Prospettive assistenziali, n. 155, luglio - settembre 2006
AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO E INTERDIZIONE
Con la sentenza del 12 giugno
2006 n. 13584 la
Corte di Cassazione si è pronunciata per la prima volta in
materia di amministrazione di sostegno, istituto introdotto nel nostro
ordinamento con la legge 6/2004 (1).
Il provvedimento è stato assunto
in merito alla situazione dell’avvocato G.F. che «era affetto da una grave infermità con
incidenza sulle sue facoltà mentali, almeno quelle che riguardano la
manifestazione della propria volontà» e che «detta infermità persisteva da tempo senza sicure previsioni sulla sua
scomparsa o attenuazione, sicché poteva essere definita abituale».
Dopo aver rilevato che «la nuova disciplina affida al giudice il
compito di individuare l’istituto che garantisca la tutela più adeguata,
limitando la capacità del soggetto nella minore misura possibile, e di
ricorrere alla interdizione solo se non ravvisi
interventi di sostegno idonei ad assicurare tale protezione»,
la Corte di Cassazione ha
precisato che «ad una attività minima, estremamente semplice, e tale da non rischiare
di pregiudicare gli interessi del soggetto – vuoi per la scarsa consistenza del
patrimonio disponibile, vuoi per la semplicità delle operazioni da svolgere
(attinenti, ad esempio, alla gestione ordinaria del reddito da pensione) e per
l’attitudine del soggetto protetto a non porre in discussione i risultati
dell’attività di sostegno nei suoi confronti – e, in definitiva, ad una ipotesi
in cui non risulti necessaria una limitazione generale della capacità del
soggetto, corrisponderà l’amministrazione di sostegno, che si fa preferire non
solo sul piano pratico, in considerazione dei costi meno elevati e delle
procedure più snelle, ma altresì su quello etico-sociale,
per il maggior rispetto della dignità dell’individuo che, come si è osservato,
essa sottende, in contrapposizione alle più invasive misure dell’inabilitazione
e della interdizione, che attribuiscono uno status di incapacità, concernente,
nel primo caso, i soli atti di straordinaria amministrazione, ed estesa, per
l’interdizione, anche a quelli di amministrazione ordinaria».
«Per converso – precisa la Corte
di Cassazione – ove si tratti – sempre,
ovviamente, che il soggetto si trovi “in condizioni di abituale
infermità” che lo renda incapace di provvedere ai propri interessi – di gestire
un’attività di una certa complessità, da svolgere in una molteplicità di
direzioni, ovvero nei casi in cui appaia necessario impedire al soggetto da
tutelare di compiere atti pregiudizievoli per se, eventualmente anche in considerazione
della permanenza di un minimum di vita di relazione che porti detto soggetto ad
avere contatti con l’esterno, ovvero in ogni altra ipotesi in cui il giudice di
merito, con una valutazione che compete a lui solo e che è incensurabile in
sede di legittimità, se logicamente e congruamente motivata, ritenga lo
strumento di tutela apprestato dalla interdizione l’unico idoneo ad assicurare
quella adeguata protezione degli interessi della persona che la legge richiede,
è quest’ultimo, e non già l’amministrazione di
sostegno, l’istituto che deve trovare applicazione».
In conclusione, la sentenza in
oggetto ha stabilito il seguente principio di diritto: «L’amministrazione di sostegno, introdotta nell’ordinamento
dall’articolo 3 della legge 9 gennaio 2004, n. 6, ha la finalità di offrire
a chi si trovi nella impossibilità, anche parziale o
temporanea, di provvedere ai propri interessi uno strumento di assistenza che
ne sacrifichi nella minor misura possibile la capacità di agire,
distinguendosi, con tale specifica funzione, dagli altri istituti a tutela
degli incapaci, quali la interdizione e la inabilitazione, non soppressi, ma
solo modificati dalla stessa legge attraverso la novellazione
degli articoli 414 e 417 del codice civile. Rispetto ai predetti istituti,
l’ambito di applicazione dell’amministrazione di
sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado
di infermità o di impossibilità di attender ai propri interessi del soggetto
carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore capacità di tale strumento di
adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità
ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa. Appartiene
all’apprezzamento del giudice di merito la valutazione della conformità di tale
misura alle suindicate esigenze, tenuto conto
essenzialmente del tipo di attività che deve essere
compiuta per conto del beneficiario, e considerate anche la gravità e la durata
della malattia, ovvero la natura e la durata dell’impedimento, nonché tutte le
altre circostanze caratterizzanti la fattispecie».
Tenuto conto
della condizione di G.F. definita «come totalmente, pur se non irreversibilmente invalidante e tale da non consentirgli di
provvedere autonomamente ad alcun atto della vita» e della «complessità
degli atti da compiere per suo conto, avuto anche riguardo della pregressa
attività professionale svolta dall’infermo sino al momento precedente
l’insorgenza della patologia dalla quale lo stesso risulta affetto»,
la Corte di Cassazione ha
ritenuto «che solo un provvedimento di
interdizione possa, nella specie, tutelare adeguatamente gli interessi di G.F.».
(1) Cfr. “La legge
sull’amministrazione di sostegno”, Prospettive
assistenziali, n. 145, 2004.
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