, della progettazione di un nuovo percorso di inserimento lavorativo, riconfermando l’opportunità di non escludere a priori quello in una cooperativa sociale di tipo B. Inoltre si è ritenuto opportuno informarLa sulle disposizioni che regolano le assunzioni di persone diversamente abili negli enti pubblici».

Il riferimento agli enti pubblici è per ricordare a Paolo che non deve illudersi sulla possibilità che Marco sia assunto dal Comune di Venaria. Il Centro per l’impiego deve procedere in base alla posizione dei cittadini iscritti e del punteggio acquisito e sono molte le persone che possono vantare più diritti di Marco, perché, da anni, svolgono attività di tirocinio in ruoli comunali e hanno percentuali di invalidità più elevata.

 

Anche il Comune e le Aziende speciali non assumono persone handicappate con limitata autonomia

Purtroppo il Csa non può che confermare a Paolo che, come già gli aveva a suo tempo detto (e scritto), non è possibile imporre l’assunzione di Marco, né sarebbe corretto scavalcare chi ne avesse oggettivamente più diritto.

Resta il dubbio che in definitiva non sia assunto per il fatto che non sono inserite persone con handicap intellettivo, com’è già successo in altri casi.

Per questo invia una lettera il 15 luglio 2005 al Sindaco, all’Assessore al lavoro e al Presidente e Direttore del Consorzio socio-assistenziale, nella quale fa presente quanto siano grandi «le difficoltà di inserimento lavorativo incontrate da genitori di giovani con handicap intellettivo, che hanno capacità lavorative, residenti nel Vostro territorio». Per tali ragioni insiste nel richiedere che il Comune di Venaria provveda al più presto a mantenere la promessa di assunzione di alcune unità di soggetti con handicap intellettivo nell’ambito della sua pianta organica.

Inoltre il Csa  rammenta che tale impegno doveva essere  esteso anche alle aziende municipalizzate. Inoltre «tenuto conto che il Comune di Venaria è l’ente capofila di tutti gli altri Comuni nella convenzione in atto con la Provincia di Torino», il Csa chiede al predetto Comune di «procedere af-finché anche i Comuni collegati si adoperino in tal senso». In ultimo il Csa chiede «se sono stati assunti gli atti deliberativi finalizzati all’assunzione di persone handicappate ai sensi della legge 68/1999 e, soprattutto, se si è tenuto conto dell’indirizzo della delibera della Giunta provinciale n. 615-135272/ 2003 che prevede espressamente che il 50%, almeno, delle assunzioni sia di soggetti con handicap intellettivo e/o fisico con limitata autonomia».

Al riguardo segnala infatti che risulterebbe «che l’Azienda dei servizi municipali di Venaria ha provveduto a regolarizzare la sua posizione con l’assunzione di due persone con menomazione fisica con diploma e piena capacità lavorativa».

Come spesso accade anche gli enti pubblici, se possono scegliere, difficilmente si adoperano per promuovere l’assunzione di soggetti con limitata autonomia e ridotta capacità lavorativa  presso i propri uffici.

 

Iniziative delle associazioni

Naturalmente, come quasi sempre succede,  non arriva nessuna risposta dall’Amministrazione comunale di Venaria.

Trascorso il mese di agosto, è la volta dell’associazione Grh (Genitori ragazzi con handicap), che scrive in data 14 settembre 2005 al Sindaco e all’As­sessore al lavoro per ribadire la necessità di dare un’opportunità concreta di lavoro ai cittadini di Vena­ria disoccupati di lunga durata, con handicap intellettivo, che più di altri sono a rischio di esclusione sociale. Ribadisce come sia interesse di tutti, anche del Comune di Venaria, fare tutto il possibile perché questi giovani, in attesa da più di dieci anni per un posto di lavoro, non finiscano per tutta la loro esistenza futura in carico al settore assistenziale, ma sia invece permesso loro di diventare cittadini pienamente integrati e di contribuire al benessere collettivo.

In assenza di risposte, Paolo, in qualità di volontario del Grh, si presenta in Consiglio comunale e coinvolge il Gruppo dei Democratici di sinistra, partito di riferimento del Sindaco di Venaria e dell’Assessore al lavoro. Spera che, almeno al loro partito, Sindaco e Assessore rispondano in merito ai tempi della delibera per l’assunzione di soggetti ai sensi della legge 68/1999.

Indipendentemente dal fatto che sia proprio Marco ad entrare in Comune, c’è la richiesta volta ad ottenere almeno tre assunzioni di giovani nella sua stessa situazione di disoccupati di lunga durata.

Paolo chiarisce che la legge consente anche agli enti locali la chiamata nominativa (32). Il Comune di Venaria potrebbe (come già altri hanno fatto) individuare i soggetti tra i tanti seguiti dal Sil.

Neppure le sollecitazioni in Consiglio portano a qualche risultato.

Il Csa cerca allora direttamente l’Assessore al lavoro. Stavolta il motivo assunto a giustificazione del ritardo della messa a punto della delibera di assunzione riguarderebbe i limiti introdotti dalla legge finanziaria, per cui si ritiene di dover chiedere chiarimenti al Ministro del lavoro per sapere se il blocco delle assunzioni, introdotto dalla legge finanziaria appena approvata,  interessa anche i soggetti di cui alla legge 68/1999.

 

Il Comune risponde per dire che non assume

L’Assessore non si fa più vivo. Scrive invece di nuovo il Csa (2 gennaio 2006), allegando l’articolo di Arturo Bianco, apparso sul  Il Sole 24 Ore del 30 novembre 2005, che titola “Si sblocca il procedimento per le assunzioni nei Comuni”.

Il 30 gennaio 2006 finalmente il Comune di Venaria risponde, ma per dire che «gli uffici hanno terminato il conteggio esatto dei dati dei dipendenti del Comune al 31 dicembre 2005, assunti ai sensi della legge 12 marzo 1999 n. 68 (…). Questo Comune in data odierna trasmette i dati sui soggetti disabili alla Provincia di Torino e posso riferirLe che (…) si superano di 4 unità complessive le percentuali obbligatorie previste dalla stessa legge. Pertanto (…) qualora si dovesse sbloccare la possibilità assunzionale (…) questa Amministrazione, compatibilmente con le risorse economiche a disposizione, provvederà al reintegro del 25% del personale dimissionario nell’anno 2005 e 2006 con l’assunzione di poche unità (si prevedono 2 assunzioni in totale) (…) che si reputano indispensabili al funzionamento dei servizi comunali e che non necessariamente rientreranno nelle categorie previste dalla legge 12 marzo 1999 n. 68».

 

La replica

L’associazione Grh ed il Csa ritengono che sia doveroso stigmatizzare pubblicamente il comportamento di Sindaco e Assessore. Si adoperano quindi per ottenere un articolo sul quotidiano locale.

Il 28 marzo 2006 esce su La Gazzetta di Venaria l’articolo a cura di Gabriella Capuzzi “La polemica. L’associazione Grh: in campagna elettorale hanno preso impegni precisi! Avevano promesso lavoro ai disabili”.  Nell’articolo il Csa fa sapere al Sindaco e all’Assessore al lavoro (33) che «spiace constatare che non si abbia intenzione di adoperarsi per l’assunzione di soggetti con handicap intellettivo, contrariamente a quanto promesso nel periodo elettorale, sia in proprio, sia presso altri enti, pubblici e non, con cui il Comune è in relazione (…). Ci sono persone che attendono un impiego da dieci anni, addirittura dodici! Non possono gravare in questo modo sulle famiglie: la società deve fare qualcosa per sbloccare la situazione!».

L’Assessore al lavoro, interpellato dalla giornalista, sostiene che «a dire il vero qualcosa si è fatto: il Consorzio socio-assistenziale (…) in collaborazione con il Centro per l’impiego di Venaria, offre la possibilità di stage ai portatori di handicap». La parola passa a Paolo che dichiara: «Il tutor che ha il compito di  seguire i tirocinanti, verificando periodicamente sul posto la situazione, non li segue come dovrebbe. È facile fare una telefonata all’azienda e chiedere come procedono le cose: in questo modo, poi, le aziende si sentono libere di lasciare a casa i ragazzi perchè considerati “non idonei”». La giornalista evidenzia poi come «il rammarico più grande, che crea ancora più rabbia negli interessati, è prendere atto dell’immobilità con cui gli amministratori assistono alla situazione: dal comune di Venaria, alla Asl 6, dalle case di cura private presenti sul territorio alle altre aziende indicate al Centro per l’impiego di Venaria. Ogni anno sono circa 800 i nuovi disoccupati che si presentano al Centro per l’impiego di Venaria in cerca di un lavoro. Vi fanno riferimento i Comuni di Druento, Pianezza, San Gillio, Givoletto, Val della Torre e La Cassa. Tra le possibilità suggerite dai soci della Grh c’è la Reggia che potrebbe offrire lavoro a chi ne ha bisogno, soprattutto alle categorie svantaggiate: curare i giardini, lucidare i pavimenti o spolverare statue e sculture sono considerate mansioni di basso livello, ma andrebbero benissimo per i ragazzi».

È vero che con la pubblicazione di un articolo non si ottiene un posto di lavoro, ma almeno si manda un messaggio chiaro ai diretti interessati (Sindaco e Assessore al lavoro) perché non si permettano più di ignorare le giuste aspettative dei loro cittadini.

 

Altra esperienza lavorativa

Le diverse iniziative messe in atto mantengono comunque alta l’attenzione del Centro per l’impiego nei confronti di Marco e, finalmente, si presenta l’occasione di un altro tirocinio finalizzato all’assunzione, che inizia il 1° dicembre 2005.

Marco è inserito in una cooperativa sociale che ha in appalto, per conto del Comune di Torino, la pulizia di una scuola elementare. Stipula un “Pro­gram­ma per l’inserimento lavorativo”, da cui risulta che Marco, nonostante le altre cinque esperienze effettuate, continua ad avere «poco riconoscimento del ruolo e scarsa autonomia».

È previsto un percorso dettagliato di «formazione professionalizzante in situazione della durata di 45 ore (per un periodo complessivo di 3 settimane) da realizzarsi a partire dal momento dell’assunzione. Il percorso in oggetto sarà curato da un operatore di sostegno per le competenze socio/relazionali (10 ore) ed un operatore per le competenze professionali/tecniche (35 ore)».

Naturalmente vengono anche descritti «gli ambiti oggetto del rinforzo socio/relazionale» e cioè:

«analisi e decodifica delle esperienze professionali e non, in cui si mira ad analizzare le esperienze ed individuare gli apprendimenti ad esse connessi attraverso un “inventario degli apprendimenti”. Ogni esperienza verrà analizzata sia dal punto delle acquisizioni tecniche, sia in merito allo sviluppo di competenze trasversali, con l’obiettivo di identificare la dinamica messa in gioco dalla persona individuando:

- il processo di apprendimento;

- il processo di sviluppo e messa in opera delle capacità;

- i fattori limitanti.

«La decodifica delle competenze permette la loro identificazione; il recupero dei processi di acquisizione mette in rilievo una dinamica individuale e permette la presa di coscienza degli stessi. Il metodo è il racconto da parte della persona e l’ascolto “attivo” dell’operatore che stimola, fa da specchio, ripercorre il linguaggio per stimolare la presa di coscienza.

«L’interesse è centrato su “come” la persona ha sviluppato le sue capacità e fronteggia le situazioni e non sul “perché”.

«La decodifica degli apprendimenti è assolutamente compartecipata e l’ascoltatore ed il narratore analizzano e “svelano” insieme.

«Gli ambiti del rinforzo professionale/tecnico saranno attività di formazione in situazione volte a fornire competenze tecniche specifiche utili per un corretto svolgimento della mansione lavorativa oggetto».

Nell’allegato A, che fa parte integrante del progetto, viene precisata l’attività di sostegno all’inserimento lavorativo così descritta:

«L’inserimento lavorativo sarà supportato da un team di due operatori e avrà una durata complessiva di 62 ore distribuite in momenti di 5 ore per 4 settimane (3 mesi) a partire dalla data di assunzione. Trattandosi di una cooperativa sociale di tipo B (per quanto concerne l’inserimento lavorativo) questa tipologia d’impresa implica un insieme di competenze messe in campo che può determinare un valore aggiunto della proposta progettuale, in quanto, alle specifiche conoscenze in tema di orientamento e bilancio di competenze e formazione si assomma l’esperienza per quanto concerne i processi di selezione, supporto ed accoglienza per l’inclusione lavorativa (sia dal punto di vista organizzativo/aziendale che relazionale) delle persone disabili.

«L’attività di sostegno si realizzerà attraverso attività volte a:

- contribuire all’incremento delle competenze della persona disabile;

- permettere il confronto e l’avvio di un rapporto di collaborazione con la famiglia;

- permettere un avvicinamento graduale al sistema produttivo;

- consentire allo specifico contesto aziendale l’approccio con il mondo della disabilità;

- contribuire al superamento del pregiudizio che associa la disabilita all’incapacità di svolgere un ruolo produttivo».

Correttamente, viene indicato il nominativo e il recapito telefonico dell’operatore del servizio di supporto (Sil) e del personale aziendale, che sarà il riferimento per l’attività di tutoraggio.

Sono previste, infine, le «verifiche periodiche sull’andamento del percorso formativo e di inserimento (legge 68/1999, articolo 11, comma 7, lettera. C)» e cioè: «Valutazione ex-ante; acquisizione del soggetto e successiva compilazione del bilancio di competenze acquisite; valutazione in itinere attraverso il monitoraggio sulla gestione dell’intervento e sul suo andamento, al fine di verificare la tenuta del soggetto e l’acquisizione di nuovi saperi e nuove motivazioni; valutazione post-ante con relazione finale individuale sul percorso complessivo.

«È prevista inoltre nella fase conclusiva dell’esperienza una valutazione dell’iniziativa, che vede coinvolti tutti gli attori che vi hanno partecipato (Centro provinciale per l’impiego, Consorzio Self, Coopera­tiva La Nuova Cooperativa)».

Paolo si confronta con il Csa e tutti sono d’accordo nel ritenere che, in questo caso, è stato scritto tutto quello che “doveva essere previsto”. Tutto bene, allora? Purtroppo no. Trascorso il primo mese di tirocinio avviene il primo incontro di verifica, presente un rappresentante del Centro per l’impiego, l’operatore del Sil, il responsabile della cooperativa, il tutor della cooperativa, Paolo e Marco.

 

Bisogna “fidarsi” del tutor dell’azienda

Emerge che l’unica persona che ha seguito Marco sul posto di lavoro è il tutor dell’azienda, mentre quello del Sil non è mai andato a verificare come si comporta durante l’orario di lavoro.

Il monitoraggio presenta quindi solo un punto di vista, quello della cooperativa che, dopo aver rilevato le buone qualità di Marco (è puntuale, non crea problemi con gli altri, è educato) evidenzia che ci sono ancora particolari da migliorare, perché in sostanza Marco non comprende bene gli ordini che gli vengono assegnati.

Sollecitato da Paolo il tutor spiega che, ad esempio, è stato mostrato a Marco come deve piegare lo straccio per effettuare correttamente le operazioni di pulizia; dopo due giorni verifica e vede che lo straccio non è correttamente piegato.

In un altro caso  viene chiesto a Marco di pulire circa cento sedie che si trovavano in un magazzino. Al termine dell’orario di lavoro verifica che Marco ha tolto la polvere, ma non le ha pulite lavandole e togliendo anche le macchie che sono rimaste. Ovviamente viene ordinato a Marco di ripetere l’operazione il giorno dopo e, questa volta, Marco esegue perfettamente.

Paolo controbatte che le richieste della cooperativa sono troppo alte. Marco ha un  handicap intellettivo, è in grado di comprendere, ma chiaramente entro certo limiti. È noto che questi soggetti eseguono mansioni semplici, ma hanno scarsa se non nulla autonomia decisionale e periodicamente si deve verificare se mantengono intatta l’attenzione e la resa produttiva.

Per questo ritiene inammissibile che il primo giorno di lavoro, dopo avergli assegnato il compito, l’operatore di riferimento non sia tornato dopo qualche tempo almeno per controllare che Marco avesse svolto correttamente la mansione, ma anche per chiedere se avesse avuto qualche difficoltà. 

Paolo è decisamente arrabbiato e non accetta le critiche perché non è giusto a suo avviso che Marco  sia stato  lasciato da solo per tutte le quattro ore senza che nessuno – ogni tanto – abbia verificato se aveva compreso il compito e se, nel tempo, manteneva intatta l’attenzione e la resa produttiva. Tutto quello che ha letto nel progetto sono solo parole, prive di riscontro concreto con la realtà con cui invece si scontra.

Insiste per ottenere  una verifica sul luogo di lavoro da parte del tutor del Sil. Teme, a questo punto, che anche gli altri  addetti alle pulizie della cooperativa non si siano resi conto  delle difficoltà e limitazioni di Marco. Senza dimenticare che il tirocinio è formativo e la cooperativa sociale, proprio per questo,  ottiene agevolazioni dall’ente pubblico a compensazione della minor resa produttiva di Marco.

 

Ancora una volta non si comprende che cosa deve fare il tutor del Sil

Il Csa, su richiesta di Paolo, contatta la direttrice del Centro per l’impiego e con riferimento alla parte del contratto che prevede il supporto del tutor, chiede che l’operatore svolga un monitoraggio  durante l’orario di lavoro di Marco per assumere informazioni anche da un’altra prospettiva.

Il Csa parte dal presupposto che il tutor dovrebbe avere tutto l’interesse ad adoperarsi perché eventuali  ostacoli all’assunzione siano affrontati e risolti.

Si scopre che non è così. Intanto la direttrice del Centro per l’impiego fa sapere di non avere l’autorità per  imporre all’operatore del Sil di andare sul posto di lavoro, se lo stesso ritiene che non sia necessario, come purtroppo si verifica in questo caso.

L’operatore del Sil non dipende dal Centro per l’impiego provinciale, ma dal Consorzio socio-assistenziale, anche se è la Provincia, Assessorato al lavoro, a rimborsare al Consorzio stesso le ore di tutoraggio svolte (quando?) dall’operatore del Sil.

In sostanza, bisogna fidarsi di ciò che riferisce il tutor della cooperativa e, secondo la direttrice, dobbiamo, a suo avviso, smetterla di continuare a “pensare male”, perché le cooperative sociali sono sempre state dalla parte delle persone in difficoltà.

Ovviamente non siamo d’accordo e ci permettiamo di far presente che, come per le aziende pubbliche e private, anche le cooperative sociali a parità di agevolazioni  hanno interesse a inserire persone con piena autonomia piuttosto che soggetti, come Marco, che possono richiedere un periodo di formazione aggiuntiva. Insistiamo almeno per essere presenti alla prossima verifica, a fianco di Paolo, come da sua richiesta.

Non è previsto dalla normativa, ma anche in questo caso, cerchiamo di forzare per creare un precedente. La direttrice prende tempo, ma si impegna a darci una risposta.

Qualche giorno dopo comunica a Paolo che non ha nulla in contrario alla presenza del Csa, ma preferisce condurre la seconda verifica, che ha luogo presso la sede della cooperativa, con gli interlocutori presenti nell’incontro precedente. Solo successivamente verrà organizzato un incontro anche con la presenza delle associazioni,  al Centro per l’impiego, per una valutazione complessiva.

 

Il tirocinio non va bene: ma il parere è sempre e solo dell’azienda

Anche nella seconda verifica, purtroppo, viene confermato che Marco non è idoneo e la Coope­rativa conclude l’esperienza di tirocinio.

Paolo ovviamente se lo aspettava, ma Marco no. È in grado di comunicare e di riferire, pur con i suoi limiti. Come nell’altro caso, anche questa volta si era preoccupato di chiedere direttamente al tutor della cooperativa se sarebbe stato confermato o, almeno, che gli dicesse che cosa non andava bene. Ha imparato a pulire le aule e non c’è mai nessuno che rifà i lavori da lui eseguiti.

Paolo interpella il tutor del Sil per farsi trasmettere copia della scheda di verifica e monitoraggio del tirocinio dove sono riportate le valutazioni dello stesso tutor. Deve insistere alquanto prima di ricevere  il documento.

La scheda è su carta intestata del Consorzio socio-assistenziale (ente pubblico), ma è chiaramente compilata dal tutor della cooperativa, che ha inoltrato per fax il documento all’operatore del Sil.

Il ruolo dell’operatore del Sil è praticamente nullo, al punto che anche la scheda, su carta intestata dell’ente, viene addirittura completata dall’azienda privata. Nella scheda comunque si conferma che «ordine e pulizia sul posto di lavoro non sono sufficienti; la concentrazione non è adeguata perché sovente vi è disattenzione; l’impegno e l’interesse è scarso; la cura e pulizia personale invece sono ottimi; la presenza sul posto di lavoro è stata continua e puntuale».

Per quanto riguarda le mansioni affidate al tirocinante (Marco) queste richiedono «precisione nell’esecuzione di compiti, capacità esecutive, buona manualità, affidabilità (…)».

Paolo ritiene che non sia stato rispettato il diritto al collocamento mirato di Marco e non siano state adempiute le norme contenute nel progetto di formazione, soprattutto per quanto riguarda le ore di tutoraggio. Inoltra pertanto una raccomandata A.R. all’Assessore al lavoro della Provincia per chiedere spiegazioni (34) «in relazione all’esperienza di collocamento mirato di Marco, mio figlio, e per chiedere una valutazione dell’esperienza appena conclusa. Marco è stato inserito il 1° dicembre 2005 presso la (…) cooperativa di Torino, con la mansione di addetto pulizie. Ha regolarmente sottoscritto un programma per l’inserimento lavorativo, allegato al “Progetto formativo e di orientamento” (rif. convenzione n. 113/05 stipulata in data 21 novembre 2005), nel quale sono state correttamente previste una serie di verifiche.

«Al momento ne sono state fatte due e, sin dalla prima, sono state evidenziate da parte della cooperativa carenze, nell’esecuzione dei compiti assegnati a Marco, ritenute rilevanti.

«Sin dai primi incontri mi sono permesso di evidenziare che, al contrario, Marco affermava di non aver avuto difficoltà a comprendere gli ordini. Pertanto in presenza di due valutazioni diverse tra la cooperativa e Marco, mi sembrava opportuno chiedere l’intervento di un osservatore che, in base a quanto scritto nel programma, era individuato nell’operatore che il Consorzio socio-assistenziale ha “prestato” al Sil.

«Ancora in data 10 febbraio 2006 la direttrice del Centro per l’impiego mi confermava però che l’operatore suddetto ha piena autonomia e, dunque, se ritiene, come pare, di accettare solo la versione dell’azienda non si può fare altrimenti.

«Quindi, tenuto conto che la (…) Cooperativa è decisa a non voler confermare Marco, ad avviso della direttrice, non posso che accettare il loro punto di vista.

«Ammetto di essere alquanto preoccupato perché già in passato, nei precedenti tre inserimenti, non ho avuto modo di capire se e in che modo Marco era stato valutato. Inoltre, come risulta dalla scheda di verifica e monitoraggio di tirocinio allegata, le richieste della (…) Cooperativa mi sembrano alquanto elevate per una persona che ha un handicap intellettivo medio/lieve, anche se in possesso di un discreto grado di autonomia, buon comportamento, rispetto delle norme e, comunque, in grado di svolgere le mansioni affidate. Certo, non si può pretendere – proprio per il suo handicap – capacità di iniziativa o di sapersi districare in caso di ordini diversi e improvvisi da parte dei colleghi. D’altra parte è anche quanto ha osservato il Dottor M. (35), nel colloquio del 13 febbraio u.s.

«Inoltre non comprendo per quali ragioni la scheda sia intestata Cissa, mentre la sua compilazione è a carico dell’operatore della (…) Cooperativa, che la inoltra per fax al Cissa.

«Ciò premesso, ritengo che sarebbe necessaria una ulteriore valutazione anche finalizzata ad evitare nuovi errori, con ricadute negative ai fini dell’assunzione definitiva di Marco.

«Pertanto chiedo che l’andamento di questo inserimento lavorativo sia rivalutato dal Comitato di gestione provinciale con la presenza del Dottor M. e di un rappresentante del Csa, che mi affianchi.

«Questo al fine anche di impostare al meglio il nuovo programma di inserimento e individuare con maggior precisione il ruolo e i compiti dell’operatore, affinché possa essere messo nella condizione di garantire al meglio i diritti di Marco nei confronti dell’azienda.

«Ai sensi della legge 241/1990 chiedo cortesemente una risposta scritta».

 

Riunione alla sede dell’Assessore al lavoro della Provincia

Il primo marzo 2006, presso la sede dell’Asses­sorato al lavoro della Provincia di Torino, avviene l’incontro di chiarimento sollecitato da Paolo. Sono presenti il direttore del Comitato tecnico provinciale, la direttrice del Centro per l’impiego di Venaria, lo psicologo che aveva seguito Marco, la rappresentante del Csa e, ovviamente, Paolo. Non c’è invece Marco, perché tutti sono d’accordo nel ritenere opportuno non caricarlo di ulteriori tensioni.

Il direttore del Comitato tecnico provinciale non ha gradito la segnalazione scritta, tuttavia si dimostra disponibile. Tutte le parti in causa illustrano i problemi dal loro punto di vista e, tanto la rappresentante del Csa, quanto Paolo, insistono sulla necessità di affrontare le carenze del ruolo del tutor del Sil, per cui alla fine il tirocinante viene valutato unilateralmente dal possibile datore di lavoro e, per giunta, senza possibilità alcuna di contestazione.

Si ribadisce inoltre la scorrettezza, ad avviso del Csa gravissima, della compilazione della scheda su carta intestata del Consorzio socio-assistenziale (ente pubblico, titolare quindi della difesa dei diritti di Marco), da parte del tutor della cooperativa.

Sia da parte del Csa, che del papà di Marco, si precisa infine che non si contesta il fatto che non sia stato assunto al termine del tirocinio, anche se ovviamente dispiace. Si è pienamente d’accordo nel ritenere che, se effettivamente vi sono delle carenze, si deve provvedere per cercare di colmarle.

Il problema è che non si riesce a capire se le carenze sono specifiche di Marco o se invece dipendano dal fatto che non sia stato messo nelle condizioni corrette per  poter raggiungere gli obiettivi previsti. Non si comprende perché non sia stato assicurato il supporto di cui necessitava sul posto di lavoro durante la fase del tirocinio. È evidente che non è stato praticato il collocamento mirato a cui ha diritto in base alle legge 68/1999 ed è indispensabile chiarire la posizione del tutor del Sil. Nel caso continui a rifiutarsi di monitorare il giovane sul posto di lavoro, il Centro per l’impiego dovrebbe individuare un altro operatore, in modo che Marco sia adeguatamente seguito.

Non vengono date risposte ai problemi sollevati ed  appare chiaramente che le carenze illustrate ci sono e, soprattutto, che il titolare dell’inserimento al lavoro, la Provincia di Torino, in realtà non ha creato una rete effettiva di supporto per i soggetti con handicap.

La direttrice del Centro per l’impiego sposta quindi l’attenzione su Marco e, d’accordo con gli altri funzionari con cui si è consultata, propone un percorso di formazione-osservazione non finalizzato al lavoro.

A suo modo di vedere si sono sopravvalutate le capacità del giovane, che si presenta bene, ma che probabilmente deve rinforzare ancora alcune abilità più legate al ruolo e alla responsabilità che richiede un posto di lavoro.

La proposta è l’inserimento in un’altra cooperativa sociale, che gestisce le pulizie di un’altra scuola elementare raggiungibile con due mezzi di trasporto. Le mansioni sono sempre le stesse ed è prevista in questo caso (con due mesi a casa: luglio e agosto) una borsa lavoro mensile. Il percorso di formazione-osservazione durerà nove mesi e  sono previste verifiche periodiche.

 

Un passo indietro: formazione al posto del lavoro

Paolo è costretto ad accettare la proposta, perché non ha alternative e non vuole certo che Marco resti a casa tutto il giorno a fare niente.

Si rende perfettamente conto, però, che si tratta di un passo indietro. Marco è tornato nel percorso di formazione e al termine dei nove mesi non si sa che cosa potrà succedere. Di certo non verrà assunto dalla cooperativa sociale: su questo punto la direttrice del Centro per l’impiego è esplicita.

A due mesi dall’inserimento di Marco nel nuovo posto di tirocinio, Paolo continua ad essere preoccupato per le modalità con cui si svolge anche questo percorso di formazione.

Il 5 aprile 2006 scrive quindi all’Assessore al lavoro della Provincia per informarLa che nell’ultimo incontro di verifica «l’educatore professionale del Consorzio socio-assistenziale ha confermato che non intende andare sul posto di lavoro e che in sostanza devo “fidarmi” delle opinioni degli operatori della Cooperativa». Paolo invece continua «a ritenere che sia logico attendersi dal tutor appoggio e sostegno per risolvere, sul posto di lavoro, gli eventuali problemi che possano intervenire».

 

Conclusioni

La storia di Marco è la storia di tanti altri giovani con handicap intellettivo con autonomia e capacità lavorative potenziali che, per diventare produttive, devono essere supportate da una rete efficace di servizi di inserimento lavorativo.

Nel caso di Marco ha inciso probabilmente anche il mancato passaggio diretto dal corso prelavorativo all’integrazione in un percorso di tirocinio finalizzato all’assunzione perché, almeno nei primi anni, il Centro per l’impiego e il Sil non hanno operato congiuntamente.

Le iniziative molteplici intraprese dal suo papà non hanno portato al lavoro, ma gli hanno permesso di maturare sul profilo professionale attraverso ben  tre esperienze di tirocinio e, al momento, è comunque inserito in un ambiente lavorativo.

Inoltre la sua situazione è oggi ben presente all’amministrazione provinciale, sia a livello locale, che centrale; è seguito da uno psicologo del lavoro, che affianca (e supplisce) il lavoro del tutor. tra la famiglia e il Centro per l’impiego il rapporto è definito per iscritto.

Tutto questo però non è ancora una garanzia di lavoro, anche perché, come abbiamo illustrato nella descrizione della vicenda, è assai carente il ruolo svolto dall’Amministrazione locale, che non ha  sviluppato politiche attive mirate alla promozione del collocamento al lavoro di questi cittadini più deboli.

Ad esempio i patti territoriali, che sono stati siglati in quella zona tra enti locali e aziende,  prevedono il rispetto degli obblighi della legge 68/1999 per le imprese che li hanno sottoscritti e beneficiano degli interventi strutturali degli enti locali.

Era sufficiente, in quell’occasione, fissare  quote di assunzioni obbligatorie di soggetti con limitata autonomia, sull’esempio positivo già citato del Comune di Torino (36). È vero che ci sono state assunzioni di persone con handicap, ma in tutti i casi si trattava di soggetti con piena capacità lavorativa e cioè perfettamente in grado di lavorare al pari degli altri lavoratori.

In conclusione la valutazione del Csa  è che sia necessario continuare ad operare su più fronti:

- insistere perché la Regione Piemonte, attraverso i propri atti di indirizzo alle Province, definisca in modo chiaro il ruolo dei Servizi di inserimento lavorativo e definisca i compiti e le responsabilità degli operatori;

- sollecitare, anche attraverso l’organizzazione di iniziative di pressione e il coinvolgimento di altre forze sociali, il Consiglio provinciale di Torino perché assuma delibere in grado di dare idonee tutele ai soggetti con maggiori difficoltà di inserimento lavorativo;

- prevedere azioni di pressione nei confronti dei Comuni per ottenere politiche attive del lavoro favorevoli per l’occupazione delle persone con handicap intellettivo.

Tutto questo in attesa che, come ho già rilevato nell’articolo pubblicato nello scorso numero, si affronti il problema a livello parlamentare per ottenere tutele più specifiche nell’ambito della stessa legge 68/1999 per i soggetti handicappati con limitata autonomia e ridotta capacità lavorativa.

Per quanto riguarda la situazione specifica di Marco gli obiettivi  sono invece i seguenti:

• ottenere il sostegno da parte del Sil, perché le sue potenzialità siano effettivamente sviluppate al meglio. Dovrebbe essere interesse anche del Centro per l’impiego adoperarsi per  assicurare a Marco il raggiungimento di una capacità lavorativa, anche se ridotta, proficua e spendibile nel mercato del lavoro presso aziende pubbliche o private;

• verificare, nel caso in cui Marco non raggiunga gli obiettivi di cui sopra, la praticabilità di una sua assunzione da parte di una cooperativa sociale mediante l’attivazione dell’articolo 12 della legge 68/1999;

• garantire, nella peggiore delle ipotesi, e cioè se definito “soggetto non occupabile”, l’inserimento definitivo e a tempo pieno in tirocini socializzanti a carico del settore socio-assistenziale.

L’attuazione di quanto sopra presuppone anche una rivalutazione dell’invalidità di Marco al quale, come abbiamo segnalato all’inizio, è stata riconosciuta solo la percentuale del 50%, perché ritenuto un soggetto avviabile al lavoro senza alcun diritto alla pensione di invalidità.

Su questo punto è doveroso prendere una decisione: o è davvero potenzialmente avviabile al lavoro, oppure non lo è. Qualcuno finora ha sbagliato nel giudicare le sue abilità. Adesso è ora di fare chiarezza e rispettare i suoi diritti e la sua dignità di persona.

 

 

 

(1) Cfr. Maria Grazia Breda, “Handicap: riflessioni sul lavoro in rete dei servizi per l’inserimento lavorativo”, Prospettive assistenziali, n. 153, 2006.

(2) Cfr. Maria Grazia Breda, “Aspetti positivi, negativi e problematici della nuova legge sul collocamento al lavoro delle persone con handicap”, Ibidem, n. 126, 1999.                 

(3) La percentuale di assunzione complessiva è del 7% per le aziende con più di 50 dipendenti.

(4) Marco è un nome di fantasia.

(5) Idem.

(6) Il riferimento del Csa  è la definizione assunta da Giuseppe D’Angelo, Francesco Santanera e Anna Maria Gallo nel libro Il volontariato dei diritti. Quarant’anni di esperienze nei settori della sanità e dell’assistenza, Utet Libreria, 2005. Secondo gli Autori «l’obiettivo degli interventi di questa forma di volontariato è il concreto riconoscimento delle esigenze e dei diritti delle persone, in primo luogo di quelle che, a causa della gravità delle loro condizioni psicofisiche, non sono in grado di autodifendersi. È necessario compiere un vero e proprio salto culturale: dal concetto di beneficenza (fondato sull’aiuto dei più deboli da parte di persone ed enti che non hanno, però, alcun obbligo di intervenire), occorre passare a considerare i bisogni fondamentali dei cittadini come diritti, e cioè come interessi che la legge deve tutelare. L’intervento del volontariato dei diritti tiene conto delle esigenze dei soggetti e dei nuclei familiari che si trovano nelle stesse condizioni (e non solo di coloro che si conoscono direttamente), legando le iniziative rivolte alla prevenzione del bisogno e delle difficoltà sociali con le concrete prestazioni, comprese quelle urgenti (…). Le iniziative non sono rivolte alla conservazione delle ingiustizie sociali o alla semplice attenuazione delle iniquità più evidenti, ma alla loro eliminazione sia pur con tutte le gradualità imposte dalle situazioni di fatto. Dunque, i volontari devono contrapporsi alle organizzazioni pubbliche e private che non rispettano le esigenze fondamentali delle persone in difficoltà (…)».

(7) La sede del Csa, a cui aderiscono oltre venti organizzazioni, è in via Artisti 36, 10124 Torino, tel. 011-812.44.69,  fax 011-812.25.95, e-mail info@fondazionepromozionesociale.it.

(8) Per ottenere il riconoscimento della pensione di invalidità è necessario avere almeno il 76% di invalidità accertata.

(9) Per corso prelavorativo si intende un’attività di formazione professionale rivolta specificatamente a giovani con handicap intellettivo che non sono in grado di frequentare i corsi normali di formazione professionale e di raggiungere la qualifica finale a causa delle loro personali difficoltà e del contenuto nozionistico e teorico che tali corsi contengono. Si tratta però di soggetti che, nonostante la minorazione, presentano potenzialità lavorative per cui si può ragionevolmente prevedere il loro inserimento in attività produttive proficue. I corsi sono organizzati dalla Regione Piemonte, in convenzione con enti di formazione pubblici e privati, in moduli di 12-15 allievi per classe e sono inseriti nei normali centri di formazione professionale. Durano tre anni, per un totale complessivo di 2.400 ore. Caratteristica di questi corsi è l’alternanza tra una parte teorica (ridotta) e il tirocinio sul posto di lavoro, che invece occupa una parte rilevante del monte ore. I corsi prelavorativi non si prefiggono l’obiettivo di una qualifica, ma si preoccupano di aumentare l’autonomia globale dell’allievo in modo da rendere possibile un collocamento lavorativo in attività che prevedano lo svolgimento di mansioni semplici. Cfr. i volumi: Formare per l’autonomia - Strumenti per la preparazione professionale degli handicappati intellettivi, di Maria Grazia Breda e Marcella Rago, Rosenberg & Sellier, Torino e Il lavoro conquistato - Storie di inserimenti di handicappati intellettivi in aziende pubbliche e private, di Emilia De Rienzo, Costanza Saccoccio e Maria Grazia Breda, Rosenberg & Sellier, Torino.

(10) Si tratta di una lacuna notevole tra scuola e mondo del lavoro. Sempre più spesso l’insegnante di sostegno della scuola dell’obbligo  “accompagna” l’allievo in situazione di handicap  nella scuola superiore, proprio per favorire il passaggio delle competenze.  Continua invece a mancare la percezione di quanto sia importante aiutare il giovane (e la sua famiglia) anche nel momento dell’uscita dal percorso scolastico-formativo. Questo aspetto è ancora più rilevante nel caso di un  allievo  con handicap intellettivo, che dovrebbe essere correttamente indirizzato al  Centro per l’impiego provinciale, nel caso vi siano oggettive possibilità di avviamento al lavoro.  Qualora ci si trovi invece  in presenza di soggetti con handicap in situazione di gravità, per i quali vi sia l’esigenza di assicurare la frequenza di centri diurni, la scuola dovrebbe indirizzare  la famiglia ai relativi servizi socio-assistenziali dei Comuni singoli o associati.

(11) Osservo come quasi sempre i genitori di un figlio in situazione di handicap si rivolgano in primo luogo ai servizi sociali, anche quando, come in questo caso, in realtà cercano lavoro. Se Marco fosse stato un figlio “normale”, la mamma non si sarebbe di certo rivolta all’assistente sociale, ma all’ufficio di collocamento o al sindacato. Lo stesso percorso a maggior ragione, dovrebbe  essere intrapreso per coloro che hanno una minorazione, che permette  di svolgere un’attività con piena o ridotta capacità lavorativa.

(12) Cfr. “Soggetti con handicap e limitata autonomia: un esempio di come gli Enti locali possono promuovere occupazione”, Prospettive assistenziali, n. 151, 2005.

(13) Il Consorzio è l’ente a cui i Comuni hanno delegato la gestione dei servizi socio-assistenziali in base alle norme previste dalla Regione Piemonte.

(14) Nome di fantasia.

(15) Idem.

(16) In effetti sono numerose le definizioni sul “tutor”. Citiamo quella contenuta nel volume Inserimento al lavoro di persone con svantaggio intellettivo: l’esperienza Mosil, Edizioni Cep, che illustra il modello sperimentale di collocamento mirato attivato dal Servizio di inserimento lavorativo dell’Assessorato al lavoro del Comune di Torino. L’esperienza del Sil,  maturata nell’ambito del progetto comunitario Horizon (1997), porta alla seguente definizione del tutor  indicato come «l’operatore che accompagna la persona, con difficoltà dovute alla sua minorazione, nel percorso di inserimento al lavoro». Per quanto concerne i compiti del tutor vengono così riassunti: «Acquisisce la documentazione disponibile e le informazioni utili alla conoscenza delle persone a lui affidate;  crea e/o mantiene relazioni fiduciarie e costruttive con le persone inviate in tirocinio e a lui affidate; sostiene le persone nell’affrontare le difficoltà connesse allo svolgimento del tirocinio (in alcune situazioni ciò può anche comportare, soprattutto nella fase iniziale del tirocinio, l’affiancamento del tirocinante sul posto di lavoro e lo svolgimento delle stesse mansioni a lui affidate); controlla costantemente l’andamento del tirocinio ed interviene prontamente quando si delineano anomalie o problemi di qualunque tipo nel rapporto azienda/persona svantaggiata (per individuare l’intervento più appropriato e trovare soluzione ai problemi si confronta, se necessario, con il gruppo di riferimento…)».

(17) L’articolo 11 della legge 68/1999 precisa quanto segue: «1. Al fine di favorire l’inserimento lavorativo dei disabili, gli uffici competenti, sentito l’organismo di cui all’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, come modificato dall’articolo 6 della presente legge, possono stipulare con il datore di lavoro convenzioni aventi ad oggetto la determinazione di un programma mirante al conseguimento degli obiettivi occupazionali di cui alla presente legge.

«2. Nella convenzione sono stabiliti i tempi e le modalità delle assunzioni che il datore di lavoro si impegna ad effettuare. Tra le modalità che possono essere convenute vi sono anche la facoltà della scelta nominativa, lo svolgimento di tirocini con finalità formative o di orientamento, l’assunzione con contratto di lavoro a termine, lo svolgimento di periodi di prova più ampi di quelli previsti dal contratto collettivo, purché l’esito negativo della prova, qualora sia riferibile alla menomazione da cui è affetto il soggetto, non costituisca motivo di risoluzione del rapporto di lavoro.

«3. La convenzione può essere stipulata anche con datori di lavoro che non sono obbligati alle assunzioni ai sensi della presente legge.

«4. Gli uffici competenti possono stipulare con i datori di lavoro convenzioni di integrazione lavorativa per l’avviamento di disabili che presentino particolari caratteristiche e difficoltà di inserimento nel ciclo lavorativo ordinario.

«5. Gli uffici competenti promuovono ed attuano ogni iniziativa utile a favorire l’inserimento lavorativo dei disabili anche attraverso convenzioni con le cooperative sociali di cui all’articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 8 novembre 1991, n. 381, e con i consorzi di cui all’articolo 8 della stessa legge, nonché con le organizzazioni di volontariato iscritte nei registri regionali di cui all’articolo 6 della legge 11 agosto 1991, n. 266, e comunque con gli organismi di cui agli articoli 17 e 18 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con altri soggetti pubblici e privati idonei a contribuire alla realizzazione degli obiettivi della presente legge.

«6. L’organismo di cui all’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, come modificato dall’articolo 6 della presente legge, può proporre l’adozione di deroghe ai limiti di età e di durata dei contratti di formazione-lavoro e di apprendistato, per le quali trovano applicazione le disposizioni di cui al comma 3 ed al primo periodo del comma 6 dell’articolo 16 del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1994, n. 451. Tali deroghe devono essere giustificate da specifici progetti di inserimento mirato.

«7. Oltre a quanto previsto al comma 2, le convenzioni di integrazione lavorativa devono:

a) indicare dettagliatamente le mansioni attribuite al lavoratore disabile e le modalità del loro svolgimento;

b) prevedere le forme di sostegno, di consulenza e di tutoraggio da parte degli appositi servizi regionali o dei centri di orientamento professionale e degli organismi di cui all’articolo 18 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, al fine di favorire l’adattamento al lavoro del disabile;

c) prevedere verifiche periodiche sull’andamento del percorso formativo inerente la convenzione di integrazione lavorativa, da parte degli enti pubblici incaricati delle attività di sorveglianza e controllo».

(18) Nome di fantasia.

(19) La legge 7 agosto 1990 n. 241 “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto all’accesso ai documenti amministrativi”, stabilisce all’articolo 4  che «ove non sia già direttamente stabilito per legge o per regolamento, le pubbliche amministrazioni sono tenute a determinare per ciascun tipo di provvedimento relativo ad atti di loro competenza l’unità organizzativa responsabile della istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale, nonché dell’adozione del provvedimento finale». Va detto che la violazione da parte della pubblica amministrazione delle norme sancite dalla legge 241/1990 può costituire reato.

(20) Cfr. la nota 1.

(21) All’epoca dei fatti, ai sensi della legge 241/1990 l’Amministrazione pubblica aveva trenta giorni di tempo per rispondere. A seguito dell’entrata in vigore della legge 14 maggio 2005, n. 80, che ha disposto la modifica di alcuni articoli della legge 241/1990, il termine entro i quali il procedimento deve essere concluso è stato prorogato da trenta a novanta giorni.

(22) Cfr. “Valido protocollo di intesa per la istituzione di un servizio intercomunale per l’inserimento lavorativo di soggetti con handicap e per la sperimentazione del collocamento mirato”, Prospettive assistenziali, n. 134, 2001.

(23) Il convegno “L’altra abilità: esperienze e politiche per le persone con disabilità” si è svolto a Torino l’8 ottobre 2004. Il documento del Csa distribuito nell’occasione ha per titolo “Le politiche del lavoro della Regione Piemonte devono concentrarsi su iniziative che diano finalmente occupazione alle persone con handicap che hanno più difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro”.

(24) Cfr. la nota 3.

(25) Saranno infatti necessarie anche richieste scritte da parte dell’Associazione Grh.

(26) I dati contenuti nel tabulato del Centro per l’impiego provinciale sono stati recuperati mediante richiesta scritta, ai sensi dell’articolo 9 della legge 68/1999. In base al suddetto articolo è previsto che «gli uffici competenti, al fine di rendere effettivo il diritto di accesso ai predetti documenti amministrativi, ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241, dispongono la loro consultazione nelle proprie sedi, negli spazi disponibili aperti al pubblico».

(27) L’articolo 13 “Modalità di verifica e controllo” della convenzione tra Provincia di Torino e Comune di Venaria, n. 7598 del 26 marzo 2002, prevede che «il responsabile del Centro per l’impiego organizza incontri semestrali con:

- il responsabile del competente Servizio del Comune per il monitoraggio e la verifica delle attività programmate di cui all’articolo 11;

- i responsabili degli altri competenti Servizi in materia di lavoro, sviluppo economico e interventi socio-assistenziali del Comune, finalizzati alla verifica operativa degli obiettivi di piena integrazione tra misure di politiche del lavoro, di formazione professionale, dello sviluppo e delle azioni rivolte alla assistenza sociale.

«Per la verifica sull’andamento delle attività, la Provincia attiverà, con cadenza annuale, apposita conferenza presieduta dal Presidente della Provincia o suo delegato, cui parteciperanno il Sindaco e gli Amministratori interessati. La suddetta verifica verrà attuata previa consultazione e confronto con la Commissione provinciale per le politiche del lavoro di cui al decreto legislativo 469/1997 in merito agli indirizzi da adottare dalla Provincia stessa.

«La Provincia esercita opportune forme di controllo del rispetto di quanto previsto dal precedente articolo 10».

(28) In base all’articolo 6 della convenzione «i Comuni, per la verifica congiunta sull’andamento delle attività, realizzeranno, attraverso gli organismi del Patto territoriale, il monitoraggio degli interventi al fine di valutare le ricadute delle attività rispetto alle finalità del Patto. Sono organizzati incontri semestrali tra il responsabile del Centro per l’impiego e i responsabili dei servizi lavoro, sviluppo economico e socio-assistenziali territoriali, finalizzati alla verifica operativa degli obiettivi di piena integrazione tra misure di politiche del lavoro, della formazione professionale, dello sviluppo ed azioni rivolte alla assistenza sociale. In seguito alle verifiche effettuate o a intervenute variazioni al quadro normativo o agli strumenti di programmazione degli enti, le parti si riservano, in vigenza della presente convenzione, di effettuare le opportune modificazioni e integrazioni».

(29) Ci riferiamo sia all’interrogazione dei Consiglieri provinciali Vincenzo Chieppa e Mario Cossato, del Gruppo consiliare Comunisti italiani, presentata il 16 novembre 2004 al Consiglio provinciale di Torino, sia a quella dei Consiglieri Costa Rosa Anna, Antonello Angeleri e Deodato Scanderebech del Gruppo consiliare Unione dei democratici cristiani di centro, rivolta il 30 novembre 2004 al Presidente e all’Assessore competente della Giunta regionale del Piemonte.

(30) La mostra “Anche noi al lavoro: immagini e storie di ordinaria integrazione di giovani con handicap intellettivo, fisico e sensoriale” è stata curata dal Ggl. È disponibile un catalogo della Provincia di Torino, Assessorato al lavoro.

(31) Cfr. la nota 1.

(32) In base all’art. 11 della legge 68/1999 il Comune può stipulare una convenzione con il Centro per l’impiego che prevede anche la facoltà di chiamata nominativa.

(33) Le stesse contestazioni sono contenute nella lettera precedentemente inviata dal Csa ai due Amministratori in data 21 febbraio 2006.

(34) La stessa lettera viene spedita per conoscenza all’Assessore al lavoro del Comune di residenza, alla Direttrice del Centro per l’impiego, al Direttore del Consorzio socio-assistenziale e al Csa.

(35) È lo psicologo incaricato di un approfondimento aggiuntivo da parte del Comitato tecnico provinciale.

(36) Cfr la nota 12.

 

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