Prospettive assistenziali, n. 156, ottobre - dicembre 2006

 

 

L’ACCESSIBILITÀ DEGLI SPAZI: UN FONDAMENTALE DIRITTO UMANO

Eugenia Monzeglio (*)

 

 

 

Recentemente, a livello dell’Unione europea e pertanto coinvolgendo i venticinque Stati membri, è stato sancito, grazie ad un accordo tra i Ministri comunitari dell’economia e delle finanze, che l’accessibilità diventi un requisito obbligatorio per ottenere finanziamenti pubblici nell’ambito dei Fondi strutturali europei.

Tale disposizione è di importanza capitale per più ordini di motivi, sia perché si appella a un’esigenza di vivibilità, che va ben oltre a diritti sanciti da disposti normativi, sia perché, coinvolgendo tutti i Paesi membri dell’Unione europea, prevede e prefigura un’estensione del principio dell’accessibilità.

Progetti di grandi investimenti nei settori dell’ambiente, dell’occupazione e dei servizi, della società, della conoscenza, delle infrastrutture di trasporto, delle ristrutturazioni urbanistiche, urbane ed edilizie, dell’educazione e della cultura, sono stati realizzati ricorrendo ai Fondi strutturali europei.

Infatti, anche se, come tutti gli altri cittadini europei, le persone con disabilità possono beneficiare dei fondi europei, è evidente che la mancanza o la carenza di specifici requisiti, come quello dell’accessibilità degli spazi, ne impediscono la reale possibilità di fruizione.

Prima di avanzare nella trattazione, mi sembra importante fare una precisazione circa la terminologia adottata. Anche se su Prospettive assistenziali viene utilizzato il termine “persona con handicap”, ho preferito riferirmi alla terminologia più usata a livello internazionale (“persona con disabilità”), ben consapevole che la parola “disabilità”, nella nostra lingua, assume il significato di mancanza di abilità e quindi connota riduttivamente una persona, che può avere difficoltà, limitazioni o incapacità nel compiere talune attività, ma può ampiamente eccellere in altre, superando le abilità delle cosiddette persone “normali”. Pertanto intendo “persona con disabilità” l’essere umano con alcune limitazioni o minorazioni, che è comunque in grado, salvo i casi di estrema gravità, di compiere attività anche complesse. Inoltre, come si tenterà di sottolineare più avanti, la “disabilità” della persona, come difficoltà o impossibilità a svolgere talune azioni, spesso è conseguenza di quanto la società, attraverso la sua organizzazione politica, economica, giuridica, ecc., non ha fatto o non ha dato per permettere a qualsiasi persona di agire, di realizzarsi, di entrare in relazione con gli altri, in definitiva di scegliere la propria vita. A tal fine è evidentemente indispensabile che vengano forniti i necessari strumenti per la formazione scolastica e professionale, siano assicurati gli opportuni sostegni e sia garantita la piena inclusione sociale.

L’inserimento dell’accessibilità, come precondizione e prerequisito indispensabile per l’accesso ai finanziamenti di un progetto, è stato fortemente voluto dal Foro europeo sulla disabilità (European Disability Forum - Forum européen des personnes handicapées), associazione europea costituita nel 1996 da molti Consigli nazionali sulla disabilità dei Paesi membri e da organizzazioni non governative dell’Unione europea.

L’obiettivo di fondo del Foro europeo sulla disabilità è di assicurare ai cittadini europei, colpiti da menomazioni o con limitazioni, il pieno accesso ai diritti umani fondamentali anche attraverso il coinvolgimento attivo e la partecipazione negli sviluppi e nell’applicazione delle politiche.

Considerare che accessibilità ed inclusione sociale, raggiungibili anche attraverso una progettazione universale ed inclusiva di spazi ed oggetti, siano un diritto umano, è indubbiamente una recente consapevolezza, che richiede ed impone che le strategie siano concrete, operabili e velocemente attuabili, perché la violazione dei diritti umani è sempre inaccettabile e l’inaccettabilità è indipendente dalla struttura del diritto che regola una determinata realtà o un determinato Stato.

Prima di proseguire, occorre precisare che l’accessibilità di spazi ed oggetti (di cui si occupa la presente riflessione) è solo uno degli elementi favorenti l’inclusione ed è mediata e permessa da altri strumenti e da altri supporti che coinvolgono l’ambiente complessivamente inteso: lo spazio che lo definisce, i tempi per agirlo, le modalità, i rapporti tra le persone, i sistemi di informazione e comunicazione, le tecnologie, ecc.

 

2007: Anno europeo della parità di opportunità per tutti

Un’altra importante iniziativa, sempre a livello dell’Unione europea, riguarda la proposta del Parlamento europeo e del Consiglio di proclamare il 2007 Anno europeo della parità di opportunità per tutti, contro la discriminazione, verso una società più giusta. Dalla lettura della proposta [proposta Com (2005) 225, procedura Codecisione Cod/2005/107 non pubblicata sulla Gazzetta ufficiale] emergono i seguenti obiettivi specifici:

- sensibilizzare l’opinione pubblica nei confronti del diritto all’uguaglianza e alla non discriminazione;

- suscitare un dibattito sugli strumenti necessari per potenziare la partecipazione alla società;

- celebrare ed accogliere la diversità;

- operare a favore di una società più solidale.

 

Valori e principi dell’Unione europea

Valori e principi comuni dell’Unione europea, che devono essere diffusi e trasmessi all’intera popolazione europea, consistono nel fatto che «ogni persona, indipendentemente dal sesso, dalla razza o dall’origine etnica, dalla religione o dalle sue convinzioni, dalla sua disabilità, dall’età e dall’orien­tamento sessuale, ha diritto alla parità di tratta­mento».

In particolare l’aspetto relativo a «celebrare ed accogliere la diversità» si propone di «far prendere coscienza del contributo positivo che ogni persona, indipendentemente dal sesso, dalla razza, dall’origine etnica, dalla religione o dalle sue convinzioni, dalla sua disabilità, dall’età e dall’orientamento sessuale, può fornire alla società complessivamente».

Si può cogliere il duplice approccio al tema della disabilità: da un lato si sottolinea l’esistenza delle discriminazioni attuate nei confronti delle persone con disabilità, al pari delle discriminazioni sessuali, razziali, etniche, religiose, ecc., dall’altro si afferma l’esigenza di attuare strategie per l’inclusione e la pari opportunità per tutti, ivi compresa l’attenzione alla disabilità.

Tale attenzione era già stata manifestata nella “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, suddivisa in sette capitoli (dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza, giustizia, disposizioni generali), che costituiscono la sintesi dei valori condivisi dagli Stati membri.

L’art. 21 (Non discriminazione) vieta «qualsiasi discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convenzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l’età o le tendenze sessuali».

L’art. 26 (Inserimento dei disabili) afferma che «l’Unione riconosce e rispetta il diritto dei disabili di beneficiare di misure intese a garantirne l’autonomia, l’inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità».

È particolarmente importante che il riferimento alle discriminazioni subite dalle persone con disabilità sia contenuto in un documento, come la Carta europea dei diritti fondamentali, che non è rivolto specificatamente ai problemi della disabilità, proprio perché tali temi sono ricondotti in un’ottica più ampia che riguarda i diritti fondamentali di qualsiasi essere umano, uscendo dai recinti della sicurezza sociale e dell’assistenzialismo.

 

Normative europee

Sempre nel 2000, la “Direttiva (2000/78/Ce) del Consiglio dell’Unione europea del 20 novembre 2000 relativa alla creazione di un quadro generale a favore dell’uguaglianza di trattamento in materia di occupazione e lavoro” riconosceva che la mancanza di una ragionevole sistemazione nel posto di lavoro può costituire discriminazione. La ragionevole sistemazione può comprende misure e provvedimenti volti ad adattare il posto di lavoro alle specifiche esigenze di lavoratori con disabilità e tali soluzioni fanno riferimento allo spazio fisico ed alle sue dotazioni, alle attrezzature, ma anche all’organizzazione lavorativa, ivi compreso l’orario.

È evidente l’importanza di questa direttiva, perché colloca le difficoltà di accesso al lavoro e di svolgimento dello stesso per le persone con disabilità all’interno di una direttiva europea, che non è di tipo assistenziale e rivolta ad una sola “categoria” di persone, ma tratta di un diritto umano, quello al lavoro, spesso fortemente limitato e caratterizzato da difficoltà di accesso, da discriminazioni e da mancanza di pari opportunità.

Già in precedenza, la “Risoluzione del Consiglio dell’Unione europea e dei rappresentanti dei Governi degli Stati membri” del 20 dicembre1996 riguardava le strategie in materia di disabilità volte a promuovere la parità di opportunità, eliminare le discriminazioni e riconoscere i diritti delle persone con disabilità.

Anche il Trattato di Amsterdam, firmato il 2 ottobre 1997 ed entrato in vigore nel 1999, volto ad apportare alcune modifiche al Trattato sull’Unione europea ed al Trattato che istituì la Comunità europea, colloca in primo piano i diritti fondamentali, ribadendo l’esigenza di una più efficace lotta contro la discriminazione che comprende, oltre la discriminazione nazionale, anche quella basata sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, le disabilità, l’età o le tendenze sessuali e prevedendo che il Consiglio possa prendere le misure necessarie per combattere qualsiasi discriminazione.

Costituisce un elemento di innovazione l’articolo che menziona la discriminazione basata sulla disabilità; inoltre la richiesta di lotta contro tale discriminazione è stata rafforzata attraverso una dichiarazione inserita nell’Atto finale. Tale dichiarazione stabilisce che quando l’Unione europea decide delle misure per il riavvicinamento alle normative degli Stati membri, le sue istituzione debba tener conto delle esigenze delle persone con disabilità.

Nel 2003, Anno europeo delle persone con disabilità”, l’Unione europea, anche in virtù dell’apporto dell’Intergruppo disabilità al Parlamento europeo, oltre alla realizzazione di numerosi iniziative a livello europeo (tra cui il “Parlamento europeo delle persone disabili”), ha emanato risoluzioni e comunicazioni volte alla promozione dei diritti delle persone con disabilità, alla sensibilizzazione nei confronti delle difficoltà e delle barriere quotidianamente incontrate, alla richiesta di miglioramenti della qualità di vita anche attraverso la mobilità e l’accessi­bilità.

L’attività dell’Unione europea, nei confronti di uno degli elementi di discriminazione delle persone con disabilità ovvero la presenza delle barriere architettoniche e degli ostacoli dovuti all’ambiente, si è indirizzata verso due filoni: l’accessibilità dell’ambiente costruito e l’accessibilità delle nuove tecnologie informatiche.

La comunicazione della Commissione europea “Verso un’Europa senza ostacoli per le persone con disabilità” [Com (2000) 284 del 12 maggio 2000] individua, come fattore chiave dell’uguaglianza di opportunità per le persone con disabilità, l’accessibilità degli spazi attraverso l’eliminazione degli ostacoli mediante disposizioni normative, opportuni adattamenti, regole di progettazione universale.

La risoluzione ResAP (2001) 1 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sull’introduzione dei principi di progettazione universale invita gli Stati membri ad inserire in tutte le costruzioni i principi di progettazione universale: in particolare auspica che architetti ed ingegneri e tutti coloro che operano nel settore dell’edilizia, durante il loro percorso di studio, ricevano una formazione nel campo della progettazione universale, al fine di applicarla concretamente nelle loro realizzazioni

Nel 2003 viene pubblicato il volume European concept for accessibility, Technical Assistance Manual, che è espressione della filosofia europea dell’accessibilità, ritenuta un attributo essenziale di un ambiente costruito sostenibile e calibrato sulla persona (person-centred).

Il Concetto europeo di accessibilità (Eca), la cui prima formulazione risale al 1996, si basa sui principi della progettazione universale ed è rivolto non solo a tecnici (architetti, ingegneri, ecc.) ma a tutti coloro che hanno poteri di decisione nei confronti degli spazi pubblici.

Il Concetto europeo di accessibilità sottolinea che:

- obiettivo fondamentale è la realizzazione di ambienti (edifici, aree circostanti, “ambienti virtuali”) comodi, sicuri e fruibili da tutti, ivi comprese le persone con disabilità;

- i principi della progettazione universale rifiutano la suddivisione delle persone in “abili” e “disabili”;

- se è necessario, la progettazione universale comprende misure ed accorgimenti supplementari.

 

Norme internazionali

L’esigenza di tutela dei diritti delle persone con disabilità, sottolineata dall’Unione europea all’interno di direttive, risoluzioni, rapporti, è anche presente a livello internazionale, nel quadro degli strumenti internazionali sui diritti umani delle Nazioni unite.

Nel primo periodo di sviluppo del diritto internazionale, nel quadro dell’Organizzazione delle Nazioni unite, non si trovano precisi riferimenti alla condizione di discriminazione e di negazione dei diritti nei confronti delle persone con disabilità.

La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 10 dicembre 1948 stabilisce che ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella Dichiarazione stessa, senza distinzione alcuna, per ragione di razza, colore, sesso, lingua, religione, opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. Come si vede, manca il riferimento alla disabilità, che indubbiamente può rientrare all’interno delle altre condizioni. Bisognerà aspettare gli anni settanta per riscontrare la volontà di riconoscere l’esigenza di tutelare i diritti delle persone con disabilità e di individuare e diffondere strategie di promozione dell’uguaglianza e della partecipa­zione.

Importantissime sono state due prime iniziative: la “Dichiarazione sui diritti delle persone disabili” risoluzione 3447 (XXX) dell’Assemblea generale del 9 dicembre 1975 e la proclamazione del 1981 come Anno internazionale delle persone disabili.

Dopo di ciò le Nazioni unite hanno arricchito il loro intervento a favore della promozione dei diritti delle persone con disabilità sia attraverso l’emanazione di altre risoluzioni, la predisposizione di comitati ad hoc, la redazione di rapporti, sia mediante l’attività delle proprie agenzie specializzate e delle altre istituzioni del sistema quali l’Unesco, l’Unicef, l’Orga­nizzazione internazionale del lavoro, l’Organizza­zione mondiale della sanità.

Tuttavia un’insufficiente visibilità della questione dei diritti della persona con disabilità, continua a permanere. Il rapporto dell’Alto Commissariato delle Nazioni unite per i diritti umani dal titolo “Diritti umani e disabilità” del 2002 ha evidenziato una non approfondita attenzione a questi problemi ed ha auspicato che l’attività degli organismi di monitoraggio, istituiti dai sei principali trattati per la protezione dei diritti umani (Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, Patto internazionale sui diritti civili e politici, Convenzione contro la tortura, Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale, Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne, Convenzione sui diritti dell’infanzia), in futuro svolga un’attività maggiormente rivolta alla tutela dei diritti umani delle persone con disabilità.

Fra le più interessanti disposizioni emanate dalle Nazioni unite, si citano, proprio per la particolare attenzione prestata all’accessibilità fisica, le “Regole standard per il raggiungimento delle pari opportunità per le persone con disabilità”, risoluzione 48/1996 dell’Assemblea generale del 20 dicembre 1993. La norma 5 “Accessibilità” ricorda che gli Stati dovrebbero riconoscere il principio dell’importanza centrale dell’accessibilità nel processo di realizzazione delle pari opportunità in ogni sfera della vita sociale. Per le persone con disabilità di ogni tipo gli Stati dovrebbero introdurre programmi di azione per rendere accessibili gli ambienti fisici e trovare gli strumenti per rendere accessibili l’informazione e la comunicazione.

 

Diritti umani delle persone con disabilità

Perché è così importante e fondamentale riconoscere che l’accessibilità di spazi ed artefatti e l’assenza delle cosiddette barriere architettoniche (entrambe intese in senso ampio ed estensivo) fanno parte dei diritti umani, inalienabili, insopprimibili e comuni ad ogni essere umano, prima di essere diritti civili?

Se infatti l’accessibilità è un diritto della persona, dell’essere vivente ed umano, come elemento indispensabile alla vita dignitosa e sociale ed alla sua stessa sopravvivenza, l’accessibilità (nelle sue declinazioni di mobilità, orientamento, raggiungibilità, usabilità, comprensibilità e facilità d’uso, autonomia, sicurezza, piacevolezza) deve essere attuata, anche in mancanza di un apparato normativo o in presenza di una legislazione insufficiente o carente.

Ostacolare o negare il diritto alla mobilità delle persone con disabilità equivale a violare un diritto umano, in quanto il movimento è lo stato dell’uomo, è la base della sua stessa essenza. La vita umana non è concepibile in senso statico; anche quando la persona non è occupata in attività, anche durante il sonno, il corpo non è immobile, ma è soggetto a un continuo dinamismo, anche se non volontario: basti pensare a quello dell’apparato respiratorio, dei battiti cardiaci, della pressione sanguigna.

Qualora però i diritti umani non siano rispettati, la loro visibilità, il loro riconoscimento, la loro promozione vanno affermati, ribaditi, proclamati anche attraverso strumenti precettivi e vincolanti, quali la legislazione ai diversi livelli, dal diritto internazionale alle costituzioni democratiche, e nelle sue più vaste sfumature.

Tra l’altro l’invisibilità sociale e politica delle persone con disabilità, molto forte fino agli anni sessanta-settanta del secolo scorso, dovuta a discriminazione, emarginazione e segregazione fisica, accompagnata spesso dalla mancanza di opportunità e dalla possibilità di autorappresentazione, si alimentava anche attraverso la realizzazione di spazi fisici separanti, escludenti e ghettizzanti (basti pensare agli istituti di ricovero e alle strutture pseudoresidenziali nelle varie sfumature, alle scuole e alle classi definite “speciali”), attraverso il ricorso all’assistenzialismo ed alla confusione tra assistenza e servizi.

In Italia, ma ormai in numerosissimi Stati, il conseguimento dell’accessibilità, la soppressione e la non costituzione di barriere architettoniche sono ormai da tempo sancite da numerose disposizioni normative e regolamentari, statali, regionali e locali.

È quindi un diritto civile, esigibile da parte di ogni cittadino, quello di vedere rispettati i disposti normativi e, nello specifico, le norme tecniche per l’accessibilità che, se da sole non garantiscono solidale accoglienza e superamento dei pregiudizi, costituiscono però premessa e condizione necessaria per diffondere la cultura dell’integrazione e, ancor più, dell’inclusione, della pari dignità e del rispetto delle persone cosiddette “diverse”, del loro diritto alla libera mobilità ed all’autonomia.

Come può essere educativo e culturalmente formativo per un bambino vedere che il proprio compagno di scuola deve passare dall’ingresso posteriore per entrare nella scuola?

Come può essere educativo e culturalmente formativo per un bambino vedere che, in molti luoghi aperti al pubblico, il servizio igienico accessibile (quando esiste) è spesso chiuso a chiave?

Come può essere educativo e culturalmente formativo per un bambino vedere la propria mamma in carrozzina che deve aspettare fuori dal negozio, che non può entrare con lui in una gelateria, che non può accompagnarlo ai giardini, in chiesa, in spiaggia?

È quindi facile da comprendere come la possibilità di arrivare in un luogo, di entrare e di muoversi al suo interno, di usare oggetti ed elementi che lo compongono, sia un elemento fondamentale per consentire la relazione e la convivenza con altri, per permettere di vivere e, oltre alla pura sopravvivenza, di vivere una vita dignitosa e di realizzare pienamente la propria personalità.

I diritti umani delle persone con disabilità sono gli stessi di qualsiasi altra persona ovvero diritto alla vita, all’eguaglianza, alla non discriminazione, sono i diritti corrispondenti a bisogni vitali e, pertanto, sono diritti della persona, prima che del cittadino.

Parlare il linguaggio della dignità di ogni persona e dell’uguale dignità per ognuno, parlare il linguaggio dell’autonomia ovvero della possibilità di autodeterminarsi in relazione alle proprie necessità ed ai propri desideri, parlare il linguaggio dell’eguaglianza di tutte le persone indipendentemente dalle differenze che esse manifestano, significa parlare una lingua comprensibile da tutti e soprattutto valida a livello universale, in qualsiasi parte del mondo, indipendentemente dall’organizzazione statutaria e politica, dalla struttura del diritto scritto, dalla cultura, dalle consuetudini, non collegata e non collegabile quindi all’essere “cittadino” di un qualche stato e quindi ai soli diritti civili di quello Stato.

Inoltre, l’appello ai diritti umani delle persone con disabilità consente sia di rafforzare la capacità di evidenziare e denunciare la discriminazione, la mancanza di pari opportunità, la mortificazione della dignità e, in definitiva, la violazione di diritti umani delle persone con disabilità, sia di oltrepassare l’ostacolo rappresentato dalla mancata applicazione di normative (inerenti l’accessibilità, la non costituzione di barriere architettoniche e la loro eliminazione) o da una loro riduttiva, incompleta, insoddisfacente applicazione.

Se si riflette sulla non applicazione della normativa sulle barriere nei luoghi pubblici, quanti bagni nei ristoranti, nei bar, nei cinema, ecc. sono accessibili ai disabili? Sovente viene osservato che «non è applicata la legge in materia, e allora si inizia a trovare i colpevoli, si scopre che non ci sono coperture finanziarie, concludendo alla fine che certo sarebbe opportuno che tutti i luoghi aperti al pubblico fossero accessibili, ma non ci sono risorse… Diverso invece è dire che ci sono cittadini che fanno pipì quando vogliono e altri che la fanno quando possono. Chi negherebbe che fare pipì è un diritto insopprimibile?» (Giampiero Griffo, “Un problema di diritti umani”, in DM, 136, novembre 1999).

Il problema dei diritti umani della persona con disabilità non si focalizza sulla richiesta di accedere a specifici diritti, ma riguarda l’esigenza umana di disporre di un uguale, omogeneo e reale godimento di tutti i diritti umani senza esclusione, senza discriminazione.

Se la persona con disabilità ha diritto a realizzare pienamente la propria personalità «essa deve essere posta nella condizione di concretamente perseguire questo obiettivo, comune a tutti gli esseri umani. Ha pertanto diritto non già al riconoscimento di ulteriori diritti umani, bensì ad un supplemento di garanzie, ovvero alla pratica fruizione di specifiche azioni positive, di politiche pubbliche, insomma di una organica mobilitazione di risorse materiali e umane, compreso l’abbattimento delle barriere architettoniche» (“Disabilità, dignità, eguaglianza”, in Bollettino archivio pace diritti umani, n. 26-27, 2004, supplemento alla rivista Pace e diritti umani, n. 1, 2004).

 

Realizzazioni inadeguate

Se si cerca di capire i motivi della mancata, scarsa o insufficiente applicazione della normativa tecnica sull’accessibilità, spesso purtroppo si vede che c’è solo un formale adeguamento normativo, e che molte realizzazioni, pur essendo “a norma”, risultano non essere (pienamente e in modo soddisfacente) accessibili.

Il progetto dell’accessibilità e il suo conseguimento non si possono ottenere solo facendo ricorso a requisiti tecnici corrispondenti ad un corpo normativo, che pure è fondamentale per regolare una società civile e per il rispetto di diritti civili.

L’approccio tecnico-progettuale, che si appella solo al versante normativo, rivela elementi di inadeguatezza e di insoddisfazione per diversi motivi, dovuti prevalentemente alla staticità del corpus normativo ed alla conseguente necessità di revisione e di aggiornamento.

Non è sufficiente la conoscenza e la stretta e rigorosa applicazione dei parametri dati dalle norme per garantire accessibilità ed inclusione; la necessità di conoscere attentamente e riflessivamente la normativa, va nella direzione di poter e saper interpretarla criticamente, andando anche al di là di quanto viene richiesto.

La norma è importante per quanto riguarda obblighi applicativi, settori e campi di applicazione, principi e criteri, suggerimenti indicati, ma di per sé non basta per conseguire diffusi, generalizzati, positivi risultati; deve essere corredata e supportata da profondi convincimenti delle sue finalità, da specifiche, approfondite, aggiornate competenze tecniche e da coerenti comportamenti di tecnici ed amministratori.

Oltre a questo è ormai diffusa la consapevolezza della necessità di ricorrere al cosiddetto principio di fattibilità tecnologica per raggiungere determinanti obiettivi: tale principio ci dice che non è sufficiente rispettare le normative, ma occorre ricorrere alle più avanzate tecnologie, laddove esse siano presenti e disponibili.

Al riguardo esistono sentenze nel campo della tutela della salute e della sicurezza in ambito lavorativo che condannano il datore di lavoro che, pur rispettando le norme, non si era adeguato al progresso tecnologico per prevenire tecnopatie ed infortuni.

Sebbene le normative tecniche italiane nel campo dell’accessibilità e dell’eliminazione delle barriere architettoniche siano improntate su precise richieste prestazionali, ci si trova spesso, anche in interventi recenti, di fronte a soluzioni e realizzazioni (spesso relative ad interventi recenti sia di nuova edificazione sia di recupero e di riuso dell’esistente) che lasciano escluse o insoddisfatte molte persone.

È ormai ampiamente diffusa la consapevolezza che, nello svolgimento delle azioni relative al vivere, i fattori ambientali rivestano possibilità di essere elementi facilitanti o, all’opposto, ostacolanti: basti pensare all’importanza agevolante che possono avere gli elementi di arredo ed i complementi di arredo, le attrezzature, le dotazioni impiantistiche, gli elementi costruttivi, ovviamente integrati dai necessari ausili calibrati sulle esigenza della specifica persona.

La loro inesistenza contribuisce a:

- ostacolare, impedire o rendere disagevole, faticoso, pericoloso il rapporto della persona con disabilità con l’ambiente, ad esempio in relazione alla possibilità di muoversi, di spostarsi, di usare spazi, oggetti, mezzi di trasporto;

- annullare o limitare la possibilità, per la persona con disabilità, di entrare in relazione con gli altri, di partecipare alla vita sociale ed alla costruzione della società, di lavorare, studiare, curarsi, accedere alle prestazioni sanitarie, ecc., in definitiva di autodeterminarsi in relazione alle proprie necessità, abitudini, volontà, desideri.

 

Necessità della revisione della normativa tecnica

Come già sottolineato, il corpus della normativa tecnica per l’accessibilità rivela la sua inadeguatezza ad andare incontro a strategie di promozione dei diritti delle persone con disabilità.

Da tempo si va sostenendo l’esigenza di rivedere il corpus della normativa tecnica per l’accessibilità e di modificare l’approccio culturale e tecnico-progettuale in riferimento ad almeno due aspetti:

- da un alto emerge sempre più l’esigenza di ridefinire meglio e di articolare le originarie nozioni di barriere, di accessibilità e dei suoi diversi livelli, di disabilità, troppo spesso ridotte a schematismi. Tali definizioni si stanno ormai modificando anche in relazione a una terminologia in evoluzione: si pensi, ad esempio, alla recente classificazione dell’Inter­national Classification of Functionning, Disability and Health (Icf) del 2001 dell’Organizzazione mondiale della sanità. L’iniziale terminologia relativa a barriere architettoniche si è trasformata, nel campo progettuale, in barriere edilizie fisiche, barriere urbane, barriere percettive (sensoriali e cognitive) e in modo più estensivo ha coinvolto anche le barriere tecnologiche, informatiche, culturali, comunicative, ecc. Lo stesso termine di accessibilità ha avuto molte trasformazioni concettuali, che lo integrano, come quello di usabilità, ma non lo superano;

- dall’altro si va sempre più cogliendo una cultura del disagio ambientale, dove le capacità e le abilità diverse di ciascuna persona si infrangono diventando difficoltà, spesso senza essere generati da malattie, menomazioni, disabilità, ma più semplicemente dalla non accogliente configurazione dei luoghi in cui si vive, per cui ne deriva immediatamente la necessità di accrescere il livello di accoglienza degli spazi costruiti anche attraverso un rafforzamento normativo.

Ulteriore impulso a modifiche, ampliamenti ed arricchimento del concetto di accessibilità e, nel contempo, a maggiori precisazioni in relazione al settore in cui esso è applicato, viene da campi collaterali a quello del progetto per tutti (ad esempio la richiesta di accessibilità del web, le norme Iso per l’accessibilità alle tecnologie informatiche e per l’introduzione di nuovi termini come usabilità) e dalla giurisprudenza che riconosce all’accessibilità la dignità di essere qualità costitutiva fondamentale del costruito.

L’attività del Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione (Cnipa) e l’emanazione di disposti normativi per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici (legge 9 gennaio 2004 n. 4 e suo regolamento di attuazione), si muovono nella direzione di superare le barriere tecnologiche, di estendere l’accesso alle informazioni ed ai servizi, di precisare i concetti di accessibilità e di tecnologie assistive.

L’accessibilità viene intesa come capacità dei sistemi informatici di poter erogare servizi e fornire informazioni fruibili, senza discriminazioni, anche da parte di coloro che a causa di disabilità, necessitano di tecnologie assistive o configurazioni particolari. Le tecnologie assistive sono strumenti e soluzioni tecniche che permettono alla persona disabile, superando o riducendo le condizioni di svantaggio, di accedere ai servizi erogati dai sistemi informatici.

 

Usabilità e soddisfazione

L’altro concetto citato, l’usabilità, che nasce come questione e come disciplina in relazione al mondo dell’informatica, all’impiego dei videoterminali e delle interfacce informatiche, può essere applicato in altre situazioni, in particolare in quelle in cui un prodotto (ovvero tutto ciò che è progettato, realizzato ed utilizzato dall’essere umano, dall’edificio allo spazio all’aperto, all’oggetto d’uso) interagisce con un soggetto umano.

Secondo la norma Iso (9241-1998 parte 11 Guidance on Usability) l’usabilità esprime il grado con cui un prodotto può essere usato da specifici  utilizzatori per raggiungere specifici obiettivi con efficacia, efficienza e soddisfazione in uno specifico contesto d’uso, dove per contesto d’uso si intendono gli utenti, gli obiettivi, i compiti, le attrezzature e l’ambiente fisico e sociale nel quale il prodotto viene utilizzato.

Due sono gli aspetti particolarmente significativi: l’uno riguarda la triplice ricorrenza dell’aggettivo specifico, che sta ad indicare che l’usabilità non è assoluta, ma relativa e riferita alle particolari specificità delle persone che usano un prodotto, dell’ attività che svolgono, del contesto. Pertanto può accadere che, a parità di oggetto o spazio considerato e nello stesso ambito d’uso, l’usabilità sia valutata diversamente in relazione a persone diverse per diversi motivi, dalla competenza d’uso, alle abilità, alle caratteristiche fisiche, sensoriali, intellettive.

Applicare il concetto di usabilità a quello di accessibilità, nel campo del costruito (edifici, spazi urbani, elementi della costruzione, arredi, complementi di arredo ed oggetti) serve a inquadrare in una dimensione di operatività, di concretezza, di realismo un termine, del resto già sufficientemente specificato a livello normativo, ma spesso, nella pratica corrente, soprattutto da parte dei tecnici, con competenze di progettazione, controllo e collaudo, slegato da considerazioni relative alla fruizione effettiva degli spazi.

Infatti poiché l’usabilità ci dice che un prodotto non ha un’usabilità intrinseca valida per tutti, tale considerazione può completare il concetto di accessibilità per richiedere (ai diversi livelli dell’ideazione, della progettazione, della realizzazione, della gestione degli spazi costruiti e degli elementi in essi presenti) di arricchire a livello progettuale ed organizzativo, gli edifici, gli spazi, gli oggetti, i servizi, anche attraverso una progettazione multisensoriale, di offrire pluralità di opzioni senza contrapporre artificiosamente le esigenze di alcune persone contro quelle di altre, trovando invece gli elementi unificanti, che possono consistere, ad esempio, da un lato, nel limare, abbattere, togliere gli ostacoli, dall’altro nel segnalare, colmare, arricchire, integrare con ulteriori accorgimenti.

Nel campo della progettazione, il ricorso all’innovazione di materiali, tecniche e tecnologie costruttive, forme ed organizzazioni spaziali costituisce oggetto di ricerca e di sperimentazione, con difficoltà invece si riescono a far passare dovunque i principi della progettazione universale ed inclusiva, considerata troppo spesso ancora non sufficientemente degna di attenzione perché si ritiene che penalizzi la creatività progettuale, limiti la valenza estetica ed espressiva e riguardi un numero esiguo di persone, a meno che il progetto non riguardi una struttura rivolta a precise categorie di persone: un centro diurno socio-terapeutico, una struttura per Alzheimer, un ospedale e così via. Quante volte ancora adesso si sente dire «ma questo non è un progetto per disabili?».

L’altro elemento (proveniente sempre dalla definizione di usabilità), utile a completare il concetto di accessibilità, è quello della soddisfazione percepita e provata durante l’uso, collegata sia ad aspetti di comfort, di comunicatività, di comprensibilità, di intuitività, di accettazione dell’immagine, di amichevolezza e di assenza di disagio, sia alla piacevolezza, riconoscendo pertanto dignità alle qualità formali dell’oggetto/edificio, alla comunicazione emotiva con lo stesso ed ai suoi valori simbolico-affettivi.

In questa visione, si può dire che l’accessibilità sia un prerequisito per l’usabilità e che l’usabilità sia un sottoinsieme dell’accessibilità nella misura in cui ne approfondisce un aspetto, anche se i due concetti hanno ragione d’essere nella loro compresenza ed integrazione.

Inoltre, mentre una delimitazione più precisa dei rispettivi confini può essere fatta nel caso della loro applicazione nel campo delle tecnologie informatiche (l’accessibilità, in ambito web, consente la rimozioni di barriere all’accesso, ma l’abbassamento o l’annullamento delle barriere non comporta come diretta conseguenza la facilità d’uso, l’amichevolezza, la piacevolezza del sistema), altrettanto non si può dire nel campo del costruito (edifici, spazi urbani, elementi della costruzione, arredi, complementi di arredo ed oggetti).

 

Sentenza della Corte costituzionale

Un aspetto di approfondimento, o meglio di più ampia interpretazione, del concetto di accessibilità del costruito viene dal mondo della giurisprudenza, che più volte si è espressa nella direzione di riconoscere che le barriere architettoniche sotto fattori lesivi e di impedimento alla piena e libera realizzazione della persona.

Grande importanza assume la sentenza della Corte costituzionale n. 167 del 10 maggio 1999, quando afferma che «l’accessibilità (…) è divenuta una qualitas essenziale (…) quale conseguenza dell’affermarsi, nella coscienza sociale, del dovere collettivo di rimuovere, preventivamente, ogni possibile ostacolo alla esplicazione dei diritti fondamentali delle persone affette da handicap fisici».

Con questa sentenza, il concetto di accessibilità, come elemento essenziale e fondante di qualsiasi progetto (a livello urbanistico, urbano, edilizio e dell’oggetto d’uso) e come caratteristica qualitativa dello spazio costruito, oltre a far parte dei diritti umani, viene ulteriormente ribadito come diritto civile e, quindi, esigibile.

 

Progettazione universale e inclusiva

Se il concetto ampio di accessibilità ha valenza di diritto umano, e quindi universale, deve essere connotato in quella direzione anche terminologicamente. Pertanto breve è il passo che conduce all’introduzione dei termini di progetto universale e inclusivo e di progettazione universale e inclusiva, che mutua ed incorpora, dall’ambito in cui sono stati inizialmente concepiti, i concetti di Universal Design e di Inclusive Design.

Infatti i processi di concezione, progettazione, realizzazione, manutenzione e gestione di spazi, oggetti e servizi possono contribuire:

- a tutelare i diritti umani, l’autodeterminazione dell’essere umano (in ragione delle proprie aspirazioni, delle attitudini, delle scelte, dei desideri, delle necessità), l’ampliamento della partecipazione al vivere sociale, contrastando percorsi di discriminazione e di riduzione delle opportunità;

- a permettere o agevolare il passaggio dall’integrazione della persona con disabilità alla sua inclusione, proprio anche in virtù della sua partecipazione alla configurazione di un ambiente inclusivo.

La progettazione universale e inclusiva si propone come campo sperimentale ed innovativo di collaborazione per l’inclusione sociale poiché si pone come obiettivo di ottenere spazi che:

- siano accessibili ed usabili, caratterizzati quindi da possibilità di movimento, di orientamento, di fruizione in autonomia, libertà, sicurezza, benesse­re, soddisfazione e con il minimo sforzo di adattamento;

- includano ab origine, invece di escludere, le diversità umane, che non sempre sono riconducibili a situazioni di disabilità;

- incontrino il soddisfacimento di desideri e necessità degli esseri umani, in funzione delle diverse fasi della vita e delle disabilità (temporanee, permanenti, saltuarie, cicliche), senza discriminare in base a età, sesso, abilità, cultura, razza, ecc. e ricorrendo, se necessario, a strumenti “specifici” e “speciali”, intendendo il concetto di “specialità” in senso positivo ovvero con caratteristiche eccellenti.

 

Integrazione e inclusione

La progettazione universale ed inclusiva va al di là del concetto di progetto che consente l’integrazione (integrazione intesa come inserimento in un contesto predeterminato e dominante di chi prima ne era escluso), perché non propone acriticamente spazi e oggetti accessibili, non si basa su soluzioni precostituite e preconfezionate o sui soli disposti delle norme tecniche, ma si sforza di affrontare i problemi progettuali collegati all’inclusione in modo innovativo, considerando le persone con disabilità come esperte delle possibilità di ricercare e scoprire soluzioni.

Nel processo di integrazione si concedono diritti in conseguenza dell’abbandono della propria differenza: ad esempio, nel caso della residenza si realizzano alloggi accessibili solamente a piano terra, per cui si riduce la possibilità di scelta ad una persona con disabiità. Integrare vuol dire proporre, a chi sta fuori da un contesto, di adeguarsi a regole che qualcun altro ha già predisposto e fissato, nel caso in cui una persona non voglia o non sia in grado di farlo, ha una sola alternativa: rimanere esclusa.

Invece il concetto di inclusione esprime il diritto alla propria diversità o disabilità e di esperirla in ogni ambiente e contesto: ad esempio, sempre nel caso della residenza, si dà la possibilità, a persone con grandi limitazioni fisiche o all’anziano con fragilità e con patologie curabili a domicilio, di vivere nella propria abitazione, ricorrendo anche ad una progettazione “personalizzata”, a particolari tecnologie ed ausili, ad adeguati interventi e supporti. Includere significa considerare le persone con disabilità come esperte della loro vita e della possibilità di ricercare e scoprire soluzioni che non le discriminino, per poter essere persone e cittadini come tutti gli altri.

Includere vuol dire godere di pari opportunità e dibattere attorno ad un tavolo con gli altri soggetti della comunità, partendo dallo stesso potere decisionale.

 

Conclusioni

Una conclusiva considerazione riguarda la completezza e correttezza linguistica per indicare l’essere umano con disabilità. Già si è detto che l’ampliamento del significato di accessibilità, arricchito di alcuni elementi connessi con l’usabilità, ha portato a parlare di progettazione universale, piuttosto che soltanto di progettazione accessibile, proprio perché il termine “universale” tiene conto del fatto che le persone, nel loro rapporto con lo spazio e gli oggetti, non possono essere considerate come un insieme compatto ed indifferenziato.

Tener conto delle differenze delle persone si traduce nella possibilità di evidenziare specifiche esigenze e di valorizzare capacità e risorse di cia­scuno.

In questa ottica anche l’uso delle parole ha una sua precisa valenza: pensare quindi di descrivere le caratteristiche delle persone con un’unica parola è una delle modalità sempre adottate per contribuire a cancellarne l’esistenza concreta.

Del resto, quando si tratta di definire realtà nuove o realtà sempre esistite, ma rese invisibili e considerate ed accettate con difficoltà o con pietismo, si modifica la terminologia, col fine di ricercarne una più idonea. Sovente però si rischia di produrre confusione, di nascondere ed edulcorare una visione negativa e separante della persona, di mascherare il trattamento diseguale e discriminatorio che è stato riservato alle persone con determinate caratteristiche. Ciò accade quando poi si vogliono definire caratteristiche umane che, per trattamenti di discriminazione, di emarginazione e di esclusione, risultano scomode o imbarazzanti.

Il recente dizionario della lingua italiana Zingarelli ha introdotto la parola “diversabile”. Alla parola diversabile si affianca un’altra espressione identica, di cui diversabile rappresenta la contrazione e la sintesi, che è “persona diversamente abile” o “il diversamente abile”.

Questo nuovo termine (diversabile) con le sue varianti (persona diversamente abile o il diversamente abile) si presta a connotazioni non di certo positive, per i seguenti motivi:

- riduce la complessità e la ricchezza dell’essere umano ad un suo eventuale attributo, cancellandone le specificità;

- l’attributo che viene scelto per definire la persona appartiene a tutte le persone: quali persone infatti si possono definire “ugualabili”? Pur essendo vero che le persone con disabilità fanno alcune cose in modo differente, tuttavia la differente modalità non le rende diversamente abili: infatti chi usa una carrozzina per potersi muovere e spostare, non la usa in modo diverso da chi cammina con le proprie gambe, semplicemente la usa, mentre l’altra persona non si è mai seduta sopra;

- produce un ulteriore elemento negativo, perché non considera la condizione di discriminazione e di mancanza di pari opportunità che le persone hanno subito e subiscono. «Non è un caso che negli ultimi anni questa definizione assolutamente inappropriata venga a nascondere un abbassamento dell’impegno delle istituzioni e della società nel suo complesso. Se sono diversabili – ci dice questa parte della società – allora non ho più nulla da fare, se la risolveranno con le loro forze. Viene così di nuovo relegata nel privato la soluzione degli eventuali
problemi»
(Giampiero Griffo, “Le parole sono pietre”, in http://superando.eosserice.com, 10 ottobre 2005);

- si presta a ulteriori utilizzi impropri, negando o occultando la visibilità sociale di molte persone: quando si sentirà parlare di “diversamente ricco” per denotare una persona in stato di povertà economica o di “diversamente occupato” per indicare una persona senza lavoro e in cerca di occupazione o di “diversamente sano”, per indicare un essere umano con una grave patologia, o di “diversamente amato” per indicare una persona oggetto di sfruttamento e di abusi sessuali?

Attualmente, come detto nell’introduzione, a livello internazionale si preferisce parlare di persone con disabilità:

- infatti si ricorre al termine persona, al posto delle forme aggettivali come invalido, disabile, diversabile, diversamente abile o dei sostantivi handicappato, portatore di handicap: tale scelta ha il vantaggio di non attribuire all’intera persona un attributo che è solo una parte di essa e che lascia intatto un termine (persona) in sé neutro;

- la definizione di persone con disabilità, unisce al concetto di persona, universalmente accettato e ritenuto positivo, un’attribuzione ricevuta, qualcosa che non appartiene alla persona, ma che le è imposto, poiché la disabilità non deriva dalla situazione psico-fisica, ma dalla non inclusione che la società ha realizzato rispetto a bisogni ed esigenze particolari della persona. La persona che si serve di una carrozzina ha una disabilità quando incontra dislivelli superabili solo con scale, la persona che usa un bastone bianco ha una disabilità quando non riesce ad orientarsi perché mancano elementi (come pavimentazioni attentamente studiate o accorgimenti sonori, tattili, ecc.) che le consentono di spostarsi in sicurezza. La disabilità non è quindi causata da fattori soggettivi (paraplegia, cecità) ma da una società che non ha progettato pensando a tutti;

- il concetto di disabilità è mutuato dalla recente definizione dell’International Classification of Functionning, Disability and Health del 2001 (Icf) dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che individua nella disabilità il prodotto di fattori ambientali, fisici e sociali e di inadeguate o insufficienti risposte che la società dà alle persone che hanno bisogni particolari. La classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute dell’Oms rappresenta un’autentica rivoluzione perché afferma che ogni persona, in qualunque momento della vita, può trovarsi in condizione di salute che diventano disabilità, proprio perché la persona si trova di fronte un contesto/un ambiente negativo che limitano, restringono o annullano le sue capacità funzionali e di partecipazione sociale. Questa posizione consente di abbandonare il concetto di persona disabile per sottolineare invece quello di ambiente non abile o non idoneo.

Per concludere queste poche riflessioni sulla terminologia, si riporta una breve ma illuminante considerazione di Carlo Giacobini: «Diversamente abile. Usatelo, usatelo, usatelo! È così rassicurante, moderno, positivo, non discriminante! È tanto forte da evidenziare gli aspetti positivi(?) della disabilità. È l’invenzione lessicale che è più gradita dagli amministratori e dai politici che, giustamente, ne farciscono i discorsi a profusione. È tanto forte da far dimenticare bisogni, disagi, necessità. Politicamente corretto ed economicamente conveniente» (Carlo Giacobini, “La magia delle parole”, in Mobilità, n. 38, 2005).

 

 

 

(*) Dipartimento Casa-città del Politecnico di Torino.

 

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