Prospettive assistenziali, n. 154, aprile - giugno 2006

 

 

LA LEGGE DELLA REGIONE TOSCANA SULLA TUTELA DEI DIRITTI DI CITTADINANZA: ALTISONANTI DICHIARAZIONI E NESSUN NUOVO DIRITTO ESIGIBILE

Francesco Santanera

 

 

La legge della Regione Toscana 24 febbraio 2005, n. 41 “Sistema integrato di interventi e servizi per la tutela dei diritti di cittadinanza sociale” presenta una notevole discordanza fra le affermazioni di principio e le concrete prestazioni che i cittadini in difficoltà possono esigere.

 

Ridondanti affermazioni di principio

L’articolo 1 precisa che la legge 41/2005 ha lo scopo di «promuovere e garantire i diritti di cittadinanza sociale, la qualità della vita, l’autonomia individuale, le pari opportunità, la non discriminazione, la coesione sociale, l’eliminazione e la riduzione delle condizioni di disagio e di esclusione».

Inoltre, il sistema integrato di interventi e servizi sociali non solo (articolo 2) «ha carattere di universalità» e quindi riguarda tutta la popolazione della Toscana, ma si realizza (articolo 3) anche con la «garanzia dell’uguaglianza, delle pari opportunità rispetto a condizioni sociali e stati di bisogno differenti» garantendo altresì «valorizzazione delle capacità e delle risorse della persona; (…) prevenzione e rimozione delle condizioni di disagio sociale; sostegno all’autonomia delle persone disabili e non autosufficienti (…)» nonché «partecipazione attiva dei cittadini singoli o associati, nell’ambito dei principi di solidarietà e di auto-organizzazione».

 

Nessun diritto esigibile da parte dei cittadini in difficoltà

Le ridondanti affermazioni citate subiscono un drastico ridimensionamento esaminando le norme riguardanti gli aspetti operativi.

L’articolo 4 precisa solamente, né potrebbe essere diversamente stabilito, che verranno assicurati i «livelli essenziali delle prestazioni sociali previste dallo Stato ai sensi dell’articolo 117, comma secondo, lettera m) della Costituzione», livelli essenziali previsti dalla legge 328/2000, ma finora non sanciti da alcuna norma.

Orbene, è ovvio che le Regioni sono obbligate a rispettare le disposizioni sancite dalla Costituzione, ivi compresa quella sopra citata, tenuto conto che «lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: (…) m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale».

Inoltre, il Consiglio regionale della Toscana ha previsto all’articolo 4 che «il piano integrato sociale regionale (…) definisce (…) le eventuali prestazioni aggiuntive da assicurare in modo omogeneo sul territorio toscano, nell’ambito delle risorse regionali», senza però disporre alcunché di concreto.

A questo proposito ricordiamo che il Consiglio regionale toscano avrebbe potuto (e, a nostro avviso, dovuto) stabilire il diritto esigibile alle prestazioni ai soggetti in gravi difficoltà, così come ha deciso il Piemonte con la legge n. 1/2004 (1).

 

Diritto alle prestazioni

Ai sensi dell’articolo 5 della legge della Regione Toscana «hanno diritto ad accedere agli interventi e ai  servizi del sistema integrato tutte le persone residenti in Toscana».

Mentre, a prima vista, si potrebbe ritenere che si tratti di un diritto esigibile, tale interpretazione viene meno prendendo in esame il 7° comma dell’articolo 7 in base al quale la disciplina delle «condizioni per l’accesso agli interventi e servizi» è demandata ai singoli Comuni, senza che nella legge della Regione Toscana vengano definiti i criteri ai quali possono riferirsi i cittadini in difficoltà per ottenere le prestazioni di cui hanno l’esigenza.

Nessun diritto esigibile è, altresì, previsto dagli articoli 52 e seguenti concernenti le politiche per le famiglie, i minori, gli anziani ed i soggetti con handicap.

 

Valutazione professionale del bisogno

Oltre alla sopra citata condizione, nella legge della Regione Toscana è previsto che spetta esclusivamente agli operatori accertare il bisogno. Anche in questo caso sono assenti nella legge in oggetto le norme a cui deve attenersi detto personale.

Ad esempio, per l’individuazione del bisogno economico dovrebbe essere previsto il livello del minimo vitale al disotto del quale scattano gli interventi relativi al sostegno finanziario (2).

Inoltre, altro caso eloquente, non sono previsti criteri in base ai quali devono essere fornite le prestazioni socio-assistenziali, ad esempio quelle volte ad assicurare la permanenza a casa propria dei soggetti in condizioni di disagio: in sostanza le persone ed i nuclei familiari in difficoltà non sono considerati dei soggetti attivi (cfr. il citato articolo 3 della legge toscana), ma solo passivi oggetti degli interventi.

È molto significativo il fatto che non sia prevista alcuna possibilità di ricorso da parte degli utenti nei casi in cui le prestazioni non vengano fornite o lo siano in misura ritenuta inadeguata rispetto alle richieste.

Non essendo sancito alcun diritto esigibile, non hanno alcuna efficacia vincolante, ad esclusione dei provvedimenti disposti dalla magistratura, le norme di cui al 6° comma dell’articolo 7 della legge in oggetto, concernente le priorità di accesso agli interventi e servizi (3).

L’assenza di nuovi diritti esigibili è confermata dalle norme riguardanti il finanziamento degli enti (Comuni singoli e associati) ai quali è affidata la gestione degli interventi del sistema integrato.

Infatti, come stabiliscono il 1° comma dell’articolo 46 ed i commi 2 e 3 dell’articolo 5 della legge in oggetto, è garantito esclusivamente il fondo per le attività obbligatorie ai sensi delle vigenti leggi nazionali e cioè quelle concernenti:

a) le «donne straniere in stato di gravidanza e nei sei mesi successivi al parto»;

b) gli «stranieri con permesso umanitario» e quelli «con permesso di soggiorno»;

c) i «richiedenti asilo e rifugiati»;

d) i «minori di qualsiasi nazionalità e comunque presenti nel territorio della Regione Toscana».

Da notare che la presenza del suddetto fondo per le attività obbligatorie non fornisce alle persone in difficoltà, comprese quelle di cui all’elenco sopra riportato, il diritto esigibile alle prestazioni (4).

Inoltre, il fondo di cui sopra riguarda «tutte le persone dimoranti nel territorio della Regione Toscana» limitatamente agli «interventi di prima assistenza alle condizioni e con i limiti previsti dalle normative vigenti secondo le procedure definite dalla programmazione regionale e locale» (articolo 5, comma 4).

Invece, per tutte le altre prestazioni, comprese quelle riguardanti i cittadini in gravi condizioni di disagio, non sono previsti né finanziamenti certi, né la loro continuità nella successione degli anni (5).

 

Il miraggio delle carte dei servizi

Anche se le norme sulle carte dei servizi sociali contenute nella legge 328/2000 non hanno mai determinato l’acquisizione da parte dei cittadini di diritti esigibili (6), o forse proprio per questo motivo, l’articolo 9 della legge della Regione Toscana 41/2005 ripropone analoghe fuorvianti disposizioni.

Viene, infatti, previsto che «i soggetti pubblici e privati, che erogano prestazioni sociali e socio-sanitarie adottano la carta dei servizi sociali, al fine di tutelare gli utenti e garantire la trasparenza nell’erogazione dei servizi» e che «la carta dei servizi sociali, esposta nei luoghi in cui avviene l’erogazione delle prestazioni in modo da consentirne la visione da parte degli utenti, contiene almeno i seguenti elementi:

a) caratteristiche delle prestazioni, modalità di accesso, orari e tempi di erogazione;

b) tariffe delle prestazioni;

c) assetto organizzativo interno;

d) procedure amministrative per la presa in carico e la diffusione delle informazioni;

e) modalità e procedure per la presentazione di reclami da parte degli utenti nei confronti dei responsabili dei servizi;

f) riferimento alle clausole contrattuali e al rispetto della normativa di cui all’articolo 19, comma 2» (7).

In sostanza la finalità di «tutelare gli utenti» non riguarda il riconoscimento di diritti esigibili e viene limitata alle informazioni relative al funzionamento dei servizi e alle caratteristiche delle prestazioni che possono (non devono) essere erogate.

 

Il diritto all’informazione

L’articolo 8 della legge della Regione Toscana n. 41/2005 stabilisce che «i destinatari degli interventi e dei servizi del sistema integrato sono informati sui diritti di cittadinanza sociale, sulla disponibilità delle prestazioni sociali e socio-sanitarie, sui requisiti per accedervi e sulle relative procedure, sulle modalità di erogazione delle prestazioni nonché sulle possibilità di scelta tra le prestazioni stesse».

Restiamo, dunque, in attesa di conoscere gli strumenti che verranno utilizzati dalla regione Toscana, dopo anni di notizie fuorvianti, per trasmettere alla popolazione corrette informazioni, di cui segnaliamo quelle a nostro avviso più urgenti e importanti:

a) ai sensi degli articoli 41 della legge 12 febbraio 1968, n. 132, 4 della legge 23 ottobre 1985, n. 595 e 14 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, i cittadini hanno il diritto di ricorrere contro le dimissioni, disposte da ospedali e da case di cura private convenzionate, dei malati, compresi gli anziani cronici non autosufficienti, che necessitano ancora di cure sanitarie o socio-sanitarie;

b) le norme sui Lea (Livelli essenziali di assistenza), di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001 e all’articolo 54 della legge 289/2002, che confermano il diritto alle suddette cure anche per i soggetti colpiti da malattie invalidanti e da non autosufficienza, diritto già previsto dalle leggi 692/1955 e 833/1978 e che impongono alle Asl di versare la quota sanitaria relativa al ricovero presso Rsa (Residenze sanitarie assistenziali) nella misura minima del 50% della retta totale;

c) dal 1° gennaio 2001 (articolo 25 della legge 328/2000 e decreti legislativi 109/1998 e 130/2000) nessun contributo economico poteva e può essere richiesto dagli enti pubblici (Comuni, Asl, ecc.) ai parenti non conviventi con gli assistiti, nonché ai congiunti conviventi qualora le prestazioni sociali siano fornite a persone ultrasessantacinquenni non autosufficienti e a soggetti con handicap in situazione di gravità.

 

Pubblica tutela

L’articolo 10 stabilisce quanto segue:

«1. la Regione sostiene i Comuni e le Province che mediante accordi, convenzioni o altri atti di collaborazione istituzionale, attivano servizi e interventi di supporto in favore delle persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana di cui al libro I, titolo XII del codice civile, nonché dei soggetti ai quali sono conferite dall’autorità giudiziaria le funzioni di tutore, curatore o di amministratore di sostegno, anche in raccordo con altri enti e autorità interessate alla pubblica tutela.

«2. I servizi di cui al comma 1 attengono:

a) alla realizzazione di azioni specifiche di prevenzione e sensibilizzazione sui temi dell’assistenza alle persone incapaci e alla promozione dell’assunzione di responsabilità tutoriali;

b) alla verifica dell’appropriatezza e qualità delle prestazioni erogate alle persone incapaci;

c) al supporto alle attività dei tutori, dei curatori e degli amministratori di sostegno, anche mediante lo svolgimento di specifiche attività formative;

«3. Nel piano integrato sociale regionale, di cui all’articolo 27, sono definiti gli indirizzi per la realizzazione dei servizi e degli interventi relativi alla pubblica tutela, al fine di garantirne l’omogeneità sul territorio regionale, e sono individuate le forme di sostegno della Regione a tali servizi e interventi. È data priorità alle iniziative che consentono la diffusione dei servizi e degli interventi sull’intero territorio della Provincia».

Mentre è positiva la costituzione degli uffici di pubblica tutela e l’assegnazione dei compiti relativi alla «verifica dell’appropriatezza e qualità delle prestazioni erogate alle persone incapaci», desta seri dubbi l’attribuzione di detti compiti ai Comuni (8) in quanto ai sensi dell’articolo 11 della legge in oggetto, essi «sono titolari di tutte le funzioni amministrative concernenti la realizzazione della rete locale degli interventi e servizi sociali, nonché della gestione e dell’erogazione dei medesimi».

Dunque, come rileviamo da anni, i Comuni, con l’assunzione dei compiti di tutore, curatore o amministratore di sostegno, diventano controllori del loro stesso operato.

Per quanto concerne le funzioni relative agli uffici di pubblica tutela, nonché quelle relative alle attività di controllo e verifica all’accreditamento dei servizi alla persona e delle strutture residenziali e semiresidenziali pubbliche e private, riteniamo che le competenze relative dovrebbero essere attribuite esclusivamente alle Province in modo da evitare ogni possibilità di commistione fra la gestione affidata ai Comuni ed i compiti di vigilanza.

A nostro avviso, questa è una delle condizioni di fondo per eliminare in tutta la misura del possibile le numerose violazioni di legge che, guarda caso, vengono rilevate soprattutto da un servizio (i Nas) non implicato nell’erogazione delle prestazioni.

Molto efficace sarebbe, a nostro avviso, la presenza nelle Commissioni di vigilanza e di controllo esclusivamente di esperti non dipendenti da Asl, Comuni e Province e di appartenenti ad organizzazioni di volontariato.

 

L’enigma delle competenze in materia di sostegno alle gestanti e madri in condizioni di disagio e delle attività relative al segreto del parto

Ai sensi del 5° comma dell’articolo 8 della legge 328/2000, compete alle Regioni disciplinare «il trasferimento ai Comuni o agli enti locali delle funzioni indicate dal regio decreto legge 8 maggio 1927, n. 798, convertito dalla legge 6 dicembre 1928 n. 2838 e dal decreto legge 18 gennaio 1993, n. 9, conver­tito, con modificazioni, dalla legge 18 marzo 1993, n. 67».

In base alle sopra indicate norme, le Province svolgevano (e in certe Regioni ancora svolgono) le attività,  obbligatorie in base alle norme sopra citate, relative all’assistenza dei fanciulli non riconosciuti, dei minori nati fuori del matrimonio, dei ciechi e dei sordi poveri rieducabili (così definiti dal regio decreto 383/1934) e al sostegno delle gestanti e madri in condizioni di disagio socio-economico.

Da notare che la ancora vigente legge 2838/1928 prevede che «nelle Province, nelle quali lo consigliano le condizioni locali, l’assistenza del fanciullo deve, ove sia possibile, avere inizio all’epoca della gestazione della madre».

Questa disposizione è assai importante e dovrebbe essere tenuta presente con la massima attenzione in quanto vi sono gestanti anche di 13-15 anni che necessitano di essere accompagnate al fine di renderle capaci di assumere, con la massima responsabilizzazione possibile, la decisione di riconoscere o non riconoscere i loro nati.

Una parte abbastanza consistente di gestanti abbisogna, inoltre, di essere accolta in strutture residenziali, in quanto, ad esempio, cacciate di casa o prive di una abitazione decente.

Poiché la sentenza della Corte costituzionale n. 171 del 5 maggio 1994 dispone che «qualunque donna partoriente, ancorché da elementi informali risulti trattarsi di coniugata, può dichiarare di non volere essere nominata nell’atto di nascita», anche le donne coniugate possono non riconoscere i loro nati.

Infine va tenuto presente che le donne che non intendono riconoscere i loro nati hanno il diritto esigibile al segreto del parto (9).

Purtroppo le disposizioni di legge vigenti in materia nella Regione Toscana sono estremamente confuse (10).

La questione è, a nostro avviso, molto importante in quanto adeguati sostegni alle gestanti madri sono una misura di effettiva prevenzione degli infanticidi nonché degli abbandoni che mettono in pericolo la vita dei neonati. Inoltre la mancanza di una accettabile protezione dei fanciulli da parte dei loro nuclei familiari d’origine determina situazioni negative che spesso danneggiano il loro armonico sviluppo.

Dunque è assolutamente irrinunciabile la riaffermazione dell’obbligatorietà nelle prestazioni di sostegno alle gestanti e madri in difficoltà.

A questo riguardo è assai preoccupante che dalla relazione tenuta al convegno di Torino del 21 ottobre 2005 sul tema “Il diritto di tutti i bambini fin dalla nascita alla famiglia e la prevenzione dell’abbandono” (11), nella presentazione del progetto “Madre segreta” di Prato, promosso dall’Assessorato alle politiche sociali della Regione Toscana in collaborazione con l’Istituto degli Innocenti di Firenze, sia stato affermato che il lavoro svolto rientra fra i servizi a bassa soglia e quindi non obbligatori per legge.

Tenuto quindi conto delle esigenze dell’attuale situazione, la Regione Toscana dovrebbe approvare una legge, a nostro avviso analoga a quella promulgata dalla Regione Piemonte (la n. 16/2006) e riportata in questo numero.

Infatti, l’affidamento dei compiti socio-assistenziali ai singoli Comuni, soprattutto quelli con un limitato numero di abitanti, non consente l’assunzione di misure idonee a garantire il segreto del parto a cui hanno diritto tutte le donne, comprese – come abbiamo visto – quelle coniugate e non tiene conto dell’esigenza di servizi altamente specializzati che i singoli Comuni e le loro organizzazioni associative non sono certamente in grado di assicurare in modo compiuto.

Al riguardo ricordiamo che ai sensi dell’articolo 6 della legge della Regione Toscana 41/2005, le prestazioni devono essere fornite dal «Comune di residenza», altra norma che contrasta con la garanzia del segreto del parto (12).

Probabilmente, rendendosi conto della inadeguatezza delle proprie norme concernenti le gestanti e le madri in condizioni di disagio socio-economico, con la delibera 1053 del 24 ottobre 2004 la Giunta regionale ha avviato un progetto denominato “Madre segreta” (13) per promuovere sul territorio toscano un percorso rivolto alle donne in gravi difficoltà al fine di sostenerle nella decisione di riconoscere o non riconoscere i loro nati.

Il progetto è stato avviato in quattro zone (Firenze, Pisa, Prato e Siena) ed è caratterizzato dalla costituzione di gruppi di operatori di enti pubblici e privati (14).

 

Conclusioni e richieste

Riteniamo che il Consiglio regionale della Toscana dovrebbe rivedere la legge 41/2005 prevedendo diritti esigibili almeno nei confronti delle persone in situazione di disagio (minori, adulti, anziani, soggetti con handicap) che, se non ricevono prestazioni socio-assistenziali, o muoiono (ad esempio i bambini e gli individui con grave handicap intellettivo) o cadono nel baratro dell’emarginazione.

Inoltre, dovrebbe approvare disposizioni specifiche per la creazione del numero necessario (3-4?) di servizi aventi lo scopo di fornire il necessario sostegno alle gestanti e madri in condizioni di disagio socio-economico. Detti servizi dovrebbero essere previsti come obbligatori, in modo da garantire la continuità delle prestazioni rivolte – lo ripetiamo – alla prevenzione degli infanticidi e degli abbandoni che mettono in pericolo la vita dei neonati (15).

Le leggi della Regione Piemonte n. 1/2004 e n. 16/2006 possono essere un utile riferimento.

Ribadiamo, inoltre, l’esigenza che la Regione Toscana informi correttamente i cittadini sulle vigenti norme di legge relative alle contribuzioni economiche, in modo da eliminare, anche se con cinque anni di ritardo (i già citati articolo 25 della legge 328/2000 ed i decreti legislativi 109/1998 e 130/2000 dovevano essere applicati dal 1° gennaio 2001) gli attuali abusi in base ai quali i Comuni continuano a imporre il versamento di somme anche rilevanti ai congiunti conviventi  o non conviventi degli ultrasessantacinquenni non autosufficienti e dei soggetti con handicap in situazione di gravità.

 

 

(1) Ricordiamo che l’articolo 22 della legge piemontese n. 1/2004 è così redatto:

«1. La Regione identifica nel bisogno il criterio di accesso al sistema integrato di interventi e servizi sociali e riconosce a ciascun cittadino il diritto di esigere, secondo le modalità previste dall’ente gestore istituzionale, le prestazioni sociali di livello essenziale di cui all’articolo 18, previa valutazione dell’ente medesimo e secondo i criteri di priorità di cui al comma 3. Contro l’eventuale motivato diniego è esperibile il ricorso per opposizione allo stesso ente competente per l’erogazione della prestazione negata.

«2. Hanno diritto di fruire delle prestazioni e dei servizi del sistema integrato regionale di interventi e servizi sociali i cittadini residenti nel territorio della Regione Piemonte, i cittadini di Stati appartenenti all’Unione europea ed i loro familiari, gli stranieri individuati ai sensi dell’articolo 41 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), i minori stranieri non accompagnati, gli stranieri con permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale, i rifugiati e richiedenti asilo e gli apolidi.

«3. I soggetti in condizione di povertà o con limitato reddito o con incapacità totale o parziale di provvedere alle proprie esigenze per inabilità di ordine fisico e psichico, con difficoltà di inserimento nella vita sociale attiva e nel mercato del lavoro, nonché i soggetti sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria che rendono necessari interventi assistenziali, i minori, specie se in condizioni di disagio familiare, accedono prioritariamente ai servizi e alle prestazioni erogati dal sistema integrato di interventi e servizi sociali».

A sua volta il sopra citato articolo 18 stabilisce quanto segue:

«1. Il sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali fornisce risposte omogenee sul territorio finalizzate al raggiungimento dei seguenti obiettivi:

a) superamento delle carenze del reddito familiare e contrasto della povertà;

b) mantenimento a domicilio delle persone e sviluppo della loro autonomia;

c) soddisfacimento delle esigenze di tutela residenziale e semiresidenziale delle persone non autonome e non autosufficienti;

d) sostegno e promozione dell’infanzia, dell’adolescenza e delle responsabilità familiari;

e) tutela dei diritti del minore e della donna in difficoltà;

f) piena integrazione dei soggetti disabili;

g) superamento, per quanto di competenza, degli stati di disagio sociale derivanti da forme di dipendenza;

h) informazione e consulenza corrette e complete alle persone e alle famiglie per favorire la fruizione dei servizi;

i) garanzia di ogni altro intervento qualificato quale prestazione sociale a rilevanza sanitaria ed inserito nei livelli di assistenza, secondo la legislazione vigente.

«2. Le prestazioni e i servizi essenziali per assicurare risposte adeguate alle finalità di cui al comma 1, sono identificabili, tenendo conto anche delle diverse esigenze delle aree urbane e rurali, nelle seguenti tipologie:

a) servizio sociale professionale e segretariato sociale;

b) servizio di assistenza domiciliare territoriale e di inserimento sociale;

c) servizio di assistenza economica;

d) servizi residenziali e semiresidenziali;

e) servizi per l’affidamento e le adozioni;

f)pronto intervento sociale per le situazioni di emergenza personali e familiari».

In merito si veda l’articolo “La nuova legge regionale piemontese sull’assistenza”, di Giuseppe D’Angelo, Prospettive assistenziali, n. 147, 2004.

(2) Diritti esigibili in materia di prestazioni economiche sono contenute nella delibera assunta dal Comune di Torino, su iniziativa del Csa (Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base) in data 21 giugno 1978. Cfr. Prospettive assistenziali, n. 44, 1978.

(3) Il 6° comma dell’articolo 7 della legge Regione Toscana n. 41/2005 prevede quanto segue: «Accedono prioritariamente agli interventi e ai servizi erogati dal sistema integrato i soggetti:

a) in condizione di povertà o con redditi limitati o in situazione economica disagiata;

b) con incapacità fisica o psichica, totale o parziale di provvedere alle proprie esigenze;

c) con difficoltà di inserimento nella vita sociale attiva e nel mercato del lavoro;

d) sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria che rendano necessari interventi assistenziali».

(4) Anche per questi soggetti si applica il succitato comma 7 dell’articolo 7 che attribuisce ai Comuni il compito di definire le «condizioni per l’accesso agli interventi e servizi».

(5) Sostanzialmente diverse sono le norme della citata legge della Regione Piemonte n. 1/2004, il cui articolo 35 sancisce che i Comuni «garantiscono risorse finanziarie» in misura tale che «affiancandosi alle risorse messe a disposizione dallo Stato, dalla Regione e dagli utenti, assicurino il raggiungimento di livelli di assistenza adeguati ai bisogni espressi dal proprio territorio». Stabilisce, inoltre che «i Comuni che partecipano alla gestione associata dei servizi sono tenuti ad iscrivere nel proprio bilancio le quote di finanziamento stabilite dall’organo associativo competente e ad operare i relativi trasferimenti in termini di cassa alle scadenze previste dagli enti gestori istituzionali».

(6) Il secondo e il terzo comma dell’articolo 13 della legge 328/2000 stabiliscono quanto segue:

«2. Nella carta dei servizi sociali sono definiti i criteri per l’accesso ai servizi, le modalità del relativo funzionamento, le condizioni per facilitarne le valutazioni da parte degli utenti e dei soggetti che rappresentano i loro diritti, nonché le procedure per assicurare la tutela degli utenti. Al fine di tutelare le posizioni soggettive e di rendere immediatamente esigibili i diritti soggettivi riconosciuti, la carta dei servizi sociali, ferma restando la tutela per via giurisdizionale, prevede per gli utenti la possibilità di attivare ricorsi nei confronti dei responsabili preposti alla gestione dei servizi.

«3. L’adozione della carta dei servizi sociali da parte degli erogatori delle prestazioni e dei servizi sociali costituisce requisito necessario ai fini dell’accreditamento».

(7) Il comma 2 dell’articolo 19 stabilisce quanto segue: «L’affidamento dei servizi avviene altresì nel rispetto delle clausole dei contratti collettivi nazionali e degli accordi decentrati, poste a garanzia del mantenimento del trattamento giuridico ed economico dei lavoratori interessati, nonché nel rispetto della normativa vigente in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro».

(8) È altresì molto negativo il riferimento sia ai Comuni che alle Province, con il rischio che si vengano a creare conflitti fra i suddetti enti.

(9) Ricordiamo che ai sensi dell’articolo 93 del decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196 “Codice in materia di protezione dei dati personali”, il certificato di assistenza al parto e la cartella clinica in cui siano contenuti dati personali che rendono identificabile la donna che non ha riconosciuto il proprio nato, possono essere rilasciati in copia integrale a chi ne ha interesse in conformità della legge solamente decorsi cento anni dalla formazione del documento.

(10) Nonostante i ripetuti tentativi fatti non siamo riusciti ad avere dai funzionari della Regione Toscana risposte convincenti. Dall’esame delle norme vigenti risulta che il 3° comma dell’articolo 6 della legge della Regione Toscana n. 72/1997 stabilisce che «la Provincia stipula apposite convenzioni con i Comuni» per le funzioni assistenziali, comprese quelle relative al sostegno alle gestanti e madri. Dunque, anche se la gestione doveva essere trasferita ai Comuni, le Province continuavano ad essere titolari delle relative competenze. La legge regionale toscana 41/2005 non ha modificato la situazione in quanto l’articolo 11, mentre come abbiamo già evidenziato, stabilisce che «i Comuni sono titolari di tutte le funzioni amministrative concernenti la realizzazione della rete locale degli interventi e servizi sociali, nonché della gestione e dell’erogazione dei medesimi», precisa che «sono fatte salve le funzioni diversamente attribuite dalla normativa vigente». Dunque, la gestione delle attività relative al sostegno alle gestanti e madri in difficoltà risulta essere affidata a tutti i Comuni, mentre la relativa titolarità continua ad essere attribuita alle Province. Un pasticcio istituzionale che, a nostro avviso, dovrebbe essere al più presto superato.

(11) Sul n. 153 bis di Prospettive assistenziali sono riportate le conclusioni operative del convegno e una sintesi delle relazioni e degli interventi.

(12) Nella legge della Regione Piemonte n. 16/2005 è stabilito che gli interventi di sostegno alle gestanti «sono erogati su richiesta delle donne interessate e senza ulteriori formalità, indipendentemente dalla loro residenza anagrafica». La legge della Regione Toscana n. 41/2005 prevede, invece, che gli interventi debbano essere forniti indipendentemente dalla residenza anagrafica solamente per le donne straniere in stato di gravidanza.

(13) A nostro avviso la denominazione “Madre segreta” è fuorviante in quanto definisce come madri le donne che hanno partorito il bambino, ma non lo hanno amato e protetto. Come ha scritto il giudice Amedeo Santomosso nella sentenza riportata nell’articolo “Nuovo concetto di filiazione e diritto al riposo giornaliero retribuito dalle madri adottive” pubblicato su Prospettive assistenziali, n. 139, 2002 «la paternità e la maternità risultano così legate all’aspetto sociale e affettivo, con la conseguenza che lo status di figlio non deriva necessariamente dal dato biologico, ma dipende anche da valori spirituali e sociali di responsabilità che possono anche contraddire la “verità” biologica». Di conseguenza, riteniamo che siano madri vere a pieno titolo le donne che, pur non avendo partorito il bambino, lo hanno allevato. Identica considerazione vale per i padri. Pertanto la denominazione “Sos donna e parto segreto” scelta dall’Amministrazione provinciale di Torino risponde adeguatamente alla realtà dei fatti e dovrebbe sostituire l’appellativo “Madre segreta”.

(14) Sotto l’aspetto formale si tratta di una iniziativa illegittima in quanto la citata delibera della Giunta regionale sottrae ai Comuni le funzioni loro assegnate dalla legge della Regione Toscana n. 71/1997 e priva le Province della titolarità delle competenze in materia di gestanti e madri, confermate – come abbiamo visto – dalla legge 41/2005.

(15) Per i motivi in precedenza esposti (necessità di prestazioni altamente specializzate, esigenza di strutture per l’accoglienza residenziale, ecc.), riteniamo inadeguata la disposizione dell’articolo 50 della legge n. 41/2005 in cui viene stabilito che la Regione Toscana «assicura, attraverso l’azione dei consultori familiari, l’informazione su: a) i diritti delle donne in gravidanza compresa la facoltà di partorire in anonimato».

 

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