Prospettive assistenziali, n. 159, luglio - settembre 2007
Notiziario dell’Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie
LETTERA APERTA SUI SOGGIORNI IN ITALIA DEI MINORI DELLA BIELORUSSIA
Riportiamo la lettera aperta al Ministro della famiglia Rosy Bindi; al Ministro della
Solidarietà sociale Paolo Ferrero; al Sottosegretario
alla famiglia Chiara Acciarini; al Sottosegretario della Solidarietà sociale
Cristina De Luca; alla Presidente ed ai Componenti della Cai
(Commissione per le adozioni internazionali), inviata dalla presidente
dell’Anfaa in data 25 giugno 2007.
Con la presente intendiamo esprimere il
profondo dissenso dell’Anfaa in merito al “Protocollo recante integrazioni e
modifiche al Protocollo di collaborazione tra il
Ministero dell’istruzione della Repubblica di Belarus
e la Commissione per le adozioni internazionali” che prevede al punto 1.9
bis: «Gli aspiranti all’adozione che
intendono adottare il minore ospitato durante i soggiorni di risanamento,
presentano, attraverso gli enti autorizzati, all’organo di tutela e curatela
del luogo di residenza (domicilio) del minore la domanda per l’inserimento del
minore stesso nell’elenco dei minori nei confronti dei quali è possibile effettuare l’adozione internazionale. Nel caso dell’avvenuto
inserimento del minore nell’elenco dei minori, nei confronti dei quali è
possibile effettuare l’adozione internazionale, il
Centro informa gli aspiranti all’adozione attraverso l’Ente autorizzato».
Esponiamo in breve i motivi del nostro
dissenso, precisando che, in merito ai suddetti soggiorni condividiamo
l’analisi di Giulia De Marco contenuta nella sua relazione in apertura della sessione “La
famiglia che accoglie” in occasione
della recente Conferenza nazionale della
famiglia.
Dopo un’analisi attenta e critica del
fenomeno, Giulia De Marco, ha richiamato «il
pericolo sottolineato anche da emeriti osservatori stranieri (…) che attraverso
i soggiorni climatici si crei un canale parallelo di adozioni internazionali. Infatti,
poiché molti minori sono in condizione di abbandono,
istituzionalizzati da anni, si crea un’aspettativa alla loro adozione da parte
delle famiglie che li ospitano e che sovente sono prive dei requisiti richiesti
dalla Convenzione dell’Aja e dalla nostra legge
nazionale. Più volte
Infatti
A ulteriore tutela del bambino, la nostra legislazione
(legge n. 184/1983 e successive modifiche) ha inoltre previsto la preventiva
dichiarazione di idoneità della coppia all’adozione prima che la stessa inizi
ogni contatto in vista dell’adozione.
L’articolo 9 bis del Protocollo
sottoscritto dalla Presidente della Commissione per le adozioni internazionali,
Roberta Capponi, col Ministro dell’istruzione della Bielorussia è, a nostro parere, in contrasto con le
norme suddette – che sono state approvate a tutela dei minori in stato di
adottabilità – e ne legittima l’aggiramento. Oltretutto questo
accordo non si limita solo ad una “sanatoria” nei confronti dei bambini bielorussi già ospitati dalle famiglie che, in base al
precedente Protocollo del dicembre 2005, già ne avevano chiesto l’adozione
nominativa, ma viene esteso ai bambini che verranno in Italia nei prossimi
soggiorni. Ricordiamo che il recente accordo sui soggiorni solidaristici
sottoscritto in merito dal Ministro Ferrero riguarda
anche, purtroppo, i minori ricoverati negli istituti della Bielorussia.
In merito concordiamo con quanto
scritto nella lettera inviata il 24 aprile 2007 al Ministro per la solidarietà
sociale da Francesco Santanera, che ha rilevato
quanto segue: «Mentre non ci sono
problemi (salvo l’idoneità di coloro che li accolgono) per i fanciulli
che vivono in famiglia e quindi hanno stabilito rapporti affettivi con i loro
congiunti, c’è il reale pericolo di arrecare danni anche gravissimi ai bambini
istituzionalizzati.
Due sono soprattutto le conseguenze:
1. Gli effetti negativi dei soggiorni dei bambini
istituzionalizzati non vengono da me segnalati solo adesso, ma sono stati
oggetto di interventi ripetuti negli anni scorsi,
soprattutto nel periodo ’60-’70, ad esempio nei riguardi delle iniziative
assunte da alcuni enti, come l’ex-Onmi e varie
organizzazioni private. Dette iniziative avevano lo
scopo di inserire, per qualche giorno oppure per una o due settimane, presso
famiglie bambini ricoverati in istituto. C’è voluto del tempo e tanto impegno
da parte nostra, ma dette iniziative sono cessate da
anni, soprattutto perché numerosi promotori, dopo le inevitabili resistenze
iniziali, ne hanno constatato gli effetti particolarmente negativi. Infatti i bambini, che vivono in istituto, hanno subito e
subiscono i deleteri effetti della carenza di cure familiari, come da oltre 50
anni è stato evidenziato da tutti gli esperti; in particolare ricordo la
ricerca svolta per conto dell’Organizzazione mondiale della sanità da John Bowlby. Quando
il soggiorno termina, il bambino istituzionalizzato vive la separazione da
coloro che lo hanno ospitato come un vero e proprio abbandono;
2. Problemi aperti in materia di adozione. Essere adottati significa diventare figli di
persone dalle quali non si è stati procreati. Poiché si
tratta di un obiettivo che deve essere perseguito nell’assoluto interesse dei
minori, occorre che gli aspiranti adottanti siano rigorosamente selezionati e
accuratamente preparati. Anche sulla base delle negative e spesso
drammatiche esperienze delle adozioni fallite, vi è la necessità di evitare
ogni forma di appropriazione dei bambini da parte
degli adulti, come d’altra parte è precisato in tutte le Convenzioni
internazionali in materia di adozione».
La stessa Presidente della Cai, Roberta Capponi, alla Conferenza nazionale della
famiglia di
Firenze ha segnalato il fortissimo divario esistente tra il numero degli aspiranti genitori
adottivi e quello dei minori stranieri adottati. Ha ricordato inoltre che, a
fronte delle circa 3 mila
adozioni internazionali che vengono realizzate ogni anno nel
nostro Paese, presso
Va pertanto considerato il rischio
della “induzione all’abbandono” che questi soggiorni possono presentare e non
vanno sottovalutate neppure le conseguenze negative che questa prassi può avere
sia sull’accertamento della situazione di adottabilità
del minore – che in questi casi avviene a posteriori – sia sulla reale capacità
affettiva ed educativa degli aspiranti adottanti. Sono
infatti ben diversi i problemi che si debbono affrontare nell’ospitare
un bambino per periodi di vacanza più o meno lunghi rispetto a quelli che si
presentano quando si diventa a tutti gli effetti genitori di un bambino che,
avendo alle spalle molto spesso una storia difficile, porrà inevitabilmente –
una volta finita la cosiddetta “luna di miele” – i genitori di fronte ai suoi
reali problemi di inserimento.
Significative al riguardo le conclusioni della relazione della
dottoressa Alessandra Moro, psicologa psicoterapeuta, responsabile dell’Unità
operativa équipe adozioni dell’Ulss
16 di Padova, che al recente convegno “Apprendere dall’esperienza. Attese,
realtà e prospettive dell’adozione nazionale e internazionale” (Torino 22, 23 e
24 novembre 2006) ha svolto una relazione sulle
adozioni nominative di bambini
provenienti dall’area di Chernobyl, evidenziando come esse si collochino «al di fuori e talvolta in senso opposto ai
normali percorsi adottivi. Ciò che appare difficile da gestire è il
capovolgimento, il paradosso della situazione: i servizi, su mandato del
Tribunale, sono chiamati a valutare la genitorialità
adottiva di persone che si sentono già idonee e che hanno già il figlio che vogliono
adottare. Sono disponibili ad adottare bambini grandi,
spesso alle soglie dell’adolescenza, con situazioni di rischio sanitario
importanti, che hanno “tenuto in prova” a casa loro per periodi più o meno
lunghi, a volte ripetuti negli anni».
Non bisogna dimenticare inoltre le
conseguenze negative sui bambini che in Italia vengono
accolti in famiglia e che provengono dagli istituti della Bielorussia.
Come ha giustamente osservato Pasquale Andria, allora
Presidente dell’Associazione italiana dei magistrati per i minorenni e la
famiglia e attuale Presidente del Tribunale per i minorenni di Potenza, «con l’alibi umanitario di assicurare trattamenti terapeutici o
permanenze climatiche favorevoli ai bambini che ne hanno bisogno (così essi
nacquero dopo Cernobyl), in realtà procurano ai
bambini gravissime sofferenze a causa di una disumana e prolungata instabilità,
con reiterati e traumatici distacchi. Tra l’altro, tutto è gestito da
associazioni private, fuori da ogni controllo».
Pasquale Andria
riferendosi ai disegni di legge sugli affidi internazionali, presentate da
alcuni parlamentari nella scorsa legislatura e ripresentati anche nella attuale, ha quindi precisato: «Una legge che preveda un istituto quale
quello progettato, conterrebbe una
sorta di messaggio a continuare su questa linea e finirebbe per reintrodurre
surrettiziamente una nuova forma di adozione “fai da te”, forse ancora più deregolata di quella che abbiamo conosciuto in passato». Circa
questi soggiorni
in Italia di minori stranieri, segnaliamo
anche quanto sostenuto in merito da Padre Wielsaw
Stepien, direttore della Caritas
nazionale della Chiesa cattolica latina d’Ucraina (cfr.
Avvenire del 27 aprile 2002). Dopo
aver ricordato che il movimento dell’accoglienza – che in Italia mobilita
centinaia di organizzazioni, cattoliche e laiche, e
migliaia di volontari e famiglie – “fattura” ogni anno oltre 40 milioni di euro
di spese, Padre Wielsaw sottolinea che «noi [
Poiché con la spesa che si sostiene per
la permanenza in Italia di un bambino, in Ucraina ne potrebbero essere ospitati dieci, non
sarebbe preferibile, come propone Padre Wielsaw, che
venissero finanziati gli interventi locali? E questo anche perché, come osserva
ancora il direttore della Caritas, i soggiorni
terapeutici in patria non solo hanno effetti collaterali benefici
sull’occupazione e sull’economia ucraina, ma soprattutto «evitano ai bambini un doppio choc: l’impatto con una realtà
socio-economica completamente altra e poi il rientro in un contesto
meno ricco e più problematico (soprattutto quando si tratta di un
orfanotrofio). Questo doppio choc può essere causa di disagio, disorientamento
e insoddisfazione, nella psicologia del minore e nelle relazioni familiari».
Deve poi anche far riflettere tutti
anche il fatto che agli inizi del 2007 l’associazione “Legambiente
solidarietà”, che era stata inizialmente una delle più
grandi e convinte promotrici dell’esperienza e che da ben tredici anni
organizzava soggiorni terapeutici, abbia
decisamente cambiato indirizzo di rotta, decidendo di sospendere i
soggiorni in Italia per i bambini di Chernobyl,
promuovendo e finanziando invece sostegni concreti in loco alle Ong (Organizzazioni non
governative) e alle istituzioni locali
onde favorire un più efficace
intervento. Angelo Gentili, responsabile del Progetto Chernobyl, ha affermato che “Legambiente
solidarietà” è giunta a questa conclusione affermando che «pur riconoscendo il valore solidaristico dell’ospitalità, soggettivamente motivato,
occorre interrogarsi sulle ricadute per quanto riguarda le modalità e le
finalità con cui questi progetti di accoglienza vengono realizzati. È importante
attivare un percorso di verifica e controllo da parte delle autorità competenti
del nostro Paese per garantire una maggiore tutela dei minori».
Concludendo, in base a quanto esposto, chiediamo che il Protocollo integrativo in
questione venga modificato limitando la “sanatoria” agli “abbinamenti” già
avvenuti e, contemporaneamente, avviando i necessari rapporti con il Ministro
della solidarietà Paolo Ferrero, affinché i soggiorni
di minori stranieri in Italia siano limitati a quelli che vivono in famiglia.
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