Prospettive assistenziali, n. 158, aprile - giugno 2007
L’ADOZIONE MITE: UNA INQUIETANTE INIZIATIVA DEL
PRESIDENTE DELLA CORTE DI APPELLO DI BARI
Sul n. 2, 2006 della
Rivista di diritto minorile è
pubblicato il “Protocollo d’intesa per il percorso dell’adozione mite tra Tribunale per i minorenni di Bari e Procura della
Repubblica per i minorenni di Bari, Comune e Provincia di Bari, aperto alla
sottoscrizione da parte degli altri Enti locali territoriali”, recante la data
del 14 giugno 2006.
Nell’introduzione di
detto protocollo «che fa parte integrante
della presente intesa», sottoscritto dal Presidente della Corte di appello di Bari, Giacinto de Marco, è contenuta una
affermazione non veritiera.
Infatti viene affermato che il Consiglio
superiore della magistratura ha rilasciato «l’autorizzazione
alla sperimentazione dell’adozione mite presso il Tribunale per i minorenni di
Bari», atto che non è mai stato accordato da detto Consiglio.
È assai inquietante
che un magistrato, soprattutto se ricopre l’incarico di Presidente di Corte di appello, ponga fra le considerazioni preliminari di una
intesa fra organi giudiziari ed Enti locali istituzionali una autorizzazione
inesistente.
Come abbiamo già riferito (1) il
Segretario generale del Consiglio superiore della magistratura ha inviato in
data 23 maggio 2006 all’Anfaa la seguente lettera: «Comunico che la settima Commissione nella seduta del 16 maggio 2006,
con riferimento alla nota in oggetto indicata (2) ha deliberato di comunicare che il Consiglio non ha autorizzato la
prassi giudiziaria per “l’adozione mite” presso il tribunale per i minorenni di Bari, essendosi limitato a
prendere atto della nota in data 6 maggio 2003 del Presidente di quel Tribunale
con la quale veniva comunicato che era stata istituita
“l’adozione mite”, trattandosi, peraltro, di attività giurisdizionale su cui il
Consiglio superiore della magistratura non ha alcuna competenza».
Altri riferimenti fuorvianti
Nella premessa del sopra citato protocollo di intesa viene asserito che «negli ultimi anni, dapprima la dottrina giuridica, poi autorevoli
organismi di rilievo nazionale come l’Osservatorio nazionale per l’infanzia e
l’adolescenza e la Commissione parlamentare per l’infanzia con importanti
documenti, infine il Parlamento presso cui pende uno specifico progetto di
legge, hanno scoperto il problema ed hanno prospettato la necessità di
intervenire con una nuova disciplina giuridica, che preveda l’introduzione nel
nostro ordinamento di due nuovi istituti quali l’adozione aperta e l’adozione
mite».
Se, come risulta dalla citazione
sopra riportata, viene auspicata «l’introduzione
nel nostro ordinamento» dell’adozione mite, sulla base di quale principio
giuridico il Presidente della Corte di appello di Bari sottoscrive un
protocollo di intesa volto a dare attuazione ad un istituto giuridico di cui
riconosce l’inesistenza?
Inoltre, sulla scorta di quali principi etici e giuridici
presenta il protocollo di intesa al Comune e alla
Provincia di Bari, nonché agli altri Enti locali territoriali affinché lo
sottoscrivano?
L’affidamento familiare a tempo indeterminato
Secondo il Presidente della Corte di appello
di Bari l’attività svolta dal Tribunale per i minorenni del capoluogo della
Puglia ha «fatto emergere una nuova
categoria di minorenni, quella (…) dei minori con incerta prospettiva per il
loro futuro familiare, di quei bambini
che sono in semiabbandono permanente, in quanto provenienti da una famiglia inidonea
parzialmente (…) che mentre è incapace di essere una guida adeguata ed efficace
per il figlio, tuttavia non lo ha abbandonato ed anzi ha con lui un rapporto
affettivo significativo, anche se inadeguato».
In primo luogo va precisato che fin dal 1973 era stato rilevato che l’affidamento familiare a scopo
educativo non era né poteva essere la risoluzione di tutti i problemi dei
minori in difficoltà, ma che intendeva semplicemente «essere una risposta ai problemi del bambino il cui nucleo familiare
eccezionalmente o temporaneamente o definitivamente non è in grado di
provvedere al suo allevamento, educazione e istruzione e d’altra parte la
situazione non è risolvibile con un aiuto economico e/o sociale alla famiglia
d’origine o con l’adozione a seconda dei casi».
Aver accertato, dopo più di trent’anni,
che vi sono nuclei familiari inidonei «parzialmente,
ma in modo continuativo a rispondere ai bisogni educativi» dei figli non è
certo, come viene dichiarato nel protocollo d’intesa,
una scoperta del tribunale per i
minorenni di Bari, ma la conferma di una situazione individuata dall’Anfaa
(Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie) (3) e dall’Unione per
la promozione dei diritti del minore (4) quando, a partire dal 1967, hanno
promosso nel nostro Paese l’istituzione dei servizi di affidamento familiare.
Dunque esistono ed esisteranno anche in
futuro situazioni di affidamento familiare a tempo indeterminato che non
si concluderanno con il rientro del minore nel suo nucleo familiare d’origine.
Nel protocollo d’intesa si prendono in considerazione gli
affidamenti a tempo indeterminato non per valutare se gli enti preposti
all’erogazione delle prestazioni sociali (istruzione, casa, sanità, ecc.) hanno svolto adeguatamente i loro compiti di sostegno al
minore e al suo nucleo familiare (su questo fondamentale aspetto nel protocollo
d’intesa non c’è nemmeno una parola), ma solamente allo scopo di aprire la
strada all’adozione mite.
Per conseguire questo obiettivo
viene escogitata la condizione definita “semiabbandono permanente”.
Semiabbandono
permanente e dichiarazione di adottabilità
Negli anni ’60 l’Anfaa ha sviluppato una notevole e
incessante attività promozionale volta ad ottenere che il richiesto nuovo
istituto giuridico volto a garantire una famiglia ai bambini soli fosse fondato sulla dichiarazione di adottabilità (5).
La finalità essenziale era quella di evitare che i
bambini potessero essere sottratti ingiustamente ai genitori e agli altri componenti del nucleo d’origine.
Pertanto per la dichiarazione di adottabilità
era stabilito che il tribunale
per i minorenni «dispone d’urgenza
approfonditi accertamenti sui precedenti dei minori, sulle loro condizioni
giuridiche e di fatto, sull’ambiente in cui hanno vissuto e vivono» (articolo
314/6 della legge 431/1967).
Il tribunale
per i minorenni poteva, altresì, impartire «con
decreto motivato ai genitori o ai parenti prescrizioni idonee a garantire l’assistenza
morale, il mantenimento, l’istruzione e l’educazione del minore, stabilendo al
tempo stesso periodici accertamenti da eseguirsi direttamente o avvalendosi del
giudice tutelare o di persone esperte o di istituti
specializzati» (articolo 314/8).
Inoltre era prevista la sospensione del procedimento relativo all’adottabilità «per un periodo non superiore ad un anno, eventualmente prorogabile» (articolo
314/10).
Infine l’articolo 314/4 sanciva che potevano essere
dichiarati in stato di adottabilità esclusivamente i
minori «privi di assistenza materiale e
morale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la
mancanza di assistenza non sia dovuta a forza maggiore» (6).
Inoltre, allo scopo di fornire ulteriori
garanzie ai componenti del nucleo d’origine dei minori, la legge 431/1967
(identiche sono le norme vigenti) consentiva ai congiunti dei minori di
presentare al tribunale per i
minorenni opposizione alla dichiarazione di adottabilità, nonché di ricorrere
alla Corte di appello e a quella di Cassazione.
Tutte queste garanzie, finalizzate – lo ripetiamo – ad
evitare la sottrazione ingiustificata di minori dai loro nuclei d’origine, non
sono previste né nella procedura instaurata dal tribunale per i minorenni di Bari, né nel protocollo di intesa sottoscritto dal Presidente della Corte di appello della stessa città.
Poiché il “semiabbandono permanente” non è definito da
alcuna legge, risulta evidente che mancano del tutto
le condizioni per i relativi accertamenti da parte delle autorità giudiziarie e
dei servizi sociali.
ne consegue altresì che l’attribuzione a questo o a
quel minore dello stato di “semiabbandono permanente”, non solo è arbitraria,
ma non consente nemmeno ai congiunti del minore di potersi opporre nelle
opportune sedi giudiziarie.
Conclusioni
Mentre ribadiamo quanto è stato
scritto in merito all’adozione mite e alle proposte di legge presentate in
questa legislatura (7), chiediamo che il Presidente della Corte di appello di
Bari, nonché il Comune e
(1) Cfr. Francesco Santanera, “L’adozione mite: una iniziativa
allarmante e illegittima mai autorizzata dal Consiglio superiore della
magistratura”, Prospettive assistenziali,
n. 154, 2006.
(2) Si tratta della richiesta inoltrata dall’Anfaa
in data 7 febbraio 2005 al Presidente, al Vice Presidente e ai Componenti del
Consiglio superiore della magistratura per avere informazioni circa
l’autorizzazione concessa al tribunale
per i minorenni di Bari in merito all’adozione mite.
(3) Cfr. il volume di Giuseppe Andreis,
Francesco Santanera e Frida Tonizzo,
L’affidamento familiare, Amministrazione
per le attività assistenziali italiane e internazionali, Roma, 1973.
(4) Ora Ulces (Unione per
la lotta contro l’emarginazione sociale).
(5) Anche se
nella legislazione francese è stato introdotto lo stato di adottabilità
(purtroppo definito “stato di abbandono”) prima che nel nostro ordinamento, va
ricordato che detta iniziativa era stata presentata in Francia dall’Anfaa
nell’ambito delle attività del Comitato internazionale di intesa delle
associazioni di famiglie adottive.
(6) Ai sensi della legge 431/1967 potevano essere
dichiarati in stato di adottabilità solamente i minori di età inferiore agli
anni otto. Com’è noto la legge 184/1983 ha esteso l’adottabilità a tutti i
minori, ma ne ha conservato la definizione della legge 431/1967
sopra citata, precisando solo che la condizione ostativa della forza maggiore è
limitata alle situazioni “di carattere
transitorio”.
(7) Cfr. gli articoli di Francesco Santanera, “Gravemente inadeguate le proposte di legge
presentate al Parlamento in materia di adozione e di affidamento di minori a
scopo educativo”, Prospettive
assistenziali, n. 156, 2006 e “L’affidamento familiare a scopo educativo:
le condizioni per non sottrarre indebitamente i minori ai loro nuclei
d’origine”, Ibidem, n. 157, 2007.
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