Prospettive assistenziali, n. 157, gennaio - marzo 2007
Notizie
I limiti della ruota/culla: è prioritario sostenere le
gestanti e LE madri in gravi difficoltà E NON SOLO I LORO NATI
Riportiamo il comunicato stampa
emesso dall’Anfaa (Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie) e
dal Csa (Coordinamento sanità e assistenza fra i
movimenti di base) in data 2 marzo 2007.
In
merito al bambino lasciato nella ruota/culla del Policlinico Casilino di Roma, si fa presente che in base alla normativa
vigente (legge 2838/1928 richiamata dall’articolo 8, comma 5 della legge
328/2000 sui servizi sociali) le donne hanno tre importanti diritti: il diritto
alla scelta se riconoscere o non riconoscere il bambino procreato, il diritto
al segreto del parto per chi non riconosce il proprio nato, il diritto
all’informazione, compresa quella relativa alla
possibilità di un periodo di riflessione successivo al parto per assumere la
decisione riguardante il riconoscimento o meno.
Per
quanto riguarda il diritto alla scelta, la sentenza n. 171 del 5 maggio 1994
della Corte costituzionale recita: «Qualunque
donna partoriente, ancorché da elementi informali risulti
trattarsi di coniugata, può dichiarare di non voler essere nominata nell’atto
di nascita».
Per
quanto riguarda i bambini non riconosciuti alla nascita (circa 350 all’anno) essi devono essere segnalati al Tribunale per i
minorenni che li dichiara in stato di adottabilità. Dopo poche settimane essi vengono inseriti presso idonee famiglie. Pronunciata
l’adozione, questi bambini assumono lo status di figli legittimi a tutti gli
effetti.
Occorre sottolineare che la gravidanza può innestarsi in una
condizione di disagio preesistente della donna, ed essere quindi vissuta con
estrema difficoltà e fatica. Laddove la gravidanza si colloca in un percorso di
grave problematicità sono necessari interventi di sostegno mirati per
consentire alla donna di valutare con la massima
responsabilizzazione possibile la decisione circa il riconoscimento o il
non riconoscimento del bambino.
Tutte le
suddette attività devono essere svolte dalle Province ai sensi della sopra
citata legge 2838/1928, a meno che la legislazione
regionale abbia attribuito detti compiti ad altri organismi.
È il
caso della legge della Regione Piemonte n. 16/2006 che ha affidato ai Comuni di
Novara e di Torino, nonché ai Consorzi intercomunali
del Cuneese e dell’Alessandrino «le funzioni relative agli interventi socio-assistenziali nei confronti
delle gestanti che necessitano di specifici sostegni in ordine al
riconoscimento o non riconoscimento dei loro nati e al segreto del parto».
La
stessa legge attribuisce ai Comuni singoli o associati la
continuità delle prestazioni alle donne che hanno riconosciuto il bambino, ma
che si trovano in difficoltà.
Le
ruote/culla non rispondono in nulla e per nulla alle
esigenze, spesso drammatiche ed urgenti, delle donne in gravi difficoltà
socio-economiche e quindi non rappresentano nemmeno una iniziativa volta a
prevenire gli infanticidi e gli abbandoni per le strade o nei cassonetti dei
bambini.
Per
assicurare i necessari interventi alle gestanti e alle madri, le On. Katia Zanotti e Marisa Nicchi
hanno presentato in data 3 ottobre 2006 alla Camera dei Deputati la proposta di
legge n. 1754 che prevede il riordino delle norme riguardanti il sostegno alle
gestanti e madri in condizioni di disagio socio-economico, nonché
le disposizioni volte a garantire il segreto del parto alle donne che non
intendono riconoscere i loro nati.
Si
segnala altresì che, ai sensi dell’articolo 121 della Costituzione, il
Consiglio regionale del Piemonte ha approvato all’unanimità in data 30 gennaio
2007 la proposta di legge “Sostegno alle gestanti e
madri in condizioni di disagio socio-economiche e misure volte a garantire il
segreto del parto alle donne che non intendono riconoscere i propri nati”. La
proposta è stata inviata in data 5 febbraio 2007 alla Camera dei Deputati.
È dunque
necessario che le persone e le organizzazioni sensibili alle esigenze delle
gestanti, delle madri e dei loro nati premano sul Presidente e sui Componenti della Commissione Affari sociali della Camera dei
Deputati affinché le suddette proposte di legge vengano sollecitamente
esaminate e approvate.
SENTENZA DEL TAR DELLA SICILIA:
I CONTRIBUTI A CARICO DEGLI ASSISTITI CON HANDICAP GRAVE E DEGLI
ULTRASESSANTACINQUENNI NON AUTOSUFFICIENTI DEVONO ESSERE CALCOLATI IN BASE ALLE LORO PERSONALI RISORSE ECONOMICHE
A
seguito di un ricorso presentato dai signori A. S. e dalle sedi nazionale e
siciliana dell’Anffas,
Per
dette prestazioni il regolamento prevedeva che doveva
essere fatto riferimento al reddito familiare del portatore di handicap grave.
Pertanto
«considerato che, nella parte in cui viene valorizzata la “situazione economica del solo
assistito”, la norma da ultimo citata può
essere direttamente applicata, anche a prescindere dalla mancata adozione del
decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in essa previsto, trattandosi
di prescrizione immediatamente precettiva, che non
necessita di disposizioni attuative di dettaglio»,
Poiché
il sopra riportato comma 2 ter dell’articolo 3 del
decreto legislativo 109/1998 come risulta modificato
dal decreto legislativo 130/2000 riguarda sia i soggetti con handicap grave sia
gli ultrasessantacinquenni non autosufficienti, in base alla sopra citata
sentenza n. 42/2007 del Tar di Catania, gli enti
pubblici devono calcolare i contributi a carico dei vecchi malati cronici
tenendo conto esclusivamente delle loro personali risorse economiche.
Lettera dell’Anci
Piemonte SULLE CONTRIBUZIONI ECONOMICHE
Evidenziamo
l’estrema importanza della lettera inviata il 12 gennaio 2007 dal Presidente e dal Vice
Presidente della Sezione piemontese dell’Anci (Associazione
nazionale Comuni italiani) a tutti i Sindaci del Piemonte in cui viene
segnalato che «
Nella
suddetta lettera viene altresì precisato che «
Ne
consegue che
FINALMENTE IN PIEMONTE DAL 1° GENNAIO 2007 TUTTE LE
COMPETENZE SOCIO-ASSISTENZIALI SONO AFFIDATE AI COMUNI
Come
questa rivista ha sempre richiesto, finalmente a partire dal
1° gennaio 2007 le competenze socio-assistenziali delle Province piemontesi
riguardanti le persone non vedenti o audiolese, nonché i minori figli di ignoti
o riconosciuti dalla sola madre sono state definitivamente trasferite ai Comuni
mediante la delibera della Giunta regionale n. 127-4470 del 20 novembre 2006
che ha approvato le norme attuative della legge regionale n. 1/2004. Ne
consegue che tutte le prestazioni socio-assistenziali sono
fornite dal 1° gennaio 2007 dai Comuni singoli e associati.
Detta
unificazione era già stata decisa dalla legge 142/1990, ma aveva incontrato
l’assurda opposizione delle associazioni dei non vedenti e degli audiolesi che
erano riusciti ad ottenere dal Parlamento la restituzione delle competenze alle
Province, comprese quelle riguardanti i figli di ignoti
ed i minori riconosciuti dalla sola madre.
La
questione dell’unificazione non è stata nemmeno risolta dalla legge 328/2000 di
riforma dell’assistenza e dei servizi sociali (articolo 8, comma 5) che ha
affidato alle Regioni il compito di trasferire le funzioni assistenziali
delle Province «ai Comuni o agli enti
locali», con il pericolo che venissero confermate alle stesse Province o
attribuite ad enti diversi dai Comuni (ad esempio Consorzi fra Comuni e
Province).
Purtroppo
vi sono ancora Province (ad esempio quelle del Veneto) che gestiscono le
attività socio-assistenziali riguardanti i non vedenti, gli audiolesi, i figli di ignoti ed i minori riconosciuti dalla sola madre.
Inoltre
va ricordato, quale atto di emarginazione
istituzionale, la legge della Regione Lombardia n. 34/2004 che ha confermato
l’attribuzione alle Province delle competenze socio-assistenziali relative alle
persone non vedenti o audiolese, avendo trasferito solamente le prestazioni
riguardanti i figli di ignoti ed i fanciulli riconosciuti dalla sola madre.
RILASCIO DELLO STATO DI FAMIGLIA INTEGRALE DI UN FIGLIO ADOTTIVO
Sul n.
1-2, 2006 della rivista I servizi
demografici, mensile professionale per i servizi di anagrafe,
stato civile, elettorale, leva, statistica e informatica, sono apparsi la
richiesta di consulenza e la risposta che riportiamo integralmente.
Domanda
«Nel 1971 è nata da genitori
residenti in questo Comune una bambina, trascritta nel registro dei nati con il
cognome del genitore. A seguito di adozione, giusta
decreto del Tribunale emesso nell’anno 1972, la minore acquisisce il cognome
del genitore adottivo e contestualmente viene trascritta nel registro dei nati
del Comune di N. Si chiede di sapere se nello stato di famiglia integrale
richiesto a questo Comune dai genitori naturali deve sempre comparire la minore
sebbene con il nuovo cognome acquisito a seguito dell’adozione, oppure il suo nominativo non deve essere riportato, come è stato chiesto
dai genitori naturali per la privacy».
Risposta
«Nel 1972, quando è stato emesso
il decreto di adozione da parte del Tribunale per i
minorenni, vigeva la legge sull’adozione speciale, la n. 431 del 5 giugno 1967,
per effetto della quale il figlio assumeva e trasmetteva il cognome del padre
adottivo, come peraltro, si è verificato nel caso in esame. La stessa
normativa, come d’altronde la normativa successiva in materia di adozione legittimante, escludeva che nella certificazione
dovesse essere fatta indicazione alla maternità o paternità del minore. Ora,
nel caso in cui si chiede uno stato di famiglia integrale o di
origine da parte dei genitori naturali, qualora venisse indicato il
figlio con il cognome del nuovo padre adottivo avremmo implicitamente rilevato
lo stato di adozione con la conseguenza che la certificazione conterrebbe dati
che permetterebbero di collegare le due entità di una persona adottata, cioè
quella precedente e quella successiva all’adozione. Pertanto, si è del parere
che nei certificati di stato di famiglia dei genitori biologici di minori che siano stati adottati in forma legittimante, tali minori
devono risultare con le originarie generalità e con l’indicazione della data
fino alla quale sono rimasti nella famiglia di origine, senza alcun riferimento
al nuovo cognome né alla nuova residenza anagrafica conseguenti all’adozione».
PRIMI
RISARCIMENTI AI BAMBINI ABORIGENI DELL’AUSTRALIA
SOTTRATTI ALLE LORO MADRI
Nel n.
120, 1997 di Prospettive assistenziali avevamo segnalato che, secondo un rapporto
elaborato dalla Commissione australiana sui diritti umani, tra il 1910 e il
1970 circa 100 mila bambini aborigeni erano stati «strappati alle loro madri anche a poche ore dalla nascita per essere
affidati a istituzioni statali, famiglie e missioni cristiane».
Negli
istituti la “rieducazione” non risparmiava le punizioni corporali, soprattutto
frustate; per le ragazze non mancava l’umiliazione della violenza sessuale.
Secondo quanto riferisce
È
previsto uno stanziamento di 3 milioni di euro. I
discendenti degli aborigeni dovrebbero ricevere 3 mila euro ciascuno fino ad un
massimo di 12 mila euro. Il resto sarà versato fra le vittime dell’assimiliazione forzata ancora in vita.
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