Prospettive assistenziali, n. 158, aprile - giugno 2007
LE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO VERIFICANO IL FUNZIONAMENTO DELLE COMUNITÀ ALLOGGIO PER
ANZIANI AUTOSUFFICIENTI
LUISA PONZIO
Premessa
Le associazioni aderenti al Csa, Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di
base, da sempre operano per ottenere i servizi e le prestazioni indispensabili
ai cittadini più deboli e incapaci di difendersi, con
l’obiettivo di tutelarne i diritti e
prevenire la loro caduta nell’emarginazione.
Il Csa
inoltre è sempre stato consapevole che non basta ottenere il servizio: occorre
anche accertarne nel tempo il funzionamento e il rispetto dei fini in base ai
quali è stato istituito. È perciò necessario avere la possibilità di verificare
di persona, accedere alle informazioni utili quali, ad
esempio, la tipologia e i bisogni degli utenti, le prestazioni erogate, il
numero e la qualifica del personale.
In tal senso, uno strumento
importante ottenuto dal Csa è dato dalla
deliberazione del Consiglio comunale di Torino del 28
febbraio 1983 che autorizza e regolamenta l’accesso delle associazioni
dell’utenza e dei movimenti di base nelle strutture socio-assistenziali per
osservare e verificare la gestione (1).
In questo articolo
voglio riportare alcuni esempi di quanto è emerso dalle visite che ho
effettuato in questi ultimi anni con altri volontari, nelle comunità alloggio
per anziani autosufficienti del Comune.
Le comunità alloggio per anziani
Il Csa
ha sempre considerato le comunità alloggio uno strumento efficace per prevenire
il processo di isolamento e di abbandono di persone
anziane che, pur in discrete condizioni di autonomia, sono prive di riferimenti
relazionali o hanno condizioni di vita inadeguate. All’origine delle richieste di inserimento risultano in primo luogo la solitudine,
l’inidoneità dell’abitazione e lo sfratto, abbinati per lo più a condizioni
economiche insufficienti. Inoltre, come tutte le comunità destinate ad altri
utenti, esse costituiscono una valida alternativa al
ricovero negli istituti. Gli ospiti infatti vivono in
una situazione protetta ma personalizzante: condividono con altre persone, non
più di otto, un ambiente parafamiliare e paragonabile alla casa, inserito
sovente nel quartiere di provenienza, mantengono più facilmente i rapporti
esterni e sono sollecitati e facilitati a partecipare alle opportunità offerte dal territorio in cui abitano.
A Torino le comunità alloggio per anziani sono nate con la deliberazione del
Consiglio comunale del 14 settembre 1976 proprio come proposta alternativa al
ricovero nelle strutture tradizionali. Tra il 1977 e il 1987 sono
state istituite sette comunità dislocate in diversi quartieri della città.
Attualmente ne restano in funzione soltanto
cinque; una è stata definitivamente chiusa, nell’altra sono in corso da tempo
lavori di ristrutturazione; è inoltre prevista la cessazione dell’attività per
un’altra comunità.
L’organizzazione gestionale delle comunità per anziani prevede la presenza
dal lunedì al venerdì e in certi casi al sabato, al mattino e parte del
pomeriggio, di un operatore dei servizi sociali territoriali con la qualifica
di Adest (Assistente domiciliare e per i servizi
tutelari). Gli ospiti devono pertanto essere in grado di gestire autonomamente
il tempo in cui sono soli e di provvedere ad alcune incombenze come la
preparazione di pasti, il riassetto degli ambienti, le commissioni. Sono liberi
di uscire, di ricevere visite di familiari e conoscenti. Per le eventuali emergenze negli ultimi
anni sono stati dotati di telesoccorso.
Il piano di zona
della Città di Torino conferma i presupposti fondanti delle comunità alloggio
per anziani
Durante i lavori per la
predisposizione del piano di zona (2), il dibattito sui principi, gli obiettivi
e l’assetto gestionale che dovranno caratterizzare i
servizi residenziali per anziani autosufficienti, ha messo in luce
l’orientamento dei funzionari comunali, propensi a potenziare le residenze
assistenziali (Ra) che ricoverano decine di persone,
come gli istituti “Buon Riposo” e “Maria Bricca”, a scapito delle comunità alloggio. A
giustificazione, hanno addotto un calo delle richieste di inserimento,
in particolare da parte di persone autonome e la presenza nelle comunità di
utenti diventati in parte o completamente non autosufficienti.
I delegati del Csa hanno richiamato i rappresentanti del Comune e delle Asl alle loro responsabilità, sia per quanto concerne
l’inserimento di persone con problemi sanitari (ad esempio di natura
psichiatrica) e dunque non di competenza del Comune, sia per i gravi ritardi
della presa in carico da parte delle aziende
sanitarie degli utenti non autosufficienti. Hanno rilevano inoltre la mancanza di informazione sull’opportunità rappresentata dalle
comunità alloggio.
A seguito degli approfondimenti
realizzati nell’ambito del gruppo di lavoro, la stesura definitiva degli
indirizzi riguardanti le comunità alloggio per anziani
prevede che «i cittadini anziani
autosufficienti hanno bisogno di poter
organizzare la loro quotidianità nel modo più autonomo possibile». Occorre
pertanto «organizzare i servizi
residenziali per anziani autosufficienti in piccoli nuclei massimamente autodeterminati e autogestiti e
mantenere esperienze di comunità alloggio per anziani autosufficienti (…)
inseriti nel normale contesto abitativo e con una
forte valenza territoriale».
Si configura quindi un modello di
comunità familiare verso cui orientare i servizi residenziali e lo si propone come soluzione da salvaguardare e valorizzare
in alternativa al ricovero in istituto nelle Residenze assistenziali.
Vengono inoltre indicate le
caratteristiche vincolanti per la validità dell’iniziativa: gli utenti delle
comunità devono essere persone autosufficienti, capaci di organizzare la
quotidianità e il futuro anche nella relazione di mutuo aiuto e nella fruizione
delle offerte del territorio.
In seguito al dibattito
sviluppatosi durante i lavori, il Csa ha chiesto di verificare di persona la situazione delle comunità
alloggio per anziani autosufficienti. Il quadro emerso conferma le
preoccupazioni. La volontà del Comune sembra tutta tesa a promuovere il
fallimento dell’esperienza.
Vediamo che cosa abbiamo
riscontrato e quali azioni intrapreso a tutela degli
utenti incontrati.
Visita alla comunità A
Nella visita effettuata
nell’ottobre 2002 nella comunità A, gli anziani ospiti segnalano con molta
preoccupazione la presenza di un’ospite immobilizzata sulla sedia a rotelle. Nonostante siano trascorsi sette mesi dalla valutazione di
non autosufficienza, l’Asl non ha ancora provveduto
ad inserirla in una struttura idonea.
Per compiere gli atti della vita
quotidiana (alzarsi, coricarsi, provvedere all’igiene personale, spostarsi)
l’anziana deve ricorrere alle cure di un assistente familiare assunta
privatamente e, ovviamente, gli altri ospiti sono volenti o nolenti coinvolti e danno segnali di insofferenza. Sono tutti ormai molto anziani e, benché autonomi, non possono di certo farsi
carico dei gravosi problemi posti dall’anziana malata non autosufficiente.
Immediatamente scriviamo
all’Assessore ai servizi sociali per chiedere il trasferimento dell’ammalata
che non riceve neppure le cure sanitarie a cui avrebbe
diritto. I solleciti continuano fino a quando
l’anziana non autosufficiente sarà inserita in una Rsa (Residenza sanitaria
assistenziale) adeguata alle sue condizioni di salute. A seguito di questo caso
abbiamo aperto un contenzioso con l’Assessorato ai servizi sociali – tuttora
aperto – perché siano rispettate «le
finalità delle comunità che presuppongono che le persone ospitate siano
autosufficienti e in grado di autogestirsi e di
convivere anche da soli».
Il Csa
insiste nel sottolineare che, per il buon
funzionamento della comunità alloggio, è indispensabile «accertare, prima dell’inserimento, le condizioni di salute fisica e
mentale e, in seguito, periodicamente verificare il livello di autonomia degli
anziani ospitati».
Quando in una comunità alloggio
insorge una situazione di non autosufficienza si deve
provvedere tempestivamente alla segnalazione all’Uvg
(Unità di valutazione geriatrica) e assumere le iniziative nei confronti delle Asl cittadine affinché sia prevista una procedura di
emergenza per la visita e il ricovero nelle strutture residenziali idonee alla
cura (ospedale o Rsa).
Il sopraggiungere di una
patologia invalidante in un ospite di una comunità è un evento che deve essere
messo in conto e che richiederebbe pertanto la predisposizione preventiva, da
parte dell’Assessorato ai servizi e delle Asl, di un
piano adeguato di intervento. La permanenza nelle
comunità, specie se protratta, di una persona malata e non autosufficiente è innanzitutto un danno grave per l’interessato, che non può
ricevere le cure specifiche né l’assistenza di cui ha bisogno e alle quali ha
diritto. L’organizzazione della comunità ed i tempi limitati di presenza degli
operatori nell’arco della giornata e della settimana
non possono che aggravare le condizioni del malato.
Tutta la vita della comunità ne viene turbata. Si compromettono equilibri a volte raggiunti
faticosamente; si creano ansie per il proprio futuro e paura di non sapere
fronteggiare incombenze e responsabilità che non competono.
Quando in seguito siamo ritornati alla comunità A, l’ospite non
autosufficiente era stata trasferita in una Rsa. Abbiamo
constato che il clima era decisamente sereno e il gruppo dimostrava di
essere in grado di nuovo di appoggiarsi e sostenersi, pur con normali discussioni
tipiche della convivenza. In questo secondo incontro gli anziani della comunità
alloggio hanno manifestato maggior fiducia anche nei nostri confronti. Questa volta li abbiamo aiutati a risolvere un problema più
semplice ma ugualmente importante per l’andamento della loro vita. La vasca da
bagno era intasata. Da oltre tre mesi era stato segnalato il
guasto, senza che nessuno fosse intervenuto. Ci siamo adoperati
immediatamente con segnalazioni scritte all’Assessore e ai responsabili
tecnici. Telefonate costanti e solleciti hanno finalmente risolto la situazione
nell’arco di poche settimane.
Da parte nostra ci siamo
preoccupati di lasciare loro un nostro biglietto da visita perché, se
necessario, ci contattino per eventuali problemi analoghi.
Visita alla comunità B
Nel corso della visita del
novembre 2002 alla comunità B riscontriamo una situazione gravemente
deteriorata a causa della salute psicofisica degli ospiti e delle condizioni
dell’appartamento.
Un’anziana in particolare appare
confusa e disorientata; l’operatrice ci informa che la
situazione risale a tre anni prima quando, in seguito a un grave malore, la
signora venne ricoverata d’urgenza in ospedale e poi trasferita in una casa di
cura per due mesi. Non è in grado di provvedere all’igiene personale ed è
solita sbarazzarsi del cibo preparato per la sera o i giorni festivi gettandolo
dal balcone. Non risulta che sia stata fatta la
necessaria richiesta di valutazione all’Asl, atto
che, secondo l’operatrice, sarebbe stato compito della figlia.
Altri ospiti hanno problemi
piuttosto seri di salute o di dipendenza da alcool, già presenti prima del loro
ingresso in comunità. Un uomo, inserito nella comunità sei mesi prima in
condizioni terminali per una malattia oncologica, è deceduto da pochi giorni.
L’appartamento appare in evidente
stato di degrado: camere a due letti arredate con
mobili fatiscenti, pavimenti in legno coperti di macchie e da polvere, servizi
vetusti. Appare evidente che fra gli ospiti vi sono persone incontinenti e non
più in grado di provvedere autonomamente alla pulizia degli ambienti.
La situazione richiede una nostra segnalazione urgente all’Assessore per la
tutela dei malati
Anche in questo caso si interviene con una relazione spedita con urgenza
all’Assessore e al funzionario responsabile nella quale il Csa
chiede «a) una visita urgente congiunta
per accertare lo stato di degrado e assumere le iniziative migliorative non più
prorogabili; b) la richiesta di visita alla competente unità valutativa geriatrica per le persone che presentano
gravi problemi di salute: al riguardo si osserva che nessun anziano malato dovrebbe mai essere ricoverato in una
comunità alloggio; c) un incontro per una valutazione complessiva delle
comunità alloggio al fine di individuare carenze e proposte per renderle
efficaci nella risposta ai bisogni degli assistiti».
La nostra segnalazione purtroppo
cade nel vuoto e non riceviamo riscontri. Sollecitiamo per telefono il funzionario del settore anziani, che rinvia
responsabilità e competenze alla Circoscrizione. Provvediamo allora ad inviare
copia della relazione ai referenti circoscrizionali, senza avere alcuna
risposta anche in questo caso.
Da una successiva visita alla
comunità B risulta che la situazione è invariata.
Interpellanza
presentata al Consiglio comunale di Torino
Decidiamo quindi di avviare
un’azione di informazione ai consiglieri comunali di maggioranza e di opposizione.
In Consiglio comunale l’Assessore
risponde all’interpellanza presentata da due consiglieri per sapere «a) quali interventi si intendano
porre in essere al fine di ripristinare idonee condizioni igienico ambientali
nonché il decoro dell’alloggio; b) quali procedure si intendano attivare per
accertare, prima dell’ingresso in comunità, le condizioni di autosufficienza e,
qualora insorgano successivamente problemi di salute che ne compromettano
l’autosufficienza, come intendano provvedere affinché gli stessi vengano
ricoverati in strutture idonee a garantirne la cura e la tutela».
L’Assessore riconosce che in
alcune comunità esistono situazioni critiche, delle quali quella della comunità
B appare emblematica; ammette che «nel corso di questi anni si sono succeduti utenti con caratteristiche
molto diverse fra loro che hanno portato particolari difficoltà nella gestione:
da persone anziane con difficoltà di tipo abitativo, a persone senza fissa
dimora a persone con problemi di etilismo. Queste persone hanno manifestato in
non pochi casi successive difficoltà dal punto di vista dell’autosufficienza e
quindi abbiamo registrato, in più occasioni, perdita di autonomia,
fino alla verifica di una vera e propria totale
o parziale non autosufficienza».
In merito ai provvedimenti che
intende assumere asserisce che «per i
quattro ospiti si sta facendo una valutazione tesa al trasferimento in
strutture più idonee: residenze per anziani autosufficienti oppure, almeno in
un caso, per parzialmente autosufficienti” e che l’intenzione è “quella di, quanto prima, affrontare un
problema legato alla continuità assistenziale, qualora
un anziano diventi non autosufficiente. (…) Stiamo
lavorando con le Asl per fare in modo che vi sia un
passaggio che escluda l’attesa per garantire un percorso da una struttura
all’altra nel caso di peggioramento dell’ospite».
Come tutti gli altri anziani
malati cronici non autosufficienti per i quali è necessario il ricovero in Rsa essi sono soggetti ai tempi della lista di attesa e
perdono nel frattempo il diritto, che il Sindaco e l’assessore dovrebbero tutelare, alle cure sanitarie e alla
continuità assistenziale. Come risultato dalla nostra azione, otteniamo il
trasferimento degli ospiti in strutture residenziali più idonee ai loro
bisogni, ma la comunità B viene chiusa per lavori di
ristrutturazione e, a tuttora, non è stata riaperta.
Visita alla comunità C
Questa comunità alloggio è stata reimpostata come modello sperimentale di domiciliarità leggera, approvato con deliberazione della
Giunta comunale del 15 luglio 2004, che assegna alle Circoscrizioni la
predisposizione di interventi a favore di anziani autosufficienti che vivono al
proprio domicilio e che necessitano di una rete di protezione. Prevede che la
comunità sia uno spazio aperto al territorio. Pertanto
è previsto che anche utenti esterni abbiano accesso alla comunità alloggio, ad
esempio per usufruire del bagno assistito, del servizio di lavanderia e dei
pasti.
Nella visita alla comunità C
scopriamo che «la comunità
è diventata un presidio territoriale di riferimento per la domiciliarità
leggera. Si occupa quindi della consegna di pasti a domicilio oppure vi ospita
persone a pranzo (chi è in grado di muoversi). La comunità offre anche la
possibilità di fare il bagno per chi non può farlo a
casa propria. L’operatore ci segnala che, da quando la comunità rientra nei
servizi territoriali, non sono mancati i problemi, come ad esempio la scabbia
(portatore un ospite esterno)».
Gli ospiti anziani della comunità
sono dunque stati costretti a subire la presenza nella propria casa e nei propri spazi privati di persone estranee senza essere stati
interpellati né averlo concordato e questo ha prodotto – com’era ovvio – gravi
tensioni.
Nessuna iniziativa interna o
esterna è stata assunta per gli ospiti della comunità C, alcuni dei quali hanno
problemi di etilismo o psichiatrici, anche se non
gravi, per consentire la permanenza a casa loro, anche attivando doverosamente
i servizi psichiatrici delle Asl di residenza.
Non ci resta che intervenire
nuovamente nei confronti dell’Assessore ai servizi sociali e dei suoi uffici
per segnalare il malessere comprensibile degli ospiti e chiedere la chiusura
della sperimentazione dell’apertura all’esterno dell’uso
dei servizi della comunità.
Ovviamente riteniamo corretto che
si attuino prioritariamente tutti i provvedimenti
indispensabili per favorire la permanenza delle persone anziane al proprio
domicilio: assistenza economica, aiuto domiciliare, affidamenti, interventi
sanitari, abitativi, monitoraggio delle loro condizioni anche attraverso la
consegna della spesa, ma consideriamo del tutto inopportune le iniziative che
stravolgono la concezione della comunità alloggio e la vita delle persone che
lì vi abitano, come se fosse la loro casa.
Purtroppo non otteniamo ascolto e
l’amministrazione conferma il suo orientamento con la deliberazione del
Consiglio comunale del 20 settembre 2005 “Riordino delle prestazioni sociali e
socio-sanitarie”. Tra l’altro nel testo sono delineate
per le comunità alloggio per anziani autosufficienti finalità e funzioni ben
diverse da quelle indicate dal Piano di zona e si conferma l’utilizzo della
comunità «per alcune attività di supporto
a domicilio, quali ad esempio il bagno assistito all’interno della comunità».
Su questi aspetti, quindi, sarà
necessario coinvolgere il nuovo Consiglio comunale di Torino per ottenere
modifiche sostanziali alla deliberazione. Intanto proseguiamo le visite e,
finalmente, troviamo la conferma che cercavamo.
La visita alla comunità D
Nella visita alla comunità D la
situazione appare finalmente positiva e viene
confermata la validità dell’esperienza.
Gli ambienti sono confortevoli e
arredati con mobili nuovi e razionali; fotografie e ricordi delle persone che
vi abitano creano un ambiente familiare, le camere singole, eccetto una doppia
per eventuali coppie, assicurano spazi di vita privata. Al momento della visita
l’appartamento ospita quattro persone in discrete condizioni di salute e con buona autonomia; altre due sono in corso di valutazione per
l’inserimento.
Un ospite è seguito dal
Dipartimento di salute mentale per lievi problemi psichici sui quali le cure
producono risultati efficaci.
Tutti gestiscono in comune
accordo la vita quotidiana, anche quando l’operatore non è presente. Nella
comunità si svolgono corsi di geromotricità e di alimentazione aperti ad anziani del quartiere ed altre
iniziative socializzanti promosse dalla Circoscrizione e dai servizi sociali. Uscite
ed attività esterne sono sovente effettuate insieme agli ospiti della comunità
A. L’operatore riferisce che, in accordo con i servizi sociali territoriali e
con gli ospiti, i servizi della comunità non sono stati messi a disposizione
per il bagno assistito ad esterni.
In questa come in altre
situazioni positive, abbiamo riscontrato che, per il
corretto funzionamento delle comunità alloggio per anziani autosufficienti,
sono inoltre determinanti la professionalità e il coinvolgimento degli
operatori e dei servizi sociali territoriali, nonché l’attenzione e la capacità
propositiva della Circoscrizione e la presa in carico dell’Asl
quand’è necessario.
Facciamo il punto
con il funzionario responsabile del settore anziani
Decidiamo a questo punto di
incontrare il funzionario responsabile per un confronto sulla situazione della residenzialità per anziani autosufficienti esistente nel
Comune di Torino.
Per quanto concerne le comunità
alloggio, ribadiamo la nostra convinzione sulla
validità del modello indicato dal piano di zona e sulla necessità di
intervenire per prevenire e rimuovere le
cause delle situazioni problematiche.
Osserviamo anche che gli utenti,
poiché sono persone autosufficienti, dovrebbero poter disporre per le spese
personali di una somma mensile più congrua (attualmente
è di circa cento euro) per provvedere al rinnovo dell’abbigliamento e alla cura
della persona, oppure per partecipare a iniziative della Circoscrizione, quali
i soggiorni per anziani, il cui costo è ben superiore alla disponibilità della maggior parte di loro.
Sulla comunità B ci viene fornita una generica conferma della prossima
riapertura senza però indicare alcuna data anche approssimativa.
Conferma inoltre l’intenzione da
parte del Comune di continuare ad occuparsi, al posto dei servizi psichiatrici,
della residenzialità per persone con problemi
relazionali, disturbi psichiatrici, dipendenza da alcool e droghe. Su questo
punto siamo decisamente contrari e, quindi,
l’iniziativa del Csa si sposta in sede politica.
Le comunità alloggio per anziani autosufficienti:
un’esperienza conclusa?
L’impressione che ricaviamo da
queste visite di controllo è che si sia fatto il
possibile per affossare l’esperienza della comunità alloggio.
Come abbiamo
indicato nelle relazioni relative alle visite nelle comunità A e B, vi sono
condizioni irrinunciabili che, se non applicate, conducono inevitabilmente al
fallimento dell’esperienza e al calo della domanda: infatti vengono
precostituiti gli alibi di quanti, amministratori e funzionari, sostengono che
la comunità alloggio è una struttura non più attuale. nei fatti viene privilegiato il
ricovero nelle tradizionali residenze assistenziali.
È nostro parere, invece, che, se vengono salvaguardati i presupposti indispensabili, quali
l’autosufficienza fisica e psichica degli utenti, l’idoneità e la tempestività
dei provvedimenti da attuare nei casi di necessità (ad esempio il trasferimento
in Rsa degli ospiti diventati non autosufficienti), nonché le iniziative per
contrastare l’isolamento interno e il rispetto dell’ambiente in cui gli anziani
vivono, la comunità alloggio è a tutt’oggi una valida
alternativa al ricovero in istituto di anziani con limitata autonomia. Essi,
difatti, vivono in un ambiente parafamiliare, non vengono
allontanati da un contesto sociale, possono frequentare autonomamente parenti,
amici e conoscenti e partecipare alle attività del territorio.
Conclusioni
L’attività dei prossimi mesi ci
vedrà quindi impegnati su due fronti. Da un lato, torneremo periodicamente a
visitare le comunità per verificare che non siano inserite persone non idonee e
cioè anziani cronici non autosufficienti o soggetti
con problemi psichici.
Contestualmente solleciteremo la
nuova Giunta e il Consiglio comunale di Torino perché si adoperino affinché
siano le Asl della Città di Torino ad assumersi la
responsabilità della cura dei soggetti con problemi psichiatrici.
(1) Cfr. “Come le
associazioni di volontariato possono tutelare gli utenti dei servizi assistenziali”, Prospettive
assistenziali, n. 140, 2002. Nell’articolo sono anche riportate le
procedure di svolgimento delle visite, gli obiettivi e le modalità per
segnalare le osservazioni all’assessore
e ai funzionari responsabili.
(2) Il piano di zona della Città di Torino è stato
approvato il 17 novembre 2003 dal Consiglio comunale come piano dei servizi
sociali per il triennio 2003/2006. Ai lavori hanno partecipato i rappresentanti
dell’assessorato ai servizi
sociali, delle Asl, delle organizzazioni sindacali,
delle associazioni di volontariato e delle cooperative coinvolte nei servizi. Numerose
e di notevole portata sono state le perplessità manifestate dal Csa in merito ai contenuti del piano di zona del Comune di Torino. Cfr. “Considerazioni e proposte del Csa in
merito al piano dei servizi del Comune di Torino”, Controcittà, n. 3-4, 2004.
www.fondazionepromozionesociale.it