Prospettive assistenziali, n. 154, aprile - giugno 2006
Francesco Santanera
La legge della Regione Toscana 24 febbraio 2005, n. 41
“Sistema integrato di interventi e servizi per la
tutela dei diritti di cittadinanza sociale” presenta una notevole discordanza
fra le affermazioni di principio e le concrete prestazioni che i cittadini in
difficoltà possono esigere.
Ridondanti
affermazioni di principio
L’articolo 1 precisa che la legge 41/2005 ha lo scopo di «promuovere e garantire i diritti di
cittadinanza sociale, la qualità della vita, l’autonomia individuale, le pari
opportunità, la non discriminazione, la coesione sociale, l’eliminazione e la
riduzione delle condizioni di disagio e di esclusione».
Inoltre, il sistema integrato di interventi
e servizi sociali non solo (articolo 2) «ha
carattere di universalità» e quindi riguarda tutta la popolazione della
Toscana, ma si realizza (articolo 3) anche con la «garanzia dell’uguaglianza, delle pari opportunità rispetto a
condizioni sociali e stati di bisogno differenti» garantendo altresì «valorizzazione delle capacità e delle
risorse della persona; (…) prevenzione e rimozione delle condizioni di disagio
sociale; sostegno all’autonomia delle persone disabili e non autosufficienti
(…)» nonché «partecipazione attiva
dei cittadini singoli o associati, nell’ambito dei principi di solidarietà e di
auto-organizzazione».
Nessun diritto esigibile da parte dei
cittadini in difficoltà
Le ridondanti affermazioni citate subiscono un drastico ridimensionamento esaminando le norme riguardanti
gli aspetti operativi.
L’articolo 4 precisa solamente, né potrebbe essere
diversamente stabilito, che verranno assicurati i «livelli essenziali delle prestazioni sociali
previste dallo Stato ai sensi dell’articolo 117, comma secondo, lettera m)
della Costituzione», livelli essenziali previsti dalla legge 328/2000, ma
finora non sanciti da alcuna norma.
Orbene, è ovvio che le Regioni sono obbligate a
rispettare le disposizioni sancite dalla Costituzione, ivi compresa quella
sopra citata, tenuto conto che «lo Stato
ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: (…) m) determinazione dei
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che
devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale».
Inoltre, il Consiglio regionale della Toscana ha previsto
all’articolo 4 che «il piano integrato
sociale regionale (…) definisce (…) le eventuali prestazioni aggiuntive da
assicurare in modo omogeneo sul territorio toscano, nell’ambito delle risorse
regionali», senza però disporre alcunché di
concreto.
A questo proposito ricordiamo che il Consiglio regionale
toscano avrebbe potuto (e, a nostro avviso, dovuto) stabilire il diritto
esigibile alle prestazioni ai soggetti in gravi difficoltà, così come ha deciso
il Piemonte con la legge n. 1/2004 (1).
Diritto
alle prestazioni
Ai sensi dell’articolo 5 della legge della Regione
Toscana «hanno diritto ad accedere agli interventi e ai servizi del sistema integrato tutte le
persone residenti in Toscana».
Mentre, a prima vista, si potrebbe ritenere che si tratti
di un diritto esigibile, tale interpretazione viene meno prendendo in esame il
7° comma dell’articolo
Nessun diritto esigibile è, altresì, previsto dagli
articoli 52 e seguenti concernenti le politiche per le famiglie, i minori, gli
anziani ed i soggetti con handicap.
Valutazione
professionale del bisogno
Oltre alla sopra citata condizione, nella legge della
Regione Toscana è previsto che spetta esclusivamente agli operatori accertare
il bisogno. Anche in questo caso sono assenti nella legge in oggetto le norme a
cui deve attenersi detto personale.
Ad esempio, per l’individuazione del bisogno economico
dovrebbe essere previsto il livello del minimo vitale al disotto del quale
scattano gli interventi relativi al sostegno
finanziario (2).
Inoltre, altro caso eloquente, non sono
previsti criteri in base ai quali devono essere fornite le prestazioni
socio-assistenziali, ad esempio quelle volte ad assicurare la permanenza a casa
propria dei soggetti in condizioni di disagio: in sostanza le persone ed i
nuclei familiari in difficoltà non sono considerati dei soggetti attivi (cfr. il citato articolo 3 della
legge toscana), ma solo passivi oggetti degli interventi.
È molto significativo
il fatto che non sia prevista alcuna possibilità di ricorso da parte degli
utenti nei casi in cui le prestazioni non vengano fornite o lo siano in misura
ritenuta inadeguata rispetto alle richieste.
Non essendo sancito alcun diritto
esigibile, non hanno alcuna efficacia vincolante, ad
esclusione dei provvedimenti disposti dalla magistratura, le norme di cui al 6°
comma dell’articolo 7 della legge in oggetto, concernente le priorità di
accesso agli interventi e servizi (3).
L’assenza di nuovi diritti esigibili è
confermata dalle norme riguardanti il finanziamento degli enti (Comuni singoli
e associati) ai quali è affidata la gestione degli
interventi del sistema integrato.
Infatti, come stabiliscono il 1° comma
dell’articolo 46 ed i commi 2 e 3 dell’articolo 5 della legge in oggetto, è garantito esclusivamente il fondo per le attività
obbligatorie ai sensi delle vigenti leggi nazionali e cioè quelle concernenti:
a) le «donne straniere in stato di gravidanza e
nei sei mesi successivi al parto»;
b) gli «stranieri con permesso umanitario» e
quelli «con permesso di soggiorno»;
c) i «richiedenti asilo e rifugiati»;
d) i «minori di qualsiasi nazionalità e comunque
presenti nel territorio della Regione Toscana».
Da notare che la
presenza del suddetto fondo per le attività obbligatorie non fornisce alle
persone in difficoltà, comprese quelle di cui all’elenco sopra riportato, il
diritto esigibile alle prestazioni (4).
Inoltre, il fondo
di cui sopra riguarda «tutte le persone
dimoranti nel territorio della Regione Toscana» limitatamente agli «interventi di prima assistenza alle
condizioni e con i limiti previsti dalle normative vigenti secondo le procedure
definite dalla programmazione regionale e locale» (articolo 5, comma 4).
Invece, per tutte le altre prestazioni, comprese quelle
riguardanti i cittadini in gravi condizioni di disagio, non sono previsti né
finanziamenti certi, né la loro continuità nella successione degli anni (5).
Il miraggio
delle carte dei servizi
Anche se le norme sulle carte dei servizi sociali
contenute nella legge 328/2000 non hanno mai determinato l’acquisizione da
parte dei cittadini di diritti esigibili (6), o forse proprio per questo
motivo, l’articolo 9 della legge della Regione Toscana 41/2005 ripropone analoghe fuorvianti disposizioni.
Viene, infatti, previsto che «i soggetti pubblici e privati, che erogano prestazioni sociali e
socio-sanitarie adottano la carta dei servizi sociali, al fine di tutelare gli
utenti e garantire la trasparenza nell’erogazione dei servizi» e che «la carta dei servizi
sociali, esposta nei luoghi in cui avviene l’erogazione delle prestazioni in
modo da consentirne la visione da parte degli utenti, contiene almeno i
seguenti elementi:
a)
caratteristiche delle prestazioni, modalità di accesso,
orari e tempi di erogazione;
b) tariffe
delle prestazioni;
c) assetto
organizzativo interno;
d) procedure amministrative per la presa in carico e la diffusione delle
informazioni;
e) modalità e procedure per la presentazione di reclami da parte degli
utenti nei confronti dei responsabili dei servizi;
f) riferimento alle clausole contrattuali e al rispetto della normativa di
cui all’articolo 19, comma 2» (7).
In sostanza la finalità di «tutelare gli utenti» non riguarda il riconoscimento di diritti
esigibili e viene limitata alle informazioni relative
al funzionamento dei servizi e alle caratteristiche delle prestazioni che
possono (non devono) essere erogate.
Il diritto
all’informazione
L’articolo 8 della legge della Regione Toscana n. 41/2005
stabilisce che «i destinatari degli
interventi e dei servizi del sistema integrato sono informati sui diritti di
cittadinanza sociale, sulla disponibilità delle prestazioni sociali e
socio-sanitarie, sui requisiti per accedervi e sulle relative procedure, sulle
modalità di erogazione delle prestazioni nonché sulle
possibilità di scelta tra le prestazioni stesse».
Restiamo, dunque, in attesa di
conoscere gli strumenti che verranno utilizzati dalla regione Toscana, dopo anni di notizie fuorvianti, per
trasmettere alla popolazione corrette informazioni, di cui segnaliamo quelle a
nostro avviso più urgenti e importanti:
a) ai sensi degli articoli 41 della legge 12 febbraio
1968, n. 132, 4 della legge 23 ottobre 1985, n. 595 e 14 del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, i cittadini hanno il diritto di ricorrere
contro le dimissioni, disposte da ospedali e da case di cura private
convenzionate, dei malati, compresi gli anziani cronici non autosufficienti,
che necessitano ancora di cure sanitarie o
socio-sanitarie;
b) le norme sui Lea (Livelli essenziali di assistenza), di cui al decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001 e all’articolo 54 della legge 289/2002,
che confermano il diritto alle suddette cure anche per i soggetti colpiti da
malattie invalidanti e da non autosufficienza, diritto già previsto dalle leggi
692/1955 e 833/1978 e che impongono alle Asl di
versare la quota sanitaria relativa al ricovero presso Rsa (Residenze sanitarie
assistenziali) nella misura minima del 50% della retta totale;
c) dal 1° gennaio 2001 (articolo 25 della legge 328/2000
e decreti legislativi 109/1998 e 130/2000) nessun contributo economico poteva e
può essere richiesto dagli enti pubblici (Comuni, Asl,
ecc.) ai parenti non conviventi con gli assistiti, nonché
ai congiunti conviventi qualora le prestazioni sociali siano fornite a persone
ultrasessantacinquenni non autosufficienti e a soggetti con handicap in
situazione di gravità.
Pubblica
tutela
L’articolo 10 stabilisce quanto segue:
«1.
«2. I
servizi di cui al comma 1 attengono:
a) alla
realizzazione di azioni specifiche di prevenzione e
sensibilizzazione sui temi dell’assistenza alle persone incapaci e alla
promozione dell’assunzione di responsabilità tutoriali;
b) alla
verifica dell’appropriatezza e qualità delle
prestazioni erogate alle persone incapaci;
c) al
supporto alle attività dei tutori, dei curatori e degli amministratori di
sostegno, anche mediante lo svolgimento di specifiche attività
formative;
«3. Nel
piano integrato sociale regionale, di cui all’articolo 27, sono definiti gli
indirizzi per la realizzazione dei servizi e degli interventi
relativi alla pubblica tutela, al fine di garantirne l’omogeneità sul
territorio regionale, e sono individuate le forme di sostegno della
Regione a tali servizi e interventi. È data priorità alle iniziative che
consentono la diffusione dei servizi e degli interventi sull’intero territorio
della Provincia».
Mentre è positiva la
costituzione degli uffici di pubblica tutela e l’assegnazione dei compiti
relativi alla «verifica dell’appropriatezza e qualità delle prestazioni erogate alle
persone incapaci», desta seri dubbi l’attribuzione di detti compiti ai
Comuni (8) in quanto ai sensi dell’articolo 11 della legge in oggetto, essi «sono titolari di tutte le funzioni
amministrative concernenti la realizzazione della rete locale degli interventi
e servizi sociali, nonché della gestione e dell’erogazione dei medesimi».
Dunque, come rileviamo da anni, i Comuni, con l’assunzione dei
compiti di tutore, curatore o amministratore di sostegno, diventano controllori
del loro stesso operato.
Per quanto concerne le funzioni relative
agli uffici di pubblica tutela, nonché quelle relative alle attività di
controllo e verifica all’accreditamento dei servizi alla persona e delle
strutture residenziali e semiresidenziali pubbliche e private, riteniamo che le
competenze relative dovrebbero essere attribuite esclusivamente alle Province
in modo da evitare ogni possibilità di commistione fra la gestione affidata ai
Comuni ed i compiti di vigilanza.
A nostro avviso, questa è una delle condizioni di fondo per eliminare in tutta la misura del possibile le
numerose violazioni di legge che, guarda caso, vengono rilevate soprattutto da
un servizio (i Nas) non implicato nell’erogazione
delle prestazioni.
Molto efficace sarebbe, a nostro avviso, la presenza
nelle Commissioni di vigilanza e di controllo esclusivamente di
esperti non dipendenti da Asl, Comuni e
Province e di appartenenti ad organizzazioni di volontariato.
L’enigma delle competenze in materia di
sostegno alle gestanti e madri in condizioni di disagio e delle attività relative
al segreto del parto
Ai sensi del 5° comma dell’articolo 8
della legge 328/2000, compete alle Regioni disciplinare «il trasferimento ai Comuni o agli enti
locali delle funzioni indicate dal regio decreto legge 8 maggio 1927, n. 798,
convertito dalla legge 6 dicembre 1928 n. 2838 e dal decreto legge 18 gennaio
1993, n. 9, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 marzo 1993, n. 67».
In base alle sopra indicate norme, le Province svolgevano
(e in certe Regioni ancora svolgono) le attività, obbligatorie in base alle norme sopra
citate, relative all’assistenza dei fanciulli non riconosciuti, dei minori nati
fuori del matrimonio, dei ciechi e dei sordi poveri rieducabili (così definiti
dal regio decreto 383/1934) e al sostegno delle gestanti e madri in condizioni
di disagio socio-economico.
Da notare che la ancora vigente legge 2838/1928 prevede
che «nelle Province, nelle quali lo
consigliano le condizioni locali, l’assistenza del fanciullo
deve, ove sia possibile, avere inizio all’epoca della gestazione della madre».
Questa disposizione è assai importante e dovrebbe essere
tenuta presente con la massima attenzione in quanto vi sono gestanti anche di
13-15 anni che necessitano di essere accompagnate al
fine di renderle capaci di assumere, con la massima responsabilizzazione
possibile, la decisione di riconoscere o non riconoscere i loro nati.
Una parte abbastanza consistente di gestanti abbisogna,
inoltre, di essere accolta in strutture residenziali, in quanto, ad esempio,
cacciate di casa o prive di una abitazione decente.
Poiché la sentenza della Corte costituzionale n. 171 del
5 maggio 1994 dispone che «qualunque
donna partoriente, ancorché da elementi informali risulti
trattarsi di coniugata, può dichiarare di non volere essere nominata nell’atto
di nascita», anche le donne coniugate possono non riconoscere i loro nati.
Infine va tenuto presente che le donne che non intendono
riconoscere i loro nati hanno il diritto esigibile al segreto del parto (9).
Purtroppo le disposizioni di legge vigenti in materia
nella Regione Toscana sono estremamente confuse (10).
La questione è, a nostro avviso, molto importante in
quanto adeguati sostegni alle gestanti madri sono una misura di
effettiva prevenzione degli infanticidi nonché degli abbandoni che
mettono in pericolo la vita dei neonati. Inoltre la mancanza di una accettabile protezione dei fanciulli da parte dei loro
nuclei familiari d’origine determina situazioni negative che spesso danneggiano
il loro armonico sviluppo.
Dunque è assolutamente irrinunciabile la riaffermazione
dell’obbligatorietà nelle prestazioni di sostegno alle gestanti e madri in difficoltà.
A questo riguardo è assai preoccupante che dalla
relazione tenuta al convegno di Torino del 21 ottobre 2005 sul tema “Il diritto
di tutti i bambini fin dalla nascita alla famiglia e la prevenzione
dell’abbandono” (11), nella presentazione del progetto “Madre segreta” di
Prato, promosso dall’Assessorato alle politiche sociali della Regione Toscana
in collaborazione con l’Istituto degli Innocenti di Firenze, sia stato
affermato che il lavoro svolto rientra fra i servizi a
bassa soglia e quindi non obbligatori per legge.
Tenuto quindi conto delle esigenze dell’attuale
situazione,
Infatti, l’affidamento dei compiti
socio-assistenziali ai singoli Comuni, soprattutto quelli con un
limitato numero di abitanti, non consente l’assunzione di misure idonee a
garantire il segreto del parto a cui hanno diritto tutte le donne, comprese –
come abbiamo visto – quelle coniugate e non tiene conto dell’esigenza di
servizi altamente specializzati che i singoli Comuni e le loro organizzazioni
associative non sono certamente in grado di assicurare in modo compiuto.
Al riguardo ricordiamo che ai sensi dell’articolo 6 della
legge della Regione Toscana 41/2005, le prestazioni
devono essere fornite dal «Comune di
residenza», altra norma che contrasta con la garanzia del segreto del parto
(12).
Probabilmente, rendendosi conto della inadeguatezza
delle proprie norme concernenti le gestanti e le madri in condizioni di disagio
socio-economico, con la delibera 1053 del 24 ottobre 2004
Il progetto è stato avviato in quattro zone (Firenze,
Pisa, Prato e Siena) ed è caratterizzato dalla
costituzione di gruppi di operatori di enti pubblici e
privati (14).
Conclusioni
e richieste
Riteniamo che il Consiglio regionale della Toscana
dovrebbe rivedere la legge 41/2005 prevedendo diritti esigibili almeno nei
confronti delle persone in situazione di disagio (minori, adulti, anziani,
soggetti con handicap) che, se non ricevono prestazioni socio-assistenziali, o
muoiono (ad esempio i bambini e gli individui con grave handicap intellettivo)
o cadono nel baratro dell’emarginazione.
Inoltre, dovrebbe approvare disposizioni specifiche per
la creazione del numero necessario (3-4?) di servizi aventi lo scopo di fornire
il necessario sostegno alle gestanti e madri in condizioni di disagio socio-economico. Detti servizi dovrebbero essere previsti
come obbligatori, in modo da garantire la continuità delle prestazioni rivolte
– lo ripetiamo – alla prevenzione degli infanticidi e degli abbandoni che
mettono in pericolo la vita dei neonati (15).
Le leggi della Regione Piemonte n.
1/2004 e n. 16/2006 possono essere un utile riferimento.
Ribadiamo, inoltre, l’esigenza che
(1) Ricordiamo che
l’articolo 22 della legge piemontese n. 1/2004 è così redatto:
«1.
«2. Hanno diritto di fruire delle prestazioni e dei
servizi del sistema integrato regionale di interventi
e servizi sociali i cittadini residenti nel territorio della Regione Piemonte,
i cittadini di Stati appartenenti all’Unione europea ed i loro familiari, gli
stranieri individuati ai sensi dell’articolo 41 del decreto legislativo 25
luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), i minori stranieri
non accompagnati, gli stranieri con permesso di soggiorno per motivi di
protezione sociale, i rifugiati e richiedenti asilo e gli apolidi.
«3. I soggetti in condizione di povertà o con limitato
reddito o con incapacità totale o parziale di provvedere alle proprie esigenze
per inabilità di ordine fisico e psichico, con
difficoltà di inserimento nella vita sociale attiva e nel mercato del lavoro,
nonché i soggetti sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria che
rendono necessari interventi assistenziali, i minori, specie se in condizioni
di disagio familiare, accedono prioritariamente ai servizi e alle prestazioni
erogati dal sistema integrato di interventi e servizi sociali».
A sua volta il
sopra citato articolo 18 stabilisce quanto segue:
«1. Il sistema integrato degli interventi e dei servizi
sociali fornisce risposte omogenee sul territorio finalizzate
al raggiungimento dei seguenti obiettivi:
a) superamento delle carenze del
reddito familiare e contrasto della povertà;
b) mantenimento a domicilio delle persone e sviluppo
della loro autonomia;
c) soddisfacimento delle esigenze di tutela residenziale
e semiresidenziale delle persone non autonome e non autosufficienti;
d) sostegno e promozione dell’infanzia,
dell’adolescenza e delle responsabilità familiari;
e) tutela
dei diritti del minore e della donna in difficoltà;
f) piena integrazione dei soggetti disabili;
g) superamento, per quanto di competenza, degli stati di
disagio sociale derivanti da forme di dipendenza;
h) informazione e consulenza corrette e complete alle
persone e alle famiglie per favorire la fruizione dei
servizi;
i) garanzia di ogni altro
intervento qualificato quale prestazione sociale a rilevanza sanitaria ed
inserito nei livelli di assistenza, secondo la legislazione vigente.
«2. Le prestazioni e i servizi essenziali per assicurare
risposte adeguate alle finalità di cui al comma 1, sono identificabili, tenendo
conto anche delle diverse esigenze delle aree urbane e rurali, nelle seguenti
tipologie:
a) servizio sociale professionale e segretariato sociale;
b) servizio di assistenza
domiciliare territoriale e di inserimento sociale;
c) servizio di assistenza
economica;
d) servizi residenziali e semiresidenziali;
e) servizi
per l’affidamento e le adozioni;
f)pronto intervento sociale per le situazioni di emergenza personali e familiari».
In merito
si veda l’articolo “La nuova legge regionale piemontese sull’assistenza”, di
Giuseppe D’Angelo, Prospettive assistenziali, n. 147, 2004.
(2) Diritti esigibili in materia di prestazioni economiche sono contenute
nella delibera assunta dal Comune di Torino, su iniziativa del Csa (Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di
base) in data 21 giugno 1978. Cfr. Prospettive assistenziali,
n. 44, 1978.
(3) Il 6° comma
dell’articolo 7 della legge Regione Toscana n. 41/2005 prevede quanto segue: «Accedono
prioritariamente agli interventi e ai servizi erogati dal sistema integrato i
soggetti:
a) in condizione di povertà o con redditi limitati o in
situazione economica disagiata;
b) con incapacità fisica o psichica, totale o parziale di
provvedere alle proprie esigenze;
c) con
difficoltà di inserimento nella vita sociale attiva e
nel mercato del lavoro;
d) sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria
che rendano necessari interventi assistenziali».
(4) Anche per questi soggetti si applica il succitato comma 7 dell’articolo 7
che attribuisce ai Comuni il compito di definire le «condizioni per l’accesso agli interventi e servizi».
(5) Sostanzialmente
diverse sono le norme della citata legge della Regione Piemonte n. 1/2004, il
cui articolo 35 sancisce che i Comuni «garantiscono
risorse finanziarie» in misura tale che «affiancandosi
alle risorse messe a disposizione dallo Stato, dalla Regione e dagli utenti,
assicurino il raggiungimento di livelli di assistenza adeguati ai bisogni
espressi dal proprio territorio». Stabilisce, inoltre che «i Comuni che partecipano alla gestione
associata dei servizi sono tenuti ad iscrivere nel proprio bilancio le quote di
finanziamento stabilite dall’organo associativo competente e ad operare i
relativi trasferimenti in termini di cassa alle scadenze previste dagli enti
gestori istituzionali».
(6) Il secondo e il terzo comma dell’articolo 13 della
legge 328/2000 stabiliscono quanto segue:
«2. Nella carta dei servizi sociali
sono definiti i criteri per l’accesso ai servizi, le modalità del relativo
funzionamento, le condizioni per facilitarne le valutazioni da parte degli
utenti e dei soggetti che rappresentano i loro diritti, nonché
le procedure per assicurare la tutela degli utenti. Al fine di tutelare le
posizioni soggettive e di rendere immediatamente esigibili i diritti soggettivi
riconosciuti, la carta dei servizi sociali, ferma
restando la tutela per via giurisdizionale, prevede per gli utenti la
possibilità di attivare ricorsi nei confronti dei responsabili preposti alla
gestione dei servizi.
«3.
L’adozione della carta dei servizi sociali da parte degli erogatori delle
prestazioni e dei servizi sociali costituisce
requisito necessario ai fini dell’accreditamento».
(7) Il comma 2
dell’articolo 19 stabilisce quanto segue: «L’affidamento
dei servizi avviene altresì nel rispetto delle clausole dei contratti
collettivi nazionali e degli accordi decentrati, poste a garanzia del
mantenimento del trattamento giuridico ed economico dei lavoratori interessati,
nonché nel rispetto della normativa vigente in materia
di sicurezza sui luoghi di lavoro».
(8) È altresì molto negativo il riferimento sia ai Comuni che alle Province,
con il rischio che si vengano a creare conflitti fra i suddetti enti.
(9) Ricordiamo che ai sensi dell’articolo 93 del decreto legislativo 30
giugno 2003 n. 196 “Codice in materia di protezione dei dati personali”, il
certificato di assistenza al parto e la cartella clinica in cui siano contenuti
dati personali che rendono identificabile la donna che non ha riconosciuto il
proprio nato, possono essere rilasciati in copia integrale a chi ne ha
interesse in conformità della legge solamente decorsi cento anni dalla
formazione del documento.
(10) Nonostante i ripetuti tentativi fatti non siamo riusciti ad avere dai
funzionari della Regione Toscana risposte convincenti. Dall’esame delle norme
vigenti risulta che il 3° comma dell’articolo 6 della
legge della Regione Toscana n. 72/1997 stabilisce che «
(11) Sul n. 153 bis di Prospettive
assistenziali sono riportate le conclusioni operative del convegno e una
sintesi delle relazioni e degli interventi.
(12) Nella legge della Regione Piemonte n. 16/2005 è stabilito che gli
interventi di sostegno alle gestanti «sono
erogati su richiesta delle donne interessate e senza ulteriori formalità,
indipendentemente dalla loro residenza anagrafica». La legge della Regione
Toscana n. 41/2005 prevede, invece, che gli interventi debbano essere forniti
indipendentemente dalla residenza anagrafica solamente per le donne straniere
in stato di gravidanza.
(13) A nostro avviso la denominazione “Madre segreta” è fuorviante in quanto
definisce come madri le donne che hanno partorito il bambino, ma non lo hanno
amato e protetto. Come ha scritto il giudice Amedeo Santomosso
nella sentenza riportata nell’articolo “Nuovo concetto di filiazione e diritto
al riposo giornaliero retribuito dalle madri adottive” pubblicato su Prospettive assistenziali,
n. 139, 2002 «la paternità e la maternità
risultano così legate all’aspetto sociale e affettivo, con la conseguenza che
lo status di figlio non deriva necessariamente dal dato biologico, ma dipende
anche da valori spirituali e sociali di responsabilità che possono anche
contraddire la “verità” biologica». Di conseguenza, riteniamo che siano
madri vere a pieno titolo le donne che, pur non avendo partorito il bambino, lo
hanno allevato. Identica considerazione vale per i padri. Pertanto la
denominazione “Sos donna e parto segreto” scelta
dall’Amministrazione provinciale di Torino risponde adeguatamente alla realtà
dei fatti e dovrebbe sostituire l’appellativo “Madre
segreta”.
(14) Sotto l’aspetto formale si tratta di una iniziativa illegittima in quanto
la citata delibera della Giunta regionale sottrae ai Comuni le funzioni loro
assegnate dalla legge della Regione Toscana n. 71/1997 e priva le Province
della titolarità delle competenze in materia di gestanti e madri, confermate –
come abbiamo visto – dalla legge 41/2005.
(15) Per i motivi in
precedenza esposti (necessità di prestazioni altamente specializzate, esigenza
di strutture per l’accoglienza residenziale, ecc.), riteniamo inadeguata la
disposizione dell’articolo 50 della legge n. 41/2005 in cui viene stabilito che
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