Prospettive assistenziali, n. 157, gennaio - marzo 2007
AUDIZIONE DEL CSA ALLA CAMERA DEI
DEPUTATI
MARIA GRAZIA BREDA
Qualche appunto sul metodo
Il 29 novembre 2006 sono
intervenuta in rappresentanza del Csa, Coordinamento
sanità e assistenza fra i movimenti di base di Torino (1), all’audizione che a
suo tempo avevamo richiesto alla IX
Commissione permanente Affari sociali della Camera dei Deputati, nell’ambito
delle indagini conoscitive che sta svolgendo sulle condizioni sociali delle
famiglie in Italia.
Oltre al Csa
erano state invitate le associazioni di rappresentanza delle persone in
situazione di handicap (2). L’ordine del giorno (di
cui ho appreso il testo solo al momento dell’audizione) era specificatamente
rivolto in quel giorno all’esame della condizione della famiglia con disabili.
Come era già capitato in altre
audizioni a cui avevo partecipato, anche questa volta il Csa,
provenendo da Torino, è stato penalizzato a causa della lontananza. Tenuto conto di quanto sia oneroso il viaggio e dell’impossibilità
di avere rimborsi dalla Camera dei Deputati, il Coordinamento aveva deciso di
intervenire solo con un rappresentante. Al contrario, le associazioni
che risiedono a Roma hanno partecipato – come sempre – con molti rappresentanti
e, quindi, hanno avuto sicuramente più opportunità e spazio per argomentare le
loro istanze.
Tale aspetto increscioso è
aggravato, a mio avviso, dal fatto che l’audizione prevede che gli interventi
siano sempre molto stringati, in netto contrasto con l’esigenza che vi sarebbe
di entrare nel merito dei problemi che riguardano la vita delle persone
incapaci di autodifendersi, le problematiche sono tutt’altro che semplici.
Se davvero il Parlamento desidera
approfondire la condizione delle famiglie in difficoltà, dovrebbe dotarsi del
tempo occorrente per ascoltare. Invece nell’arco di un’ora sono intervenute
sette associazioni e altrettanti parlamentari.
Memore delle esperienze passate,
e per ovviare a questo inconveniente, mi sono
presentata all’audizione munita anche di una nota scritta, che ho consegnato,
con la relativa documentazione allegata, alla segreteria della Commissione,
perché venisse trasmessa ai Deputati assenti, mentre al Presidente, On. Domenico
Lucà, e ai Parlamentari presenti (circa una decina),
ho provveduto di persona, al termine del mio intervento di cui, qui di seguito,
riporto i punti affrontati.
Introdurre diritti
esigibili per le famiglie e i nuclei familiari più deboli
In primo luogo ho osservato che
non sempre le istituzioni riconoscono le maggiori esigenze delle famiglie che
hanno una persona con handicap (o un soggetto affetto da malattia cronica e non
autosufficienza, anch’esso un “disabile”), rispetto alle altre famiglie.
Per assicurare il soddisfacimento
di questi bisogni fondamentali e specifici è quindi indispensabile che il
Parlamento si adoperi per introdurre finalmente diritti esigibili per i
soggetti che, ai sensi del 1° comma dell’art. 38 della Costituzione, in quanto
inabili e sprovvisti dei mezzi necessari per vivere, sono i soli che avrebbero
diritto ad avere accesso alle prestazioni socio-assistenziali.
Il Csa
non pretende che questo si realizzi nell’immediato per tutti; si può prevedere
l’introduzione di diritti esigibili con gradualità e a
partire dalle situazioni di maggiore gravità, ma è necessario dare un
segnale forte, essendo questa l’unica modalità che garantisce i soggetti
deboli.
A sostegno della richiesta del Csa faccio presente che ormai è stato ampiamente dimostrato
dai fatti – purtroppo – che sia la legge 328/2000 “Legge quadro per la
realizzazione del sistema integrato di interventi e
servizi sociali”, sia la legge 149/2001, “Modifiche della legge 4 maggio 1983
n. 184, recante ‘Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori’”, non hanno introdotto alcun diritto esigibile.
Ne consegue che, in materia di
servizi assistenziali le uniche disposizioni a livello
nazionale, che prevedono diritti esigibili, sono quelle contenute:
- nel regio
decreto 773/1931 “Testo unico della legge di pubblica sicurezza”,
articoli 154 e
- nella legge 2838/1928 per quanto
concerne l’obbligo delle Province di assistere i fanciulli
trovati di cui non si conoscono i congiunti, i figli di ignoti ed i minori nati
fuori del matrimonio riconosciuti dalla sola madre.
Infine osservo che la situazione
non è migliore se si prendono in esame le leggi regionali. Solo la legge della
Regione Piemonte 8 gennaio 2004 n. 1 “Norme per la realizzazione del sistema
regionale integrato di interventi e servizi sociali e
riordino della legislazione di riferimento” stabilisce alcuni diritti esigibili
per i soggetti deboli, diritti che sono stati introdotti – sottolineo – anche
grazie all’azione di pressione svolta dal Csa, che a
suo tempo aveva promosso una proposta di legge sostenuta da una petizione
popolare.
Prevenire le nascite di bambini con minorazioni e garantire alle famiglie il
“durante e dopo di noi”
Circa la condizione delle
famiglie con soggetti in situazioni di handicap, ho richiamato l’attenzione
sulla necessità di investire di più nelle azioni di
prevenzione (dall’ambiente alle pratiche sanitarie), senza per questo
sviluppare, anche in questo settore, forme analoghe all’accanimento
terapeutico. Non basta infatti promuovere a tutti i
costi la nascita di un bambino, fatto oggi possibile anche grazie alle nuove
tecnologie, e poi “scaricarlo” con tutti i suoi problemi alla sua famiglia.
Il Csa
chiede quindi che siano finalmente assicurati ai familiari di un soggetto in
situazione di handicap tutti gli interventi indispensabili quali:
- il diritto a servizi di
consulenza educativa, al momento della nascita, analogo a quello attivato dal
Comune di Torino, Assessorato all’istruzione, che svolge un ruolo importante di
sostegno nei primi momenti, i più difficili, di approccio
della famiglia con un bambino diverso da quello atteso;
- il diritto all’accesso ai nidi
e alle scuole materne;
- il diritto
all’integrazione scolastica e all’assolvimento dell’obbligo formativo con
interventi di sostegno qualitativamente idonei;
-
il diritto a percorsi formativi finalizzati all’assunzione anche dei soggetti
in situazione di handicap con capacità lavorative ridotte (ad esempio giovani con handicap
intellettivo);
- il diritto a
centri diurni assistenziali, per i soggetti
ultradiciottenni in situazione di gravità non avviabili
al lavoro, senza oneri a carico della famiglia (3);
- diritto a un rimborso forfetario, quale riconoscimento del
volontariato intrafamiliare, qualora la famiglia continui ad accogliere presso
di sé il figlio handicappato maggiorenne in situazione di gravità, sull’esempio
positivo delle delibere assunte dal Consorzio socio-assistenziale di Collegno-Grugliasco (To) (4);
- il diritto, per il “dopo di
noi”, a piccole comunità familiari, con al massimo
8/10 posti, situate in contesti socializzanti.
Rispettare i diritti già oggi esigibili
Invito quindi i
presenti a prendere in visione l’opuscolo “Tutti hanno diritto alle cure
sanitarie, compresi gli anziani malati cronici non autosufficienti, i malati di Alzheimer, gli handicappati con gravi patologie”. Evidenzio
che è stato messo a punto da associazioni di
volontariato che per la prima volta si impegnano anche sul piano della difesa
dei diritti e non solo con azioni di volontariato consolatorio.
Questa presa di
coscienza è conseguente alla situazione drammatica, sempre più estesa, in cui
sono precipitate le famiglie che hanno congiunti
anziani malati cronici e non autosufficienti. Ormai i volontari che operano in
ospedale si sono accorti delle gravi conseguenze a cui vanno incontro i malati
non autosufficienti e i loro familiari a causa delle dimissioni, spesso
“selvagge” o comunque imposte dalle strutture
ospedaliere o dalle case di cura convenzionate.
In violazione del diritto alla
continuità delle cure sanitarie previsto dalle leggi vigenti, si chiede ai
familiari di farsi carico della responsabilità della
cura e degli oneri annessi per i loro congiunti malati cronici e non
autosufficienti.
È praticamente
inesistente il diritto alle cure sanitarie domiciliari e assai di rado si può
contare su rimborsi delle spese vive sostenute. L’attesa per un posto letto in
una struttura residenziale socio-sanitaria, convenzionata con l’Asl, in Piemonte, può durare anche 2-3 anni. Sovente,
quando si ottiene il ricovero, vi sono Comuni e Asl
che chiedono alle famiglie il pagamento di contributi per la retta, in
contrasto con le leggi vigenti. Infatti, è
l’interessato che vi deve provvedere, per la parte cosiddetta alberghiera, in
base alla propria situazione economica. Se redditi e
beni non sono sufficienti a coprire l’importo richiesto, l’integrazione della retta
è a carico dell’ente locale.
Tutto queste
violazioni –
sottolineo – sono la causa principale dell’impoverimento delle famiglie, così
come era già emerso dal documento dell’ottobre 2000 della Presidenza del
Consiglio dei Ministri (5).
Anche per quanto sopra faccio
presente che a nostro avviso è assai grave che l’ufficio legislativo della Camera dei Deputati non abbia
segnalato alla competente Commissione Affari sociali, che dovrà occuparsi anche
del Fondo per la non autosufficienza, le norme di legge nazionali, tuttora in
vigore, che tutelano il diritto alle cure sanitarie di
tutti i soggetti affetti da patologie invalidanti riportate nell’opuscolo
citato. Inoltre, sempre nella suddetta documentazione fornita ai Parlamentari,
evidenzio come non siano state neppure richiamate le
delibere della Giunta della Regione Piemonte che, guarda caso, prevedono
disposizioni a favore degli utenti interessati (6).
Tutela del diritto
alla segretezza del parto e al sostegno socio-psico-economico
alle gestanti madri con particolari difficoltà
L’argomento può sembrare non del
tutto pertinente con l’ordine del giorno, ma non è così. Infatti, come ho avuto
modo di spiegare anche ai Parlamentari della Commissione Affari sociali,
sovente le gestanti o madri in questione sono giovani con problemi di insufficienza mentale o con malattia mentale, o comunque
hanno gravi difficoltà personali e familiari.
A nome del Csa
chiedo quindi che il Parlamento approvi al più presto la proposta di legge n.
1754 presentata dalle On. Katia Zanotti
e Marisa Nicchi o che le relative disposizioni siano inserite nel disegno di
legge predisposto dal Ministro della sanità Livia
Turco “Norme per la tutela dei diritti della partoriente, la promozione del
parto fisiologico e la salvaguardia della salute del neonato”.
La proposta di legge su citata
assicura, infatti, le necessarie prestazioni alle donne che intendono
riconoscere il loro nato (7) e, nel contempo, consente
il non riconoscimento dei neonati al fine di prevenire gli infanticidi e gli
abbandoni che mettono in pericolo la loro vita, come previsto dalle norme
vigenti anche per le donne coniugate (8).
Per finire invito a prendere
visione degli altri documenti che lascio a ciascuno dei presenti e cioè:
- copia della petizione popolare,
in corso in Piemonte, che sottolinea l’esigenza che,
in tutti i casi in cui ciò sia possibile, vengano previsti diritti esigibili
(cure domiciliari sanitarie e socio-assistenziali, centri diurni e comunità
alloggio per i soggetti con handicap intellettivo, centri diurni per le persone
colpite da demenza senile, iniziative per gli adulti colpiti da disturbi
psichiatrici, servizi per i minori con gravi difficoltà familiari, ecc.). Informo
che le prime 5.300 firme sono già state consegnate alla Presidente della
Regione Mercedes Bresso;
- la lettera aperta
al Ministro per la solidarietà sociale, On. Paolo Ferrero,
per quanto concerne le proposte di legge presentate
per l’istituzione del Fondo per la non autosufficienza;
- la legge della Regione Piemonte
2 maggio 2006 n. 16, “Modifiche all’articolo 9 della legge regionale 8 gennaio
2004, n. 1 (Norme per la realizzazione del sistema integrato di
interventi e servizi sociali e riordino della legislazione di
riferimento)”.
Conclusioni
Come ho
raccontato in precedenza l’audizione è durata in tutto circa un’ora. Sono
intervenuti, oltre alle associazioni, anche alcuni dei Parlamentari presenti,
ma nessuno è entrato nel merito delle questioni evidenziate, limitandosi – i
più attenti – a qualche affermazione di principio («non bisogna abbandonare le famiglie dei disabili», «bisogna garantire una maggiore integrazione»). Il
Presidente non ha espresso commenti.
(1) Il Csa è un
coordinamento di organizzazioni di volontariato che funziona ininterrottamente
dal 1970 al quale aderiscono (al 2007): Associazione Geaph,
Genitori e amici dei portatori di
handicap di Sangano
(To); Agafh, Associazione
Genitori Adulti e Fanciulli Handicappati di Orbassano
(To); Associazione Italiana Assistenza Spastici di
Torino; Associazione “
(2) Tra le altre erano presenti rappresentanti della
Fish (Federazione per il superamento dell’handicap), Anffas (Associazione nazionale famiglie di persone con
disabilità intellettiva e/o relazionale), Associazione Persone Down, Fiadda (Federazione italiana degli audiolesi), Fand (Federazione associazioni nazionali diabetici).
(3) A questo proposito non ho potuto fare a meno di
segnalare il pessimo esempio del Comune di Bologna. Invece di sostenere una
famiglia, che accoglie e mantiene presso di sé il proprio figlio handicappato
intellettivo in situazione di gravità, il Sindaco Sergio Cofferati
ha avuto il coraggio di pretendere dai familiari il pagamento di ben 196,48
euro al mese per la frequenza del centro diurno,
dimostrando insensibilità nei confronti dei congiunti, ma anche dello stesso
interessato che – per vivere – può contare solo sulla sua pensione di
invalidità e cioè ben 238 euro al mese! Per approfondimenti cfr.
“Contributi economici richiesti illegittimamente dagli enti pubblici: sentenza
del Giudice di Pace di Bologna, segnalazione/denuncia del movimento consumatori di Pavia e
nuovo intervento del Garante per la protezione dei dati personali”, Prospettive assistenziali, 156, 2006.
(4) Cfr. Mauro Perino, “Volontariato
intrafamiliare: dalla sperimentazione alla regolamentazione definitiva”, Ibidem, n. 144, 2003.
(5) Ricordo, a questo proposito, che già nel corso
del 1999, due milioni di famiglie italiane sono scese sotto la soglia di
povertà a fronte del carico di spese sostenute per la “cura” di un componente
affetto da una malattia cronica. Il dato è riportato nella relazione della
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ufficio
dell’allora Ministro della solidarietà sociale, On. Livia
Turco.
(6) La documentazione mancante concerne:
- la
legge regionale 8 gennaio 2004, n. 1 “Norme per la realizzazione del sistema
regionale integrato di interventi e servizi sociali e
riordino della legislazione di riferimento” in cui, fra l’altro, sono previsti
(articolo 22) diritti esigibili a favore dei soggetti «con incapacità totale o parziale di provvedere alle proprie esigenze
per inabilità di ordine fisico e psichico»;
- la
delibera della Giunta regionale 23 dicembre 2003 n. 51-11389 avente per oggetto
“Dpcm 29 novembre 2001, Allegati 1, Punto
- la
delibera della Giunta regionale 20 dicembre 2004, n. 72-14420 “Percorso di
continuità assistenziale per anziani
ultrasessantacinquenni, o persone i cui bisogni sanitari e assistenziali siano
assimilabili ad anziano non autosufficiente”;
- la
delibera della Giunta regionale 30 marzo 2005, n. 17-15226 riguardante “Il
nuovo modello integrato di assistenza residenziale
socio-sanitaria a favore delle persone anziane non autosufficienti”. Da notare
che in questa delibera è prevista l’istituzione del Fondo regionale per la
gestione del sistema integrato degli interventi e servizi sociali «finalizzato esclusivamente a concorrere alla
copertura della tariffa giornaliera a carico di cittadini la cui situazione reddituale sia tale da non potervi totalmente far fronte»
a seguito di ricovero di anziani cronici non
autosufficienti presso le Rsa (residenze
sanitarie assistenziali);
- la
delibera della Giunta regionale 31 luglio 2006, n. 2-3520 “Piano di intervento per la progressiva applicazione del modello
assistenziale e tariffario previsto dalla Dgr n.
17-15226 del 30 marzo
Si tratta di provvedimenti che contengono norme più favorevoli per gli
utenti rispetto a quelle nazionali sui Lea (Livelli essenziali di assistenza sanitaria), ottenute con un’azione di
pressioni e proposte da parte del volontariato.
(7) La legge 2838/1928, tuttora vigente (cfr. il 5° comma dell’articolo 8
della legge 328/2000), salvo diversa normativa regionale, aveva attribuito
detto compito alle Province. Purtroppo tutte le Regioni che hanno legiferato in
merito (Emilia Romagna, Friuli-Venezia Giulia,
Liguria, Lombardia, Puglia), ad esclusione della sola
Regione Piemonte (legge 16/2006), hanno attribuito detto compito ai Comuni,
rendendo di fatto impraticabile il segreto del parto, che è la condizione sine qua non per consentire il non
riconoscimento e quindi anche per prevenire gli infanticidi e gli abbandoni che
mettono in pericolo la vita dei neonati.
(8) In base alla sentenza della Corte costituzionale n. 171
del 5 maggio 1994 «qualunque donna
partoriente, ancorché da elementi informali risulti trattarsi di coniugata, può
dichiarare di non voler essere nominata nell’atto di nascita», stabilendo
quindi che anche le donne coniugate possono non riconoscere i loro nati.
www.fondazionepromozionesociale.it