Prospettive assistenziali, n. 156, ottobre - dicembre 2006
APPUNTI SULLE LINEE PROGRAMMATICHE ENUNCIATE DAL
MINISTRO DELLA SALUTE
MAURO PERINO (*)
Le “Linee del programma di
Governo per la promozione ed equità della salute dei cittadini” sono
sintetizzate nel documento – intitolato “Un New Deal
della salute” (1) – che il Ministro
On. Livia Turco ha presentato alla Commissione affari
sociali della Camera dei deputati in data 27 giugno 2006.
Il “Patto per la salute”
Secondo il Ministro
il nostro sistema di sicurezza sociale si trova in una fase di difficile
transizione «tra modelli di welfare che si sono sviluppati e confermati negli anni con
un grande sforzo di razionalizzazione, ma che ormai tradiscono contraddizioni,
limiti e modelli di welfare da definire, da
esplorare, alla ricerca di nuove e più efficaci condizioni di sostenibilità». Del
“modello keynesiano” (2), evocato dal titolo, il
documento non mutua dunque altro che il riferimento storico ad un processo di
transizione nell’ambito del quale – attraverso una esperienza
di “mobilitazione delle forze” – viene ricercata una prospettiva ad una
situazione di crisi.
Si propone, in sostanza, di «contrarre un nuovo Patto per la salute, un
vero e proprio “New Deal” per la sanità italiana che sappia raggiungere e
coinvolgere tutte le competenze del sistema finalizzandone l’operato
verso un unico grande obiettivo: ridefinire modi e forme del sistema perché
esso sia finalmente orientato verso i bisogni e le esigenze dei cittadini».
A tal fine viene preannunciata la convocazione degli «stati generali degli operatori e delle
operatrici della salute: per discutere insieme e condividere un “New Deal”
della salute nella consapevolezza che la sanità italiana ha bisogno di
serenità, certezza di valori, regole e di migliorare dall’interno la sua
qualità». Una qualità alla quale si deve ispirare «ogni atto sanitario ma anche ogni procedura gestionale
e amministrativa» al fine di perseguire l’umanizzazione dai luoghi di cura
e delle pratiche medico assistenziali.
Occorre inoltre realizzare
l’unitarietà del sistema «indispensabile
per promuovere diritti esigibili su tutto il territorio nazionale, superando le
attuali disuguaglianze» applicando il principio della responsabilità. Una
responsabilità che deve riguardare «tutti
gli attori, a partire dal medico fino al cittadino e
al soggetto pubblico assunto nella sua unitarietà: Governo, Regioni, Enti
locali e Aziende sanitarie e ospedaliere» e che deve essere declinata anche
come lotta agli sprechi ed ai comportamenti non appropriati. Manifestazioni di una negligenza che –
chiarisce il Ministro – «può essere
sottoposta ad un ticket che perlomeno rimborsi la comunità di parte delle spese
inutilmente sostenute. L’unico
ticket che oggi ha un senso è proprio quello sulla negligenza e l’inappropriatezza. Un ticket che dovrà
essere quantificato e pagato dal sistema (in forma di penalizzazione) ma anche
dal cittadino (quale vera e propria “multa” per un comportamento scorretto e
per il danno causato alle economie del sistema sanitario)».
Il governo e le risorse del sistema
L’attribuzione alle Regioni dei
poteri di legislazione concorrente in materia sanitaria rappresenta, per il
Ministro, «una delle scelte più significative di questi ultimi decenni in campo
istituzionale». Tuttavia, la nuova attribuzione di compiti stabilita con la
modifica del Titolo V della Costituzione, «ha
pro-
dotto spesso difficoltà interpretative, se non addirittura diffidenze
reciproche tra Stato e Regioni». Vi è dunque la necessità di sviluppare una
forma di governo condiviso attraverso la creazione di «una nuova cabina di regia comune in grado di monitorare e governare
l’intero sistema nel rispetto delle autonomie».
Ed è nell’ambito di tale
organismo che occorre avviare un confronto per la sottoscrizione di un “Nuovo
patto per la spesa sanitaria” tra lo Stato – che «si impegna a ridefinire entro l’anno il
sistema di finanziamento in modo da dare certezza circa le risorse destinate al
Servizio sanitario su un arco pluriennale ragionevole (inizialmente il triennio
2007-2009)» – e le Regioni che
vengono chiamate «ad una assunzione forte
di autonomia e inderogabile responsabilità di bilancio». Ad esse viene infatti assicurata, in via ordinaria, la
copertura dei costi dei Lea con riferimento alle spese sostenute «nelle Regioni con performances
migliori». Inoltre vengono previste specifiche
risorse finalizzate «al finanziamento
delle inefficienze differenziali delle Regioni meno virtuose». Queste
ultime dovranno però prevedere “un percorso di
rientro” in quanto il finanziamento dovrà ridimensionarsi rapidamente nel
tempo.
Sempre in tema di risorse, il
Ministro dichiara il proprio impegno ad affrontare la criticità rappresentata
dalla “crisi di ruolo” delle professionalità impiegate nel sistema. A tal fine
nel documento vengono individuate alcune aree di
intervento prioritarie: promozione di un “governo partecipato” dell’Azienda
sanitaria locale; tutela delle professioni sanitarie; riforma del sistema di
formazione ed aggiornamento; superamento delle forme di lavoro atipiche (specializzandi); nuovi sistemi concorsuali per
l’attribuzione degli incarichi dirigenziali.
Vengono poi citati – in quanto soggetti
centrali per la definizione dei nuovi assetti della sanità – i sindacati
confederali e l’impresa dando atto che – con i primi – è stato istituito un
tavolo di consultazione «che affronterà
tutti i temi riguardanti la tutela della salute dei cittadini e dal quale si
attendono contributi preziosi per la definizione del Patto per la salute». Infine
il documento propone un paragrafo dedicato alla “qualità” della partecipazione
del cittadino che – in quanto “protagonista del sistema” – deve poter
concorrere all’analisi dei problemi, delle questioni irrisolte ed alla ricerca
di soluzioni percorribili. Per questo – conclude il
Ministro – è prevista la costituzione di una “consulta permanente delle
associazioni” che consenta di rendere stabili i rapporti tra istituzioni e
cittadini
Le grandi criticità
Dopo aver affrontato il tema
della “ricerca” – indicando la necessità di elaborare, con gli altri Ministeri
competenti, un «piano nazionale triennale
di governo della ricerca sanitaria scientifica e tecnologica e sui servizi»
– e quello della “nuova politica farmaceutica” (qualità, appropriatezza
e controllo della spesa; un tetto di spesa che risponda ai nuovi bisogni di
salute; definizione di accordi per lo sviluppo e
l’innovazione; promozione di un mercato etico) il documento affronta il tema
delle “grandi criticità” del sistema sanitario.
In primo luogo i tempi di attesa, la cui riduzione si può ottenere con la verifica
di quanto hanno prodotto e produrranno le norme previste dal precedente
Governo; recuperando al Servizio sanitario nazionale il suo tratto unitario;
informando i cittadini e valorizzandone la capacità di monitoraggio e
documentazione attraverso le organizzazioni sindacali e di tutela dei
consumatori.
Al secondo punto del capitolo relativo alle criticità viene indicata la necessità di un
“Progetto per l’autosufficienza del Mezzogiorno” che garantisca ai cittadini
del Sud le stesse possibilità di salute degli altri. A tal fine è necessario
verificare lo stato reale dei Lea nel Mezzogiorno. Sulla base
di tale ricognizione è infatti possibile distinguere due tipi di
politiche: quelle che agevolano l’accesso ai Lea disponibili e quelle che, in
modo transitorio, disciplinano, con accordi interregionali, le mobilità in
attesa di creare le condizioni per l’autosufficienza.
L’ultima criticità evidenziata è
trattata nel paragrafo dedicato a “Le carenze e le diseguaglianze nell’oncologia”. Le difficoltà riguardano
essenzialmente – secondo il Ministro – «la
possibilità di ottenere una diagnosi certa e un intervento chirurgico in tempi
brevi, di essere garantiti nell’accesso alla radioterapia, di poter disporre di assistenza adeguata al proprio domicilio, con
l’attenzione necessaria ed indispensabile per la qualità della vita, nelle fasi
terminali». Il problema – osserva il Ministro – resta «la sostanziale inadeguatezza quantitativa della offerta,
con le solite disomogeneità territoriali, e la necessità di integrare,
talvolta, di tasca propria le prestazioni offerte anche quando questa
assistenza è assicurata. Il sistema si appoggia ancora troppo sull’impegno
insostituibile delle famiglie o, comunque, di qualcuno
che si prenda cura del malato, nella fase terminale».
La “Casa della salute”
Dopo aver esaminato le criticità
del sistema, il Ministro passa ad indicare «un
grande obiettivo di legislatura: quello di porre in essere l’effettiva
integrazione socio-sanitaria in un quadro di sviluppo delle cure primarie a
livello nazionale». Solo attraverso l’integrazione, infatti, «si potrà realizzare quella continuità assistenziale, dall’ospedale al proprio domicilio, che rende
effettivo il diritto alla salute del cittadino».
Ma l’integrazione socio-sanitaria
richiede – secondo l’On. Turco – «un
forte sviluppo delle politiche sociali. Per questo da Ministro della salute
farò la mia parte per sostenere il Ministro della solidarietà sociale affinché
il Fondo nazionale delle politiche sociali sia dotato di risorse adeguate e
perché siano definiti i Livelli essenziali di assistenza
delle prestazioni sociali». Inoltre «vogliamo costruire presso il Ministero
della salute un organismo di coordinamento, prevenzione e indirizzo per lo
sviluppo dell’integrazione socio-sanitaria e per la promozione e lo sviluppo
delle cure primarie e intendiamo promuovere il prossimo anno, a Bologna, la 1ª
Conferenza nazionale delle cure primarie».
Obiettivo della Conferenza è di
conoscere, confrontare e valutare le esperienze realizzate, i successi e le
criticità, al fine di definire «un
progetto di medicina del territorio che possa essere apprezzato dai cittadini
perché reale, vicino ed anche visibile». Per far questo – prosegue il documento – bisogna partire dall’esperienza dei
distretti per conoscere e valorizzare i successi e le eccellenze, «ma anche capire come mai, pur previsto nel
decreto legislativo 229/1999, il distretto non è diventato ciò che doveva
diventare». «Non è stata e non è
– afferma il Ministro – solo una
questione di finanziamento, ma di connivenze, inerzie, conservatorismi ed
arretratezza. A differenza
dell’ospedale dove la storia e la legislazione hanno prodotto una forte
identità strutturale, con propri modelli e rituali organizzativi anch’essi
oggetto di una straordinaria evoluzione, la sanità territoriale è stata
tradizionalmente un aggregato povero di ambulatori e
di servizi senza una propria identità e senza un proprio radicamento
nell’immaginario collettivo».
L’altro aspetto da considerare,
insieme al distretto, è il ruolo che i medici di famiglia devono assumere nella
promozione della continuità assistenziale. La
convenzione che ne regola i rapporti con il sistema sanitario già prevede lo sviluppo delle cure primarie attraverso la
costituzione di nuovi modelli organizzativi sul territorio. Si tratta dunque di
realizzare queste esperienze e proporre ai medici di famiglia «un patto di diritti e doveri: diventare il
perno del sistema delle cure primarie in un sistema di governance,
un governo clinico del territorio che costruisca la squadra tra medico di
famiglia, medico del distretto, specialisti ambulatoriali, professioni
sanitarie in un lavoro che deve essere a rete e non più
gerarchico e frammentato».
E «l’insieme di attività organizzate in aree
specifiche di intervento professionale integrate fra loro in cui si realizza la
presa in carico del cittadino per tutte le attività socio-sanitarie che lo
riguardano» andrebbe collocato – secondo il Ministro – nella “Casa della
salute” «la struttura polivalente e
funzionale in grado di erogare materialmente l’insieme delle cure primarie e di
garantire la continuità assistenziale con l’ospedale e le attività di prevenzione».
Nella Casa della salute è
previsto che lavorino insieme il personale del distretto
tecnico-amministrativo, infermieristico, della riabilitazione, dell’intervento
sociale, i medici di base con il loro studio associato, gli specialisti
ambulatoriali. Una “équipe” che potrà efficacemente
perseguire «la prevenzione primaria,
secondaria e terziaria, l’educazione sanitaria e le corrette pratiche di autogestione delle malattie croniche»; che provvederà
ad attivare «un’assistenza domiciliare a
forte integrazione multidisciplinare» ed infine
ad istituzionalizzare «la partecipazione
dei cittadini che viene garantita attraverso procedure certe, codificate e
periodicamente verificate».
A tal fine, nella Casa della
salute, devono poter essere effettuati tutti gli
accertamenti diagnostico-strumentali di base 7 giorni su 7 e per almeno 12 ore
al giorno ed in essa deve trovare implementazione la gestione informatizzata di
tutti i dati sanitari e devono venire attivate le procedure, di tele consulto e
di tele medicina, che consentono una diagnosi specialistica di 2° livello.
Le “dieci” azioni del Ministero
Dopo aver indicato gli ulteriori obiettivi del Ministero – con riferimento alla
tutela del cittadino in ordine alla “sicurezza delle cure” (prevenzione e
riduzione dei rischi derivanti da pratica medica); alla “sicurezza nei luoghi
di lavoro e nell’ambiente domestico” (elaborazione di un testo unico della
normativa di riferimento); alla “sicurezza ambientale” (eliminazione delle
sostanze tossico/cancerogene impiegate nella produzione e bonifica e controllo
delle discariche) ed alla “sicurezza alimentare” (piano pluriennale dei
controlli per il triennio 2007-2009) – il documento si avvia alle conclusioni
fornendo l’elenco delle “dieci” azioni già avviate e di prossimo avvio:
• “La salute delle donne, la
tutela dei diritti della partoriente, la promozione del
parto fisiologico e la salute del neonato”. Obiettivo del Ministero è la ridefinizione dei livelli essenziali di assistenza,
comprendendo il Progetto obiettivo materno-infantile
e uno strumento legislativo – che verrà approvato dal Consiglio dei Ministri –
volto a tutelare la gestante e il neonato, promuovendo una appropriata
assistenza tramite l’integrazione dei servizi territoriali ed ospedalieri e la
valorizzazione dei consultori;
• “La promozione e lo sviluppo
delle terapie del dolore”. A tal fine è intendimento del Ministero: sburocratizzare
e semplificare ulteriormente la prescrizione dei farmaci oppiacei; promuovere
l’applicazione delle linee guida di “Ospedale senza dolore”; rendere
obbligatori l’informazione degli operatori; aumentare l’informazione nei
confronti dei cittadini;
• “La presa in carico della
salute mentale”. Viene
individuata, come priorità, la predisposizione di un nuovo Progetto obiettivo
per la salute mentale e lo svolgimento nel 2007 di una Conferenza nazionale
sulla salute mentale che coinvolga istituzioni, enti locali, famiglie,
volontariato, operatori sanitari e sociali in un progetto di contrasto al
fenomeno mediante la prevenzione, la cura e la riabilitazione. Aspetto cruciale del progetto sarà la
lotta allo “stigma” ovvero alla discriminazione basata sul pregiudizio. Quanto alla legge 180 del 1978 essa va applicata e non cambiata;
• “Le malattie
rare”. Si prevede la realizzazione di un
programma nazionale triennale sulle malattie rare; l’istituzione di un fondo
nazionale e di un Comitato nazionale per le malattie rare; la defiscalizzazione della ricerca su farmaci “orfani” e la
disponibilità e gratuità di farmaci (classe C), di alimenti
di dispositivi medici e di altre sostanza attive utili per la cura dei soggetti
portatori di malattie rare;
• “L’impegno per le disabilità”.
Lo spazio dedicato al tema – che avrebbe meritato ben
altro approfondimento per l’importanza che riveste – è decisamente limitato. Su questo punto riportiamo
integralmente il testo tratto dal documento: «Non solo la salute mentale ma anche le disabilità saranno il cuore
della nostra attività. Con le associazioni interessate vogliamo riprendere un
cammino che con il Ministero della solidarietà sociale, del lavoro, della
famiglia e delle pari opportunità ci consenta di
realizzare obiettivi di promozione e di pieno inserimento delle persone
“diversamente abili”. La rete dei servizi, la ricerca per la prevenzione,
l’attenzione alla disabilità psichica grave saranno
direttive cui intendo dare molta attenzione»;
• “Le prime azioni per il
Mezzogiorno”. Il Ministero intende
diffondere le pratiche di prevenzione del tumore femminile e, sempre in campo
oncologico, verificare la dotazione di strutture per la radioterapia,
promuovere e valorizzare risorse e centri di eccellenza
in loco per contenere la mobilità; sostenere progetti di integrazione
socio-sanitaria e di medicina del territorio;
• “La presa in carico delle
persone tossicodipendenti”. Il
Ministero della salute concorrerà al lavoro in atto presso il Ministero della
solidarietà sociale per la predisposizione di un nuovo provvedimento in materia
di lotta alla droga e di tutela e assistenza del tossicodipendente. Con le
Regioni,
• “La promozione
dell’iniziativa ‘Un sorriso in salute’”. Il
progetto del Ministero, da elaborare con le Regioni e le professioni
interessate intende: ampliare i livelli di assistenza
odontoiatrica per i bambini e gli anziani; offrire alcune prestazioni anche
attraverso un accordo con le professioni e i servizi pubblici; valutare la
costituzione di un Fondo per le cure odontoiatriche;
• “L’attenzione alle persone
anziane”. L’esposizione degli
intendimenti è – come per la tematica dell’handicap –
decisamente stringata e generica. Anche in questo caso si riporta, senza alcuna
sintesi, il testo del documento che si ripropone di
realizzare l’azione riferita agli anziani «attraverso
la costituzione di un Tavolo di lavoro permanente con i sindacati e le più
importanti associazioni per affrontare alcuni problemi emergenti: il caldo
estivo; le liste di attesa; la promozione della continuità assistenziale; il
testo di legge per la non autosufficienza»;
• “La rivoluzione
tecnologica-comunicativa”. «La vera sfida – secondo il Ministro – è
quella di portare avanti un’autentica rivoluzione tecnologica-comunicativa,
basata sulla diffusione di tecnologie informatiche al fine di snellire,
semplificare, rendere trasparenti e facilmente accessibili a tutti, i servizi e
le prestazioni sanitarie evitando sprechi di tempo, denaro ed anche vere e
proprie “vie crucis” per il cittadino». Con la prospettiva «dell’incremento della de ospedalizzazione e
dello stesso utilizzo improprio (?) e
prolungato delle strutture residenziali per le persone non autosufficienti,
grazie al potenziamento dei servizi di home care nel quadro
della continuità assistenziale globale».
Terminato l’elenco delle azioni,
il documento si conclude con un riferimento al ruolo
del Ministero che «va ridefinito al fine
di rendere questo dicastero pienamente in grado di svolgere quei compiti di
governo del sistema che
Considerazioni sulle linee programmatiche
«Abbiamo la sensazione di trovarci – afferma il Ministro nelle conclusioni del documento – in una posizione complessa e difficile, tra
ciò che non c’è più e ciò che non c’è ancora». La frase sintetizza
efficacemente l’impostazione complessiva del documento programmatico che pur
evidenziando la necessità di «ridefinire
modi e forme del sistema perché esso sia finalmente orientato verso i bisogni e
le esigenza dei cittadini» non affronta in maniera
efficace il problema del perché il rapporto di fiducia tra i cittadini ed il
sistema si è deteriorato.
L’esigibilità del diritto alla salute
Eppure le leggi dello Stato che
prevedono il diritto esigibile alle prestazioni
sanitarie sono numerose (3). A partire dalla legge n.
833/1978 istitutiva del Servizio sanitario nazionale che riconosce a tutti i
cittadini il diritto alla prevenzione, alla cura ed alla riabilitazione.
Se però il Ministro della salute
riconosce che l’unitarietà del sistema –
«indispensabile per promuovere diritti esigibili su tutto il territorio
nazionale» – non è attualmente assicurata, allora
occorre, in primo luogo, garantire il rispetto di tali leggi e, se del caso,
adottare i provvedimenti necessari a renderle più cogenti nei confronti di chi
dovrebbe applicarle. Ed è questo un primo impegno che il Ministero dovrebbe
assumere nell’ambito delle funzioni ad esso attribuite.
L’impianto normativo sul quale si
fonda il nostro sistema sanitario nasce dalla
fortissima pressione esercitata dalle forze sociali negli anni ‘60-’70. Anni
nei quali «sono stati approvate dal
Parlamento importanti leggi, veri atti di giustizia che hanno profondamente e
positivamente cambiato le condizioni di vita di decine di
migliaia di persone che si trovavano in gravi difficoltà» (4). È perciò
necessario ripartire da quelle norme e – con l’obiettivo di perseguire
l’effettività dei diritti – andare a rivedere criticamente le leggi di settore
che, a partire dagli anni ’80 (decreto Craxi dell’8 agosto 1985), sono state approvate dal
Parlamento (5). Si tratta infatti di provvedimenti «del tutto insoddisfacenti in quanto,
ponendosi nella scia della discrezionalità e della beneficenza, non hanno
riconosciuto alcun diritto esigibile, tant’è che attualmente
– fatto sconcertante – bisogna far riferimento agli articoli 154 e 155 del
regio decreto 773/1931 “Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza” per
obbligare i Comuni a provvedere al ricovero di minori, di soggetti con handicap
e di anziani non autosufficienti in tutto o in parte che non sono in grado di
vivere autonomamente» (6).
Per “traghettare” il sistema da
“ciò che non c’è più” a “ciò che non c’è ancora” occorre, in primo luogo,
trarre i necessari insegnamenti dal percorso che si è compiuto. Analizzando – auspicabilmente con spirito
critico e, quando necessario, autocritico – le cause e le responsabilità che
hanno determinato un arretramento nei sistemi di tutela della salute e della
sicurezza sociale. Solamente a partire da
questi presupposti (rispetto delle leggi che tutelano la cittadinanza e
revisione di quelle che ne ledono i diritti) sarà possibile perseguire
efficacemente gli obiettivi che il Ministro assegna al “Patto per la salute”.
Il governo del sistema e la sussidiarietà
La modalità di governo del
sistema sanitario delineato dal documento programmatico del Ministero fa
necessariamente proprio il “principio di sussidiarietà”
– introdotto nella nostra Costituzione con la modifica del Titolo V – che viene declinato sia nella dimensione verticale che in quella
orizzontale.
Della “sussidiarietà
verticale” – nell’ambito della quale vengono regolati
i rapporti tra il Ministero e le Regioni – si coglie la criticità rappresentata
dal fatto che l’attribuzione alle Regioni dei poteri di legislazione
concorrente in materia sanitaria ha prodotto difficoltà interpretative e
diffidenze reciproche tra Stato e Regioni. Inoltre, in più parti del documento,
si segnalano «le disomogeneità che
caratterizzano ordinariamente il nostro sistema sanitario» e – a proposito
della criticità rappresentata dai “tempi di attesa” –
la necessità di «recuperare al Servizio
sanitario nazionale il suo tratto unitario» pur nel rispetto di una riforma
costituzionale che assegna alle Regioni il compito di legiferare in materia
sanitaria (vincolandole, in ogni caso, al rispetto dei principi fondamentali la
cui determinazione è riservata alla legislazione statale).
C’è da chiedersi se a contrastare
i processi di differenziazione dei livelli delle prestazioni fornite in ambito
regionale – quelli “ordinari”, così come quelli inevitabilmente innescati con
la riforma – sarà sufficiente il “tavolo permanente di
consultazione con le Regioni” al quale il Ministro ha affidato il compito di «governare il sistema privilegiando il metodo
della condivisione su tutte le grandi questioni aperte in materia di tutela
della salute».
Di certo occorre che lo Stato
eserciti efficacemente il proprio potere/dovere di determinare con legge «i livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il
territorio nazionale» (7) e, nel caso specifico, operi una
attenta verifica sull’attuazione dei livelli essenziali di assistenza
sanitaria previsti dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29
novembre 2001 – che ha assunto forza di legge con l’approvazione dell’articolo
54 della già citata legge finanziaria 289 del 2002 – esercitando, se del caso,
i poteri sostitutivi che ad esso competono.
A tale proposito è opportuno che
nella definizione del “Nuovo patto per la spesa sanitaria” – da stipularsi tra
Stato e Regioni – si abbia chiara nozione che non si devono
comprimere i diritti fondamentali in funzione di tetti di spesa prestabiliti,
ma che, al contrario, si tratta di agire sulla dislocazione complessiva delle
risorse assicurando che – per la soglia minima di ogni servizio
costituzionalmente previsto – vi siano risorse certe e vincolate. È quindi
auspicabile che l’impegno – contenuto nelle linee programmatiche – a far sì che
il nuovo sistema di finanziamento sia composto «di una parte “ordinaria”, che assicura risorse adeguate ai costi dei
Lea nelle Regioni con performance migliori» venga
puntualmente mantenuto.
Ma, come accennato all’inizio di
questo paragrafo, nel testo programmatico aleggia anche il tema della “sussidiarietà orizzontale” che – comunque
declinata – tende ad attribuire una maggiore importanza agli obblighi ed ai
doveri della persona piuttosto che ai diritti del cittadino. Nel documento, ad
esempio, si richiama – con una certa enfasi – il «dovere di non ammalarsi» inteso «come assunzione piena di responsabilità di tutti gli attori per
evitare le patologie evitabili con stili di vita salubri e azioni di
prevenzione efficaci».
Posto che non è il caso di
arrovellarsi, in questa sede, sul concetto di “stile di vita” – pur
domandandosi se competa allo Stato definirlo (ove lo
stesso non costituisca un reato) – occorre però segnalare quanto sia pericoloso
“collegare”, anche solo concettualmente, il «dovere
di non ammalarsi» con il «diritto ad
essere curati». Se l’esigibilità di un diritto, quale quello
alle cure, venisse subordinato all’assolvimento del dovere a tenere un
certo tipo di comportamento, si potrebbe arrivare a “legittimare” la
possibilità di escludere alcuni cittadini – ad esempio i fumatori, gli
alcolisti, i tossicodipendenti, ecc. – dalle cure: con beneficio delle finanze
pubbliche, ma con imprevedibili conseguenze sul piano della convivenza civile. Resta
poi aperto il problema di coloro che – per ragioni economiche e sociali – lo
“stile di vita salubre” sono costretti a barattarlo, quotidianamente, con la
permanenza in una abitazione inadeguata e/o con un
lavoro rischioso che garantisce, però, la sussistenza.
Integrazione socio-sanitaria e cure primarie
Nel documento del Ministro della
salute assume un ruolo centrale la proposta di sperimentare, in alcune realtà
ed attraverso il sostegno del Ministero, la “Casa della salute”: una struttura
polivalente in grado di erogare le cure primarie e di garantire la continuità assistenziale dall’ospedale al domicilio del cittadino. Una
continuità delle cure che – secondo l’On. Turco – si può realizzare solo
attraverso l’integrazione socio-sanitaria.
Sul concetto di
integrazione socio-sanitaria – da molti ritenuta la “panacea di tutti i
mali” del sistema sanitario – questa rivista si è ripetutamente espressa
segnalando quanto siano negative «le
proposte fondate sulla presunta necessità di porre sullo stesso piano le competenze della sanità e
del settore socio-assistenziale per quanto concerne la programmazione e la
gestione degli interventi» (8). L’integrazione socio-sanitaria alla quale
fa riferimento il Ministro – prevista dai Lea – deve pertanto venire assicurata
con i criteri di erogazione delle prestazioni
sanitarie. Evitando cioè che prevalgano le regole del
settore socio-assistenziale (limitazione delle prestazioni ai soggetti in
condizioni di disagio socio-economico, ridotti orari di apertura degli uffici
preposti all’accesso ai servizi, tempi lunghi occorrenti per l’accertamento del
diritto agli interventi, ecc.) come si verificherebbe se le prestazioni
socio-sanitarie dovessero essere sempre concordate tra i due settori.
Le cure
medico-infermieristiche domiciliari (l’attività del medico di medicina generale, degli
specialisti, degli infermieri e dei riabilitatori,
l’ospedalizzazione a domicilio e l’assistenza domiciliare integrata) devono
dunque essere fornite secondo le norme vigenti in materia sanitaria. Solamente
se del caso – e cioè quando ne è stato accertato il
diritto – tali prestazioni dovranno essere integrate dagli interventi socio
assistenziali. Sarebbe inoltre opportuno che – per favorire il massimo sviluppo
delle cure domiciliari – fra le prestazioni sanitarie venissero
inseriti interventi di natura economica a favore dei congiunti e delle terze
persone che volontariamente accettano di svolgere una parte dei compiti
attribuiti dalle vigenti leggi alla sanità.
Altro nodo da sciogliere – con
riferimento all’assistenza primaria – è quello del distretto. Si tratta cioè di capire, secondo quanto afferma il Ministro «come mai, pur previsto nel decreto
229/1999, il distretto non è diventato ciò che doveva diventare». Potremmo
suggerire – in proposito – che il problema risiede essenzialmente nella
sostanziale non applicazione del “decreto Bindi” (9) da parte delle Regioni,
chiamate a disciplinare, con proprie leggi, l’articolazione in distretti dell’unità sanitaria locale e a dettarne le
norme per l’organizzazione in modo da garantire l’assistenza primaria
(comprensiva della continuità assistenziale), il
coordinamento dei servizi di base con quelli specialistici ed ospedalieri e
l’erogazione delle «prestazioni sanitarie
a rilevanza sociale, connotate da specifica ed elevata integrazione, nonché
delle prestazioni sociali a rilevanza sanitaria se delegate dai Comuni».
Quanto alle possibili soluzioni,
si tratta forse di rafforzare i poteri dei Comuni – rappresentanti delle istanze espresse dalle comunità locali – nei confronti dei
Direttori generali delle Asl che, già in vigenza
dell’attuale normativa, avrebbero l’obbligo di approvare i programmi relativi
alle attività socio-sanitarie distrettuali previa intesa con i “Comitati dei
Sindaci”. Infine giova ricordare che in coerenza con tale impostazione si muove
anche l’articolo 19 della legge n. 328/2000 (10) che demanda al Piano di zona,
di norma adottato attraverso un accordo di programma, l’individuazione – da
parte dei Comuni associati d’intesa con
le Aziende sanitarie locali per gli interventi sociali e socio-sanitari – delle
«modalità organizzative dei servizi e
delle risorse finanziarie, strutturali e professionali»; nonché
delle «modalità per garantire, a livello
territoriale, l’integrazione tra servizi e prestazioni e la concertazione inter
istituzionale».
Per evitare che la “Casa della
salute” si configuri come un mero contenitore, occorre dunque fare chiarezza
sulle competenze istituzionali nell’erogazione delle prestazioni di livello
essenziale, mettendo i Comuni nelle condizioni di tutelare il diritto alla
salute della cittadinanza rappresentata. Si tratta inoltre di contrastare
l’impostazione “culturale” – ormai dilagante – secondo la quale
è prerogativa del servizio
sanitario assicurare la cura della malattia nelle sue fasi acute, mentre la
cronicità, in tutte le sue manifestazioni, viene espulsa dalla pienezza del
diritto alla salute. Alla sanità è richiesto – in sintesi – di assumere
direttamente tutte le valenze umane, relazionali e sociali nell’ambito delle
attività di prevenzione, cura e riabilitazione che il sistema sanitario è
chiamato a svolgere a beneficio di tutta la popolazione, senza distinzione di
condizioni individuali o sociali e secondo modalità
che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti dei servizi.
Criticità del sistema ed azioni da realizzare
Il quadro delle grandi criticità
evidenziato dal Ministro appare, a dir poco, “sintetico” (i tempi di attesa per accedere alle prestazioni ed agli interventi;
la mobilità Sud/Nord generata dal non adeguato livello dei servizi sanitari del
Mezzogiorno; le carenze e le diseguaglianze
nell’oncologia). Non avrebbe certamente nuociuto un approfondimento maggiore,
soprattutto con riferimento ai soggetti deboli del sistema e, in particolare, a
coloro che non sono in grado di tutelarsi e che hanno
la necessità che il nuovo Parlamento ed il nuovo Governo assumano provvedimenti
concreti che riconoscano diritti effettivamente esigibili (11).
Anche per
quanto attiene alle dieci azioni “di contrasto” che il Ministero ha avviato o
intende avviare, il giudizio è che appaiono caratterizzate da una notevole
genericità (in particolare, come già osservato, «l’impegno per le disabilità» e «l’attenzione
alle persone anziane»). Per le
suddette ragioni riteniamo utile ed opportuno segnalare nuovamente quelle che,
a nostro avviso, sono le esigenze più pressanti che il
Ministero della salute – direttamente o d’intesa con gli altri dicasteri –
dovrebbe considerare.
In primo luogo andrebbero
adottati i provvedimenti necessari al riconoscimento della condizione di malati
dei giovani, degli adulti e degli anziani colpiti da patologie invalidanti e da
non autosufficienza, delle persone affette dal morbo di Alzheimer
e dei soggetti con altre forme di demenza senile, assicurando loro, senza
alcuna interruzione, la continuità delle indispensabili cure sanitarie e
socio-sanitarie, comprese quelle contro il dolore (12). Occorre inoltre rendere
effettivo il diritto alle cure sanitarie e socio-sanitarie domiciliari
attraverso gli opportuni interventi in sede legislativa.
Sempre con riferimento alle tematiche più strettamente sanitarie andrebbe data
attuazione al decreto del Presidente della Repubblica concernente il Progetto
obiettivo della salute mentale, garantendo i necessari finanziamenti in modo da
assicurare l’effettiva presa in carico delle persone colpite da disturbi
psichiatrici con la predisposizione dei piani personalizzati di intervento e
l’istituzione dei servizi di prevenzione e cura, dei centri diurni, dei gruppi
appartamento, nonché delle comunità alloggio terapeutiche e residenziali.
Più in generale – per quanto
attiene alla tutela della salute del cittadino – è necessaria l’approvazione di
norme dirette a far sì che questi possa designare una
persona che lo rappresenti, ove insorgano infermità che ne determinino
l’impossibilità a provvedere a se stesso, fino a quando l’autorità giudiziaria
procede alla nomina del tutore o dell’amministratore di sostegno (13).
Infine sarebbe auspicabile
l’assegnazione alle Province, alle quali dovrebbero essere sottratte tutte le
funzioni gestionali nel campo dell’assistenza sociale,
dei compiti di vigilanza in materia socio-sanitaria (ad esempio accreditamento
delle case di cura e delle strutture di ricovero), allo scopo di evitare ogni
commistione tra le funzioni di gestione (assegnate alle Asl
e ai Comuni) e quelle di controllo.
Per quanto riguarda più
specificamente le persone con handicap, gli anziani cronici non autosufficienti
ed i minori in condizioni di disagio, le esigenze più pressanti riguardano:
• l’aumento dell’importo della
pensione di invalidità (attualmente di euro 238,07 al
mese!) erogata a coloro che non sono in possesso di alcuna risorsa e che, a
causa dell’handicap che li ha colpiti, non sono in grado di svolgere alcuna
attività lavorativa proficua;
• la predisposizione di centri
diurni e di comunità alloggio per i soggetti con handicap
intellettivo o fisico grave e limitata o nulla autonomia, in modo da
garantire le necessarie prestazioni del “dopo di noi”, quando non è più
praticabile la permanenza in famiglia o presso la loro abitazione;
• l’applicazione delle vigenti
norme (articolo 25 della legge 328/2000 e decreti legislativi 109/1998 e
130/2000) in base alle quali nessun contributo economico può essere richiesto dagli enti pubblici ai parenti non conviventi con
gli assistiti, nonché a quelli conviventi nei casi in cui si tratti di ultra
sessantacinquenni non autosufficienti o di individui con handicap in situazione
di gravità;
• la valorizzazione, ferme
restando le competenze dei servizi sanitari e socio-assistenziali, delle
prestazioni domiciliari fornite dai parenti ai
congiunti colpiti da malattie o da handicap invalidanti e il riconoscimento del
volontariato intrafamiliare anche mediante l’erogazione di un rimborso
forfetario delle spese vive sostenute per le cure domiciliari, compresi gli
oneri derivanti dalle sostituzioni del familiare responsabile per le sue
incombenze (acquisti, commissioni, ecc.);
• la sospensione con effetto
immediato della realizzazione di strutture destinate al ricovero di utenti con esigenze profondamente diverse e incompatibili
(anziani cronici non autosufficienti, minori con handicap, persone dimesse
dagli ex ospedali psichiatrici, ecc.);
• l’approvazione di una legge
volta a prevenire gli infanticidi e gli abbandoni che mettono in pericolo la
vita dei neonati, nonché a fornire i necessari
sostegni alle gestanti e madri in gravi difficoltà di natura psico-sociale, anche al fine di fornire le prestazioni
occorrenti per la massima responsabilizzazione in merito al riconoscimento o
non riconoscimento dei loro nati e alle garanzie del segreto del parto come
previsto dalla legge 2838/1928 (14);
• il rispetto del termine del 31
dicembre 2006, stabilito dalla legge 149/2001, per la chiusura degli istituti
di ricovero dei minori, ivi compresi i villaggi Sos, nonché le strutture aventi più di otto posti letto anche se
organizzate nei cosiddetti gruppi famiglia;
• l’istituzione degli uffici
provinciali di pubblica tutela al fine di evitare che i compiti di tutore,
curatore e amministratore di sostegno continuino ad essere affidati ai Comuni e
alle Asl con l’inaccettabile conseguenza che detti
enti svolgono le funzioni di controllori del loro operato.
(*) Direttore del Cisap
(Consorzio intercomunale dei servizi alla persona tra i Comuni di Collegno e Grugliasco).
(1) Il documento, consegnato agli atti della
Commissione, è reperibile sul sito www.ministerosalute.it.
(2) È forse utile ricordare che con “New Deal” si intende il piano
riformistico promosso dal presidente americano Franklin Delano
Roosevelt per fronteggiare la grande depressione che
sconvolse gli Stati Uniti a partire dal 1929. Un piano di ripresa – nel quale
ebbe un ruolo centrale l’economista britannico John Maynard Keynes – incentrato
sull’intervento della Stato nell’economia attraverso
la realizzazione di infrastrutture, la regolamentazione del mercato e la
creazione di un Welfare State per sostenere la popolazione
impoverita dalla crisi.
(3) Leggi che tutelano non solo le persone colpite
da patologie acute, ma anche quelle affette da malattie croniche che
determinano condizioni di non autosufficienza. Legge 4 agosto 1955 n. 692:
l’assistenza deve essere fornita senza limiti di durata alle persone colpite da
malattie specifiche della vecchiaia; decreto del Ministro del lavoro del 21
dicembre 1956: l’assistenza ospedaliera deve essere assicurata a tutti gli
anziani quando gli accertamenti diagnostici, le cure mediche o chirurgiche non
siano normalmente praticabili a domicilio; legge 12 febbraio 1968 n. 132,
articolo 29: le Regioni devono programmare i posti letto
ospedalieri necessari a soddisfare le esigenze dei malati acuti,
cronici, convalescenti e lungodegenti; legge 13 maggio 1978 n. 180: le Usl devono assicurare a tutti i cittadini, qualsiasi sia la
loro età, le necessarie prestazioni dirette alla prevenzione, cura e
riabilitazione delle malattie mentali; legge 23 dicembre 1978 n. 833: le Usl sono obbligate a provvedere alla tutela della salute
degli anziani, anche al fine di prevenire e di rimuovere le condizioni che
possono concorrere alla loro emarginazione, qualunque siano le cause, la
fenomenologia e la durata delle malattie; articolo 54 della legge 289/2002 che
conferma l’obbligo del Servizio sanitario nazionale di curare anche le persone
colpite da cronicità e da non autosufficienza.
(4) Cfr. l’editoriale “Chiediamo al nuovo Parlamento e al nuovo
Governo provvedimenti che superino la discrezionalità/beneficenza e riconoscano
diritti esigibili ai soggetti deboli”, Prospettive
assistenziali, n. 154, 2006.
(5) Ricordiamo, come provvedimenti che pur
proclamando “nuovi diritti esigibili” non ne stabiliscono alcuno, le leggi n.104/1992 sui soggetti con handicap (con la sola eccezione
del diritto all’astensione facoltativa dal lavoro ed ai permessi di cui
all’articolo 33) e la legge n. 328/2000 di riforma dell’assistenza.
(6) Vedi l’editoriale di cui alla nota 4.
(7) A norma dell’articolo 117, comma 2, lettera m)
della Costituzione.
(8) Cfr. l’articolo “Osservazioni e proposte in merito
all’integrazione socio-sanitaria”, Prospettive
assistenziali, n.153, 2006.
(9) Decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229
“Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale a norma
dell’articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n.
(10) Legge 8 novembre 2000, n. 328 “Legge quadro per
la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”.
(11) Alcuni dei quali dovrebbero venire assunti
nell’ambito della definizione dei Liveas (Livelli
essenziali di assistenza sociale) di cui alla legge 328/2000.
(12) Continuiamo ad essere decisamente contrari alla
creazione di un fondo per i non autosufficienti per i motivi indicati negli
articoli pubblicati su Prospettive
assistenziali: “Una irragionevole e controproducente proposta di legge dei
Sindacati dei pensionati Cgil, Cisl
e Uil sulla non autosufficienza”, n. 152, 2005 e “Gli
ingannevoli presupposti della proposta di legge dei sindacati dei pensionati Cgil, Cisl e Uil
sulla non autosufficienza”, n. 153, 2006. Cfr. inoltre Mauro Perino, “Livelli
essenziali di assistenza sanitaria, sociosanitaria e sociale”, Appunti sulle politiche sociali, n. 2,
2006.
(13) Si vedano il disegno di legge n. 1050 “Modifica
al codice civile in materia di tutela temporanea della salute dei soggetti
impossibilitati a provvedervi personalmente” presentato al Senato il 29
settembre 2005 dai Sen. Salvi e Caruso e n. 1754 con
lo stesso titolo presentato il 4 ottobre 2006 alla Camera dei Deputati dagli
On. Canotti e Nicchi.
(14) Cfr. l’articolo “Approvata dalla Regione Piemonte una valida
legge per il sostegno alle gestanti e madri in condizioni di disagio”, Prospettive assistenziali, n. 154, 2006.
www.fondazionepromozionesociale.it