Prospettive assistenziali, n. 154, aprile - giugno 2006

 

 

L’ADOZIONE MITE: UNA INIZIATIVA ALLARMANTE E ILLEGITTIMA, MAI AUTORIZZATA DAL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA

FRANCESCO SANTANERA

 

 

 

La questione della cosiddetta adozione mite è stata affrontata nuovamente da Franco Occhio­grosso, Presidente del Tribunale per i minorenni di Bari, in un articolo riportato sul numero 3, 2005 di Minorigiustizia (1), in cui ancora una volta ha affermato il falso e cioè che detta procedura è una «prassi giuridica autorizzata dal Consiglio superiore della magistratura».

Al riguardo segnaliamo che in data 23 maggio 2006 il Segretario generale di detto Consiglio
superiore ha inviato all’Anfaa (Associa­zione nazionale famiglie adottive e affidatarie) la seguente lettera: «Comunico che la settima Commissione, nella seduta del 16 maggio 2006, con riferimento alla nota in oggetto indicata (2), ha deliberato di comunicare che il Consiglio non ha autorizzato la prassi giudiziaria per “l’adozione mite” presso il Tribunale per i minorenni di Bari, essendosi limitato a prendere atto della nota in data 6 maggio 2003 del Presidente di quel Tribunale con la quale veniva comunicato che era stata istituita “l’adozione mite”, trattandosi, peraltro, di attività giurisdizionale e di interpretazione di norme giuridiche su cui il Consiglio superiore della magistratura non ha alcuna competenza» (3).

I fuorvianti presupposti dell’adozione mite

Anche nel secondo articolo, il Presidente del Tribunale per i minorenni di Bari pone a sostegno dell’adozione mite presupposti assolutamente inconsistenti o fuorvianti.

1. In primo luogo va precisato che nel nostro ordinamento giuridico esistono solamente due forme di adozione (una legittimante e l’altra definita “nei casi particolari”), previste dalla vigente legge 184/1983, come risulta modificata dalla legge 149/2001.

In altre parole, l’adozione mite è una creazione del Tribunale per i minorenni di Bari che, per poterla ancorare a qualche elemento concreto, ha alterato, come abbiamo visto, in autorizzazione una semplice presa d’atto del Consiglio superiore della magistratura.

2. È, altresì, significativa l’ammissione di Franco Occhiogrosso che, nel citato articolo “L’adozione mite due anni dopo”, è costretto a riconoscere che nessun Tribunale per i minorenni «ha finora seguito l’esempio di quello di Bari, sicché la sperimentazione dell’adozione mite è rimasta isolata».

In effetti, da quanto mi risulta nessun altro Tribunale per i minorenni ha  violato le norme attualmente operanti in materia di adozione e nessun altro giudice ha finora ritenuto che l’adozione mite abbia «la dignità di un progetto culturale qualificante (…) destinato a modificare sensibilmente le linee normative attualmente vigenti in tema di adozione e affidamento familiare», come, con un’argomentazione di comodo, il Presidente del Tribunale per i minorenni di Bari si autocompiace di definire i suoi provvedimenti in materia.

3. Franco Occhiogrosso segnala, altresì, che il punto di partenza dell’adozione mite «è costituito dalla constatazione che il numero dei bambini adottabili  e poi adottati è andato notevolmente diminuendo negli ultimi anni, a conferma che le situazioni di pieno abbandono morale e materiale tendono a ridursi, mentre resta sempre alto quello delle domande di adozione. A ciò si aggiunge che l’adozione internazionale, verso cui molte coppie si orientano, ha costi alti, che spesso scoraggiano gli aspiranti adottanti». Pertanto, secondo lo stesso Occhiogrosso «una consistente risorsa umana, costituita dalle grandi capacità affettive ed educative delle tante persone (per lo più senza figli) che propongono domanda di adozione nazionale e non vedono coronare il loro sogno di adottare, rischia di andare perduta. Di qui,conferma il Presidente del Tribunale per i minorenni di Bari – è sorta la prima idea di parlare agli aspiranti adottanti (ma anche ad altri) dell’adozione mite».

Dunque, ammette Franco Occhiogrosso, il progetto dell’adozione mite è stato costruito partendo dalle numerose domande presentate da aspiranti adottanti e non dalle pur pressanti esigenze dei minori in gravi difficoltà, esigenze che una società veramente matura dovrebbe riconoscere e sancire come prioritari diritti esigibili. Per il rispetto di dette esigenze e per il riconoscimento dei relativi diritti esigibili vi era e vi è l’urgente necessità che le persone ed i gruppi interessati (e quindi anche i magistrati minorili) premano sulle autorità preposte (Parlamento, Governo, Regioni, Comuni, Asl, ecc.) affinché predispongano le misure occorrenti per la prevenzione del disagio e per fornire le prestazioni volte ad eliminare o almeno ridurne i deleteri effetti.

 

Priorità assoluta delle esigenze dei minori in condizioni di disagio

Com’è noto, partendo dal riconoscimento effettivo dell’assoluta preminenza delle esigenze dei minori, le leggi 431/1967, 184/1983 e 149/2001 hanno stabilito il diritto alla famiglia di tutti i fanciulli «privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio». Allo scopo di evitare in tutta la misura del possibile la sottrazione di minori ai congiunti in difficoltà, il legislatore ha previsto una serie di misure (procedimento di adottabilità, ricorsi, ecc.) finora dimostratesi sostanzialmente efficaci, anche se occorre deplorare che il Parla­mento non abbia ancora approvato le norme volte ad assicurare l’assistenza legale del minore, dei genitori e degli altri parenti ed a snellire le procedure concernenti la dichiarazione di adottabilità (4).

Per quanto concerne i fanciulli non dichiarabili in stato di adottabilità, appartenenti a nuclei familiari in gravi condizioni di disagio, le leggi vigenti stabiliscono, come indiscutibile priorità, il sostegno ai genitori  e allo stesso minore al fine di evitare per quanto fattibile la loro separazione.

È ben vero che l’affermazione contenuta nel 1° comma dell’articolo 1 della legge 184/1983 – «Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia» – è teorica e non sono previste nel nostro ordinamento norme organiche che ne prevedano l’esigibilità (5), ma è altrettanto certo che occorrerebbe che tutti coloro che operano nel settore minorile, e quindi anche i magistrati dei Tribunali e delle Procure per i minorenni, sollecitassero il Parlamento, le Regioni ed i Comuni per l’approvazione delle disposizioni occorrenti per il passaggio dalla sopra citata valida affermazione di principio a concreti provvedimenti attuativi.

Sarebbe, infatti, estremamente grave sotto tutti i punti di vista (etico, giuridico, umano, familiare e sociale) che, nei confronti dei nuclei familiari in difficoltà, i servizi sociali intervenissero esclusivamente o prioritariamente mediante l’affido dei minori ad altre famiglie o persone, oppure – peggio ancora – tramite il ricovero presso strutture assistenziali.

In primissimo luogo occorre, invece, che i genitori e, se del caso, gli altri congiunti, siano tempestivamente e adeguatamente sostenuti al fine di risolvere per quanto possibile le situazioni di disagio e di evitare separazioni ingiustificate dei minori dal loro nucleo d’origine. D’altra parte, nei casi di affido, dovrebbe essere privilegiato l’inserimento del minore presso i congiunti disponibili e idonei.

Inoltre, se agissero in modo corretto, gli enti preposti non dovrebbero solamente fornire prestazioni assistenziali, ma garantire innanzitutto l’utilizzo dei servizi di base: casa, sanità, scuola, ecc. (6).

Nessuna forma di adozione e/o altri istituti giuridici dovrebbero costituire un alibi per le Regioni, gli enti locali e le altre istituzioni volto a non fornire i necessari interventi di prevenzione del disagio e di eliminazione o riduzione dei suoi effetti, spesso devastanti.

A mio avviso, questi sono gli interventi assolutamente prioritari da assumere a difesa delle esigenze dei minori e dei nuclei familiari in difficoltà.

Precisazioni sul ruolo dell’affidamento familiare a scopo educativo

Anche nel secondo articolo, Franco Occhiogrosso ripete quasi parola per parola quanto aveva già sostenuto nel primo per quanto riguarda l’affidamento familiare a scopo educativo, e cioè che al compimento del 18° anno di età del minore «la loro famiglia di origine nella massima parte dei casi continuerà a non essere in grado di accoglierli (pur mantenendo con loro rapporti personali, sia pure per lo più sporadici), mentre gli affidatari non saranno più impegnati in alcun modo ad accoglierli nella loro famiglia». Si tratta di una affermazione estremamen­te grave che considera tutti gli affidatari come persone prive di umanità, decise a buttare allo sbaraglio i ragazzi, magari accolti da molti anni e che fornisce alle Regioni e agli enti gestori delle attività so­ciali una preoccupante giustificazione al loro disin­teresse nei confronti del futuro di questi giovani (7).

Nel mio precedente articolo (8) avevo citato le positive iniziative assunte dal Comune di Torino (presenti altresì in altre città) sia in merito alla prosecuzione dell’affidamento familiare a scopo educativo fino al compimento del venticinquesimo anno del ragazzo, sia anche oltre il suddetto limite nei casi di soggetti con handicap o altre difficoltà. Dette iniziative erano state promosse dall’Anfaa e da Prospettive assistenziali, proprio in considerazione delle disponibilità pervenute da nu­me­rose famiglie affidatarie.

Vi sono e certamente vi saranno in futuro situazioni in cui i nuclei familiari di origine, nonostante gli interventi di sostegno, non sono in grado di provvedere a tutte le esigenze affettive ed educative dei loro figli. A mio avviso devono poter contare su aiuti sociali, e se possibile su un altro nucleo familiare, senza che questo affiancamento si trasformi in una sottrazione dei loro congiunti. Dunque, vi sono e vi saranno sempre affidamenti familiari a scopo educativo a lungo termine, anche se va ribadito che, com’è ormai da anni accertato in modo incontrovertibile, i servizi (e non solo quelli socio-assistenziali) (9) devono intervenire nei riguardi sia del nucleo affidatario sia di quello d’origine.

Troppo spesso le difficoltà di gestione degli affidamenti familiari a scopo educativo e gli ostacoli al rientro in famiglia dell’affidato o all’autonomo suo inserimento sociale sono la conseguenza diretta delle carenze di intervento dei servizi.

Evidentemente, per gli enti pubblici è assai più semplice e meno costoso trascurarei nuclei di origine dei minori, soprattutto quelli molto problematici e asserire che non c’è nulla da fare nei loro riguardi e quindi scaricare tutte le responsabilità su coloro a cui viene concessa l’adozione mite.

In ogni caso ritengo che i servizi dovrebbero sempre presentare ai Tribunali per i minorenni relazioni con la dettagliata descrizione degli interventi concreti proposti e dei relativi comportamenti di accettazione o di rifiuto assunti dai componenti del nucleo familiare di origine dell’affidato (10). Solamente in questo modo, del tutto opposto alla facile autoreferenzialità, gli enti pubblici gestori dei servizi sarebbero veramente in grado di documentare il loro operato anche alle autorità giudiziarie minorili.

Nello stesso tempo i nuclei familiari di origine avrebbero concreti riferimenti per la presentazione di osservazioni, di proposte alternative o di ricorsi.

L’affidamento familiare di minori a scopo educativo dovrebbe essere disposto solo quando le difficoltà dei nuclei d’origine non sono state risolte o rese sopportabili mediante gli interventi di sostegno forniti al nucleo familiare di appartenenza dei minori dagli enti preposti all’erogazione delle prestazioni della sanità, della casa, dell’istruzione, della formazione professionale, del lavoro e, occorrendo, dei servizi socio-assistenziali.

Purtroppo, nonostante la priorità delle iniziative sopra indicate (11), Franco Occhiogrosso continua a proporre l’adozione mite come l’intervento idoneo e indispensabile per i ragazzi che non possono rientrare nella loro famiglia di origine, compresi quelli che, come precisa lo stesso Occhiogrosso, mantengono «un legame affettivo che non consente l’interruzione totale dei rapporti» senza nemmeno prevedere l’apertura di un apposito procedimento giudiziario. Essendo presenti detti legami affettivi, che dovrebbero essere sempre considerati come componenti essenziali della dignità delle persone coinvolte, non è accettabile che, come sostiene il Presidente del Tribunale per i minorenni di Bari, la semplice constatazione del mancato rientro in famiglia dell’affidato possa determinare una situazione di “semiabbandono permanente” senza nemmeno prevedere l’apertura di un apposito procedimento giudiziario.

 

Le insidie del semiabbandono permanente

Nell’articolo in oggetto, Franco Occhiogrosso ritiene corretto «identificare la situazione di semiabbandono permanente in quella che comporta la pronuncia del provvedimento giuridico di decadenza dei genitori dalla potestà del figlio» in quanto il mancato rientro in famiglia determina “un pregiudizio grave” per il minore (12).

D’altra parte non comprendo come possa essere disposta la decadenza nei casi in cui, come riconosce lo stesso Occhiogrosso, i genitori mantengono «un legame affettivo» con il proprio figlio.

Il Presidente del Tribunale per i minorenni di Bari ritiene addirittura valida la proposta di legge n. 5724 (cfr. la nota 3) secondo cui la pronuncia dell’adozione mite «non esige l’accertamento giuridico caso per caso della situazione di semiabbandono permanente». Non essendo previsto alcun procedimento giudiziario volto ad accertare la situazione di semiabbandono permanente, l’adozione mite può determinare – il che è assolutamente inaccettabile – la sottrazione dei figli ai nuclei familiari in difficoltà.

 

Il fuorviante riferimento all’articolo 44, comma 1, lettera d) della legge 184/1983 riguardante l’adozione nei casi particolari

Franco Occhiogrosso insiste nel sostenere che la pronuncia dell’adozione mite è attuabile in base all’articolo 44, comma 1, lettera d) della legge 184/1983 concernente l’adozione nei casi particolari (13).

Come avevo già osservato nel mio precedente articolo, risulta invece evidente che, per poter applicare la suddetta disposizione, non solo «occorre accertare l’impossibilità  della realizzazione dell’affidamento preadottivo del minore» com’è esplicitamente previsto dalla lettera d), ma bisogna altresì tener conto che «condizione sine qua non perché possa essere disposto l’affidamento preadottivo di un minore è la dichiarazione da parte del Tribunale per i minorenni della sua adottabilità».

Infatti, la legge 184/1983 stabilisce che possono essere accolti in affidamento preadottivo esclusivamente i minori dichiarati in stato di adottabilità.

Se fosse valida l’interpretazione del Presidente del Tribunale per i minorenni di Bari, secondo cui l’adozione mite può essere disposta anche senza la preventiva dichiarazione di adottabilità, ciò significherebbe che:

a) tutti i minori affidati a scopo educativo che non rientrano nel loro nucleo familiare di origine possono essere sottratti ai loro genitori e agli altri congiunti (14);

b) alle persone sole è riconosciuta, alla pari delle coppie, la possibilità di adottare addirittura indipendentemente (si veda il comma 4 dell’articolo 44 della legge 184/1983) dai limiti massimi della differenza di età fra adottanti e adottandi prevista per i coniugi dalle norme sull’adozione legittimante.

In sostanza, la posizione assunta dal Tribunale per i minorenni di Bari snatura tutti i presupposti fondamentali della legge sull’adozione legittimante: l’obbligo della preventiva dichiarazione dello stato di adottabilità, la pronuncia dell’adozione esclusivamente nei riguardi delle coppie sposate, il rispetto dei limiti massimi della differenza di età intercorrente fra gli adulti ed i minori.

Segnalo, altresì, la contraddizione in cui è ca­duto Franco Occhiogrosso quando scrive che «esiste una forma di adozione in casi particolari, quella prevista dall’articolo 44, lettera d) della legge 4 maggio 1983 n. 184, che consente l’adozione di bambini quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo», e precisa che «questa espressione della legge viene intesa dalla giurisprudenza come riferibile sia ai bambini portatori di difficoltà personali, sia a quelli in cui un bambino abbandonato si trovi già presso una famiglia a cui è legato da un rapporto affettivo solido, tanto che un allontanamento determinerebbe per lui un serio pregiudizio».

Riconosce dunque il Presidente del Tribunale per i minori di Bari che l’articolo 44, lettera d), della legge 184/1983 è ritenuto dalla giurisprudenza applicabile al «bambino abbandonato», ma non tiene conto che dalla stessa legge è ritenuto tale solo quello dichiarato in stato di adottabilità.

Inoltre, contrariamente a quanto scrive Franco Occhiogrosso, l’adozione nei casi particolari non è mai praticabile nei riguardi dei «bambini portatori di difficoltà personali», ma esclusivamente nei confronti  del minore (cfr. la nota 12)  che si trova «nelle condizioni indicate dall’articolo 3, comma 1 della legge 5 febbraio 1992 n. 104 e sia orfano di padre e di madre» e cioè del fanciullo non solo privo  dei genitori (condizione omessa dal Presidente del Tribunale per i minori di Bari), ma che presenta anche «una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione» come stabilisce il sopra richiamato articolo 3, comma 1 della legge 104/1992 (15).

 

Una citazione scorretta

Per sostenere la sua posizione sull’adozione mite, Franco Occhiogrosso cita anche l’ordinanza della Corte costituzionale n. 347/2005 in cui viene stabilito che è «ammissibile l’adozione internazionale negli stessi casi in cui è ammessa l’adozione nazionale legittimante o in casi particolari» (16).

Orbene, è vero che la Corte costituzionale ha riconosciuto che la legge 184/1983 prevede non solo l’adozione da parte di coppie sposate, ma anche, limitatamente ai casi particolari indicati dall’articolo 44, alle persone sole, ma Franco Occhiogrosso dimentica che nella decisione della Corte costituzionale viene più volte segnalato che la minore di cui era stata richiesta l’adozione nei casi particolari «dall’età di dodici anni si trova in stato di abbandono in un orfanotrofio della Repubblica di Belarus per essere stata tolta ai genitori la potestà genitoriale», che «ha due fratelli di sedici e diciassette anni, l’uno detenuto e l’altro in orfanotrofio» e che «l’adozione della minore potrebbe avvenire in Bielorussia con le forme dell’adozione italiana in casi particolari».

Dunque, anche la Corte costituzionale pone l’accertamento preventivo della totale privazione di sostegno morale e materiale del minore da parte dei genitori e dei parenti quale condizione sine qua non per la pronuncia dell’adozione nei casi particolari di minori italiani e stranieri.

 

Alcune conseguenze sfavorevoli dell’adozione nei casi particolari

Com’è noto, gli effetti dell’adozione nei casi particolari sono molto negativi per l’adottato rispetto all’adozione legittimante. Infatti:

a) non diventa figlio legittimo dei coniugi adottanti e non stabilisce alcun rapporto di parentela con i componenti della famiglia adottiva;

b) può essere adottato anche da una sola persona;

c) l’adottato non rompe i rapporti con la sua famiglia di origine anche se il o gli adottanti nei casi particolari esercitano i poteri parentali nei suoi riguardi. Pertanto restano fermi i doveri dell’adottato nei confronti di tutti i suoi congiunti d’origine, compresa, ad esempio, la prestazione degli alimenti;

d) quasi sempre l’adottato deve anteporre al proprio il cognome dell’adottante. A causa del doppio cognome è facilmente individuabile come figlio adottivo;

e) il o gli adottanti possono essere persone anche molto anziane non essendo previsti limiti massimi alla differenza di età fra gli addottanti e il minore;

f) il Tribunale per i minorenni può pronunciare l’adozione anche senza l’assenso dei genitori «ove ritenga il rifiuto ingiustificato o contrario all’interesse dell’adottando»;

g) l’adozione nei casi particolari può essere disposta anche senza interpellare i fratelli e le sorelle dell’adottando nonché gli altri congiunti del minore;

h) l’adozione può essere revocata anche se solo per gravi motivi.

Inoltre, occorre tener presente che «la posi­zione del minore adottato nei casi particolari, dal punto di vista delle registrazioni anagrafiche, conserva tutte le indicazioni relative ai rapporti di famiglia, che vanno integrate con quelle conseguenti a tale forma di adozione e, altrettanto, in sede di certificazione, sia essa d’anagrafe che di stato civile, per cui esse, quando rilasciate nei soli casi in cui sia ammessa l’indicazione della paternità/maternità (articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 2 maggio 1957, n. 43) indicheranno la paternità/maternità integrata dall’indicazione di “adottata/o da…”» (17). Inoltre, nel caso di decesso dell’adottato nei casi particolari, rimasto orfano dei genitori adottivi, hanno diritto all’eredità i congiunti della sua famiglia di origine, esclusi solamente, ai sensi della legge 137/2005, i genitori d’origine (e non gli altri parenti) qualora essi siano stati dichiarati decaduti dalla potestà genitoriale.

 

Conclusioni

A mio avviso l’adozione è e deve restare l’istituto giuridico preposto al pieno inserimento familiare dei minori totalmente privi di sostegno morale e materiale da parte dei genitori e degli altri parenti d’ori­gine. Adottare significa diventare madre o padre di un minore procreato da altri e conseguentemente per l’adottato vuol dire diventare figlio di persone che non l’hanno procreato, ma l’hanno accolto, amato e cresciuto.

Si tratta di genitorialità vere e di filiazioni vere.

L’adozione cosiddetta mite non è prevista nel nostro ordinamento giuridico e non deve essere ammessa sia per rispettare la vera essenza della filiazione e della genitorialità adottive, sia per evitare che possa essere concepita o diventare una forma di sostegno assistenziale o peggio possa essere utilizzata per sottrarre i figli ai nuclei familiari in gravi difficoltà.

Per quanto riguarda l’affidamento familiare a scopo educativo, occorre ribadire che può essere disposto esclusivamente nei casi in cui non siano concretamente praticabili gli aiuti psico-sociali al nucleo familiare di origine.

Effettuato l’affidamento, detto nucleo non deve mai e per nessun motivo, essere abbandonato a se stesso, ma, in parallelo alle azioni sociali rivolte al fanciullo e agli affidatari, deve essere sostenuto per consentire il rientro del minore e, se questa eventualità non è possibile, per promuovere rapporti positivi con il minore.

Nei casi in cui, nel corso dell’affidamento familiare a scopo educativo il minore venga dichiarato adottabile, perché totalmente privo di sostegno morale e materiale da parte del suo nucleo d’origine, dovrebbe essere disposta l’adozione legittimante, assicurando la permanenza del ragazzo nella famiglia o presso la persona che l’ha accolto.

 

 

(1) Cfr. Franco Occhiogrosso, “L’adozione mite due anni dopo”, Minorigiustizia, n. 3, 2005. Sulla stessa rivista, n. 1, 2003 era stata pubblicata, fra l’altro, la circolare del 1° aprile 2003 del Presidente del Tribunale per i minorenni di Bari in cui veniva avviata la sperimentazione relativa all’adozione mite. Da notare che detta circolare è stata spedita prima del pronunciamento del Consiglio superiore della magistratura.

(2) In data 7 ottobre 2005 l’Anfaa ha inoltrato una nota al Presidente, al Vice Presidente e ai Componenti del Consiglio superiore della magistratura chiedendo che detto Consiglio, tenuto conto che le sue funzioni «non contemplano la facoltà di autorizzare interpretazioni giuridiche innovative della normativa vigente», si pronunciasse nuovamente sull’autorizzazione concessa al Tribunale per i minorenni di Bari per l’avvio della sperimentazione relativa all’adozione mite «rettificando quanto a suo tempo deliberato». Il testo integrale della lettera inviata dall’Anfaa al Consiglio superiore della magistratura è riportato sul n. 152, 2005 di Prospettive assistenziali.

(3) Poiché i due citati articoli di Franco Occhiogrosso pubblicati su Minorigiustizia avevano indicato l’autorizzazione del Consiglio superiore della magistratura come fondamento dei provvedimenti assunti dal Tribunale per i minorenni di Bari sull’adozione mite, confidiamo che, per evidenti esigenze di corretta informazione in questo delicato settore, Minorigiustizia segnali ai suoi lettori la precisazione sopra riportata inviata all’Anfaa dal Segretario generale di detto Consiglio superiore. Al riguardo, ricordiamo che nella proposta di legge n. 5724 “Modifiche della legge 4 maggio 1983 n. 184, in materia di adozione aperta e di adozione mite”, presentata alla Camera dei Deputati il 16 marzo 2005 da ben 55 Parlamentari (prima firmataria l’On. Bolognesi) veniva affermato  che la sperimentazione in materia di adozione mite da parte del Tribunale per i minorenni di Bari era «stata posta in essere a seguito  di autorizzazione  da parte del Consiglio superiore della magistratura». L’erronea notizia concernente l’inesistente autorizzazione del Consiglio superiore della magistratura per l’adozione mite è stata riportata anche nel “Documento conclusivo dell’indagine conoscitiva in materia di adozione e affidamento” approvato dalla Commissione parlamentare per l’infanzia nella seduta del 27 ottobre 2004 (cfr. “Indagini conoscitive e documentazioni legislative”, n. 18, Atti parlamentari, Camera dei Deputati e Senato, XIV legislatura, pagina 292). Analoga scorretta informazione è apparsa sul settimanale Vita del 16 settembre 2005 nell’articolo “L’affido infinito e l’adozione mite”. Riteniamo, inoltre, che il Consiglio superiore della magistratura dovrebbe diffidare il Presidente del Tribunale per i minorenni di Bari dal continuare a diffondere notizie inesatte circa le decisioni assunte dallo stesso Consiglio superiore in merito all’adozione mite.

(4) Nei due citati articoli di Franco Occhiogrosso non c’è alcun cenno a queste importanti questioni.

(5) Diritti esigibili nei riguardi dei minori e dei loro congiunti in gravi difficoltà sono previsti solamente dalla legge della Regione Piemonte n. 1/2004. Cfr. Giuseppe D’Angelo, “La nuova legge regionale piemontese sull’assistenza”, Prospettive assistenziali, n. 147, 2004, nonché dalla legge 2838/1928 per quanto concerne i figli di ignoti ed i minori riconosciuti dalla sola madre.

(6) Si veda in questo numero l’articolo di Mauro Perino, “Per una corretta ridefinizione del ruolo del settore socio-assisten­ziale”.

(7) Ricordo che, ai sensi dei vigenti articoli 154 e 155 del regio decreto 773/1931, i Comuni sono obbligati ad assistere le persone che non sono in grado di vivere con le proprie risorse.

(8) Cfr. Francesco Santanera, L’adozione mite: come svalorizzare la vera adozione, Prospettive assistenziali, 147, 2004.

(9) Si pensi, ad esempio, alle situazioni assai frequenti in cui coesistono problematiche del nucleo d’origine e/o di quello affidatario concernenti la sanità, la scuola, la casa e altri settori sociali.

(10) Spesso le relazioni contengono giudizi senza riferimenti a fatti concreti. Cfr. Alina Balma, “Carenti le relazioni sociali inviate al Tribunale per i minorenni di Torino. I risultati di una ricerca”, Prospettive assistenziali, n. 127, 1999.

(11) Nell’articolo in oggetto, Franco Occhiogrosso asserisce che il Tribunale per i minorenni di Bari sta procedendo alla sottoscrizione di protocolli di intesa con i servizi territoriali. Questa potrebbe essere l’occasione per una definizione degli interventi che detti servizi dovrebbero impegnarsi a garantire per sostenere i nuclei familiari di origine anche al fine di favorire il rientro dell’affidato, o per consentire, se necessario, la prosecuzione degli affidamenti al raggiungimento del diciottesimo anno di età, oppure per supportare l’autonomo inserimento sociale del giovane.

(12) L’articolo 330 del codice civile è così redatto: “Il giudice può pronunziare la decadenza della potestà quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio. In tale caso, per gravi motivi, il giudice può ordinare l’allontanamento del figlio dalla residenza familiare”.

(13) L’articolo 44 della legge 184/1983 è così redatto:

«1. I minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell’articolo 7:

a) da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, quando il minore sia orfano di padre e di madre;

b) dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge;

c) quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dall’articolo 3, comma 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e sia orfano di padre e di madre;

d) quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo.

«2. L’adozione, nei casi indicati nel comma 1, è consentita anche in presenza di figli legittimi.

«3. Nei casi in cui alle lettere a), c) e d) del comma 1, l’adozione è consentita, oltre che dai coniugi, a chi non è coniugato. Se l’adottante è persona coniugata e non separata, l’adozione può essere tuttavia disposta solo a seguito di richiesta da parte di entrambi i coniugi:

«4. Nei casi in cui alle lettere a) e d) del comma 1 l’età dell’adottante deve superare di almeno diciotto anni quella di coloro che egli intende adottare».

A sua volta il comma 1 dell’articolo 7 della legge 183/1984 stabilisce che «l’adozione è consentita a favore dei minori dichiarati in stato di adottabilità (…)».

(14) Ovviamente, nei casi in cui i minori in affidamento siano dichiarati in stato di adottabilità e il relativo provvedimento del Tribunale per i minorenni sia diventato definitivo, è auspicabile il pronunciamento dell’adozione legittimante di modo che l’affidato continui a rimanere nella famiglia che l’ha accolto e benefici dei notevoli vantaggi che l’adozione legittimante presenta nei confronti dell’adozione mite.

(15) L’accertamento della condizione di persona con handicap è demandato dalla legge 104/1992 alle apposite Commissioni mediche delle Aziende sanitarie locali. Come avevo già sostenuto nel mio precedente articolo, è auspicabile che la norma riguardante i minori con handicap venga applicata esclusivamente ai soggetti in situazione di gravità e nei casi in cui non sia praticabile l’adozione legittimante, e cioè nei casi in cui il minore con handicap è stato accolto da una persona sola.

(16) Cfr. Francesco Santanera, “Ordinanza della Corte costituzionale in merito all’adozione di minori stranieri da parte di persone singole”, Prospettive assistenziali, n. 151, 2005.

(17) Cfr. Nicola Corvino e Vincenzo Mercurio, “Adozione nei casi particolari, effetti, relazioni familiari”, I servizi demografici, n. 7/8, 2005.

 

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