Prospettive assistenziali, n. 159, luglio - settembre 2007
Interrogativi
PERCHé PER ESSERE CURATI SI È
COSTRETTI A DIVENTARE SOCI DI UNA COOPERATIVA?
Per poter essere
curato presso la suddetta struttura il sig. A.B. è stato costretto a
sottoscrivere un contratto privato e di essere iscritto fra i soci della
Cooperativa Vitaresidence e a sottostare ad altri obblighi
non previsti da alcuna legge.
In merito a quanto sopra poniamo i
seguenti interrogativi.
Per quali motivi
per poter essere curati presso
Se l’Asl Milano
Se il diritto alle
prestazioni è sancito da una legge (nel caso in esame la n. 833/1978), in base a quale principio giuridico-amministrativo
il malato è tenuto ad accettare i vincoli imposti da un ente privato?
Firmato il
contratto, come può il paziente pretendere le prestazioni previste dalle leggi
vigenti, qualora il soggetto privato non le rispetti?
Non c’è
l’inquietante pericolo che nei casi di contestazione di fatti oggettivi lesivi
dei diritti, il malato sia costretto a interrompere la
degenza anche se necessita ancora di cure indifferibili?
Perché il malato
deve versare alla Cooperativa Vitaresidence 50 euro a
titolo di quota associativa, nonché altri 130 euro non
rimborsabili quale «tassa di ammissione» alla
degenza presso la struttura residenziale?
L’obbligo di
versare alla Cooperativa la quota associativa non contrasta con l’articolo 18
della Costituzione in base al quale i cittadini hanno diritto di associarsi «liberamente»?
Per quali ragioni
l’Asl Milano 3 obbliga i malati psichiatrici
autorizzati al ricovero presso
Da notare che
detto importo è provvisorio, in quanto riguarda solamente «il corrispettivo da riconoscere come rimborso spese “standard” per i
primi dieci giorni», poiché
verrà definita dal responsabile della struttura di ricovero «la retta commisurata ai bisogni specifici
che verranno evidenziati a seguito di migliori conoscenze del socio, costi che
verranno esposti nell’apposito riquadro in calce al presente contratto per essere
nuovamente siglati per esplicita accettazione»: si deduce quindi che in
caso contrario il paziente verrà dimesso?
Inoltre, perché la
stessa Asl copre solo le spese per i trasporti di emergenza, ma non quelli effettuati per accertamenti
diagnostici o di altra natura dalla Rsa di Guanzate verso le strutture sanitarie?
Per quali motivi «a conferma della richiesta di fruire dei
servizi residenziali» il malato è tenuto a corrispondere una somma a titolo
di «deposito cauzionale infruttifero»,
somma che «verrà
acquisita a titolo definitivo dalla Cooperativa Vitaresidence
qualora dovessero derivare dalla stessa danni durante il periodo di fruizione
del servizio oppure a copertura del mancato pagamento di servizi aggiuntivi»?
È giusto che le
valutazioni di cui sopra spettino alla Cooperativa e
non a un organismo terzo?
Inoltre il
contratto della Cooperativa Vitaresidence stabilisce
che il malato deve «prendersi carico
della quota eventualmente garantita dall’ente pubblico Azienda sanitaria locale
Provincia di Milano 3 qualora
questo cessasse il versamento della stessa». Si noti che
detta quota è di oltre cento euro al giorno!
In merito agli
abusi sopra descritti, gradiremmo conoscere le iniziative che intendono
assumere
PER QUALI MOTIVI L’ISVAP E IL CENSIS NON RICONOSCONO
Nell’aprile 2007 è
stata presentata la ricerca “La non autosufficienza degli anziani - Il caso
italiano alla luce delle esperienze straniere” svolta dall’Isvap
(Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse
collettivo) con la collaborazione del Censis.
A conclusione
dell’indagine viene affermato che «alla luce dello stato dell’arte rilevato nei principali Paesi
industrializzati, la situazione esistente in Italia evidenzia la necessità di
dotarsi di una struttura in grado di garantire agli anziani al momento in cui
diventino non autosufficienti dei modelli organizzativi e finanziari tali da
consentire l’erogazione delle prestazioni» e precisa che «il giusto mix tra il settore pubblico e
quello privato appare la strada da seguire».
In primo luogo
chiediamo per quale motivo nella ricerca si fa sempre e solo riferimento ai
soggetti con handicap? (1).
Non è noto ai
ricercatori dell’Isvap che da numerosi anni si opera
affinché ai soggetti con handicap vengano predisposte
misure tali da consentire ad essi di essere pienamente ed attivamente inseriti
nella scuola, nel lavoro e nella società di tutti?
Inoltre, perché
nella ricerca non viene fatto riferimento alle leggi
italiane che da oltre mezzo secolo garantiscono sotto il profilo giuridico i
necessari interventi curativi agli anziani colpiti da patologie invalidanti e
da non autosufficienza?
Com’è possibile
che l’Isvap, assumendo come riferimento sbagliato
l’assoluta mancanza nel nostro ordinamento e nella pratica di tutti i giorni le
prestazioni obbligatorie del Servizio sanitario nazionale, proponga il ricorso
alle assicurazioni private?
Come può
prospettare la corresponsione disposta dall’assicurazione di 6 mila euro all’anno per gli anziani non autosufficienti quando
l’importo attuale delle rette nelle strutture di accoglienza è di 70-100 euro
al giorno e cioè di 25-36 mila euro all’anno?
Non è preoccupante
il fatto che nella ricerca nulla venga detto per gli
anziani che durante la loro esistenza non sono stati in grado di versare alcuna
somma all’assicurazione?
Infine, come mai
il Censis, ente noto da anni per le sue attività nel campo sociale,
ha avallato le posizioni dell’Isvap?
COME MAI È STATA
DIMESSA DALL’OSPEDALE MAGGIORE DI PARMA UNA SIGNORA NON
AUTOSUFFICIENTE PRIVA DI SOSTEGNI FAMILIARI?
In data 26 giugno
2007 Luigi Giuseppe Villani, Consigliere della Regione Emilia Romagna, ha
presentato una interrogazione «sul caso di una donna di 62 anni, che vive sola, la quale (ricoverata
la sera di venerdì 8 giugno 2007 all’ospedale Maggiore di Parma, per una
delicata frattura in zona pubica dovuta a una caduta) sarebbe stata dimessa (il
giorno successivo) con la raccomandazione di rimanere immobile e la
prescrizione di iniezioni, nonostante fosse impossibilitata ad essere assistita
dai familiari e in condizioni di difficoltà economiche».
Il Consigliere fa
sapere che «la notte seguente alla
dimissione, sarebbero stati i vicini di casa a prestarle soccorso allertati dalle urla di dolore della donna che, non
potendosi muovere, chiedeva aiuto» ed ha chiesto alla Giunta «perché data la situazione, la paziente sia
stata dimessa “a poche ore dal ricovero” e se, al momento del congedo, ne siano
state adeguatamente accertate le condizioni cliniche e sociali, in modo da
disporre l’immediata attivazione del sistema di integrazione
socio-sanitaria con servizi idonei a questo particolare caso».
Ai quesiti posti dalla interrogazione del Consigliere Villani, il competente
Assessorato della Regione Emilia Romagna può dare una risposta anche a noi?
(1) Viene citata una
stima dell’Istat che «porta un valore pari a 2.615.000 del numero dei disabili che risiedono
in famiglia», con l’indicazione che «a
tale dato, si deve aggiungere la stima delle persone disabili che vivono in
residenze socio-sanitarie e che risultano pari a circa 169.000».
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