Prospettive assistenziali, n. 156, ottobre - dicembre 2006
Libri
GIOVANNI SARPELLON (a cura di), Solidarietà: confronto
tra concezioni e modelli, Fondazione Zancan,
Padova, 2004, pag. 198, euro 19,00.
Numerosi esponenti e
collaboratori della Fondazione Zancan (Anna Banchero, Carlo Felice Casula, Gianmario Del Molin, Elda Fiorentino Busnelli,
Maurizio Giordano, Giovanni Nervo, Paolo Onofri,
Giuseppe Pasini, Stefano Piazza, Antonio Prezioso,
Paolo Ricca, Domenico Rosati, Giancarlo Rovati) hanno
collaborato con propri interventi alla redazione del volume curato dal
sociologo Giovanni Sarpellon. Si tratta di una interessante riflessione sul tema della solidarietà in
cui sono poste a confronto le differenti visioni degli autori emerse nel corso
di un seminario della Fondazione Zancan.
Concordiamo con Antonio Prezioso,
il quale dopo aver premesso che «quello
di “solidarietà” è un termine abusato, una specie di salvacondotto dietro il
quale vengono spesso contrabbandati decisioni e
comportamenti di tutt’altro segno», afferma
giustamente che «strumento principe della
solidarietà è la giustizia» e che «il
raggiungimento degli obiettivi della solidarietà fondata sulla giustizia non è
lasciato al caso né alle iniziative spontanee; richiede l’intervento ordinato e
finalizzato delle pubbliche istituzioni, sia pure affiancate da formazioni
sociali che ne condividono gli obiettivi».
Analoga la
posizione di Mons. Giovanni Nervo che, dopo aver
ricordato che «il no-profit,
che è libera iniziativa della società civile, non può garantire i diritti ai
cittadini» anche per il semplice motivo che «c’è se c’è, dove c’è, se può, se vuole», sostiene che «la garanzia dei diritti può essere data
soltanto dalla società nel suo insieme, attraverso le sue istituzioni, quello
che usiamo chiamare Stato».
Dunque, coloro
che operano secondo i principi della solidarietà/giustizia (finalità
molto diversa dalla solidarietà/consolazione) nei riguardi delle persone e dei
nuclei familiari in gravi difficoltà socio-economiche e non in grado di
autodifendersi, devono agire anche e soprattutto affinché le istituzioni
riconoscano le esigenze fondamentali di vita dei suddetti soggetti e
garantiscano l’esigibilità delle occorrenti prestazioni. È un impegno che non
dovrebbe coinvolgere solo il volontariato, ma tutti i
settori, compresi quelli che operano nel campo della ricerca sociale e della
formazione del personale socio-sanitario, nonché i dirigenti dei relativi
servizi.
Pertanto, non si dovrebbe
dimenticare che fra i doveri della solidarietà/giustizia rientra certamente il
rispetto delle leggi vigenti che assicurano il diritto
alle cure sanitarie delle persone, comprese quelle anziane, colpite da
patologie invalidanti e da non autosufficienza, nonché delle disposizioni che
non consentono agli enti pubblici di pretendere contributi economici dai
parenti degli assistiti.
ANNA BANCHERO, Programmare i servizi sociali e
socio-sanitari, Il Mulino, Bologna, 2005, pag. 274, euro 22,00.
Il volume prende in esame
l’evoluzione delle politiche sociali e socio-sanitarie a
partire dalla legge Crispi sulle Ipab (Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza). L’analisi
è compiuta dall’Autrice “dalla parte delle istituzioni”, senza mai far emergere
le loro numerose e gravi inadempienze compiute nei riguardi dei cittadini in
situazione di bisogno.
In primo luogo non
è affatto vero che la legge Crispi (la n. 6972
del 17 luglio 1890) sia stata la norma fondamentale che ha regolamentato le
attività assistenziali: essa si è limitata, infatti, a disciplinare
l’istituzione e il funzionamento delle Ipab.
Sono state definite, invece, dal
regio decreto 19 novembre 1889, n. 6535 le disposizioni basilari in materia di assistenza in cui erano «considerati come inabili a qualsiasi lavoro proficuo le persone
dell’uno e dell’altro sesso, le quali per infermità cronica o insanabili
difetti fisici o intellettuali non possono procacciarsi il modo di
sussistenza». Da notare che il sopra riportato obbligo di
intervento è ripreso dal 1° comma dell’articolo 38 della nostra
Costituzione che prevede quanto segue: «Gli
inabili al lavoro e sprovvisti dei mezzi necessari per vivere hanno diritto al
mantenimento e all’assistenza sociale».
Il regio decreto 6535 del 1889
stabiliva un vero e proprio diritto esigibile a favore dei soggetti bisognosi
in quanto i Comuni erano tenuti a sostenere le spese di ricovero nei casi in
cui gli oneri non venissero assunti da altri enti,
nessuno dei quali, Ipab comprese, aveva per legge
l’obbligo di fornire assistenza. Da notare che erano considerati «inabili i fanciulli
che non hanno compiuto dodici anni». Pertanto anche per essa
era previsto il diritto esigibile alle prestazioni dei Comuni. Riprendendo le
norme sopra citate, sono stati varati gli articoli 154 e 155 del regio decreto
18 giugno 1931 n. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) tuttora
in vigore, in base ai quali «le persone
riconosciute dalle autorità di pubblica sicurezza inabili a qualsiasi lavoro
proficuo e che non abbiano mezzi di sussistenza né parenti tenuti per legge
agli alimenti e in condizione di poterli prestare» devono
essere assistiti dai Comuni, con la precisazione che le disposizioni già allora
in vigore stabilivano che i parenti erano interpellati per la corresponsione
degli alimenti, ma non erano obbligati a fornirli.
L’Autrice sorvola inoltre sul
fatto, a nostro avviso molto importante che, ai sensi dell’articolo 91 del
regio decreto 3 marzo 1934 n. 383 erano obbligatorie da parte dei Comuni le
spese relative al«mantenimento
degli inabili al lavoro», disposizione che rafforza il diritto
all’assistenza.
Altre omissioni riguardano:
– l’abrogazione
dell’obbligatorietà delle suddette spese disposta dal decreto legge 10 novembre
1978 n. 702, convertito nella legge 8 gennaio 1979 n. 3;
– la ancora vigente legge 6
dicembre 1928 n.
Con le dimenticanze di cui sopra,
si comprende come l’Autrice non segnali che la legge 8 novembre 2000 n. 328 non
stabilisca nessun diritto esigibile, per cui – aspetto
allarmante – per ottenere il ricovero di una persona in grave situazione di bisogno
occorre ancora far riferimento ai già nominati articoli 154 e 155 del regio
decreto 773 del 1931.
Tenuto conto che la legge
328/2000 lascia piena discrezionalità agli enti gestori delle attività
socio-assistenziali di provvedere o meno alle esigenze
dei soggetti deboli, non si comprende come Enza Caruso
e Nerina Dirindin nel loro contributo uscito nel
volume in oggetto possano sostenere che gli obiettivi della legge siano «la garanzia del benessere sociale e la
tutela del diritto di stare bene costruendo e integrando una rete che trova il
suo presupposto nel diritto alle prestazioni e ai servizi sociali».
A sua volta, Luca Beltrametti,
per quanto concerne la questione degli anziani non autosufficienti, dopo aver
ripetuto il luogo comune secondo cui «il
confine tra le prestazioni puramente assistenziali è
molto labile ed incerto» (viene da chiedere se ha mai letto gli articoli 32
e 38 della Costituzione), non tiene in nessuna considerazione, anche in questo
suo contributo, le leggi vigenti che assicurano ai suddetti soggetti cure
sanitarie obbligatorie senza limiti di durata durante la fase acuta e
prestazioni anch’esse obbligatorie e senza limiti di durata durante tutto il
periodo delle cronicità.
AA.VV., Politiche familiari e potenziale sociale - Le legislazioni regionali, le
buone prassi locali e le rappresentazioni della famiglia in Italia, Edizioni Lavoro, Roma, 2005,
pag. 447, euro 20,00.
Il Dipartimento per le politiche
di cittadinanza, tutela e promozione della Cisl e
Dall’indagine campionaria, svolta
mediante un sondaggio telefonico condotto sulle famiglie delle otto Regioni
sopra indicate, che «ha visto la
realizzazione di 3.637 interviste derivanti da un contatto con ben 19 mila
famiglie» è emerso che le famiglie «avvertono
il bisogno della sicurezza ed esprimono una domanda di fiducia verso un
riferimento di valori, di stabilità, di aiuto, di
convivenza civile».
In merito agli strumenti
normativi individuati nell’indagine, viene precisato
che «essi rientrano in tre tipologie:
norme rivolte a un beneficiario finale; norme con un beneficiario finale e un
beneficiario indiretto; norme con beneficiario intermedio e un beneficiario
diretto. Nella prima tipologia rientrano tutte quelle leggi che erogano, ad
esempio, un contributo alle famiglie per l’assistenza agli anziani o che
promuovono programmi di sensibilizzazione a favore
delle coppie per la procreazione responsabile. In questi con il beneficiario
finale viene chiaramente stabilito che il beneficio
previsto dalla legge arriva direttamente al destinatario previsto dalla legge. Nella
seconda tipologia di leggi rientrano tutte quelle norme che prevedono, ad
esempio, un contributo alle imprese per la realizzazione
di nidi aziendali o un finanziamento ai Comuni per la ristrutturazione e
l’ampliamento delle rsa. In
questi casi il beneficiario viene individuato
chiaramente – minori e persone non autosufficienti rispettivamente – anche se
il beneficio non perviene direttamente al destinatario. Il finanziamento,
infatti, va alle imprese o alle Asl, ma il beneficio
arriva all’utente finale, il minore o la persona non autosufficiente. Nella
terza tipologia di leggi, infine, rientrano tutte quelle norme che prevedono,
ad esempio, la disciplina dei rapporti tra cooperative sociali e Regione, con
la possibilità di concedere contributi per progetti non specificati, le norme
che prevedono esclusivamente criteri organizzativi per le strutture e così via.
Si tratta di leggi e delibere che non individuano un beneficiario diretto e, di
conseguenza, risulta indiretto il beneficio erogato».
Premesso che l’analisi è stata
limitata «alle prime due tipologie di
leggi, escludendo la terza che, in effetti, introduce misure che troppo
incidentalmente vanno a influire sul benessere della
famiglia o dei suoi componenti», dai centododici documenti normativi
analizzati risulta che «le legislazioni
regionali non si presentano in termini amichevoli nei confronti delle famiglie
ed evidenziano una scarsa e inefficiente attenzione alla famiglia».
DANIELE GRANA, Impariamo a conoscere l’affido
dei minori. Buone prassi per l’accoglienza, Edizioni Del Cerro, Tirrenia
(Pisa), 2005, pag. 96, euro 15,50.
Come purtroppo succede da troppi
anni, anche questo libro tratta un intervento sociale di grande importanza qual
è l’affidamento familiare di minori in difficoltà senza tenere in
considerazione i presupposti fondamentali e cioè la
collaborazione dell’intervento nell’ambito delle attività di competenza
dell’ente gestore dei servizi socio-assistenziali e le azioni effettivamente
svolte a sostegno dei nuclei familiari in difficoltà.
Per quanto concerne il primo
aspetto, dovrebbe sempre essere evidente, in primo luogo da parte degli
operatori, delle organizzazioni sociali e dei soggetti direttamente coinvolti
nelle relative attività, l’estrema importanza delle decisioni assunte dal
livello politico.
L’affidamento non è, né può
essere, come qualsiasi altro intervento, valido in se e per sé (come emerge purtroppo dalle pubblicazioni che trascurano di
prendere atto di questo aspetto), ma lo può essere solamente se la delibera
dell’ente gestore dei servizi socio-assistenziali che lo regolamenta, ne
precisa adeguatamente gli scopi, gli aventi diritto, le modalità di attuazione
e lo colloca in modo corretto fra le altre prestazioni fornite ai nuclei
familiari in difficoltà.
A nostro avviso, è tuttora valida
la definizione contenuta nel volume del 1973 L’affidamento familiare di Giuseppe Andreis,
Francesco Santanera e Frida Tonizzo
edito dall’Amministrazione per le attività assistenziali
italiane e internazionali secondo cui «su
un piano generale, si può dire che l’affidamento familiare intende essere una
risposta ai problemi del bambino il cui nucleo familiare eccezionalmente o
temporaneamente o definitivamente non è in grado di provvedere al suo
allevamento, educazione, istruzione e d’altra parte la situazione non è
risolvibile con un aiuto economico e/o sociale alla famiglia d’origine o con
l’adozione, a seconda dei casi».
Difatti, l’affidamento familiare
a scopo educativo non deve mai essere un mezzo, anche indiretto, volto alla
sottrazione dei minori ai nuclei in condizioni di disagio.
Vi è, dunque, l’assoluta
necessità di valutarne l’attuazione, tenendo sempre in attenta considerazione
gli interventi effettivamente assicurati alle famiglie di origine.
Molto significativa
la testimonianza di una affidataria: «L’esperienza di affido
ha insegnato a me e a mio marito a saper rispettare, accogliere, ascoltare i
bambini per e con la loro storia personale e familiare e nel contempo a
comprendere la famiglia naturale».
Un aspetto particolarmente
importante del volume di Daniele Grana è il giusto rilievo dato all’intervento di operatori specializzati, quale condizione sine qua non per la riuscita degli
affidamenti e la necessità della promozione di una cultura dell’accoglienza.
GRAZIELLA FAVA VIZZIELLO, ALESSANDRA
SIMONELLI, Adozione e
cambiamento,
Bollati Boringhieri, Torino, 2004, pag. 478, euro
38,00.
Il volume, che ha alla base un
lavoro ininterrotto di ricerca della durata di
quindici anni, è stato scritto, come si legge nell’introduzione «per gli studenti che affrontano il tema
complesso della genitorialità e dei suoi rapporti con
la personalità e con la psicopatologia. Il centro del discorso resta comunque quello del cambiamento delle sue radici, delle sue
direzioni, del suo farsi e, in questo senso, può interessare qualsiasi
terapeuta senza pregiudizi e le persone impegnate in professioni di aiuto».
Inoltre, precisano le Autrici «le associazioni e i gruppi di esperti in adozioni che le Regioni stanno organizzando
possono trovare nel testo idee e metodologie di confronto e una ragguardevole
raccolta di strumenti utilizzabili da più servizi e quindi confrontabili».
Le problematice
affrontate da Fava Vizziello e da Simonelli
con la collaborazione di numerosi esperti riguardano: l’iter adottivo dalla
disponibilità alla dichiarazione di idoneità; lo
studio psicologico e sociale delle coppie disponibili all’adozione; le scelte
per la tutela del minore di fronte alle genitorialità
difficili; la valutazione delle rappresentazioni genitoriali;
l’osservazione del bambino, dei genitori e dell’integrazione; i metodi
osservati per la valutazione dell’attaccamento nell’infanzia, l’attaccamento come
narrazione; l’approccio dinamico-maturativo allo
studio dell’attaccamento secondo Patricia M. Crittenden;
i metodi grafici per la comprensione delle interazioni familiari; l’attività
dei consultori in materia di adozione; l’affidamento preadottivo;
l’abbinamento e l’arrivo a casa; uno studio dell’adozione attraverso l’uso dei
disegni; le caratteristiche dei padri adottivi con figli in età adolescenziale;
i risultati di una ricerca condotta su un campione di dieci madri adottive,
facendo riferimento a un gruppo di controllo di dieci madri con figli
biologici; i Sé degli adolescenti adottati; una ricerca sulle dinamiche che caratterizzano
l’adozione; l’osservazione e il confronto di un campione di adolescenti
adottati provenienti da diversi continenti: America latina, Africa, Asia
(India) ed Europa (Italia); gli attori del processo adottivo (servizi, Tribunali per i minorenni,
operatori, ecc.); i fattori di rischio e protettivi riguardanti gli esiti
dell’adozione; una ricerca su un gruppo di 40 adolescenti adottati ed i loro
genitori adottivi, nonché l’attaccamento fra figli adottati e genitori
adottivi.
www.fondazionepromozionesociale.it