Prospettive assistenziali, n. 159, luglio - settembre 2007

 

 

Libri

 

 

STeFANO RODOTÀ, La vita e le regole - Tra diritto e non diritto, Feltrinelli, Milano, 2006, pag. 285, euro 19,00.

Come ha precisato la Corte costituzionale nella sentenza n. 105 del 10 febbraio 2001, i nostri diritti fondamentali «ci appartengono non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani».

È questa la base che ci difende sia dall’autoritarismo pubblico che dalla prepotenza privata.

 Tuttavia, precisa l’Autore, «nella riflessione sui limiti dell’intervento del diritto la questione decisiva rimane sempre quella di chi stabilisce il confine tra il diritto e il non diritto, e dei criteri secondo i quali questa operazione viene compiuta».

Attualmente «l’incontro con il diritto è fortemente condizionato, in particolare, dai nuovi dati di realtà costruiti dalla scienza e dalla tecnologia, che mutano l’appello al diritto e le forme della regolazione giuridica».

Ne consegue che «vi è una diffusa e persistente difficoltà sociale nel metabolizzare le innovazioni scientifiche e tecnologiche quando queste incidono soprattutto sul modo in cui si nasce e si muore, sulla costruzione del corpo nell’era della sua riproducibilità tecnica, sulla possibilità stessa di progettare la persona».

Inoltre, poiché «appaiono sconvolti i sistemi di parentela e l’ordine delle generazioni (…), si manifestano angosce, si materializzano fantasmi (…), il diritto appare l’unica cura sociale, con una intensa richiesta di norme, limiti, divieti».

Essendo state «perdute le regole della natura, la società si rispecchia nel diritto e a esso chiede rassicurazione, prima ancora che protezione».

Osserva Stefano Rodotà che «il diritto non si ferma alle persone, ai gruppi, agli stati, alle comunità internazionali. Si rivolge ormai all’umanità intera».

Occorre, altresì, considerare che «nell’ordine internazionale e nella vita quotidiana si affaccia un nuovo diritto, quello di “ingerenza umanitaria”: né la sovranità nazionale, né l’autonomia individuale dovrebbero o potrebbero far argine a questa nuova ingerenza del diritto».

Ma quali sono i limiti dell’ingerenza? Si potrebbe sostenere che è legittima solo nelle situazioni estreme «concentrandosi in un pubblico “dovere di protezione” soprattutto quando è a rischio la vita stessa della persona».

Tuttavia, osserva l’Autore, che così inteso «il diritto/dovere di ingerenza umanitaria si rivela in stridente contrasto con la conquistata libertà di disporre pienamente di sé».

Ne consegue che «la vita rischia di nuovo di essere sottratta all’autonomia della persona».

Rodotà segnala fra i nuovi fenomeni quello del «turismo dei diritti, al quale si ricorre per recuperare diritti negati nel paese di origine» e cita quelli riguardanti l’aborto, il divorzio, l’eutanasia, il suicidio assistito.

Le profonde riflessioni dell’Autore, in particolare quelle riguardanti le cure sanitarie, il dolore e la morte, sono di fondamentale importanza nella nostra vita quotidiana: un valido motivo, quindi, per una lettura attenta del volume.

 

giorgio bissolo, luca fazzi (a cura di), Costruire l’integrazione sociale - Attori, strumenti, metodi, Carocci Faber, Roma, 2005, pag. 375, euro 26,80.

Nell’introduzione del volume Giorgio Bissolo e Luca Fazzi affermano che «l’esigenza di fornire servizi sanitari e sociali in modo integrato» è «un passaggio strategico per rispondere ai processi di cambiamento dei bisogni e di trasformazione dei sistemi di welfare».

A sostegno della loro posizione gli Autori citano i seguenti accadimenti: «la diffusione di problematiche e patologie cronico-degenerative a carattere invalidante»; «il progressivo aumento (…) di una serie di patologie che sono stabilizzate o progrediscono lentamente», con particolare riferimento all’Aids, al trapianto di organi, ai tumori, alle cardiopatie stabilizzate e alle lesioni neurologiche; «la trasformazione del ruolo e della struttura della famiglia che indebolisce la possibilità di ricevere cure di tipo informale a domicilio»; «la diffusione di approcci multidimensionali alle patologie sanitarie e sociali che fanno emergere la natura multidimensionale di molti problemi come la tossicodipendenza, la malattia mentale o il disagio minorile»; «la necessità, in una stagione di razionalizzazione e di crescenti ristrettezze economiche, di limitare le inefficienze dovute alla duplicazione degli interventi sociali e sanitari e soprattutto alla vaghezza con la quale sono spesso definiti i confini tra i due campi di intervento»; «l’emergere, infine, di una crescente sensibilità e attenzione da parte dei cittadini e dei beneficiari dei servizi nei confronti della qualità e della complessità dei servizi che induce a un aumento delle richieste e della pressione nei confronti di approcci olistici di diagnosi e di presa in carico».

Mentre sono condivisibili le valutazioni degli Autori in merito alle problematiche emerse in questi ultimi anni, riteniamo che la soluzione non consista nell’integrazione dei servizi sanitari e sociali, bensì nella diretta assunzione da parte del Servizio sanitario nazionale di tutte le valenze sociali e relazionali indispensabili perché i cittadini ricevano prestazioni adeguate alle loro esigenze.

Da anni si afferma giustamente che i medici e gli infermieri non dovrebbero limitarsi a curare gli organi malati ma che occorrerebbe che tenessero in attenta considerazione le persone e la loro specifica individualità.

Come si può dunque ritenere che al personale sanitario competano solo le questioni riguardanti le patologie e non l’insieme di tutte le complesse problematiche del malato?.

L’individuazione delle cause anche sociali, aspetto fondamentale in particolare per quanto concerne i disturbi psicologici e le alterazioni psichiatriche, è un’attività che compete a tutti gli operatori sanitari e, quindi, non dovrebbe essere delegata al settore dell’assistenza sociale.

Infatti, in questo caso si provoca la progressiva deresponsabilizzazione del personale del Servizio sanitario nazionale, al quale viene fornita l’inaccettabile scusante di poter affermare che proprio sulla base del principio dell’integrazione socio-sanitaria, le valenze sociali non sono di competenza dei suoi operatori.

D’altra parte, se fosse valida la sottrazione al settore sanitario della diretta assunzione delle problematiche sociali, questa posizione dovrebbe essere assunta anche negli altri campi di intervento: le attività prescolastiche e scolastiche compresa la formazione professionale e l’università, i trasporti, l’edilizia pubblica e privata, ecc.

Mentre è apprezzabile l’impegno degli Autori per evidenziare i vari aspetti dell’integrazione socio-sanitaria, non si possono trascurare  le negative conseguenze derivanti dalla presenza in tutte le attività di due istituzioni: Ministeri della salute e della solidarietà sociale (a cui, con il Governo Prodi, si è aggiunto quello alle politiche per la famiglia), Assessorati regionali alla sanità e ai servizi sociali, Asl e Comuni.

Ne consegue che ogni decisione deve essere condivisa, con i risultati che spesso (il che si verifica soprattutto per la questione dei finanziamenti) si arriva (e si arriverà) al rinvio delle scelte operative.

 

A.A.VV., Le persone ombra… e dopo di noi?, Associazione “Mondo Nuovo”, Villa Giardino (Località S. Girolamo), pag. 144, senza indicazione di prezzo.

Il volume raccoglie gli atti del convegno di studio svoltosi a Volterra il 24 novembre 2003 sulla questione del futuro delle persone con limitata o nulla autonomia, organizzato dall’Associazione “Mondo Nuovo” con il patrocinio della Regione Toscana, dell’Amministrazione provinciale di Pisa, del Comune di Volterra e dell’Asl 5.

che il problema del “Dopo di noi”  sia particolarmente sentito è emerso soprattutto dalle esperienze dei genitori: «Queste famiglie hanno un gran bisogno di aiuto. Ma tanto, tanto davvero perché si sentono sole anche se ci sono tante persone disponibili a dare una mano».

Dopo la nascita di un bambino con un handicap gravemente invalidante, le speranze riposte nella riabilitazione e nella frequenza della scuola dell’obbligo, si pone l’angoscioso interrogativo da parte dei genitori: «Dove vivrà nostro figlio? Chi accudirà alle sue esigenze?». Purtroppo nel convegno sono state ripetute le solite parole di circostanza.

Angelo Passaleva, Vice Presidente della Regione Toscana e Assessore alle politiche sociali, dopo aver affermato nella prefazione che «il convegno di Volterra sul “Dopo di noi”, in occasione dell’Anno europeo 2003 delle persone con disabilità, si è rilevato di notevole interesse» ed essersi complimentato «con chi ha pensato e realizzato l’iniziativa volterrana in una interessante sinergia fra istituzioni pubbliche e società civile», non ha assunto alcun impegno e si è limitato a sostenere che «Dopo di noi possono accadere tante cose: sta a noi operare, oggi, affinché il futuro sia capace di prospettive coerenti con la dignità della persona umana».

A sua volta Marcella Guazzini, Assessore alle politiche sociali dell’Amministrazione provinciale di Pisa e Presidente della Consulta provinciale per l’handicap, ha preannunciato l’approvazione di un documento riguardante anche il “Dopo di noi” e rivolto a «promuovere e creare un sistema di opportunità e di risposte su questa problematica, non contemplando l’istituzionalizzazione dei disabili, ma prevedendo soluzioni nuove e diverse, anche attraverso il riadeguamento e la riorganizzazione delle abitazioni, attraverso interventi che favoriscano la permanenza  di disabili all’interno del proprio ambiente familiare», senza però precisare quali sono le iniziative rivolte ai soggetti orfani di entrambi i genitori colpiti da handicap intellettivo così grave da aver provocato la perdita della loro autonomia.

Il Sindaco di Volterra, Ivo Gabelleri, ha riconosciuto, ma non poteva essere altrimenti, che «il tema del “Dopo di noi” coinvolge in prima istanza le famiglie, gli amici, ma anche le istituzioni», ma non ha detto una parola sul fatto che, ai sensi degli ancora vigenti articoli 154 e 155 del regio decreto 773/1931 “Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza”, i Comuni sono obbligati a provvedere all’assistenza degli inabili al lavoro e quindi non solo dei minori e degli anziani in gravi difficoltà socio-economiche, ma anche delle persone colpite da handicap invalidante.

I suddetti articoli riprendono le norme del regio decreto 19 novembre 1889 n. 6535 che imponeva ai Comuni (e non ai congiunti) l’obbligo di intervenire nei confronti delle «persone dell’uno e dell’altro sesso, le quali per infermità cronica e per insanabili difetti fisici o intellettuali non possono procacciarsi il modo di sussistenza».

È ben vero che, ai sensi dei sopra citati regi decreti, i Comuni dovevano provvedere mediante il ricovero. Però, a nostra avviso, occorre che le organizzazioni di base partano da detto compito affidato ai Comuni per rivendicare la creazione di servizi adeguati alle odierne necessità.

Per quanto riguarda gli altri soggetti che hanno partecipato al convegno, deploriamo in particolare che Salvatore Nocera, da tempo informato dell’obbligo dei Comuni, che per le persone interessate costituisce un diritto facilmente esigibile, non ne abbia informato i promotori ed i partecipanti nella sua relazione sul tema “Disabili: diritti esigibili, diritti in bilico, diritti negati”.

 

Guido cattabeni, Un figlio venuto da lontano - Adozione e affido, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi), 2005, pag. 113, euro 9,00.

Il volume di Guido Cattabeni affronta le questioni relative all’adozione e all’affido sulla base delle molteplici esperienze vissute dall’Autore come medico e psicologo clinico.

Il linguaggio è estremamente semplice ed i numerosi esempi di vita vissuta servono a confermare gli aspetti teorici affrontati.

Cattabeni, dopo aver sostenuto che l’amore è la base dell’adozione e dell’affido, precisa giustamente che «offrire un sentimento di benevolenza e aspettarsi che questo guarisca le ferite di chi incontriamo è alla base di gravi errori che si pos­sono compiere accogliendo i bambini in adozione o in affido».

Ne consegue che «educare un figlio adottivo, educare un figlio in affido esige dunque una preparazione di base non solo genericamente pedagogica, ma anche una preparazione ai problemi specifici che si possono incontrare lungo queste strade», aggiungendo «che non si tratta di imporre delle formule, ma di formarsi una mentalità, un’attitudine di fondo adeguata alla particolarità di ogni situazione».

Premesso che ormai da più di cinquant’anni è stato messo in evidenza che il lattante non è un tubo digerente, l’Autore si sofferma sul fondamentale concetto dell’ammaternamento che non è «legato in sé e per sé alla gravidanza e alla procreazione», ma che è la base del rapporto della madre (biologica o adottiva) con il bambino, così come l’appartenamento lo è per quanto concerne il padre.

Vengono poi prese in esame tutte le questioni ri­guardanti l’adozione e in particolare le conseguenze negative derivanti dalla separazione del bambino dal suo contesto familiare e dal ricovero in istituto, l’accoglienza dei bambini grandicelli, l’influenza dell’ambiente e dell’ereditarietà, l’informazione al figlio della sua adozione. Mentre i suddetti problemi e quelli relativi all’affido sono trattati in modo approfondito e convincente, non ci sembra corretto l’uso del termine “abbandono”, in quanto, ad esempio, come è già stato rilevato su questa rivista (cfr. “Proposte per un linguaggio appropriato in materia di adozione”, n. 153 bis, 2006) «il bambino non riconosciuto, e quindi affidato alle istituzioni, non è abbandonato».

Molto negative possono essere le conseguenze per i figli adottivi che ritengano di essere stati abbandonati da chi li ha messi al mondo; gli effetti psicologici e sociali sono ben diversi se è consapevole che può non essere stato riconosciuto nel suo interesse. Inoltre, tenuto conto che nel nostro ordinamento giuridico per “famiglia” si intende solo quella fondata sul matrimonio, occorre tener conto che i sostegni sociali dovrebbero essere forniti a tutti i nuclei, comunque costituiti.

 

A.A.VV., Dal miraggio al percorso: l’integrazione lavorativa delle persone disabili. I lavoratori, le aziende e le “soluzioni” nella pratica quotidiana, Edizioni del Cerro, Tirrenia (Pisa), 2005, pag. 163, euro 16,50.

Il volume prende in esame la legge 68/1999 “Norme per il diritto al lavoro dei disabili” ed è una guida all’inserimento lavorativo di detti soggetti.

La prospettiva nella quale si pongono gli Autori (Rossana Bolchini, Lucilla Castellazzi, Gregorio Mazzonis e Giulia Noris) è «all’interno di servizi pubblici o privati e/o di istituzioni, affinché l’incontro fra le persone disabili e il mondo delle imprese si realizzi».

Nel primo capitolo viene delineato il contesto all’interno del quale operano gli Autori che individuano «quali caratteristiche presentano i diversi protagonisti che a diverso titolo interagiscono nel percorso di accesso al lavoro delle persone disabili» e cioè dei tre attori «che lo determinano e condizionano: i disabili stessi, le imprese e i servizi».

Nel secondo e nel terzo capitolo vengono descritti i modelli operativi utilizzati «per l’inserimento lavorativo e il mantenimento del posto di lavoro, elaborati e costruiti sulla base dell’esperienza maturata dagli Autori all’interno di un servizio pubblico, il Consorzio sud-ovest Milano per la formazione professionale che dal 1991 si occupa di accesso al lavoro per le persone disabili».

 

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