Prospettive assistenziali, n. 158, aprile - giugno 2007

 

 

Notizie

 

 

Prestazioni per le gestanti e madri in condizione di disagio socio-economico

 

In attuazione della legge della Regione Piemonte n. 16/2006 sono state trasferite a quattro soggetti gestori le funzioni relative alle gestanti e madri in condizione di disagio socio-economico che necessitano di specifici sostegni anche in ordine alla massima responsabilizzazione possibile per quanto concerne il riconoscimento  o il non riconoscimento dei loro nati. I soggetti gestori sono il Comune di Torino e di Novara, nonché i Consorzi socio-assistenziali dei Comuni dell’Alessandrino e del Cuneese.

Detti enti dovranno fornire tutte le necessarie prestazioni, comprese – occorrendo – quelle residenziali alle donne interessate indipendentemente dalla loro residenza anagrafica e senza alcuna formalità, in modo da garantire il segreto del parto a quelle che non intendono riconoscere i loro nati.

Gli interventi devono essere assicurati anche durante i sessanta giorni successivi al parto in modo da sostenere il loro reinserimento sociale.

Per quanto concerne i minori non riconosciuti, l’assistenza è garantita fino alla loro adozione definitiva.

Con i provvedimenti assunti dalla Regione Piemonte si tutelano le donne che riconoscono o non riconoscono i loro nati e viene svolta una attività volta a prevenire gli infanticidi nonché gli abbandoni che mettono in pericolo la vita dei neonati.

Come è stato segnalato su Prospettive assistenziali, n. 156, 2006, le On. Katia Zanotti e Marisa Nicchi hanno presentato in data 3 ottobre 2006 alla Camera dei Deputati la proposta di legge n. 1754 avente lo scopo di garantire a tutte le donne e in tutte le Regioni le attività previste dalla legge della Regione Piemonte n. 16/2006. Ricordiamo inoltre che il Consiglio regionale del Piemonte ha approvato all’unanimità il 30 giugno 2007 la proposta di legge “Sostegno alle gestanti e madri in condizioni di disagio socio-economiche e misure volte a garantire il segreto del parto alle donne che non intendono riconoscere i loro nati”, che in data 5 febbraio 2007 è stato inviata alla Camera dei Deputati ai sensi dell’articolo 121 della Costituzione.

In merito rinnoviamo l’invito a tutti gli enti e le persone che operano per il riconoscimento delle esigenze e dei diritti dei soggetti in difficoltà a sollecitare il Presidente della Commissione Affari sociali della Camera dei Deputati, On. Domenico Lucà, per la sollecita discussione delle suddette proposte di legge la cui approvazione è assolutamente necessaria in quanto, ad esclusione solamente del Piemonte, le Regioni che hanno legiferato in merito ai servizi socio-assistenziali (Calabria, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Puglia e Toscana) non hanno tenuto conto delle specifiche esigenze delle donne in gravi difficoltà psico-sociali e del loro diritto ad essere supportate sia nel caso di riconoscimento che di non riconoscimento dei loro nati e non hanno considerato il loro diritto al segreto del parto.

 

 

ORDINANZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE SULL’AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO

 

Nell’ordinanza n. 4/2007 dell’8 gennaio 2007, depositata in Cancelleria il 19 dello stesso mese, la Corte costituzionale dopo aver premesso che «il giudice è chiamato a decidere quale misura, tra tutela, curatela o amministratore di sostegno, sia la più idonea alle esigenze di protezione del soggetto in difficoltà e di cura ed amministrazione dei suoi  interessi», ha stabilito che «nell’operare tale scelta, il giudice deve attenersi al principio generale secondo il quale in nessun caso all’amministratore di sostegno possono essere affidati integralmente i poteri tipici del tutore (di rappresentanza legale dell’interdetto) o quelli tipici del curatore (di assistenza, in funzione integratrice della volontà dell’inabilitato), con la conseguenza che, ove la gravità del quadro clinico incidente sulla capacità di intendere e di volere del soggetto suggerisca di conferire ad un amministratore di nomina pubblica un potere di rappresentanza o di assistenza generalizzato, esteso, cioè, a tutti gli atti di straordinaria amministrazione, tale amministratore deve assumere la veste di tutore o di curatore, e non già quella di amministratore di sostegno, figura meno invasiva, che si attaglia alla diversa ipotesi in cui il soggetto conservi un consistente grado di autonomia psichica nella cura dei propri interessi, tale da consentirgli in ogni caso di percepire l’eventuale pregiudizio che si annidi negli atti compiuti per suo conto».

Nell’ordinanza viene inoltre precisato che «eccettuate le ipotesi in cui le funzioni psichiche del soggetto siano effettivamente compromesse in misura rilevante, sì da escludere la capacità di intendere e di volere, il legislatore non può sostituire arbitrariamente le proprie valutazioni e scelte sulla cura degli interessi delle persone a quelle operate dagli stessi interessati sulla base della propria personale ed insindacabile scala di valori senza violare la dignità della persona e la relativa sfera di libertà giuridica riconosciuta e tutelata dagli artt. 2 e 3 della Costituzione, non potendo il sacrificio di tale libertà essere legittimato semplicemente dal rischio di un “pessimo uso” della stessa».

Ne consegue che «non dovrebbe potersi imporre la misura dell’amministrazione di sostegno in presenza di un dissenso dell’interessato, in quanto essa ne conculcherebbe la libertà e l’autodeterminazione». Pertanto «se è pur vero (…) che (…) il giudice deve tener conto delle richieste dell’interessato, tale doverosa considerazione riguarda, peraltro, il solo caso in cui dette richieste siano compatibili con l’interesse del beneficiario, quale ritenuto dal giudice, e tale compatibilità costituisce altresì il criterio guida al quale deve attenersi il giudice tutelare nel risolvere ogni contrasto tra l’amministratore di sostegno ed il beneficiario medesimo, in ordine ad un singolo atto gestionale da compiere».

 

 

CORTE DI CASSAZIONE: ANCHE NEI CASI DI RICOVERO GRATUITO IN OSPEDALE SI PUò AVER DIRITTO ALL’ASSEGNO DI ACCOMPAGNAMENTO

Nella sentenza n. 2270/2007 la Sezione lavoro della Corte Suprema di Cassazione ha preso in esame la situazione di A.B. che «versa dal 1986 in stato di coma profondo da decerebrazione» e che «è stata continuativamente e gratuitamente ricoverata in ospedale».

Premesso che la legge 18/1980 dispone che sono esclusi dall’indennità di accompagnamento gli «invalidi civili gravi ricoverati gratuitamente in istituto», nella sopra citata sentenza viene precisato che «il problema che si pone nella presente fattispecie è se il ricovero presso un ospedale pubblico possa costituire l’equivalente del ricovero gratuito in istituto, essendo lecito il dubbio se il legislatore, nel sancire la ricordata esclusione dall’indennità, abbia inteso significare che l’indennità di accompagnamento non è erogata in caso di “ricovero presso qualsiasi struttura” di cura ovvero se la citata erogazione venga meno solo in casi di ricovero presso un “istituto”, vale a dire una struttura in cui, oltre alle cure mediche, venga garantita al paziente totalmente invalido e non autosufficiente (come nella specie è pacifico) una assistenza completa, anche di carattere personale, continuativa ed efficiente in ordine a tutti gli “atti quotidiani della vita” cui l’indennità in parola è destinata a fare fronte, tale da rendere superflua la presenza dei familiari o di terze per­sone».

Considerata anche la propria giurisprudenza, la Corte di Cassazione ha «affermato che il ricovero presso un ospedale pubblico non costituisce “sic et sempliciter” l’equivalente del “ricovero in istituto” ai sensi dell’articolo 1, comma 3 della legge 18/1980 e che pertanto l’indennità di accompagnamento può spettare all’invalido civile grave anche durante il ricovero in ospedale, ove si dimostri che le prestazioni assicurate dall’ospedale medesimo non esauriscono tutte le forme di assistenza di cui il paziente necessita per la vita quotidiana».

 

 

SECONDO STEFANO ZAMAGNI IL VOLONTARIATO DEVE RItrovARE SE STESSO

Stefano Zamagni, ordinario di economia politica all’Università di Bologna, nell’intervista rilasciata a Darevoceinforma, giugno 2006, sostiene che l’utilizzo del volontariato per le Olimpiadi invernali di Torino è stata «una forma di degenerazione».

A questo proposito precisa che «fintanto che il volontariato è visto in funzione di altre sfere, sarà sempre tirato per la giacca da qualcuno che lo utilizzerà. Meglio: lo sfrutterà. Se prendiamo per valida la tesi che il volontariato esiste per il malfunzionamento del mercato è ovvio che accadono queste cose. Gli organizzatori non possono assumere, seppur dopo la legge Biagi, per un periodo di tempo così breve e avendo bisogno di ricoprire funzioni anche parecchio importanti si rivolgono al volontariato che diventa un supporto del mercato.

«Non mi risulta che le Olimpiadi siano una operazione non commerciale. Così seguendo questa logica, un domani se lo Stato non riuscirà più a gestire gli anziani non autosufficienti e chiamerà il volontariato per assolvere a quella funzione questa, lo ripeto, sarà una degenerazione. Un conto è collaborare in condizioni di parità, altro è operare in condizione di sudditanza. Il volontariato oggi viene usato come una spugna e solo recuperando la sua funzione primaria potrà riscattarsi da questa condizione. Altrimenti sarà sempre preso per fame».

Aggiunge il professor Zamagni: «il volontariato non può continuare ad essere ciò che è stato sino ad ora, cioè la stampella del mercato o dello Stato. Questo non può essere il destino del volontariato» e afferma che «il volontariato deve recuperare la sua identità profonda che è quella di realizzare e rendere praticabile l’esperienza della reciprocità».

Mentre siamo pienamente d’accordo con Zamagni nel rifiutare il ruolo del volontariato come «stampella del mercato o dello Stato» sia che si tratti di Olimpiadi o di sostituzione del personale mancante nei servizi socio-sanitari, ci sembra che la vera funzione del volontariato non consista nella pratica della reciprocità (che è pur sempre una forma di beneficenza), ma nella promozione dei diritti delle persone incapaci di autodifendersi, come possono diventare gli stessi volontari ed i loro congiunti.

 

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