Prospettive assistenziali, n. 155, luglio - settembre 2006
L’ADOZIONE DA PARTE DI PERSONE SOLE: TRAVISATE LE
DICHIARAZIONI DEL CARDINALE MARTINI
Nell’intervista di Ignazio Marino, scienziato e bioeticista,
al Cardinale Carlo Maria Martini, pubblicata su L’Espresso del 27 aprile 2006, è stato
affrontato anche il tema dell’adozione.
Ignazio Marino ha affermato che,
fra i problemi connessi allo sviluppo della vita, c’è la questione della «cura che la società deve avere per i
bambini che non hanno una famiglia. In questi casi si apre la possibilità e
l’utilità, anzi quasi la necessità di un’adozione. Oggi in Italia le adozioni
non sono ammesse per i single e, più in generale, la legislazione è molto
complessa e rende difficile ogni tipo di adozione». Ha
aggiunto: «Mi chiedo se, dal punto di
vista etico, sia preferibile che un bambino orfano o
abbandonato dai genitori passi la vita in istituto o sulla strada piuttosto che
avere una famiglia composta da un solo genitore. Siamo sicuri che sia questa la
strada giusta per garantire la migliore crescita possibile a quel bambino? Del
resto, se un genitore rimane vedovo, anche alla nascita del primo figlio,
nessuno pensa che il bambino non debba continuare a vivere nel suo nucleo familiare anche se il genitore è solo uno. O ancora
Alcune
considerazioni in merito alle affermazioni di Ignazio
Marino
Ci permettiamo di rilevare che il
quesito posto dal professor Marino denota una scarsa conoscenza della
situazione attuale: il numero delle domande di adozione
di bambini italiani e stranieri presentate nel nostro Paese da coniugi con o
senza figli è di gran lunga superiore a quello dei bambini adottabili.
Infatti, come dimostrano i dati
statistici, riesce ad adottare solo una piccola parte
delle coppie che presentano domanda di adozione di minori stranieri ed è in
possesso del relativo decreto di idoneità. nel
periodo 1995-2002 di fronte a 39.625 decreti di idoneità
all’adozione internazionale (le domande presentate nello stesso periodo erano
54.701), le adozioni pronunciate dai Tribunali per i minorenni sono state
solamente 22.581. Dunque il 43% delle coppie idonee non sono riuscite a
realizzare il loro desiderio di maternità e paternità.
Questa situazione è dovuta al fatto che si orientano verso i Paesi in cui vi
sono minori adottabili non solo le coppie italiane, ma anche quelle di tutti i
Paesi industrializzati. Inoltre è in diminuzione il
numero di minori stranieri adottabili anche perché alcuni Paesi, quali quelli
islamici, non contemplano l’adozione, mentre altri hanno approvato disposizioni
restrittive per motivi politici. Ad esempio, non possono più essere adottati da
coppie straniere i minori dalla Romania a seguito di una legge approvata dal
Parlamento di Bucarest il 15 giugno 2004 (1). Occorre anche considerare che
sono estremamente scarse le richieste di adozione di
bambini di pelle nera.
Per quanto riguarda l’adozione
dei minori italiani, è ancora più rilevante il divario fra le domande di adozione ed il numero dei minori adottabili. Dal 1995 al
2002 sono state presentate complessivamente 89.079 domande di
adozione nazionale, mentre nello stesso periodo quelle pronunciate sono
state appena 13.027. Ammonta, pertanto, a oltre l’85%
il numero delle coppie italiane a cui non è stato possibile dare in adozione
alcun bambino. Al 31 dicembre 2003 (ultimo dato disponibile del Ministero della
Giustizia, Direzione generale per le statistiche), le domande giacenti
presentate per l’adozione nazionale erano 39.059. Da notare che durante tutto
l’anno 2003 le dichiarazioni di adottabilità erano
state 1.080.
Ne consegue che, come denunciamo
da anni, risulta evidente che le misure dirette ad
aumentare le richieste di adozione dei minori italiani e stranieri rispondono
solamente a disinformazione oppure a esigenze demagogiche e clientelari (2).
Fin dall’entrata in vigore
dell’adozione legittimante (1967) non sono mai restati per strada o in istituto
bambini adottabili perché non ci sono famiglie pronte ad accoglierli, salvo le
situazioni di fanciulli con particolari problematiche
(handicap gravi, malattie invalidanti, ecc.).
Ci sono ancora difficoltà a reperire coppie adottive per i minori già grandicelli, gravemente malati o colpiti da handicap, anche
per il disinteresse delle istituzioni.
Vorremmo anche segnalare al
professor Marino che, proprio partendo dal diritto del bambino adottabile alla
famiglia, il nostro ordinamento ha previsto che, esclusivamente quando non è
possibile l’inserimento del minore presso una coppia di coniugi, il Tribunale
per i minorenni può disporre l’adozione «nei
casi particolari»,
consentita anche alle persone singole.
Tuttavia, nel superiore interesse
del minore, l’adozione nei casi particolari non può essere considerata una
scappatoia volta a favorire le persone sole.
Dalla “Relazione sullo stato di attuazione della legge 149/2001” predisposta dai
Ministeri della giustizia e del lavoro e delle politiche sociali nell’aprile
2005 è emerso che i Tribunali di Bologna, Caltanisetta,
Catania, L’Aquila, Milano, Palermo, Potenza, Salerno, Torino e Trieste
lamentano il fatto che l’innalzamento a 45 anni della differenza massima di età
fra adottanti e adottato, ulteriormente derogabile in particolari situazioni e
la conseguente aspettativa di poter adottare bambini piccoli, ha «diminuito la disponibilità delle coppie
“anziane” ad adottare bambini più grandi o con particolari patologie».
In base alle esperienze finora
realizzate, vorremmo sottolineare che l’adozione di
questi bambini non può essere disposta confidando semplicisticamente sulla
disponibilità degli adottanti: è indispensabile che essi siano attentamente
selezionati e preparati, e che l’intero nucleo familiare possa beneficiare del
sostegno dei servizi che le istituzioni dovrebbero mettere a loro disposizione.
È importante, inoltre, che detti
nuclei possano contare su una rete di rapporti umani e sociali che
arricchiscano la vita della famiglia e ne impediscano l’isolamento.
Il sostegno da parte delle
istituzioni deve garantire i necessari interventi riabilitativi, un adeguato
inserimento scolastico, un idoneo collocamento lavorativo
quando il soggetto ne ha le capacità e, se occorre, l’apporto di
psicologi. Può essere anche opportuna l’erogazione di contributi economici per far fronte ai
maggiori oneri che la famiglia deve affrontare (3).
Il professor Marino sostiene
giustamente che «se un genitore rimane
vedovo, anche alla nascita del primo figlio, nessuno pensa che il bambino non
debba continuare a
vivere nel suo nucleo familiare». Si tratta di una situazione prevista
dalle leggi vigenti: non possono certo essere dichiarati adottabili i bambini
con un solo genitore o con qualsiasi altro congiunto che se ne prenda cura:
l’adozione è pronunciata solo quando il minore sia «privo di assistenza morale e materiale da
parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a
causa di forza maggiore di carattere transitorio» (art. 8, comma 1 della
legge n. 184/1983).
Ricordiamo altresì che l’adozione
legittimante può essere pronunciata nel caso di decesso di uno degli adottanti
durante l’affidamento preadottivo nei confronti
dell’altro, restato vedovo, per non interrompere i positivi
rapporti affettivi creatisi.
Ciò premesso, riteniamo che la
crescente richiesta da parte di persone singole ad
adottare non nasca dalla constatazione che ci sono bambini adottabili che
restano negli istituti perché non ci sono coppie disponibili ad accoglierli, ma
dal loro personale bisogno di avere un figlio.
Le modifiche legislative sono
richieste per ottenere il riconoscimento dei loro desideri come se si trattasse
di diritti, mentre in realtà è una pretesa egoistica che contrasta con
l’esigenza dei minori senza famiglia di avere non solo una madre e un padre, ma
anche genitori giovani e, se possibile, fratelli e
sorelle, oltre a nonni, zii, cugini.
Le dichiarazioni del
Cardinale Carlo Maria Martini
Partendo giustamente dal punto di
vista del bambino “orfano o abbandonato”, il Cardinale, rispondendo agli
interrogativi posti da Ignazio Marino, ha sottolineato
che lo scopo dell’adozione è quello di garantire al bambino le condizioni più
favorevoli concretamente possibili ed ha sottolineato che occorre «assicurare che chi si prende cura del
bambino adottato abbia le giuste motivazioni e abbia anche i mezzi e le capacità per assicurarne una crescita serena».
Ha quindi puntualizzato che in tali condizioni è «certamente anzitutto una famiglia composta da un uomo e una donna che
abbiano saggezza e maturità e che possano assicurare una serie di relazioni
anche intrafamiliari atte a far crescere il bambino
da tutti i punti di vista». Ha poi aggiunto che solamente «in mancanza di ciò è chiaro che anche altre
persone, al limite anche i singles, potrebbero dare
di fatto alcune garanzie essenziali».
Altre affermazioni
del Cardinale Martini sull’adozione
Risulta quindi evidente che il Cardinale
ha richiamato l’attenzione e l’impegno sul riconoscimento della necessità di
tutti i bambini di stabilire, fin dalla nascita, relazioni affettive stabili
con figure genitoriali, ritenendo questa condizione
indispensabile per il loro equilibrato sviluppo psicologico.
A proposito dell’adozione,
vogliamo ricordare che lo stesso Cardinale nel messaggio agli organizzatori e
ai partecipanti del convegno europeo “Bambini senza famiglia e adozione” (Milano, 15-16 maggio 1997) aveva sottolineato fra l’altro «l’esigenza
molto avvertita da coloro che vivono personalmente queste forme di accoglienza,
di vedere riconosciuti la piena dignità e il valore della filiazione e della genitorialità vere» precisando che «la maternità e la paternità non si identificano semplicemente con la
procreazione biologica, perché “nato da” non è sinonimo di “figlio di”».
Infatti, mentre la procreazione è un
fatto unilaterale che coinvolge solo gli adulti, nella filiazione il vero
protagonista è il bambino. L’ambiente in cui vive e il calore affettivo che lo circondano hanno un ruolo determinante sul suo sviluppo.
Versioni fuorvianti
delle dichiarazioni del Cardinale Martini
Una preoccupante strumentalizzazione delle affermazioni del Cardinale è
apparsa nell’articolo di Orazio
Nell’articolo “Il Cardinale: embrioni in adozione ai single”
pubblicato su Il Giornale del 21
aprile 2006, Andrea Tornielli ha segnalato che Carlo Maria Martini avrebbe ammesso «l’adozione dei bambini anche da parte dei single», senza precisare
che detta possibilità poteva essere praticata esclusivamente in assenza di
coppie adottive.
Giovanna Zucconi, commentando nell’articolo “Dalla parte delle donne” (
Conclusioni
È deplorevole che vi siano giornalisti che volutamente manipolano il
pensiero altrui. Ciò è ancora più grave quando i
commenti si basano, come nel caso in esame, su dichiarazioni scritte.
La questione è molto importante soprattutto se – come temiamo – nel campo
dell’adozione c’è una tendenza, sostenuta da alcuni mezzi di informazione
di massa, di capovolgere lo scopo dell’adozione.
Ribadiamo che, a nostro avviso, l’adozione deve avere la
finalità non solo primaria, ma esclusiva, di assicurare una valida famiglia
(genitori e se possibile fratelli e sorelle, nonni, zii, cugini, ecc.) ai
bambini nei cui confronti l’autorità giudiziaria abbia accertato che sono «privi di assistenza morale e materiale da
parte dei propri genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la
mancanza di assistenza non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere
temporaneo».
Ogni sforzo, quindi, dovrebbe essere rivolto alla selezione/preparazione
dei coniugi adottanti, scegliendo le coppie più valide per i minori adottabili
e quindi quelle solide, mature, giovani, possibilmente con figli biologici o
adottivi, aperte alle problematiche sociali, rispettose dei diritti altrui e
con una attiva vita di relazione interna ed esterna.
Troppi sono i fallimenti adottivi causati dall’accoglimento da parte dei
Tribunali per i minorenni di domande presentate al prevalente scopo di
risolvere problemi di solitudine degli adottanti:
anche i giornalisti dovrebbero tenerne conto.
(1) Cfr. “Bloccate le
adozioni internazionali in Romania. Una scelta ‘dalla parte
dei bambini’?”, Notiziario
Anfaa, n. 2, 2004.
(2) Argomentazioni analoghe a quelle sopra riportate
sono state espresse su Prospettive
assistenziali in occasione del dibattito parlamentare che aveva portato,
purtroppo, all’approvazione della legge 149/2001. Si vedano al riguardo gli articoli: “Le vigenti norme sull’adozione sono molto
valide, ma il Parlamento vuole cambiarle” e Coordinamento sanità e assistenza
tra i movimenti di base “L’adozione di minori italiani e stranieri: le
concezioni sulla filiazione, sulla maternità e sulla paternità e le
preoccupanti iniziative del Parlamento”, n. 123, 1998; “Le inquietanti proposte
del Senato sull’adozione e sull’affido” e “ Testo unificato proposto al Senato
per la riforma dell’adozione e dell’affido”, n. 126, 1999; “Perché in materia
di adozione abbiamo difeso e difendiamo l’interesse preminente dei minori senza
famiglia”, n. 127, 1999; “Le domande di adozione sono già troppo numerose. I
Ministri Fassino e Turco: aumentiamole”, n. 130,
2000; “La controriforma dell’adozione proposta dalla Commissione infanzia del
Senato”, n. 131, 2000; Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie,
“Strumentalizzati dal Senato i bambini senza famiglia:
sono prevalse le pretese degli adulti”, n. 132, 2000; “La nuova legge
sull’adozione: dai fanciulli senza famiglia soggetti di diritti ai minori
oggetto delle pretese egoistiche degli adulti” e “Testo aggiornato della legge
184/1983 ‘Diritto del minore ad una famiglia’”, n.
133, 2001; Donata Micucci, “Altre considerazioni
sulla nuova legge relativa all’adozione e all’affidamento familiare”, n. 134,
2001; Francesco Santanera, “Un disegno di legge del
Governo contrario alle esigenze dei minori stranieri senza famiglia”, n. 150,
2005.
(3) Ricordiamo che l’art. 6, comma 8, della legge n.
184/1983 prevede che «lo Stato, le
Regioni e gli Enti locali possono intervenire nell’ambito delle proprie
competenze e nei limiti delle disponibilità finanziarie dei rispettivi bilanci,
con specifiche misure di carattere economico, eventualmente anche mediante
misure di sostegno alla formazione e all’inserimento sociale, fino all’età di
diciotto anni degli adottati». Purtroppo si tratta di una mera affermazione
di principio; infatti la norma sopra richiamata non
stabilisce un diritto esigibile in quanto subordinata alle «disponibilità finanziarie dei rispettivi
bilanci». Tuttavia gli enti locali, rispettosi delle esigenze dei fanciulli colpiti da handicap, dispongono della base
giuridica per fornire le necessarie prestazioni al minore e al nucleo familiare
in cui è inserito.
www.fondazionepromozionesociale.it