Prospettive assistenziali, n. 154, aprile - giugno 2006
Specchio nero
BAMBINO CACCIATO DA SCUOLA PERCHÉ RIFIUTA GLI PSICOFARMACI
A.B. è un ragazzino di dodici anni
che, secondo quanto scrive Carlo Grande su
Tuttavia «ciò non gli ha impedito di
andare a scuola come tutti i suoi coetanei, con insegnanti di sostegno». Risulta,
inoltre, che fino alle elementari tutto è andato liscio.
Alle medie – frequenta
Sottoposto ad una serie di esami neurologici, A.B. «è risultato
assolutamente normale».
Ciò nonostante, il ragazzo è stato sospeso dalla frequenza scolastica e per
riammetterlo «la scuola pretenderebbe che
venisse sottoposto a terapie farmacologiche
molto pesanti, come un malato psichiatrico».
All’udienza del Tribunale di Milano del 28 aprile 2006, convocata con
procedimento di urgenza, è intervenuto tramite un
proprio legale il Comitato “Giù le mani dai bambini” depositando una relazione
in cui viene rilevato che «la scuola non
può ammettere implicitamente le proprie carenze nel prestare assistenza ad un
bambino “difficile” facendo poi ricadere gli effetti di tale carenze sulla
famiglia e sul bambino stesso, allontanandolo dalle lezioni» in quanto «l’istruzione pubblica è un preciso diritto
sancito costituzionalmente».
Inoltre il Comitato “Giù le mani dai bambini” ha affermato che «la vera sfida deve essere un’altra: dotarsi
delle necessarie risorse professionali, perché è ormai ampliamente dimostrato
che questi problemi del comportamento si risolvono con protocolli
scientificamente testati (psicologia clinica, pedagogia, ecc.) che non
richiedono necessariamente l’utilizzo di psicofarmaci, i quali – se pur
risolvono le crisi contigenti – non “curano” nulla,
perché una pillola non può risolvere la causa remota del disagio, ed inoltre
espone il bimbo al rischio di gravi effetti collaterali in caso di assunzione prolungata».
A conclusione
dell’udienza del 28 aprile
Purtroppo in
Lombardia è presente un altro caso analogo: B.C., di dodici anni, non frequenta la scuola da oltre quattro
anni.
Sorge un
interrogativo: la vicenda di A.B.
e B.C. riguarda due casi isolati oppure è in atto il
tentativo di espellere dalla scuola i bambini con problemi?
VIOLENZA SESSUALE DI UN EDUCATORE SU UNA BIMBA DI CINQUE
ANNI: IGNORATE ANCORA UNA VOLTA LE MISURE PREVENTIVE
Il quotidiano
La giornalista
Sarah Martinenghi riferisce che «è stato il disegno di una bimba di cinque anni a far capire che
qualcosa di strano era successo».
La piccola aveva
trascorso una settimana a “Inverno-ragazzi”, un
centro ricreativo della collina torinese dove i genitori l’avevano
tranquillamente iscritta affinché giocasse e si divertisse con gli altri
bambini.
Al ritorno a
scuola dopo le vacanze di Natale - come precisa Sarah Martinenghi
- «un giorno ha tirato fuori le sue
matite e i pennarelli colorati e ha iniziato a disegnare sul foglio: le piccole
mani della bambina hanno tracciato linee precise, inequivocabili. È emersa infatti chiaramente la figura di un uomo nudo, un ragazzo
che aveva i genitali esposti. La maestra ha subito capito che il disegno
rimandava ad un fatto vissuto, qualcosa che gli occhi di una bimba di cinque
anni non avrebbero dovuto vedere. L’insegnante si è avvicinata con cautela:
“Chi è questo uomo?” E M. non ha avuto esitazioni: “È
il mio educatore”».
Dopo la denuncia
dei genitori e le prime indagini del magistrato altre due bambine hanno
raccontato ai propri genitori «gli stessi
“giochi” dell’educatore».
Con le tre denunce il magistrato ha richiesto l’applicazione di una
misura cautelare per cui l’educatore è stato prima arrestato e poi gli è stata
concessa la detenzione domiciliare.
Dalle indagini è
emerso che l’uomo, trentacinquenne, era un ex insegnante che aveva dovuto
lasciare l’incarico per episodi simili successi all’interno di una scuola.
Dopo un periodo
nel settore amministrativo è riuscito ad avere nuovamente un incarico a stretto
contatto con i bambini. Poiché l’uomo non era nuovo a fatti simili
sarebbe stato dunque possibile prevenire il fattaccio.
A seguito delle
testimonianze delle bambine, l’accusa è di violenza sessuale aggravata, perché
commessa sui bambini minori di dieci anni.
In relazione a questa turpe vicenda ricordiamo nuovamente le proposte avanzate da Maria Grazia Breda e da Francesco
Santanera nel volume Handicap: oltre la legge quadro, Utet
Libreria, in cui, allo scopo di
evitare che nei posti di lavoro concernenti l’utenza non in grado di
autodifendersi, operi personale con gravi disturbi della personalità, veniva
suggerito di scegliere di comune accordo fra enti e sindacati dei lavoratori,
centri scientificamente riconosciuti validi, incaricati di rilasciare una
dichiarazione attestante che l’operatore è adeguato, per le caratteristiche
della sua personalità e per la sua professionalità, a svolgere determinate
attività con i minori, nonché con i soggetti colpiti da handicap gravi.
Ovviamente
dovrebbe essere garantita la totale riservatezza nei confronti di coloro che non ottengano la suddetta certificazione,
riservatezza totale anche nei riguardi dell’ente pubblico e privato che li ha
indirizzati, al quale nulla deve essere comunicato né direttamente né
indirettamente, a esclusione di quanto scritto nella certificazione consegnata
direttamente a ciascun operatore ritenuto idoneo.
LIBERIA: BAMBINE ABUSATE DA VOLONTARI
Da un rapporto di Save the Children (cfr. l’articolo di Paola Coppola apparso su
Malgrado qualche
iniziativa per limitare lo sfruttamento sessuale, poco è cambiato dal 2002!
Save the Children «ha raccolto
in 315 interviste le testimonianze di ragazzi e adulti di entrambi
i sessi da cui emerge che “i genitori non hanno la capacità di impedire alle
figlie di avere rapporti sessuali in cambio di regali perché non hanno mezzi
economici per potersi occupare di loro”».
NIGERIA: BAMBINI CAVIE PER I TEST DELLA CASA FARMACEUTICA PFIZER
Riportiamo integralmente la notizia pubblicata l’8 maggio 2006 da
I bambini nigeriani malati di meningite usati come cavie per testare un
farmaco dalla Pfizer. Questa accusa pesante è contenuta in un rapporto del
2001 di una commissione di medici africani, pubblicato ieri dal
Washington Post, che rivela una storia simile a quella narrata nel romanzo di
John Le Carré, The
Constant Gardener. Il Trovan, questo il nome del farmaco, sarebbe stato
somministrato ai piccoli in un ospedale da campo a Kano:
I fatti risalgono
nel 1996 ma il rapporto è rimasto segreto finché un
informatore non lo ha consegnato al quotidiano americano.
Il dossier
definisce il caso «un chiaro sfruttamento
di chi non sapeva». All’epoca
Il colosso
farmaceutico si difende sostenendo che i ricercatori andarono a Kano per motivi umanitari e che ebbero il consenso verbale
dei genitori per curare i bambini.
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