Prospettive assistenziali, n. 157, gennaio - marzo 2007
Interrogativi
PERCHé IL SENATORE ANTONIO DE POLI PRESENTA PROPOSTE DI LEGGE CHE CONTRADDICONO
LE SUE DICHIARAZIONI?
Nella
rubrica “Specchio nero” del numero 155, 2006 di questa rivista sono stati
esplicitati i motivi in base ai quali abbiamo definito
«privo di ogni logica giuridica, umana e
sociale» (1) il progetto di legge n. 131 presentato il 6 marzo 2006 al
Consiglio regionale del Veneto dal Consigliere Antonio De Poli e da altri suoi
colleghi, recante il titolo “Disposizioni per la istituzione del fondo regionale
per la non autosufficienza e per la sua disciplina”.
Manifestiamo
adesso le nostre preoccupate riserve in merito al disegno di legge depositato
in data 12 luglio 2006 dallo stesso Antonio De Poli, questa volta quale
Assessore alle politiche sociali della Regione Veneto, sul tema “Legge quadro
per la realizzazione del sistema integrato di interventi
e servizi alla persona” (2).
Mentre constatiamo la mancanza assoluta di diritti esigibili per le persone
in gravi condizioni di disagio, comprese quelle che sono destinate ad essere
emarginate dalla società se non ricevono le occorrenti prestazioni sociali,
gradiremmo sapere perché nel progetto di legge è riservata alla Provincia la «competenza sugli interventi sociali
relativi ai non vedenti, agli audiolesi e ai figli minori riconosciuti dalla
sola madre».
Per
quanto riguarda i non vedenti e gli audiolesi (minori, adulti e anziani) la
conservazione delle funzioni alle Province non viola il
principio della «parità di trattamento e
delle pari opportunità» (3) dei soggetti con handicap rispetto agli altri
cittadini?
Nei casi in cui i
non vedenti, gli audiolesi ed i minori riconosciuti dalla sola madre necessitassero di interventi socio-assistenziali (sostegni
al nucleo familiare di origine, affidamento a scopo educativo, adozione,
accoglienza presso comunità alloggio, frequenza dei centri diurni, ecc.), come
possono le Province garantire prestazioni idonee e non discriminanti, tenuto
conto che esse operano esclusivamente nei confronti dei suddetti individui,
mentre i Comuni singoli e associati agiscono nei riguardi di tutti gli altri
ben più numerosi soggetti?
Saranno istituiti
nello stesso territorio, ad esempio, un servizio delle Province per gli
affidamenti familiari a scopo educativo specifico per i non vedenti, gli
audiolesi ed i minori riconosciuti dalla sola madre e un’analoga attività
gestita dai Comuni singoli o associati per tutti gli altri soggetti aventi la
stessa esigenza?
Inoltre, se il
bambino riconosciuto dalla sola madre, viene
dichiarato figlio anche dal padre, perché, rimanendo tali e quali i suoi
bisogni, gli interventi devono essere trasferiti dalla Provincia al Comune?
per quali motivi
il Senatore Antonio De Poli si è dimenticato di aver inviato agli organizzatori
(Provincia di Torino e Associazione promozione sociale) del convegno nazionale
tenutosi a Torino il 21 ottobre 2005 (4) una lettera nella quale affermava la
necessità che «dovranno essere eliminate
le discriminazioni in materia di assistenza ai minori
in modo da evitare conflitti di competenze, sovrapposizione di interventi e
promossi i necessari provvedimenti affinché tutte le funzioni
socio-assistenziali inerenti i minori siano attribuiti ai Comuni»?
Per quanto riguarda
il sostegno alle gestanti e madri in condizioni di disagio, nella lettera sopra
ricordata, il Senatore Antonio De Poli si era impegnato di farsi «portavoce in sede nazionale (5) degli atti occorrenti per garantire
interventi idonei a prevenire gli abbandoni che mettono in pericolo la vita dei
neonati, per evitare gli infanticidi e per fornire alle gestanti le prestazioni
necessarie perché possano assumere con la massima loro responsabilizzazione
possibile le decisioni circa il riconoscimento o il
non riconoscimento dei loro nati».
Chiediamo quindi al
Senatore Antonio De Poli perché nel sopra ricordato progetto di legge,
presentato al Consiglio della Regione Veneto come Assessore alle politiche
sociali, ha affidato i suddetti compiti a tutti i Comuni compresi quelli con
poche decine di abitanti?
Come possono detti enti garantire il segreto del parto alle donne
che non riconoscano i loro nati?
Per
quali motivi ha assegnato le funzioni a tutti i Comuni del Veneto quando nella
lettera di cui
sopra, dopo aver giustamente osservato che «considerata
l’estrema delicatezza degli interventi rivolti ad ottenere in tutta la misura
del possibile che il riconoscimento o il non riconoscimento vengano decisi in
modo responsabile», aveva precisato che per l’attuazione di quanto sopra
era necessario che «gli interventi siano
forniti da personale non solo specializzato (psicologi, assistenti sociali,
educatori) ma anche in possesso di una preparazione specifica riferita alle
conseguenze negative a medio e lungo termine derivanti da riconoscimenti
forzati, che purtroppo ancora avvengono e che determinano frequentemente
abbandoni tardivi dei bambini con effetti negativi molto difficilmente recuperabili»?
PERCHÉ
sul n. 10, novembre 2006 di Sempre, mensile
della comunità Papa Giovanni XXIII di Rimini, Alessio
Zamboni afferma che «nel 1962 i minori in istituto in Italia erano ben 249 mila» e che «dagli anni ’70 in poi un forte movimento di opinione trainato da alcune associazioni tra cui la
stessa Comunità Papa Giovanni XXIII, ha però cambiato
la situazione attraverso lo sviluppo di una rete di famiglie disponibili
all’affidamento familiare e la promozione di iniziative pubbliche per
sensibilizzare l’opinione pubblica e influire sui programmi politici» di
modo che «anno dopo anno il numero dei
minori ricoverati negli istituti diminuiva e crescevano le risposte
alternative».
Sappiamo
che Mons. Oreste Benzi,
Presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII, è
contrario all’adozione e ricordiamo che nell’editoriale dell’aprile 2001 di Sempre ha contestato, con affermazioni
lesive della dignità dei figli e dei genitori adottivi, l’istituto
dell’adozione legittimante (6).
Le
affermazioni di Mons. Benzi,
che non ha mai accettato di confrontarsi con Prospettive assistenziali sulla validità
dell’adozione, sono anche gravemente offensive nei riguardi di coloro che hanno
operato e operano per il riconoscimento del diritto alla famiglia dei bambini
figli di ignoti e di quelli totalmente privi di sostegno morale e materiale da
parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi.
Com’è
previsto dal 1967 dalla legislazione italiana, l’adozione non è «un atto indebito e ingiusto» come
sostiene Mons. Benzi, ma il
riconoscimento del fondamentale diritto alla famiglia (7).
Ciò
premesso, chiediamo ad Alessio Zamboni perché non
ammette che è stata l’Anfaa (Associazione nazionale famiglie adottive e
affidatarie) che ha avviato una numerosa serie di iniziative
per denunciare le nefaste conseguenze del ricovero in istituto dei bambini?
Perché
afferma che la situazione dei bambini in istituto è cambiata «dagli anni ’70 in poi» quando le iniziative dell’Anfaa
sono state avviate dal 1962 e un impulso fortissimo al loro diritto alla
famiglia (d’origine o adottiva) è stato dato dall’approvazione della legge
431/1967 sull’adozione speciale?
Anche se Mons. Benzi è contrario
all’adozione, perché Alessio Zamboni afferma che la
situazione dei minori istituzionalizzati è cambiata «attraverso lo sviluppo di una rete di famiglie disponibili
all’affidamento familiare», senza tener conto dell’apporto importantissimo
dell’adozione?
Per
quali motivi non ricorda che il primo servizio di affidamento
familiare a scopo educativo è stato istituto dalla Provincia di Torino nel 1971
(8) su iniziativa dell’Anfaa e dall’Unione per la promozione dei diritti (ora Ulces, Unione per la lotta contro l’emarginazione sociale)?
È troppo
chiedere a Zamboni di ristabilire la verità sulla
rivista Sempre?
(1) Cfr. l’articolo “L’insensato e anticostituzionale progetto di
legge presentato al Consiglio della Regione Veneto per l’istituzione di un
fondo sulla non autosufficienza”, Prospettive
assistenziali, n. 155, 2006.
(2) Antonio De Poli è stato eletto Senatore e si è
quindi dimesso da Assessore della Regione Veneto.
(3) Cfr. la legge 1° maggio 2006, n. 67 “Misure per la tutela
giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni”.
(4) Una sintesi del convegno di Torino del 21
ottobre 2005 “Il diritto di tutti i bambini fin dalla nascita alla famiglia e
la prevenzione dell’abbandono” è stata pubblicata su Prospettive assistenziali, n. 153 bis, 2006.
(5) La lettera era stata inviata agli organizzatori
del citato convegno di Torino del 21 ottobre del 2005 da Antonio De Poli sia
come Assessore alle politiche sociali della Regione Veneto, sia come
coordinatore interregionale degli Assessori alle politiche sociali.
(6) Mons. Oreste Benzi si era così espresso: «L’adozione come è definita oggi secondo la
nuova legge è migliorata ma ha ancora troppi limiti e in molti casi rischia di
tradursi in un atto di costrizione, di brutalità nei confronti dei bambini. L’adozione
intesa come taglio netto e definitivo dei rapporti con la famiglia di origine, è ammissibile solo nelle situazioni in cui i
genitori d’origine non esistano più di fatto. Mi spiego: il figlio adottato più
cresce nell’età più sente il bisogno di incontrare i genitori che l’hanno
generato e di ritornare da loro. Questo bisogno è insopprimibile. Per questo il
genitore adottivo viene accettato dal figlio adottato
solo quando può dimostrargli che egli l’ha tenuto con sé a lungo come genitore affidatario. Il genitore adottivo deve potere dimostrare
che solo quando si è accertata la scomparsa dei genitori d’origine
all’affidamento è subentrata l’adozione. L’adozione è un atto indebito e
ingiusto fino a quando i genitori sono vivi, anche se ammalati, drogati,
disturbati psichici. Per il figlio, infatti, i genitori prima sono papà e mamma
e poi ammalati: la storia di innumerevoli casi lo
dimostra. Dico queste cose non per giudicare le molte coppie di genitori
adottivi che sono mosse da vero spirito di amore
gratuito, ma per valutare l’istituto dell’adozione in sé, che a mio avviso va
cambiato tenendo conte dei bisogni del bambino».
(7) Ricordiamo che Papa Giovanni Paolo II ha affermato il 5 settembre 2000 quanto segue: «Adottare dei bambini, sentendoli e
trattandoli come veri figli, significa riconoscere che il rapporto tra genitori
e figli non si
misura solo sui parametri genetici. L’amore che genera è innanzitutto
dono di sé. C’è una “generazione” che avviene attraverso l’accoglienza, la
premura, la dedizione… Il rapporto che ne scaturisce è così intimo e duraturo,
da non essere per nulla inferiore a quello fondato sull’appartenenza biologica.
Quando esso, come nell’adozione, è anche giuridicamente tutelato, in una
famiglia stabilmente legata dal vincolo matrimoniale, esso assicura al bambino
quel clima sereno e quell’affetto, insieme materno e
paterno, di cui egli ha bisogno per il suo pieno
sviluppo umano».
(8) Cfr. Prospettive assistenziali, n. 16, 1971.
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