Prospettive assistenziali, n. 159, luglio - settembre 2007

 

 

I PIANI DI ZONA DELLA REGIONE LAZIO: INIZIATIVA INUTILE E FUORVIANTE

 

 

Nel numero 137, 2002 di questa rivista (1) era stato rilevato che «se nelle delibere di approvazione dei piani di zona non è stabilito che gli interventi ivi previsti costituiscono un diritto esigibile da parte degli utenti, i cittadini nulla possono pretendere». Infatti «come avviene quasi sempre, i piani si limitano ad indicare i servizi e le prestazioni che gli enti possono o non possono erogare in base alla loro assoluta discrezionalità».

Nello stesso articolo veniva precisato che «affinché i diritti siano veramente esigibili da parte dei cittadini occorre che la legge individui i soggetti beneficiari; stabilisca l’ente tenuto ad intervenire; definisca le prestazioni erogabili, le modalità ed i tempi di attuazione, i capitali di spesa da cui l’ente pubblico trae le risorse e le eventuali contribuzioni a carico dell’utente; precisi il diritto dell’utente a usufruire delle prestazioni di cui sopra e le possibilità di ricorso» (2).

 

Una conferma dal Lazio

Una conferma dell’inutilità dei piani di zona emerge dalla lettura del volume La riforma dei servizi socio-sanitari - Una lettura dei Piani di zona nella Regione Lazio 2002-2004, edito da Spes, Centro di servizio per il volontariato del Lazio, maggio 2006, in cui non c’è alcun accenno ai diritti degli utenti e al conseguente obbligo da parte dei Comuni di erogare le relative prestazioni.

Sono invece avanzate numerose affermazioni che, comprese quelle valide, non modificano in
nessun modo l’attuale situazione della assoluta discrezionalità degli enti gestori dei servizi socio-assistenziali e di fornire gli interventi scelti dagli stessi enti.

La definizione del piano di zona è del tutto astratta. Infatti viene affermato che «è lo strumento di programmazione locale che si realizza con la collaborazione concertata di tutti i soggetti attivi del territorio» e che «esso contiene in modo puntuale: gli obbiettivi delle politiche e delle azioni sociali e gli strumenti per realizzarli; le modalità organizzative dei servizi; le risorse finanziarie, strutturali e professionali, nonché i requisiti di qualità; i dati informativi relativi a bisogni e risorse; le modalità per garantire l’integrazione tra servizi e prestazioni; le modalità di collegamento in rete tra servizi delle amministrazioni pubbliche locali e quelli degli organi periferici delle amministrazioni centrali; le modalità di collaborazione tra enti locali e soggetti del terzo settore; le forme di concertazione con le Asl e con i soggetti nel terzo settore; le risorse umane e finanziarie necessarie, da mobilitare e fornire per realizzare gli obiettivi; la ripartizione della spesa tra i diversi soggetti firmatari, l’ammontare specifico e l’eventuale vincolo di destinazione».

 

Alcune nostre considerazioni

a nostro avviso, i suddetti settori di intervento dovrebbero essere definiti mediante delibere anche al fine di renderli vincolanti per le amministrazioni ed i loro operatori, mentre il piano di zona dovrebbe definire i finanziamenti, le modalità ed i tempi di attuazione delle iniziative individuate nello stesso piano e deliberate dall’ente che redige il piano di zona (ad esempio, sviluppo delle prestazioni domiciliari, creazione di una o più comunità alloggio per soggetti con handicap intellettivo, ecc.).

La base dei piani di zona non è una descrizione delle attività che possono essere messe in atto; l’azione politico-amministrativa degli enti locali, in particolare dei Comuni, deve fondarsi su decisioni volte a fornire risposte concrete ai cittadini, con priorità assoluta a coloro la cui esistenza è problematica a causa di disagi socio-economici.

Di fronte a richieste di partecipazione per iniziative prive di concretezza, giustamente le forze sociali si defilano e succede quel che lamenta il presidente di Spes nella prefazione: «Il volontariato in genere non si è attivato in modo adeguato per far valere il ruolo riconosciutogli dalla legge».

A nostro avviso detta situazione non deriva dal fatto che il volontariato è «troppo spesso centrato sulla priorità di ogni singola associazione e non sufficientemente consapevole della realtà di contesto e dell’importanza di momenti di sintesi generali» come ritiene il presidente di Spes, ma è la conseguenza della giusta decisione di non utilizzare le proprie energie a vuoto.

 

(1) Cfr. l’articolo “I diritti dei cittadini in difficoltà e il miraggio dei piani di zona”.

(2) Come abbiamo più volte rilevato, la legge 328/2000 di riforma dell’assistenza e dei servizi sociali non prevede alcun diritto esigibile. Purtroppo nessuna legge regionale approvata prima o dopo la 328/2000, ad esclusione di quella della Regione Piemonte n. 1/2004, stabilisce diritti esigibili.

 

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