Prospettive assistenziali, n. 157, gennaio - marzo 2007
Handicap intellettivo e
lavoro: una positiva esperienza di collocamento mirato
EMANUELA BUFFA (*)
Nel numero 154, 2006, di questa
rivista, Maria Grazia Breda
ha raccontato con precisione e dovizia di elementi il
difficile e non ancora concluso percorso intrapreso da Marco, un ragazzo con
lieve handicap intellettivo, per arrivare, come è suo diritto, ad avere un
lavoro che gli consenta di sentirsi utile e pienamente inserito in questa
nostra società senza dover pesare per sempre sulla sua famiglia o sul sostegno
pubblico. Siamo consapevoli di quanto sia importante
per chiunque l’inserimento nel mondo del lavoro, tanto più per quei ragazzi
portatori di handicap che solo così possono sentirsi integrati a tutti gli
effetti ed evitare quello stato di frustrazione che li pone ai margini della
società. Ce lo fa capire molto bene l’esperienza di
Paolo.
La vicenda di Paolo
Paolo ha 40 anni e un’invalidità
valutata al 55% per una grave forma di lordosi e un lieve ritardo intellettivo.
Il papà per ben vent’anni si è battuto perché suo
figlio potesse trovare un’occupazione lavorativa. Numerosi sono stati le
domande di assunzione e i solleciti inoltrati al
centro per l’impiego. Paolo è stato assunto per brevi periodi in qualche
cantiere di lavoro presso il proprio Comune per attività di piccola
manutenzione, pulizia delle aiuole e lavori di segreteria. Tra un cantiere ed
un altro si è impegnato a studiare per imparare ad usare il computer,
acquisendo una sufficiente competenza per un lavoro che richiedesse precisione
ed attenzione.
Finalmente l’Asl
È iniziato il lavoro vero e
proprio e in questo periodo è stato determinante nel
suo inserimento il supporto dell’educatrice che ha seguito l’inserimento e del tutor interno dell’azienda
sanitaria. Fin dai primi giorni,
infatti, non sono state poche le difficoltà di relazione e con i colleghi che
non sempre sono preparati ad accettare una persona che presenta qualche
difficoltà, che non lavora coi loro ritmi. È stato
difficile per Paolo avere con loro buoni rapporti anche perché non si sentiva
né accettato né integrato nel gruppo. I problemi non sono tutti risolti, ma Paolo ama il suo lavoro, anche se talvolta si
trova ad essere inattivo e cerca di trovarsi qualcosa da fare: riordina, fa
fotocopie, invia fax per i suoi colleghi.
Nonostante le difficoltà incontrate, il
lavoro ha segnato una vera e propria svolta nella vita di Paolo. Si sente più a
suo agio con gli altri, è più tranquillo in famiglia ed ha più interessi nel
tempo libero: esce con gli amici, frequenta una bocciofila della zona, coltiva
l’hobby della fotografia e del computer. Prima del lavoro Paolo era apatico,
senza volontà e non desiderava più neanche uscire di
casa.
Il diritto al lavoro
Da molti anni si sta lottando
perché i ragazzi con handicap intellettivo lieve vedano riconosciuto il loro
diritto ad avere un lavoro che consenta loro
di acquisire quella dignità di cui hanno bisogno per sentirsi utili e
pienamente inseriti nella società, per non sentirsi un peso per la famiglia e
non dover dipendere dal sostegno pubblico.
Ancora troppi ragazzi, ormai
uomini, non hanno visto riconosciuto il diritto sancito dalla legge 68/1999
che ha «come finalità la promozione dell’inserimento e della integrazione lavorativa
delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di
collocamento mirato». Per collocamento mirato «si intende quella serie di strumenti tecnici
e di supporto che permettono di valutare adeguatamente le persone con
disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto adatto,
attraverso analisi di posti di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e
soluzioni dei problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni
interpersonali sui luoghi quotidiani di lavoro e di relazione».
L’aspetto innovativo di questa
legge, rispetto alla precedente normativa (legge 482/1968) è che non vengono valutate le compromissioni,
le incapacità della persona che limitano l’inserimento lavorativo ma, invece,
vengono evidenziate le capacità e le potenzialità che consentono al disabile di
essere produttivo in un contesto lavorativo.
Oggi possiamo dire
che nella sola Provincia di Torino sono stati assunti circa 4 mila persone
disabili il cui handicap, però, non incideva, se non in minima parte, sulle
loro capacità lavorative.
Nelle liste speciali dei centri
per l’impiego rimangono coloro che hanno più
difficoltà come le persone con handicap intellettivo o fisico con limitata
autonomia e quindi sono meno accettati nel mondo del lavoro. Si dimentica che
anche chi ha un handicap intellettivo è in grado di svolgere compiti adatti
alle sue capacità e che ciò è confermato dall’esperienza di centinaia di assunzioni realizzate negli ultimi vent’anni
nella realtà torinese e prima ancora che entrasse in vigore la legge 68/1999.
A risultare
tra gli enti maggiormente inadempienti sono proprio le dieci Asl di Torino e Provincia.
Infatti alla data del 31 dicembre 2004 i
numeri delle scoperture alla legge 68/1999 delle Asl
della Provincia erano i seguenti: Asl 1: 50 - Asl 2: 24 - Asl 3: 53 - Asl 4: 36 - Asl 5: 72 - Asl 6: non pervenuta - Asl 7: 35
- Asl 8: 50 - Asl 9: 67 - Asl 10: 53.
Da tempo il Csa,
il coordinamento di tante associazioni di cui anche la nostra fa parte, ha
denunciato tale comportamento contrario innanzitutto
alla legge e non certo consono ad un
ente pubblico che dovrebbe avere tra i suoi primi obiettivi quello della salute
dei propri utenti. Ed è proprio partendo dalle continue e frustranti esperienze
di tante famiglie, le quali aspettano da anni un lavoro per il proprio
congiunto con handicap intellettivo o fisico con limitata autonomia, che
abbiamo pensato e proposto un progetto che mettesse in pratica quel concetto di
collocamento mirato che a nostro avviso è la parte più innovativa della legge
68/1999 e che secondo noi è l’unico strumento che può permettere di raggiungere
l’obiettivo lavoro a chi ha determinati tipi di
disabilità. A questo scopo sono stati fatti incontri
specifici e mandate lettere all’Assessorato alla sanità e a quello al lavoro
della Regione Piemonte, si sono tenute audizioni nelle commissioni competenti
di Regione, Provincia e Comune, si è intervenuti in occasione di convegni sulla
disabilità.
Un valido sostegno alla nostra
causa è giunto anche dall’intervento dell’Assessore al lavoro della Provincia di Torino che ha riunito i Direttori generali delle dieci Asl di Torino e Provincia riproponendo il tema ed
invitandoli ad ottemperare alla legge. Sono state quindi firmate con
A seguito di
tale sollecito tutte le Asl di Torino, e quasi
tutte quelle della Provincia, hanno firmato la convenzione che consente sia di
diluire nel tempo l’assunzione di persone disabili sia di utilizzare tutti
quegli strumenti che aiutano le persone con maggiori difficoltà ad entrare nel
mondo del lavoro: ricerca delle mansioni più idonee, periodi di tirocinio,
formazione mirata, accompagnamento e tutoraggio.
Contemporaneamente anche
l’Assessore al lavoro della Regione Piemonte s’impegnava a porre il problema
delle assunzioni all’attenzione della Giunta regionale perché fosse garantito il rispetto delle
quote. Contemporaneamente l’Assessore alla sanità inviava in data 24 agosto
2005 una lettera di sollecito ai Direttori generali di Asl, Aso (Aziende sanitarie
ospedaliere) e Arpa (Azienda regionale per la protezione ambientale) della
regione, anche in concomitanza con l’eliminazione del blocco parziale del turnover e con la riapertura delle
assunzioni.
Le Asl adducevano come
giustificazione la legge finanziaria che aveva decretato il blocco delle
assunzioni nella pubblica amministrazione. Si appellavano, poi, alla mancanza (scandalosa
dopo sei anni) del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri che deve regolare le mansioni che, in relazione all’attività
svolta dalle amministrazioni pubbliche e dagli Enti pubblici non economici, non
consentono l’occupazione di lavoratori disabili o la consentono in misura
ridotta. Forti di tale falla le Asl
hanno sempre avuto buon gioco a dichiarare l’impossibilità di
ottemperare agli obblighi di legge.
A seguito di un’interrogazione
presentata il 30 novembre 2004 dal gruppo consigliare Udc
in Regione Piemonte, gli uffici competenti della Regione stessa hanno risposto
che, nonostante la mancanza del succitato Dpcm ed in attesa di sua emanazione «i servizi per l’impiego possono avviare al lavoro presso gli enti
pubblici ed in particolare le Asl le persone disabili
per le quali non sono richieste mansioni tecniche specifiche e che comunque
possono essere avviate al lavoro persone con invalidità che non comportano particiolari difficoltà di inserimento. Pertanto
Il collocamento mirato
L’obiettivo da perseguire è
quello indicato dalla legge 68/1999: il collocamento mirato, cioè
la ricerca di un posto dove la persona con handicap veda valorizzate le sue
capacità e le sue potenzialità, in modo da diventare una risorsa per l’azienda
che lo assume e non un peso. I dati che bisogna mettere in relazione fra di loro sono le esigenze di chi assume con le capacità
di chi è assunto. È importante quindi un lavoro preliminare che segue una
metodologia utilizzata, per esempio, nel progetto “MoSil”
a cura del Comune di Torino alla fine degli anni ’90 e che consiste in colloqui
e questionari appositamente preparati e validificati sia ai responsabili delle aziende sia alle persone
candidate. Con questi strumenti si arriva a definire il profilo del candidato
adatto ad una data mansione. Tale metodologia viene di
volta in volta adattata alle particolari esigenze delle aziende coinvolte e,
nel caso in questione, è stata soprattutto utilizzata la parte di valutazione
dei candidati in quanto le esigenze
delle singole Asl sono emerse subito in
maniera molto chiara.
Le azioni intraprese
Nel mese di gennaio 2005 abbiamo inviato il
progetto denominato Col.Mir.Asl Piemonte ad alcune Asl
della Provincia di Torino chiedendo un incontro individuale di presentazione.
L’Asl 7
di Chivasso è stata la prima a dare la sua
disponibilità ad aderire al progetto. L’allora
direttore generale, Carlo Tabasso, anche su
sollecitazione dell’assessore alle politiche sociali del comune di San Mauro, grazie al quale avevamo attuato un’iniziativa
pubblica di sensibilizzazione sui temi dell’handicap in quella zona, ha voluto
personalmente visionare il progetto e darci le prime indicazioni sulle mansioni
a loro necessarie. Sono stati i successivi contatti con i funzionari
amministrativi, con il responsabile del personale e con i referenti dei
servizi, che hanno permesso di predisporre un piano di interventi
(ricerca delle persone idonee, predisposizione del progetto individualizzato,
firma della convenzione con
Agli incontri per la messa a
punto del progetto individualizzato erano sempre presenti: la responsabile del
progetto Col.Mir.Asl nonché
rappresentanti delle associazioni Ulces (Unione per
la lotta contro l’emarginazione sociale) e Aias
(Associazione italiana assistenza spastici), la referente della cooperativa
sociale Eta Beta, titolare del “Progetto per attività
di integrazione lavorativa di persone con disabilità” approvato dalla Provincia di Torino, un consulente formatore per
la selezione delle persone da inserire e per l’analisi dei fabbisogni
aziendali.
In modo analogo si è proceduto
con le altre due Asl che hanno dato la loro
disponibilità a collaborare:
I soggetti attuatori: loro storia e ruolo nel progetto
Due parole per conoscere meglio i
soggetti che hanno promosso ed attuato il progetto.
L’Ulces
è iscritta al Registro del volontariato della Regione Piemonte con decreto del Presidente della Giunta regionale 1° giugno 1993 n.
2075. È stata riconosciuta anche come ente morale con decreto ministeriale 19
settembre 1997 ed è registrata presso
L’Aias
ha una lunga storia soprattutto nella tutela delle persone con handicap fisici.
Ha sedi su tutto il territorio nazionale dove gestisce anche servizi di
riabilitazione in convenzione col servizio pubblico. La
sezione di Torino non gestisce alcun servizio ma si
occupa della promozione dei diritti delle persone disabili, sia con handicap
fisico che intellettivo. È un ente con personalità giuridica autonoma.
Eta Beta è una Cooperativa sociale
che da anni svolge attività di formazione, orientamento e inserimento
lavorativo di persone con disabilità in collaborazione con il Comune di Torino,
Divisione lavoro servizio disabili e con il servizio Passpartout del Comune di Torino. Attraverso il Consorzio
Sinapsi, cui aderisce, partecipa al progetto “Il Lato” della Provincia di
Torino, un progetto di tutoraggio e inserimenti
lavorativi per disabili; attraverso il Consorzio Sinapsi partecipa alla
gestione del “Match” per l’incontro domanda/offerta di lavoro, servizio di
valutazione dei soggetti disabili iscritti al collocamento per
Il ruolo delle due associazioni
di volontariato è stato sia promozionale che di
controllo: promozionale nel senso che sono state parte attiva nell’invio del
materiale informativo, nell’organizzare incontri con i responsabili,
nell’informare circa le caratteristiche delle persone che sarebbero state
inserite. Hanno inoltre svolto un costante monitoraggio e controllo affinché tutte le procedure fossero rispettate, la
scelta dei candidati trasparente, la formazione sufficiente a permettere alle
persone prescelte di svolgere al meglio i compiti loro assegnati e di
comportarsi in maniera adeguata al loro ruolo, l’ambiente di lavoro accogliente
e idoneo a far star bene le persone inserite.
La gestione amministrativa del
progetto (compilazione della modulistica, rendicontazione
alla Provincia, rapporti con i centri per l’impiego e con i responsabili
delle Asl) e la fase vera e propria di inserimento
(selezione e scelta dei candidati, colloqui orientativi, rinforzo di competenze
in aula, formazione in situazione e monitoraggio dell’inserimento, ulteriori
interventi di sostegno nei confronti di colleghi, dei famigliari e delle stesse
persone, qualora necessari) sono state tutte mansioni di competenza della
cooperativa che li ha svolti con professionalità e attenzione, intervenendo
prontamente ogni qualvolta si sono presentati momenti di difficoltà.
Obiettivo primario era
l’assunzione della persona (anche perché se non si raggiungeva non ci sarebbe
stato il riconoscimento economico del lavoro svolto) e quindi l’impegno profuso
era molto maggiore di quello che normalmente viene
messo in campo nel caso di tirocini non finalizzati all’assunzione o borse
lavoro assistenziali.
Progetti di sostegno e di integrazione lavorativa
Come ben spiegato nell’articolo
“Handicap: riflessioni sul lavoro in rete dei servizi per l’inserimento
lavorativo” a firma di Maria Grazia Breda sul n. 153,
2006, di questa rivista, l’attuale rete dei servizi, che dovrebbero provvedere
al collocamento mirato nella Provincia di Torino, non brilla per efficienza,
efficacia e risultati ottenuti. Ciò che manca soprattutto è
la regia tra i vari attori della rete che in assenza di regole e responsabilità
precise lavorano in modo scoordinato e quindi non produttivo. A nostro
avviso, sarebbe di fondamentale importanza che avessero come base il centro per
l’impiego e che da essi dipendessero funzionalmente. Adducendo
come motivazione l’impossibilità di assumere nuovo personale (neanche chi va in
pensione verrà forse più sostituito!) o di stabilizzare chi già opera sul
territorio,
Il primo bando è stato emanato
nel 2004 ed è finito nel mese di giugno 2006, data di inizio del secondo bando
che terminerà entro il 31 dicembre 2007.
Numerose sono le incognite:
• non c’è la certezza che in ogni
realtà della Provincia ci siano cooperative che
s’impegnino in questa attività: dai primi dati forniti dalla Provincia,
infatti, i progetti per cui è stato richiesto il contributo provengono nella
maggior parte dei casi da enti operanti nella città di Torino e non sono molti;
• non esiste alcun vincolo di
promuovere l’assunzione di una quota di persone con handicap intellettivo o
fisico grave ed i progetti che si propongono di inserire queste persone non
sono molti;
• terminato il progetto con
l’assunzione della persona, nessuno ha il compito di monitorare tale
inserimento e di intervenire qualora sorgessero
problemi.
In mancanza però di alternative, abbiamo deciso di tentare questa strada e di
impegnarci a fondo per tentare di dare una risposta lavorativa soprattutto a
chi di risposte ne ha sempre avute poche. Per l’attuazione del nostro progetto
abbiamo quindi aderito al bando della Provincia di Torino “Progetti di sostegno
e di integrazione lavorativa di persone con
disabilità” che mette a disposizione di chi fa progetti di inserimento
lavorativo mirato ad elevata complessità contributi presi dal fondo regionale
disabili per azioni di: screening e approfondimento, rimotivazione
e formazione breve finalizzata alla mansione da svolgere, tirocini formativi e
orientativi, tutoraggio e supporto all’inserimento lavorativo.
I contributi vengono erogati solo ad avvenuta
assunzione, possibilmente con contratti a tempo indeterminato.
Le richieste delle Asl
È stato messo in chiaro che il
progetto riguardava l’assunzione di persone con maggiori difficoltà di
collocamento a causa del proprio handicap (intellettivo o fisico con limitata
autonomia) e le richieste delle Asl, che hanno dato
la loro disponibilità, si sono indirizzate subito verso mansioni che non
richiedessero alte professionalità ma almeno buone capacità relazionali,
attenzione, precisione nell’esecuzione dei compiti e un minimo di autonomia.
Solo nel caso di una Asl la richiesta è stata
categorica: le persone da inserire non dovevano avere un handicap intellettivo
(se non molto lieve) in quanto le esperienze precedenti erano state negative:
numerose persone, infatti, con questa tipologia di handicap erano già state
assunte in tempi precedenti quando ancora non vi era attenzione a collocarle in
maniera idonea e a formarle adeguatamente e questo ha creato problemi tali da
rifiutare di ripetere l’esperienza. La mansione richiesta da questa
Asl, d’altronde, è di carattere amministrativo
e quindi adatta ad una persona con handicap fisico, eventualmente su sedia a
rotelle, essendo la struttura in cui dovrà lavorare priva di barriere
architettoniche.
Nelle altre Asl
si è cercata una mediazione: accanto all’assunzione di alcune
persone con handicap intellettivo idonee a svolgere lavori relativamente
semplici, la cooperativa si è impegnata a ricercare anche persone con altre
tipologie di handicap da inserire in ruoli più qualificati: così nell’Asl 7, accanto a Paolo (handicap fisico e intellettivo col
55% di invalidità), che lavora all’inserimento dati presso il centro
informatico, e Biagio (handicap intellettivo col 46% di invalidità), assunto
come fattorino dalla cooperativa che ha l’appalto di questo servizio nell’Asl, vi è Giuseppe (handicap fisico col 75 % di
invalidità), che lavora come impiegato presso l’ufficio personale.
All’Asl
3 Enrico (handicap intellettivo col 76 % di
invalidità) e Francesco (handicap fisico grave in sedia a rotelle) hanno
finalmente un lavoro adatto a loro, che li gratifica grandemente ed in cui, a
detta degli stessi referenti, sono bravissimi: danno le informazioni in due
diversi poliambulatorii cittadini indirizzando le persone negli uffici e negli
ambulatori giusti, informando circa prenotazioni e orari di visita, consegnando
referti. Enrico, che non ha problemi deambulatori, fa
funzionare il servoscala per permettere alle persone
con disabilità fisica di raggiungere gli ambulatori. Infine Daniela
(handicap fisico col 52%) è addetta allo sportello delle prenotazioni delle
visite specialistiche.
La collaborazione con una di
queste Asl, in particolare, si è stabilizzata ed
ampliata: una delle preoccupazioni che maggiormente rileviamo, in chi deve
assumere personale con handicap, è il timore di dover inserire persone non in
grado di svolgere appieno i loro compiti o addirittura di dover essere loro
stessi accuditi in quanto non in grado di reggere un percorso lavorativo. Ci
troviamo a dover pagare, in molte realtà, lo scotto degli inserimenti
effettuati negli anni scorsi, quando ancora non si parlava di collocamento
mirato, ma si avviavano le persone con chiamata
numerica, senza adeguata formazione, tutoraggio e
soprattutto non in grado di svolgere le mansioni loro assegnate. Sono convinta
che questo non succeda quasi più. Purtroppo, però, si è consolidato un vissuto
che vede ancora questi soggetti non come risorse ma come peso, come individui
da assistere e non come persone che hanno dei limiti, ma anche delle
potenzialità che vale la pena di far emergere, di valorizzare ed utilizzare a
tutto vantaggio loro e della collettività.
La collaborazione che abbiamo
offerto con questo progetto ha permesso di far capire
quanto sono importanti i servizi di supporto soprattutto nella prima fase di
analisi delle necessità aziendali e nella conseguente selezione dei candidati
più idonei: se questa fase viene eseguita correttamente anche l’inserimento non
presenterà grandi problemi. Ma se si inserisce una
persona senza aver prima valutato bene la sua compatibilità con ciò che sarà
chiamata a fare, quasi sicuramente si andrà incontro ad un fallimento. Gli
esiti negativi possono comunque avvenire anche se le
premesse sono ottime. Quando subentrano dei problemi l’importante, a mio
avviso, è accorgersene per tempo, tentare il più possibile di
intervenire con azioni di supporto e di rinforzo per non soccombere alla prima
difficoltà ma poi avere anche il coraggio di interrompere l’inserimento qualora
la non compatibilità permanesse. Qualche volta basta cambiare ufficio, colleghi
o mansione e tutto va per il meglio. La flessibilità
in questi casi è fondamentale.
Ciò è avvenuto anche nel nostro
progetto: in qualche caso è stato sufficiente l’intervento dell’operatore che
seguiva il caso e minime azioni di sostegno; in un altro caso si è dovuti
intervenire sostituendo la persona con altra più idonea.
L’azienda ha dimostrato di
apprezzare la tempestività degli interventi e la professionalità degli
operatori: ha capito di non essere sola a dover gestire problematiche che non
aveva voglia o competenza per
gestirle autonomamente e ci ha premiati affidandoci il
compito di inserire altre persone.
Come sono state
scelte le persone e quale percorso hanno fatto?
Anche le Asl
coinvolte nel progetto, così come qualsiasi altra azienda che lo desideri,
hanno firmato con
In ogni
convenzione quadro le aziende sanitarie hanno concordato con
Dopo un’analisi attenta delle
mansioni richieste si è provveduto ad estrarre dalla
banca dati della cooperativa e dell’associazione i nominativi delle persone con
il profilo professionale che maggiormente si avvicinava a quello richiesto. In
alcuni casi i nominativi in nostro possesso sono stati
sufficienti per rispondere alle esigenze dell’azienda, in altri casi abbiamo
fatto ricorso agli elenchi del centro per l’impiego di riferimento che ha di
buon grado collaborato, anche perché gli utenti in attesa di un lavoro sono
sempre tanti mentre le opportunità non sono purtroppo molte.
Le persone sono state scelte innanzitutto in base alla tipologia del loro handicap:
ogniqualvolta infatti il ruolo lavorativo poteva essere ricoperto da persone
con un handicap intellettivo queste avevano la precedenza. Tra tutte le
persone selezionate, poi, si cercavano quelle che
avessero le caratteristiche più idonee dal punto di vista della professionalità
e, a parità di profilo professionale, veniva scelta quella con maggiore
anzianità di iscrizione al collocamento.
Qualora le mansioni avessero
richiesto competenze troppo elevate per essere svolte
da una persona con handicap intellettivo, anche se lieve, si è passati ad
inserire persone con altri handicap premiando ancora una volta coloro che
avevano disabilità più elevate (ad esempio un ragazzo non deambulante) e più
lunga anzianità di iscrizione al collocamento.
Le persone individuate venivano accompagnate dal tutor a colloquio col referente
dell’azienda e se il colloquio risultava soddisfacente si procedeva con
l’inserimento, tramite tirocinio, nel posto prescelto.
L’inizio del tirocinio veniva comunicato al centro per l’impiego di competenza con
apposita modulistica in cui veniva siglata la convenzione tra il centro per
l’impiego, il datore di lavoro, il tirocinante e l’agenzia di supporto e
venivano esplicitati il piano formativo, le mansioni da svolgere, l’orario, le
modalità di svolgimento del tirocinio, il nome del referente aziendale ed
infine la volontà, da parte dell’azienda, di procedere con l’assunzione al
termine del tirocinio se questo avesse dato buon esito.
I tirocini hanno avuto una durata
media di tre mesi durante i quali è stata erogata da
parte dell’azienda una borsa lavoro di importo di circa 300 euro: l’Asl non ne ha potuto chiedere il rimborso alla Regione
trattandosi di Ente pubblico, mentre per altre aziende o cooperative ciò è
stato possibile sia per le persone con un handicap intellettivo
(indipendentemente dalla percentuale d’invalidità), sia per quelle con
minorazione fisica con invalidità superiore al 67% (1).
Al termine del
periodo di tirocinio tutte le persone sono state assunte con contratto a
tempo indeterminato, dopo aver superato anche il periodo di prova.
Uno sguardo sulle persone inserite
Ho iniziato parlando di una
storia vera, vorrei concludere con altre. La
testimonianza è molto utile per capire, per passare dall’astrazione al
concreto, dalla generalizzazione all’individuo. Credo
che questi giovani e non più giovani rappresentino
bene le centinaia di persone che per anni restano iscritte nelle liste speciali
dei centri per l’impiego aspettando un lavoro che purtroppo non sempre
arriverà. Loro ce l’hanno fatta e noi vorremmo che le
loro storie fossero di stimolo per altri giovani e le loro famiglie a non
rassegnarsi ma a continuare a lottare e chiedere a gran voce che il loro
diritto ad avere un lavoro venga tutelato.
Storia di Enrico
Di lui qualcuno del centro per
l’impiego aveva detto: «certo che è
difficile trovargli un lavoro. Le imprese chiedono anche una bella presenza e
lui non è proprio bello». Se poi oltre a non
essere bello uno ha anche un handicap intellettivo e una lieve spasticità alle mani ed una percentuale di
invalidità del 76%, cosa deve fare? Rinchiudersi in casa e non farsi più
vedere? Enrico e la sua famiglia non lo hanno fatto e sono stati premiati. Erano
sempre presenti quando si faceva una manifestazione,
era iscritto a tutti i possibili corsi di formazione, aveva alle spalle un
curriculum di tirocini e di esperienze di lavoro mai concretizzatesi con
un’assunzione, ha fatto un’esperienza di alcuni mesi in Spagna con un progetto
europeo riservato alle persone con disabilità fisica (ma lui è stato accettato
lo stesso, nonostante l’handicap intellettivo), aveva svolto molte ore di
lavoro come volontario a piegare volantini e spedire lettere in associazione. Dopo
tanto tempo passato a casa ad accudire la madre spesso
malata, finalmente all’età di 32 anni Enrico ha potuto realizzare il suo sogno:
avere un lavoro in cui impegnarsi, in cui far vedere cosa è capace di fare. Un
lavoro che gli ha permesso di essere indipendente
economicamente dalla famiglia e soprattutto gli ha permesso di uscire di casa
la mattina e stare a contatto con la gente, colleghi o pazienti che si recano
nel poliambulatorio dell’Asl, con i quali si
relaziona perfettamente e dai quali è molto apprezzato per la puntualità, la
costante presenza e la disponibilità ad aiutare chiunque e a collaborare
affinché tutto proceda bene. L’Asl è diventata quasi
la sua seconda casa e nulla può tenerlo lontano dal suo lavoro: quest’estate ha anche accettato di ampliare il suo orario
per sostituire i colleghi in ferie.
Le sue mansioni consistono nel
dare informazioni ai pazienti che devono effettuare
visite nel poliambulatorio indirizzandoli nelle varie stanze di visita e
informandoli sugli orari di visita dei vari medici o delle varie commissioni,
nell’aiutare le persone in sedia a rotelle a utilizzare il servoscala,
consegnare i referti a coloro che vengono a ritirarli. Questa è una delle
ultime mansioni che gli sono state affidate e che espleta
con grande attenzione e rigore facendo attenzione a non sbagliare e
rifiutandosi di consegnare i referti in mancanza del diretto interessato o
della delega al ritiro.
L’inserimento di
Enrico è stato preceduto da un periodo di rinforzo di competenze con
particolare attenzione alla gestione dell’ansia, delle emozioni, della rabbia
soprattutto, perché la mancanza di
controllo in determinate situazioni in passato aveva creato problemi. Evidentemente
Enrico ha fatto tesoro degli sbagli del passato e tutto è
andato bene.
L’ambiente è in
questi casi molto importante ed Enrico è stato fortunato perché ha
incontrato colleghi e superiori attenti e sempre disponibili ad aiutarlo e a
dargli fiducia.
Storia di Biagio
Biagio è un ragazzo adottivo, con
una famiglia che ha saputo cogliere i segnali del suo disagio già nella scuola
ma che l’ha aiutato a superarli con supporti educativi specialistici, ma
soprattutto spingendolo
ad un percorso di vita che fosse di massima autonomia e di
normalità.
Il problema di Biagio a scuola
era la dislessia e la difficoltà di concentrazione
oltre ad un lieve ritardo intellettivo (ha il 46% di invalidità),
ma ciò non gli ha impedito di frequentare una scuola per operatori di comunità
raggiungendo anche il diploma. È riuscito anche a prendere la patente ed è
stata proprio questa sua specificità a renderlo idoneo a ricoprire il ruolo di
fattorino e autista di cui un ospedale della cintura di Torino necessitava: l’assunzione è stata effettuata dalla
cooperativa che ha l’appalto di questo servizio ed ora Biagio dopo un periodo
di tre mesi di tirocinio è stato assunto a tempo indeterminato con un orario part time dal lunedì al venerdì.
Nel periodo di tirocinio è stato
affiancato ad un autista più anziano che ha provveduto a
fargli la formazione in situazione facendosi accompagnare nei percorsi di
consegna sul territorio finché non è stato in grado di muoversi autonomamente. In
questo caso l’ente di supporto al collocamento mirato ha svolto prevalentemente un ruolo di
sostegno amministrativo alla cooperativa che l’ha assunto ed ha effettuato col
ragazzo un breve percorso di rinforzo di competenze di base oltre che di
monitoraggio dell’inserimento.
Il ragazzo è contento del suo
lavoro anche perché risponde in pieno al suo desiderio di avere un lavoro non routinario e soprattutto non sedentario, chiuso in un
ufficio. La sua mansione consiste nel consegnare provette di sangue o altro
materiale da analizzare presso ospedali della città di Torino e di Ivrea partendo dalla sua sede presso l’ospedale di Chivasso nell’hinterland
torinese. Fino a qualche mese fa aveva anche il compito di accompagnare
pazienti che dovevano fare la dialisi presso l’ospedale di Ivrea
e riportarli al proprio domicilio. Poi il servizio è stato sospeso con grande suo dispiacere perché era un lavoro che gli piaceva
molto e gli permetteva di entrare in contatto con molte persone. La consegna di
materiale, al contrario, la fa da solo.
Prima di essere assunto Biagio
aveva cercato da solo dei lavori che però duravano
sempre poco tempo e soprattutto non erano seguiti da nessun tipo di sostegno:
come commesso non andava d’accordo col padrone del negozio che gli dava troppe
incombenze e lui non riusciva a svolgerle in breve tempo, presso la fabbrica di
un amico ha lavorato su una macchina per la produzione di silicone ma alla fine
del contratto a tempo determinato non è stato più riconfermato e lo stesso per
quanto riguarda il tirocinio come magazziniere presso una ditta di vini che il Sil (Servizio di inserimento lavorativo) che lo aveva in
carico gli ha offerto. Dopo ogni insuccesso lo sconforto aumentava anche
perché in molti casi non veniva data la motivazione e
non si sapeva se la colpa era del ragazzo che non era adeguato alla mansione o
se era l’azienda che aveva cambiato idea.
Questo modo di operare non aiuta
certo a capire le potenzialità delle persone e provvedere in caso di necessità
ad eventuali rinforzi di competenze negli ambiti carenti. Tra un lavoro e
l’altro c’erano lunghi periodi in cui non faceva nulla. Ora Biagio è un ragazzo
realizzato che però non smette di tenersi aggiornato
su eventuali possibilità di altri lavori che gli permettano di migliorare la
sua posizione e gli diano una maggiore certezza per il suo futuro.
Conclusioni
Per concludere,
ci piacerebbe che la lettura di queste storie fosse di stimolo anche per le
imprese e le aiutasse a fare un salto di qualità nel valutare queste persone:
vorremmo che le imprese smettessero di pensare che la persona con handicap
rappresenta sempre e solo un peso e un mancato profitto. Dovrebbero invece imparare a valutare correttamente e a valorizzare le
capacità di queste persone e non dimenticare gli obblighi sociali che anche
l’impresa dovrebbe avere nei confronti della società di cui fa parte. Il
permettere a queste persone di avere una vita
lavorativa piena dovrebbe essere uno degli obiettivi di responsabilità sociale
a cui nessuna impresa, pubblica o privata che sia, dovrebbe sottrarsi.
Ci piacerebbe infine che leggendo
queste storie anche coloro che devono programmare e
preventivare fondi e servizi atti a combattere la disoccupazione riservassero
un’attenzione particolare a chi ha più difficoltà di altri ad inserirsi nel
mondo del lavoro: occorre vedere le cose con più lungimiranza di quanto non si
è fatto finora e valutare se, oltre l’aspetto morale, non ci sia alla fine
anche un tornaconto economico per tutta
la società nel permettere a queste persone di mantenersi col proprio lavoro.
(*) Coordinatrice del Ggl
(Gruppo genitori per il diritto al lavoro delle persone con handicap
intellettivo). E-mail:
emanuela.buffa@tiscali.it.
(1) I criteri per l’accesso ai rimborsi delle aziende
private sono fissati dalla legge della Regione Piemonte 29 agosto 2000, n. 51
“Fondo regionale per l’occupazione dei disabili”.
www.fondazionepromozionesociale.it