Prospettive assistenziali, n. 159, luglio - settembre 2007
MAURO PERINO *
Premessa
Il 13 dicembre 2006 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite di New York ha approvato definitivamente una “Convenzione sui
diritti delle persone con disabilità” (1).
percorso avviato nel 1971, anno nel quale l’Organizzazione delle Nazioni Unite
approvò la “Dichiarazione sui diritti delle persone con ritardo mentale” (2).
Successivamente, nel
Purtroppo – come si afferma nel preambolo della
Convenzione – «nonostante questi vari
strumenti ed impegni le persone con disabilità continuano a
incontrare barriere nella loro partecipazione come membri eguali della società
e violazioni dei loro diritti umani in ogni parte del mondo». Di qui la
decisione, assunta dagli Stati membri nel 2001, di costituire un comitato
incaricato di elaborare «una convenzione
internazionale esaustiva e completa per la promozione e la protezione dei
diritti e della dignità delle persone con disabilità» nella convinzione che
– con il nuovo strumento – si possa dare «un
contributo significativo a riequilibrare i profondi
svantaggi sociali delle persone con disabilità e a promuovere la loro
partecipazione nella sfera civile, politica, economica, sociale e culturale,
con pari opportunità, sia nei Paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo».
L’articolato della Convenzione
Come si è detto,
Vengono poi fornite (articolo 2) le definizioni dei concetti utilizzati nel testo:
elencando tutte le strumentazioni atte a rendere possibile l’accesso alla «comunicazione» (lingue, visualizzazione
di testi, Braille, comunicazione tattile, stampa a grandi caratteri, fonti
multimediali accessibili, il lettore umano ed ogni altra tecnologia adatta allo
scopo); precisando che «il linguaggio»
comprende le lingue parlate, il modo di esprimersi con i segni come pure le
altre forme di espressione non verbale; dettagliando una declaratoria
degli indicatori di «discriminazione
sulla base della disabilità», compreso il rifiuto di un «accomodamento ragionevole», concetto
con il quale vengono indicate «le
modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un
carico sproporzionato o eccessivo, ove ve ne sia la necessità in casi
particolari, per assicurare alle persone con disabilità il godimento e
l’esercizio, su base di eguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e
libertà fondamentali». Infine si precisa che la «progettazione universale»
– con la quale si intende la predisposizione e la
realizzazione di prodotti, ambienti, programmi e servizi utilizzabili, nella
misura più estesa, da tutte le persone senza bisogno di adattamenti – non
esclude «dispositivi di ausilio per
particolari gruppi di persone con disabilità ove siano necessari».
Il testo prosegue (articolo 3) con l’indicazione dei principi assunti dalla
Convenzione: il rispetto per la dignità, l’autonomia individuale; la libertà di
compiere le proprie scelte e l’indipendenza delle persone; la non discriminazione;
la piena ed effettiva partecipazione ed inclusione sociale; il rispetto per la
differenza e l’accettazione delle persone con handicap come parte della
diversità umana e dell’umanità stessa; la parità di opportunità;
l’accessibilità; la parità tra uomini e donne; il rispetto per lo sviluppo
delle capacità dei bambini con disabilità e per il loro diritto a preservare la
propria identità.
Si fissano poi (articolo 4) gli obblighi generali ai quali sono chiamati a
sottostare gli Stati firmatari che vengono impegnati –
in primo luogo – a modificare e ad abrogare qualsiasi normativa
discriminatoria; ad adottare tutte le misure legislative ed amministrative per
realizzare i diritti riconosciuti dalla Convenzione ed a «tenere conto della protezione e della promozione dei diritti umani
delle persone con disabilità in tutte le politiche e in tutti i programmi»
astenendosi da ogni pratica con essa contrastante. Agli Stati viene inoltre richiesto di adottare misure appropriate per
eliminare la pratica discriminatoria «da
parte di ogni persona, organizzazione o impresa privata» (con la
inquietante omissione di ogni riferimento a persone, organizzazioni ed imprese
pubbliche).
La seconda parte dell’articolo relativo agli
obblighi generali è dedicata alla promozione – da parte degli Stati – della
ricerca e dello sviluppo di beni, servizi, apparecchiature ed attrezzature
progettati universalmente e che andrebbero realizzati in modo tale da
richiedere il minor adattamento possibile per consentirne la fruizione – a
costi compatibili – da parte delle persone con handicap. Infine – dopo aver
richiamato l’impegno a promuovere la formazione «di professionisti e personale che lavorino con persone con disabilità
sui diritti riconosciuti (…) così da meglio fornire l’assistenza e i servizi
garantiti da quegli stessi diritti» – si formulano due importanti
obbligazioni:
• «in merito ai diritti economici,
sociali e culturali ogni Stato Parte si impegna a
prendere misure, per il massimo delle proprie risorse disponibili e, ove
necessario nel quadro della cooperazione internazionale, in vista di conseguire
progressivamente la piena realizzazione di tali diritti, senza pregiudizio per
gli obblighi contenuti nella presente Convenzione che siano immediatamente
applicabili secondo il diritto internazionale»;
• «nello sviluppo e nell’applicazione
della legislazione e delle politiche atte ad attuare la presente Convenzione,
come pure negli altri processi decisionali relativi a temi concernenti le
persone con disabilità, gli Stati Parti si consulteranno con attenzione e
coinvolgeranno attivamente le persone con disabilità, compresi i bambini con
disabilità, attraverso le loro organizzazioni rappresentative».
Il tema dei diritti è oggetto specifico di tutti i successivi articoli
della Convenzione: «eguaglianza e non
discriminazione» (articolo 5); «diritto
alla vita» (articolo 10); «eguale
riconoscimento di fronte alla legge»
(articolo 12); «diritto alla libertà ed
alla sicurezza della persona» (articolo 14); «diritto di non essere
sottoposto a torture, a pene o a trattamenti degradanti» (articolo 15); «diritto a non essere sottoposto a sfruttamento, violenza e maltrattamenti»
(articolo 16); «protezione dell’integrità della persona» (articolo
17); «libertà di movimento e
cittadinanza» (articolo 18); «vita
indipendente ed inclusione nella comunità» (articolo 19); «mobilità personale» (articolo 20); «accessibilità» all’ambiente fisico ed
ai trasporti ma anche all’informazione e alla comunicazione, al fine
dell’esercizio della «libertà di espressione e di opinione» (articoli 9 e 21); «rispetto della vita privata» (articolo
22); «rispetto del domicilio e della
famiglia» (articolo 23); «diritto
all’istruzione» (articolo 24); «diritto
di godere del più alto standard conseguibile di salute» (articolo 25); «diritto a lavoro e occupazione»
(articolo 27); «diritto di partecipazione
alla vita politica e pubblica» (articolo 29) ed alla «partecipazione alla vita culturale, alla ricreazione, al tempo libero
ed allo sport» (articolo 30).
Alla puntuale elencazione dei diritti fondamentali delle persone con
handicap – tra i quali risulta centrale il diritto
alla «vita indipendente ed inclusione
nella comunità» in quanto espressione strategica delle finalità indicate
nella Convenzione (4) – fa seguito l’individuazione di alcuni obiettivi che si
potrebbero definire “strumentali”. In primo luogo, l’impegno, richiesto agli
Stati, a raccogliere le informazioni appropriate, compresi i dati statistici e
di ricerca, che permettano loro di formulare e
implementare le politiche finalizzate alla tutela dei diritti delle persone con
disabilità (articolo 32). Un secondo impegno è il riconoscimento
dell’importanza della cooperazione internazionale per l’assunzione di misure
finalizzate all’inclusione; a sostenere la capacità di azione
anche attraverso lo scambio e la condivisione di esperienze; ad agevolare la
ricerca e l’accesso alle conoscenze scientifiche e tecniche; alla messa in
comune di tecnologie di accesso operando trasferimenti di tecnologie. Un
ulteriore importante aspetto è l’applicazione, a livello nazionale, di sistemi
di monitoraggio e coordinamento al fine di facilitare le azioni legate
all’applicazione della Convenzione. A tal fine è richiesto agli Stati di
mantenere, rafforzare o istituire una struttura a ciò preposta, garantendo che
al processo di monitoraggio possano pienamente
partecipare «la società civile, in
particolare le persone con disabilità e le loro organizzazioni rappresentative»
(articolo 33).
L’articolo 34 stabilisce inoltre che, dal momento dell’entrata in vigore
della Convenzione, verrà costituito un «Comitato sui diritti delle persone con
disabilità» (per un massimo di 18 membri) composto da «personalità di alta autorità morale e di riconosciuta competenza ed
esperienza nel campo (…) eletti a scrutinio segreto in una lista di persone
designate dagli Stati Parti tra propri cittadini in occasione delle riunioni
della conferenza degli Stati Parti convocate dal Segretario generale delle
Nazioni Unite». Al Comitato è assegnato il compito di esaminare i dettagliati
rapporti periodici con i quali ogni Stato relazionerà
«sulle misure prese per rendere efficaci
i suoi obblighi in virtù della (…) Convenzione e sui progressi conseguiti al
riguardo». Il Comitato deciderà inoltre le linee guida applicabili al
contenuto dei rapporti e terrà costanti rapporti con
gli Stati Parti con le modalità definite dalla Convenzione (articoli 35, 36,
37, 38 e 39).
Infine l’articolo 40 stabilisce che «gli
Stati Parti si incontreranno regolarmente in una
Conferenza (…) in modo da prendere in considerazione qualsiasi questione che
riguardi l’applicazione della (…) Convenzione» e che, non oltre sei mesi
dalla sua entrata in vigore, «
Il testo si conclude con gli
articoli relativi alle disposizioni di attuazione e con un «protocollo opzionale» che regolamenta, in dettaglio, gli aspetti
procedurali dei rapporti tra gli Stati Parti, il Comitato sui diritti ed il
Segretario generale.
Considerazioni sul testo della Convenzione
Occorre innanzitutto premettere che è auspicabile
che
L’intervento dell’Onu «per dare dignità e valore alle persone con disabilità e proteggerle
dal punto di vista legale da trattamenti che per secoli le hanno relegate ai
margini della società, segregate in istituti, escluse
dall’accesso a diritti, beni e servizi» (6) è dunque da apprezzare. Ma
Proprio con riferimento agli aspetti culturali (la
concezione dell’handicap ed i “modelli” dell’integrazione) ed agli impegni
concreti per superare l’emarginazione, può essere utile approfondire alcune
delle questioni trattate nel documento.
Handicap e malattia
Come già evidenziato la convenzione riguarda «quanti hanno minorazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali
a lungo termine che in interazione con varie barriere possono impedire la loro
piena ed effettiva partecipazione nella società su una base di
eguaglianza con gli altri». Della disabilità – «un concetto in evoluzione (…) che (…) è il risultato dell’interazione
tra persone con minorazioni e barriere attitudinali ed ambientali, che
impedisce la loro piena ed efficace partecipazione nella società su una base di
parità con gli altri» – si parla
dunque come di un effetto che accomuna, in un’unica condizione, persone con
problematiche che derivano da cause diverse.
Fra le minorazioni sono inserite perdite o anormalità di funzioni che
possono derivare da condizioni patologiche per le quali «in molti casi diagnosi tempestive e cure precoci potrebbero ridurre se
non eliminare del tutto la gravità dell’handicap» (8).
Inoltre non si opera una distinzione tra handicappati
intellettivi e malati psichiatrici, confondendo – in generale – l’handicap con
la malattia.
Come infatti precisa Giuseppe Oberto (9),
l’insufficienza mentale «è una condizione
deficitaria caratterizzata da un funzionamento intellettuale notevolmente
inferiore alla media con evidente riduzione della capacità di adattamento alle
richieste culturali della società, per lo più presente nella prima età, spesso
connotata da danneggiamento organico e strutturale dell’encefalo, sovente di
rilievo anatomo-patologico, per lo più stabilizzato,
ancorché migliorabile attraverso interventi educativi e riabilitativi». Mentre
la malattia mentale «si caratterizza per
una varietà di disturbi del comportamento emotivo, cognitivo e sociale, con
difetto del rapporto interpersonale, per lo più a carattere evolutivo e
processuale, sovente senza substrati anatomo-patologici
dimostrabili: in questo ambito di malattia mentale si
includono le condizioni psicotiche, le condizioni a genesi organica per lo più
di natura degenerativa, i processi psiconeurotici, i
disordini del comportamento e della personalità». I malati psichiatrici
devono dunque essere curati in quanto tali e non semplicemente ricondotti alla
condizione, falsamente accomunante, di “disabilità”.
Eppure la precisazione dell’Organizzazione mondiale della sanità –
contenuta nella Classificazione
internazionale del funzionamento e della disabilità edito nel 2000 da Erickson – che «malattia
e disabilità sono costrutti distinti che possono essere considerati
indipendentemente» è molto importante. Soprattutto se si intende
intervenire efficacemente per eliminare una condizione di disparità che,
essendo prodotta da cause diverse, dovrebbe richiedere differenti interventi. Se
il costrutto di malattia e quello di disabilità non vengono
considerati disgiuntamente, si potranno forse lenire gli effetti di una
condizione, ma non si potrà intervenire con efficacia sulle cause.
Occorre inoltre ricordare – con riferimento ai riflessi istituzionali –
che, per il cittadino italiano, non è affatto
indifferente se una determinata prestazione compete istituzionalmente al
sistema sanitario o a quello socio assistenziale. Nel primo caso si può parlare
di diritto soggettivo a beneficiare di prestazioni erogate nell’ambito di
livelli essenziali di assistenza definiti, mentre, nel
secondo, non sono a tutt’oggi previste prestazioni
esigibili su base nazionale (10).
In materia di sanità l’articolo 25 della Convenzione impegna gli Stati a «prendere tutte le misure appropriate per
assicurare alle persone con disabilità l’accesso ai servizi sanitari che
tengano conto delle specifiche differenze di genere, inclusi i servizi di
riabilitazione collegati alla sanità» ed in particolare che dovranno «fornire specificamente servizi sanitari
necessari alle persone con disabilità proprio a causa delle loro disabilità,
compresi la diagnosi precoce e l’intervento appropriato, e i servizi destinati
a ridurre al minimo ed a prevenire ulteriori
disabilità, anche tra i bambini e le persone anziane». Ma, proprio con
riferimento a queste ultime, avrebbe giovato operare una chiara distinzione tra
chi – come l’anziano cronico non autosufficiente – è limitato nella attività e nella partecipazione a causa di malattie
invalidanti e chi, invece, vive una condizione di disabilità a causa di una
menomazione (di natura fisica, sensoriale o intellettiva) che l’Oms intende in senso «più
ampio e comprensivo rispetto a quello di disturbo o malattia» precisando
che «per esempio, la perdita di una gamba
è una menomazione della struttura corporea, non un disturbo o una malattia»
(11). Di contro se la “non autosufficienza” fosse ritenuta
(prescindendo dalle cause che la determinano) una delle situazioni che
caratterizzano l’handicap, «allora tutti
i neonati ed i bambini in tenera età dovrebbero essere considerati disabili» (12).
Occorre infine ricordare che in merito ai costrutti di
handicap e di malattia si è pronunciata
Handicap intellettivo ed efficace tutela dei diritti
fondamentali
Anche per quanto attiene alle «minorazioni intellettuali (…) che in interazione con varie barriere
possono impedire la (…) piena ed effettiva partecipazione nella società su una
base di eguaglianza»,
Si prenda, ad esempio, il tema “lavoro ed occupazione”
(articolo 27). Nella Convenzione è previsto il riconoscimento del diritto al
lavoro delle persone con handicap «su
base di parità con gli altri» – incluso «il
diritto all’opportunità di mantenersi attraverso il lavoro che esse scelgono o
accettano liberamente in un mercato del lavoro e in un ambiente lavorativo
aperto» – «a condizioni lavorative giuste e favorevoli, comprese l’eguaglianza delle
opportunità e la parità di remunerazione per un lavoro di pari valore». È
difficile riconoscere – in questo voler fare “parti eguali tra diseguali” –
un’efficace applicazione ai soggetti con handicap intellettivo, del principio
di giustizia sociale che sta alla base del riconoscimento del diritto al
lavoro. A queste persone non basta garantire «l’eguaglianza delle opportunità»: occorre la predisposizione di
metodologie di inserimento lavorativo adeguate alle
autonomie possedute; riconoscendo in ogni caso che – a fronte di alcune
insuperabili limitazioni personali – è l’ambiente di lavoro e, se del caso, lo
stesso sistema produttivo che deve adeguarsi.
Con lo stesso “prudente realismo” occorre che si proceda
anche nei confronti delle persone con handicap intellettivo per le quali non
sia possibile perseguire un inserimento lavorativo e la cui autonomia sia fortemente limitata o addirittura nulla: ad esse deve essere
garantito il diritto ad una tutela giuridica, attraverso idonei istituti che ne
assicurino la rappresentanza nei casi di incapacità di provvedere ai propri
interessi. Inoltre a tali soggetti occorre garantire – oltre al «diritto di godere del
più alto standard conseguibile di salute» sancito dall’articolo 25 – anche
quello all’assistenza sociale, non esplicitamente menzionato nella Convenzione.
Pur dando atto che l’articolo 19 prevede, per gli Stati Parti, l’obbligatoria
attivazione di servizi di assistenza alla persona e di
strutture comunitarie, non è infatti realistico pensare che tutte «le persone con disabilità abbiano la
possibilità di scegliere, sulla base di eguaglianza con gli altri, il proprio
luogo di residenza e dove e con chi vivere e non siano obbligate a vivere in
una particolare sistemazione abitativa». Ai soggetti con un handicap
intellettivo tale da non consentire loro di «vivere
nella comunità, con la stessa libertà di scelta delle altre persone» e «di mantenersi attraverso il lavoro che esse
scelgono o accettano liberamente» andrebbe dunque assicurato il pieno
diritto all’assistenza sociale da parte degli Stati aderenti alla Convenzione.
Purtroppo, alle problematiche relative
alle persone con handicap intellettivo,
Ad esempio: a fronte dell’affermazione, contenuta
nell’articolo 5, che le «misure
specifiche che fossero necessarie ad accelerare o conseguire de facto
l’eguaglianza delle persone con disabilità non saranno considerate
discriminatorie ai sensi della (…) Convenzione», cosa si intende
– con riferimento alla «eguaglianza con
gli altri» – quando si richiede agli Stati Parti di assicurare che «le persone con disabilità non vengano
escluse dal sistema di istruzione generale sulla base della disabilità e che i
bambini con disabilità non siano esclusi da una libera ed obbligatoria
istruzione primaria gratuita o dall’istruzione secondaria sulla base della
disabilità»? Non basta infatti che «il sistema educativo preveda la loro
integrazione scolastica a tutti i livelli e offra, nel corso dell’intera vita,
possibilità di istruzione», ma occorre che essi (handicappati intellettivi
inclusi) possano beneficiare di tale diritto nell’ambito della scuola “di
tutti”. Dunque “insieme agli altri” e non
semplicemente “come gli altri”! Ben sapendo che ciò comporta la messa a
disposizione di insegnanti di sostegno e di personale
di appoggio (in numero adeguato e con una appropriata formazione) e la puntuale
fornitura delle prestazioni sanitarie specialistiche e di tutti gli ausili
necessari a perseguire efficacemente tale obiettivo.
Nell’ambito della convenzione sarebbe stato inoltre utile
affrontare il problema della prevenzione, dando adeguato spazio alla necessità di azioni mirate ad evitare gli infortuni in ambiente
domestico, sul lavoro e stradali che rappresentano la causa principale
dell’insorgere di condizioni di handicap spesso grave. È ben vero che
l’articolo 25 impegna gli Stati a «fornire
alle persone con disabilità la stessa gamma, qualità e standard di servizi e
programmi sanitari, gratuiti o a costi sostenibili, forniti alle altre persone,
compresi i servizi sanitari nell’area sessuale e di salute riproduttiva e i
programmi di salute pubblica inerenti alla popolazione» (15), unitamente ai
«servizi sanitari necessari alle persone
con disabilità proprio a causa delle loro disabilità, compresi la diagnosi
precoce e l’intervento appropriato, e i servizi destinati a ridurre al minimo
ed a prevenire ulteriori disabilità». Ma accanto a
questi interventi – che
Infine un tema (trattato all’articolo 28) che risulta di particolare attualità nel nostro Paese: quello
del «diritto delle persone con disabilità
ad un livello di vita adeguato per sé e per le proprie famiglie, incluse
adeguate condizioni di alimentazione, vestiario e alloggio, ed il continuo
miglioramento delle condizioni di vita » che gli Stati Parti devono
riconoscere, prendendo misure «appropriate
per proteggere e promuovere l’esercizio di questo diritto senza discriminazione
fondata sulla disabilità». Attualmente, in Italia,
lo Stato assicura agli invalidi civili un reddito di 242,84 euro mensili (16). È
dunque auspicabile che – con la firma della Convezione – si ponga finalmente
rimedio a tale scandalosa situazione, assicurando «alle persone con disabilità e alle loro famiglie, che vivono in
situazioni di povertà, l’accesso all’aiuto pubblico per coprire le spese
collegate alle disabilità, includendo una formazione adeguata, il sostegno
psicologico, l’assistenza finanziaria e le terapie respiratorie» ed inoltre
«pari accesso (…) a programmi e benefici
per il pensionamento».
Conclusioni
Il nostro Paese è tra gli Stati che hanno provveduto a firmare
L’Italia ha sottoscritto anche il protocollo addizionale
della Convenzione che istituisce, definendone i compiti, il ruolo del Comitato
per i diritti delle persone con handicap e impegna tutti gli Stati firmatari a
riconoscere che il Comitato è competente a ricevere e ad esaminare gli avvisi
inoltrati da singoli o gruppi di persone che denunciano di essere
vittime di violazioni in merito alle disposizioni statuite dalla Convenzione. Il
Ministro della solidarietà sociale si è inoltre impegnato a ridurre i tempi del
processo di ratifica ed a promuovere le misure legislative per la concreta
applicazione dell’accordo (17).
Già da questa prima fase è previsto che qualunque Stato
Parte possa proporre emendamenti alla Convenzione sottoponendoli al Segretario
generale che, ai sensi dell’articolo 47, comunicherà le proposte agli Stati
Parti «chiedendo loro di far sapere se
sono favorevoli alla convocazione di una conferenza (….) in vista di esaminare
tali proposte e di pronunciarsi su di esse. Se, entro quattro mesi dalla data di tale comunicazione,
almeno un terzo degli Stati Parti si sono pronunciati a favore della
convocazione di tale conferenza, il Segretario generale convocherà la
conferenza sotto gli auspici dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Qualsiasi
emendamento adottato dalla maggioranza dei due terzi degli Stati Parti presenti
e votanti è sottoposto per approvazione all’Assemblea
generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite ed a successiva accettazione
a tutti gli Stati Parti dal Segretario generale». L’Italia potrebbe dunque
contribuire, sin d’ora, a migliorare il testo della Convenzione, formulando gli
emendamenti necessari a far sì che vengano accolte le
osservazioni ed i rilievi proposti in questa sede. In tal modo si potrebbe
disporre, a livello internazionale, di uno strumento davvero efficace per la
tutela dei diritti di tutte le persone con handicap.
* Direttore del Cisap, Consorzio dei servizi alla persona dei Comuni di Collegno e Grugliasco (Torino).
(1) Il testo
utilizzato – reperibile sul sito
www.grusol.it – è in lingua italiana. La traduzione, non ufficiale, è stata
curata dal Consiglio nazionale sulla disabilità (Cnd)
e dalla Federazione italiana per il superamento dell’handicap (Fish) e riveduta da Maria Rita
Saulle, Ordinario di diritto internazionale all’Università
(2) Il documento,
così come quelli citati successivamente, è reperibile sul sito
www.consequor.it.
(3) La definizione
di una persona che ha delle difficoltà personali a causa di una minorazione è,
da sempre, oggetto di discussione. In questo articolo
si assume l’espressione “handicap” in quanto si ritiene che definisca
validamente una situazione di svantaggio sociale, conseguente a menomazione e/o
disabilità, che limita o impedisce l’adempimento di un ruolo normale per un
dato individuo in funzione di età, sesso
e fattori culturali e sociali. L’handicap riguarda il valore attribuito ad una
situazione – o ad una esperienza individuale – quando
esso si allontana dalla norma ed è caratterizzato da una discordanza tra la
prestazione e la condizione dell’individuo e le aspettative dell’individuo
stesso o del gruppo di cui fa parte. L’handicap rappresenta dunque la socializzazione di una menomazione o di una disabilità e,
come tale, riflette le conseguenze per l’individuo – sul piano culturale,
sociale, economico ed ambientale – che nascono da tali condizioni. Cfr. Maria Grazia Breda e Francesco Santanera, Handicap:
oltre la legge quadro. Riflessioni
e proposte, Utet Libreria, Torino, 1995.
(4) Si tratta di un
diritto affermato e perseguito sin dal 1989, anno nel quale venne fondata
l’associazione Enil, network europeo per la vita
indipendente. Cfr. Gianni Pellis,
“L’assistenza personale autogestita: una realtà
innovativa per le persone con handicap fisico molto grave” e “Approvata una
valida delibera per la vita indipendente dei soggetti con grave handicap”, Prospettive assistenziali,
n.137, 2002.
(5) Luisella Bosisio Fazzi, Pietro Barbieri,
Giampiero Griffo, “Perché non condividiamo la scelta della Santa Sede”,
www.superando.it , 2007. Cfr. anche
la nota 15.
(6) Associazione Consequor, “
(7) Ibidem.
(8) Cfr. Maria Grazia Breda e Francesco Santanera,
“Handicap e malattia: i nuovi orientamenti dell’Oms”,
Prospettive assistenziali,
n.138, 2002.
(9) Giuseppe Oberto,
“Invalidità psichiche ed invalidità fisiche ai fini del collocamento
obbligatorio”, Prospettive assistenziali,
n.77, 1987.
(10) A livello
nazionale sono previsti diritti esigibili solamente dagli articoli 154 e 155
del regio decreto n. 773/931 che individuano nel Comune il soggetto tenuto a
disporre il ricovero in istituto (unica prestazione alla quale hanno diritto i
cittadini italiani inabili al lavoro e privi di mezzi) dei minori, dei soggetti
con handicap e degli anziani in gravi difficoltà socio-economiche. Alcuni
diritti esigibili sono previsti dalla legge della Regione
Piemonte n. 1, 2004.
(11) Cfr. Maria Grazia Breda e Francesco Santanera, Op.cit.
(12) Ibidem.
(13) Cfr. “Handicap e malattia: sentenza della Corte europea di
giustizia”, Prospettive assistenziali, n.155, 2006.
(14) Maria Grazia Breda, Francesco Santanera, Op.cit.
(15) Con riferimento
ai «servizi sanitari nell’area sessuale e
di salute riproduttiva», menzionati
all’articolo 25, è da segnalare la posizione, espressa dalla Santa Sede, di
rifiuto della firma della Convenzione, con la motivazione che «ci siamo opposti all’inclusione di tale
frase in questo articolo, perché in alcuni Paesi i servizi di salute
riproduttiva includono l’aborto, negando così l’innato diritto alla vita di
ogni essere umano, affermato dall’articolo 10 della Convenzione. È sicuramente
tragico che, in tutti i casi in cui una malformazione fetale costituisce una precondizione per l’aborto, la stessa Convenzione creata
per proteggere le persone con disabilità da ogni discriminazione nell’esercizio
dei loro diritti, possa essere usata per negare il diritto basilare alla vita
delle persone con disabilità non nate». Fonte: Luisella Bosisio
Fazzi, Pietro Barbieri, Giampiero Griffo,
Op. cit.
(16) Cfr. Roberto Tarditi, “Come si fa
a vivere con 242,84 euro al mese?”, Prospettive assistenziali, n.158, 2007.
(17) Cfr. Cinzia Valaguzza,
“La prima Convenzione sui diritti dei disabili”, Hpress, n.10,
2007.
www.fondazionepromozionesociale.it