Prospettive assistenziali, n. 156, ottobre - dicembre 2006

 

Considerazioni in merito alla Pastorale della salute e agli “ultimi della fila”

Pierantonio Visentin (*)

 

 

Introduzione

Il bipolarismo e l’alternanza di governo che si sono affermati da alcuni anni, sia a livello nazionale, sia a livello locale, favoriscono anche una polarizzazione del consenso e del dissenso. Se consideriamo i cittadini privilegiati (per censo, per grado di protezione sociale o per condizioni di salute), il loro giudizio può essere influenzato dalle convinzioni politiche e dai benefici ricevuti. Invece i cittadini più deboli e svantaggiati non hanno voce, e l’opinione di coloro che li assistono più da vicino è piuttosto omogenea: cambiano i governi nazionali e regionali ma non migliorano le tutele, rimanendo pressoché inalterate, ad esempio, la difficoltà di accesso alle cure e la qualità dell’assistenza.

Nel giugno del 2006 la Commissione episcopale per il servizio della carità e la salute ha presentato luci e ombre dell’odierno mondo sanitario nella Pastorale della salute, che spiega che le persone fragili non ricevono le risposte necessarie ai loro bisogni di cura, a causa dell’inadeguatezza dei modelli di sviluppo sociale, contrapposti fra un’eccessiva libertà d’iniziativa e un’esasperazione dell’uguaglianza. La crisi dei sistemi liberisti ed egualitaristi colpisce “gli ultimi della fila” e i “diritti dei deboli” diventano “diritti deboli”.

Accolgo l’invito della Redazione a presentare alcuni passi della Pastorale della salute (disponibile sul sito http://www.agensir.it/sir/dati/2006-06/05-5596/Nota_Pastorale_salute.pdf), facendoli precedere dalle definizioni dei principali modelli di politica sanitaria, che evidenziano la necessità di superare i confini delle tutele collettive per garantire meglio i diritti individuali.

 

Il modello utilitarista e il liberismo

La politica e l’economia stabiliscono l’allocazione delle risorse per la sanità, da cui dipendono le modalità di erogazione dei servizi. Per decidere quali cure devono essere assicurate ai cittadini, il modello utilitarista ricorre alla stima del rapporto costo/beneficio, convertendo in denaro sia i costi delle cure e degli insuccessi degli interventi sanitari (a numeratore), sia il valore dei benefici e delle conseguenze positive (a denominatore). Per l’utilitarismo sono ottimali quegli interventi che forniscono i maggiori vantaggi economici alla collettività in termini di costo/beneficio. Il problema è che questo metodo non tiene conto dei fattori che non possono essere monetizzati, quali le preferenze dei pazienti e, soprattutto, i problemi etici. In questo modo le minoranze che non producono reddito (poveri, disabili) risultano doppiamente svantaggiate, perché nel calcolo del costo/beneficio di un intervento sanitario i valori etici non hanno nessun peso economico e perché i costi finali non possono essere sgravati da nessun saldo positivo legato alla ripresa della produttività conseguente al successo terapeutico. Poiché il modello utilitarista garantisce il maggior vantaggio economico possibile all’intera comunità, esso può andar bene, ad esempio, se si deve decidere quando conviene vaccinare gratuitamente tutta la popolazione, perché in questo caso il disastro economico legato ad un’epidemia risulterebbe ampiamente superiore ai costi sostenuti per l’intervento preventivo. Ma se l’intervento sanitario è rivolto ad un numero ristretto di cittadini, allora il modello utilitarista non garantisce nemmeno un livello minimo decente di cure per i più bisognosi, perché massimizza solo i benefici collettivi e non quelli delle minoranze, in quanto questi ultimi sono in conflitto con l’esigenza di massimizzare il benessere col­lettivo.

Il significato dell’utilitarismo nell’economia sanitaria è più chiaro se si considera l’esempio degli esami clinici preventivi per gruppi di soggetti vulnerabili a rischio di eventi sanitari indesiderati. In questi casi i programmi statali tendono a non prevedere esami gratuiti a scopo preventivo, perché risparmiando quei soldi si sviluppa di più l’economia, aumenta la ricchezza e i cittadini possono pagarsi più facilmente da soli quegli esami. Questa posizione può essere sostenuta da stime rigorose, che possono dimostrare che in alcuni casi conviene, economicamente, spendere per curare il numero relativamente limitato di malattie che si manifestano, piuttosto che spendere per fare della prevenzione in un numero di soggetti più elevato per lungo tempo. Così, escludendo dalla prevenzione una minoranza di persone a rischio, viene massimizzato il benessere economico collettivo. Se poi quel sistema statale è così liberista che prevede che le cure ognuno se le paghi da solo, allora è evidente che non conviene quasi mai, al servizio pubblico, offrire la preven­zione.

L’utilitarismo è fondato sul mercato e tende ad affermarsi con i modelli economici di stampo liberista. Il liberismo nacque nel diciottesimo secolo, nella convinzione che dovesse essere evitata qualsiasi forma di intervento regolatorio e fiscale sull’industria, perché le limitazioni all’impresa non avrebbero aggiunto ricchezza alla comunità, giacché l’industria non è creatrice di valori (come invece è l’agricoltura), ma opera solo delle trasformazioni. Il grido di battaglia di allora (laissez faire, laissez passer”) è stato ripreso dagli odierni sistemi neoliberisti. Il sistema sanitario statunitense si basa su un misto di premesse liberiste e di principi utilitaristi. è un sistema privatistico che ricorre alle assicurazioni contro le malattie. Solitamente è il datore di lavoro che paga la polizza assicurativa per le malattie ai propri dipendenti, considerandola una voce dello stipendio. Le prestazioni sono tabellate in funzione del premio assicurativo. Chi non lavora non fruisce di assicurazione e solo in qualche caso il sistema pubblico interviene sostenendo forme assicurative per anziani e disoccupati.

In Italia le spinte liberiste possono intervenire determinando le politiche economiche generali dalle quali dipendono i finanziamenti a tutti i servizi pubblici, mentre il nostro servizio sanitario non è di tipo utilitarista. Tuttavia la sanità italiana non è esente da forme di liberismo che la possono influenzare ad esempio favorendone l’autoregolamentazione, specie locale, cosa che si verifica quando un’amministrazione regionale non elabora un piano sanitario.

 

Il modello egualitarista

In contrapposizione alle teorie liberiste, il modello egualitarista sostiene che la finalità delle politiche sociali è quella di massimizzare i benefici di coloro che sono più svantaggiati. Attraverso il prelievo fiscale vengono sostenute forme di ridistribuzione della ricchezza che si prefiggono di assicurare l’assistenza sanitaria gratuita per tutti, anche per gli indigenti. Un primo nodo critico di questo sistema è la modalità del prelievo fiscale, perché possono esservi delle disequità in tutte le forme di tassazione: nella fiscalità fissa (dove, in proporzione, pagano di più i meno abbienti), nella fiscalità progressiva (se le aliquote applicate in funzione del reddito sono troppo pesanti per i redditi più bassi e troppo leggere per i redditi più alti) e nei pagamenti dei ticket (ove pagano solo i malati). Ma il punto più critico del modello utilitarista è la difficoltà di assicurare tutte le cure possibili, perché la crescita della spesa sanitaria rende sempre più difficile il rimborso delle prestazioni, fino a determinare la necessità di scegliere quali prestazioni debbano essere assicurate e quali no, in base alla maggiore o minore efficacia. Il criterio di riferimento non è più il rapporto costo/beneficio, ma il rapporto costo/efficacia. Nel caso di una terapia farmacologica, il calcolo del rapporto costo/efficacia si prefigge di fornire una risposta al seguente quesito: i vantaggi indotti dal farmaco (ad esempio la prevenzione dell’infarto o dell’ictus) sono così rilevanti (cioè è sufficiente trattare un numero limitato di soggetti per constatare che si prevengono degli eventi indesiderati), al punto da meritare il sostegno del servizio pubblico? La risposta può non essere semplice, ma questo è un modo corretto di affrontare il problema. Purtroppo le difficoltà aumentano ulteriormente se, invece di decidere sulla prescrivibilità dei farmaci, bisogna decidere sul pagamento delle prestazioni assistenziali legate alla persona. In questo caso dovrebbero essere stabiliti quali sono i livelli minimi di assistenza che vengono riconosciuti in determinate circostanze, ma questi livelli non sono sufficientemente dettagliati e non vengono fornite garanzie di esigibilità.

Dal punto di vista storico ed economico il modello egualitarista trae i propri presupposti dalla critica all’accumulazione del capitale e dal materialismo storico marxiano, che pone a guida della storia la concreta azione con cui gli uomini modificano e trasformano le condizioni di vita (praxis). Quel pensiero è stato ripreso da ideologie rivoluzionarie e da molteplici democrazie riformiste, che hanno adottato svariate forme di controllo del mercato e di contrasto alla disuguaglianza. Essendo fondato sulla ridistribuzione della ricchezza, il modello egualitarista entra in crisi quando non ci sono ricchezza e consenso sufficienti.

Oggi nelle democrazie occidentali convivono istanze liberiste ed egualitariste, variamente rappresentate, che concorrono a determinare l’impegno dello Stato nell’erogazione dei servizi. In riferimento ai servizi sanitari gli analisti internazionali più accreditati giudicano che i Paesi in cui vengono assicurati i migliori livelli di assistenza sanitaria siano la Francia e l’Italia.

 

La pastorale della salute

Una visione del mondo attuale della salute, volta ad evidenziarne luci ed ombre, è presentata nella I parte della recente Nota pastorale della Commis­sione episcopale per il servizio della carità e la salute (Roma, 4 giugno 2006), che si articola in 69 riflessioni e indicazioni. La Pastorale «riconosce e ap­prezza l’impegno profuso dai responsabili della vita politica e amministrativa nel promuovere e salvaguardare il diritto, costituzionalmente sanzionato, alla tutela della salute dei cittadini, e nell’assicurare al mondo sanitario il più alto livello scientifico e tecnico e le più ampie garanzie sociali» (riflessione numero 6). Ma il giudizio non è altrettanto lusinghiero se si considerano i risultati per l’utenza. Infatti il documento pastorale evidenzia che in sanità «una buona crescita a livello tecnico e specialistico ha portato anche a una cura settoriale e frammentata, a scapito di un approccio olistico della persona» e «sono diminuite alcune figure professionali indispensabili per il servizio di base al malato». Le conseguenze sono evidenti se si considerano le persone con fragilità psichica e mentale: «Senza un’accoglienza e una cura totale della persona è difficile che una semplice terapia farmacologica, per quanto specializzata, possa rivelarsi davvero efficace» (14). è sottolineata la necessità di passare dal «curare» al «prendersi cura», secondo la distinzione del mondo anglosassone fra il singolo atto terapeutico (cure) e la globalità dell’assistenza (care). «La visione riduttiva della persona umana e gli interessi economici legati alla gestione delle strutture sanitarie» (…) rallentano e ostacolano le iniziative a tutela dei diritti «dei disabili, delle persone affette da forme gravissime di sofferenza psichica, dei lungodegenti e degli inguaribili, dei malati cronici, di quanti necessitano di riabilitazione estensiva a lungo termine», trasformando i diritti di questi “ultimi della fila” da “diritti dei deboli” a “diritti deboli” (13).

A proposito dei sanitari viene lamentato «un contesto in cui vi sono tensioni, conflittualità, difficoltà di dialogo e di comunicazione tra le persone che nuoce alla cura del malato» (25), mentre «i programmi formativi, che raggiungono buoni livelli nel campo medico e infermieristico, mostrano invece spesso significative carenze in quello antropologico ed etico», situazione che «può considerarsi come uno dei fattori all’origine del logorio psicologico (…) di molti operatori sanitari» (17).

Osservando complessivamente i malati più fragili, la Pastorale rileva che «la disabilità è considerata più come ostacolo che non come provocazione, più come bisogno assistenziale che non come domanda di riconoscimento esistenziale» (11) e «non si risponde adeguatamente ai bisogni di quelle fasce di persone che non rispondono a canoni di efficienza e produttività» (13). «Anche l’adozione indiscriminata del modello aziendale in ambito sanitario, seppur motivata dall’esigenza di organizzare i servizi in maniera più efficiente, si presta al rischio di privilegiare il risultato economico rispetto alla cura della persona»; inoltre «l’aver demandato a livello regionale rilevanti competenze per la tutela della salute deve comporsi con la garanzia, assicurata in misura uguale sull’intero territorio nazionale, dei livelli essenziali delle prestazioni» (7). La riflessione numero sette ha un ruolo centrale nell’analisi della Pastorale, perché da essa si evince che i sistemi politici ed economici non sono in grado di fornire adeguate risposte normative alle domande di salute. «Le difficoltà sperimentate dal legislatore nel rispondere in maniera adeguata ai bisogni di cura e di salute dei cittadini si comprendono più facilmente, se si considera che a tali sforzi spesso si contrappongono visioni culturali e sociali inconciliabili con il perseguimento del bene comune. Un’eccessiva libertà d’iniziativa, ad esempio, rischia di emarginare i soggetti più deboli, mentre l’esasperazione dell’uguaglianza dei servizi socio-sanitari resi alla popolazione può ingenerare burocratizzazione della risposta, passività e acquiescenza dell’utente». Liberismo ed egualitarismo si troverebbero, per loro stessa natura, nell’impossibilità di intervenire adeguatamente nel mondo della salute. Con il fallimento dei modelli politici e sociali la Chiesa afferma come unica soluzione l’adesione ai valori della fede.

 

I potenziali contributi per gli “ultimi della fila”

Alla «diffusa mentalità materialista, efficientista ed edonista» (32), la Pastorale della salute contrappone delle linee operative per le comunità cristiane (parti II e III della Pastorale), con cui realizzare l’opera di evangelizzazione della Chiesa. Accanto alle indicazioni per il clero e per i fedeli, la Nota auspica il coinvolgimento del più ampio numero di persone di buona volontà e prospetta linee di collaborazione con gli specialisti del settore sanitario, per un uso appropriato delle tecniche assistenziali e delle tecnologie sanitarie.

Questa volontà di apertura non si percepisce se si fa riferimento alla critica dei sistemi liberisti ed egualitaristi, la cui crisi è così profonda da mettere in difficoltà lo stesso legislatore. I problemi del liberismo e dell’egualitarismo si esauriscono con la loro enunciazione, come a sostenere che questo non è un tema pertinente alla Pastorale della salute, o come a voler sancire l’assenza di soluzioni nell’ambito delle scienze politiche, economiche e sociali. Naturalmente, la critica all’eccessiva libertà d’iniziativa può essere anche interpretata come una preferenza per un liberismo moderato, così come la critica all’esasperazione dell’uguaglianza può essere interpretata come una preferenza per un egualitarismo anch’esso moderato. Utili chiarimenti possono provenire dai documenti con cui la Chiesa promuove l’impegno dei cattolici nella politica.

Anche a fronte di un’insufficienza o di un fallimento dei modelli liberisti ed egualitaristi, è evidente che non può venire meno l’opera del legislatore, quale espressione dell’irrinunciabile scelta democratica dei cittadini, da cui dipendono le norme per il convivere civile. E la Pastorale non disconosce affatto l’importanza delle norme che tutelano il diritto alla salute, sottolineando che tale diritto è «costituzionalmente sanzionato» (6). Ma ognuno può osservare, quotidianamente, che sono sempre più disattesi l’applicazione, il controllo e il sanzionamento delle norme (esistenti) che tutelano i più deboli e che le formazioni politiche mirano più a fare proselitismo che a risolvere i problemi. Di fronte a ciò, leggendo le riflessioni della Pastorale, nessuno dovrebbe sentirsi esentato dall’impegno a coltivare una migliore capacità critica, non ricorrendo alla critica solo per fare dell’antagonismo, ma sviluppando una propensione per l’autocritica, al fine di affrontare le contraddizioni che affliggono i modelli di sviluppo della società. Ad esempio, come può, oggi, un sistema liberista, misurare il progresso ancora in termini puramente economici di tipo statalistico? E come può, un sistema egualitarista, tutelare le persone più deboli se tende anch’esso a massimizzare i vantaggi economici collettivi, ricorrendo all’azione politica propria della mobilizzazione per classe?

La sfida cui sono chiamati i cittadini che vogliono partecipare alla vita del loro Paese, interessandosi anche degli “ultimi della fila”, è quella di superare i confini delle tutele collettive per assicurare migliori tutele individuali. Tutele collettive e tutele individuali non sono contrapposte perché le seconde discendono dalle prime. Tutti possono praticare questo percorso che conduce ad un maggiore rispetto dei diritti individuali.

 

 

(*)  Geriatra, Ospedale Molinette di Torino.

 

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