Prospettive assistenziali, n. 160, ottobre - dicembre 2007

 

 

DISEGNO DI LEGGE DELEGA SULLA NON AUTOSUFFICIENZA: IL GOVERNO VUOLE TOGLIERE DIRITTI AI PIù DEBOLI E IMPORRE CONTRIBUTI ECONOMICI AI LORO CONGIUNTI

 

 

Pubblichiamo il testo di legge n. 3284 “Delega al Governo a definire un sistema di prestazione sociale per le persone non autosufficienti e di sostegno alla famiglia. Disposizioni in materia di politiche sociali”, approvato dal Consiglio dei Ministri il 21 novembre 2007 e presentato alla Camera dei Deputati il 3 dicembre 2007.

Riportiamo, altresì, le osservazioni del Csa e dell’Anci Piemonte in merito all’articolo 1 del suddetto disegno di legge riguardante “Delega al Governo in materia di protezione sociale e cura delle persone non autosufficienti”.

L’iniziativa del Governo, predisposta dal Ministro per la solidarietà sociale, Paolo Ferrero, è talmente inidonea che due esponenti di rilievo del partito della Rifondazione comunista (Fulvio Aurora, già responsabile nazionale delle politiche sanitarie e Pippo Torri, ex Consigliere alla Regione Lombardia) hanno indetto una raccolta di firme sul seguente testo:

«Con riferimento al progetto di legge promosso dai Ministri della solidarietà sociale e della sanità, vogliamo ribadire alcune  importanti modifiche da inserire nel testo approvato dal Consiglio dei Ministri e che dovrà ora andare in Parlamento.

«Ribadiamo che gli obiettivi principali devono essere quelli di curare le persone malate qualunque sia la causa, la fenomenologia e la durata della malattia, di migliorare le condizioni di vita delle persone non autosufficienti e di contrastare l’impoverimento delle famiglie, che costituisce oggi un problema sociale di enorme gravità.

«A tal fine è necessario innanzitutto partire dall’applicazione delle leggi vigenti per apportare miglioramenti e garantire finanziamenti adeguati.

«Le prestazioni da garantire a questi soggetti sono di natura socio-sanitaria, ma riguardando persone malate, la spesa sanitaria è nettamente prevalente e supera il 70%.

«Il Fondo per la non autosufficienza (Fna) deve servire per la copertura dei costi della componente sociale. Per evitare, che esso possa essere invece impiegato di fatto a coprire costi sanitari, è necessario aumentare considerevolmente il contributo sanitario, oggi nettamente sottodimensionato.

«Nel testo del progetto di legge in esame non vi sono contenuti chiari per il proseguimento degli obiettivi sopra enunciati e su alcuni punti si determina invece un peggioramento delle norme esistenti.

«Riteniamo quindi necessario integrare e modificare il testo almeno nei seguenti punti:

tenere distinta la normativa per le persone disabili con handicap da quella per i non autosufficienti perché diverse sono le prestazioni da erogare per questi soggetti;

• indicare e quantificare con chiarezza l’obiettivo dell’aumento del finanziamento del fondo sanitario per le prestazioni per i non autosufficienti;

• togliere dal testo il punto 3) alla lettera c) che prevede la compartecipazione al costo delle prestazioni da parte dei parenti dell’assistito (coniuge e parenti in linea retta di primo grado) per le residenze per i non autosufficienti non gravi. Tale norma contraddice e peggiora la norma del decreto legislativo 130/2000 che prevede che non si possano coinvolgere i familiari per il pagamento delle rette. Essa è in contrasto anche con quanto previsto nello stesso testo del progetto di legge al punto 2) della lettera d) dove correttamente si afferma la possibilità di fare riferimento alla “situazione economica della sola persona assistita”;

• prevedere per le famiglie che mantengono le persone croniche non autosufficienti  al proprio domicilio una erogazione monetaria ad integrazione dei servizi di cura domiciliare (sanitaria e sociale) erogati;

• non è accettabile che non venga preso atto che la legge del periodo fascista n. 1580 del 1931 sia stata abrogata da norme di legge successive e in particolare dall’articolo 25 della legge 328/2000».

 

DOCUMENTO DEL CSA *

Il testo dell’articolo 1 del disegno di legge delega al Governo, recante norme relative alle persone non autosufficienti, è del tutto negativo per gli utenti (oltre un milione di persone) per i seguenti motivi.

 

1. Non solo non sono previsti diritti esigibili, ma non contiene nemmeno alcun specifico riferimento ai diritti esigibili attualmente in vigore

a) Per quanto concerne gli adulti e gli anziani cronici non autosufficienti ed i malati assimilabili (ad esempio le persone colpite da demenza senile) nel testo non si richiama il diritto alle cure sanitarie gratuite durante la fase acuta, nonché a quelle socio-sanitarie dovute senza alcuna interruzione e senza limiti di durata nel periodo di cronicità. Detti diritti, inizialmente riconosciuti dalla legge 692/1955, sono stati confermati dall’articolo 54 della legge 289/2002 che ha attribuito valore di legge al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 novembre 2001 sui livelli essenziali di assistenza sanitaria. In dette norme è altresì precisato che, per quanto concerne le cure socio-sanitarie residenziali, il ricoverato presso le Rsa deve corrispondere la quota alberghiera (il cui importo non può essere superiore al 50% dell’intera retta) con riferimento esclusivo, in base ai decreti legislativi 109/1998 e 130/2000, alle sue personali risorse economiche.

Nella bozza del disegno di legge delega non solo non si fa alcun cenno ai diritti esigibili di cui sopra, ma è prevista una sostanziale revisione delle prestazioni rivolte agli anziani cronici non autosufficienti. Inoltre, poiché dette prestazioni vengono condizionate alle risorse disponibili, vengono di fatto cancellati gli attuali diritti;

b) in merito alle persone colpite da handicap invalidanti e con limitata o nulla autonomia nulla viene detto circa l’obbligo dei Comuni, sancito dagli ancora vigenti articoli 154 e 155 del regio decreto 773/1931, di provvedere al loro ricovero nei casi in cui non dispongano dei mezzi necessari per vivere. Detto obbligo, già sancito dal regio decreto 6535 del 1889, è stato integrato da alcune Regioni e Comuni prevedendo la priorità delle prestazioni domiciliari;

c) assenza di nuovi diritti esigibili. In base alla Costituzione, in materia di assistenza sociale, lo Stato, com’è previsto dall’articolo 117 della Costituzione, può solamente provvedere alla «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». Orbene, nel disegno di legge delega non ci sono nuovi diritti esigibili, in quanto per essere tali occorre precisare i soggetti aventi diritto, gli enti tenuti ad intervenire, il contenuto degli interventi, le modalità organizzative, il luogo di erogazione delle prestazioni, i tempi e la completa copertura finanziaria. L’omissione di anche uno solo dei criteri di cui sopra non consente l’esigibilità delle norme approvate. Si veda al riguardo il volume di Roberto Carapelle, Giuseppe D’Angelo, Francesco Santanera, A scuola di diritti – Come difendersi da inadempienze e abusi della burocrazia socio-sanitaria, Utet Libreria, Nuova edizione 2005.

 

2. Considerata l’estrema importanza delle problematiche inserite nel testo in esame, appare inopportuna e molto pericolosa la delega al Governo

Il testo in esame prevede la delega al Governo per decisioni molto numerose e di fondamentale importanza per la salute ed il benessere degli utenti e delle loro famiglie. Inoltre i criteri direttivi della delega sono assai generici per cui al Governo sarebbe conferita anche un’ampia discrezionalità, oltretutto contrastante con l’articolo 76 della Costituzione.

La delega infatti riguarda le seguenti funzioni:

- la definizione della non autosufficienza di minori, adulti e anziani colpiti da patologie invalidanti o da handicap gravi, nonché dei relativi criteri, modalità e strumenti di accertamento e valutazione;

- la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sanitarie a rilevanza sociale e delle prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, addirittura con la possibilità da parte del Governo di modificare le norme vigenti sui Lea (Livelli esenziali di assistenza sanitaria) attualmente stabiliti come diritti esigibili;

- la definizione delle modalità della presa in carico delle persone non autosufficienti;

- la predisposizione di piani individualizzati riguardanti non solo i percorsi sanitari e socio-assistenziali, ma anche quelli concernenti l’istruzione scolastica, professionale e il lavoro;

- la definizione dei costi attribuiti al Servizio sanitario nazionale e ai Comuni, nonché le relative ripercussioni sugli oneri a carico degli utenti, dei loro coniugi e dei loro parenti in linea retta di primo grado;

- l’individuazione degli standard quantitativi e qualitativi delle prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, anche per quanto concerne l’autorizzazione e l’accreditamento dei servizi e delle strutture;

- le modalità di compensazione tra Regioni ed Enti locali per i casi di cambiamento della residenza anagrafica del soggetto non autosufficiente;

- la priorità di accesso alle prestazioni;

- la definizione delle forme di accompagnamento, supporto e parternariato finalizzate ad una maggiore uniformità nel sistema di protezione e di cura delle persone non autosufficienti;

- la revisione delle modalità di calcolo dell’indicatore Isee;

- la definizione di soglie concernenti le contribuzioni economiche da parte degli utenti, dei coniugi e dei parenti in linea retta di primo grado;

- l’individuazione delle modalità di valutazione della progettazione e attuazione dei servizi per le persone non autosufficienti;

- le modalità di partecipazione nella valutazione degli interventi da parte delle organizzazioni sociali maggiormente rappresentative e delle associazioni di tutela dei cittadini non autosufficienti.

 

3. Omissioni che rendono in gran parte il disegno di legge privo di sbocchi operativi

Nel disegno di legge in oggetto sono omesse – fatto gravissimo – alcune questioni fondamentali che lo rendono in gran parte irrealizzabile. Dette dimenticanze riguardano i seguenti aspetti:

- per promuovere le cure domiciliari occorre la collaborazione dei nuclei familiari di appartenenza dei soggetti non autosufficienti, tenendo conto che le leggi attuali non consentono di imporre a detti nuclei funzioni che sono attribuite alle competenze del Servizio sanitario nazionale e dei Comuni. Detta collaborazione non dovrebbe comportare oneri a carico dei congiunti. Trattandosi di una forma di volontariato, questo Coordinamento ritiene necessaria la garanzia del rimborso, se del caso forfetario, delle spese vive sostenute dai congiunti, ma di competenza del Servizio sanitario nazionale e dei Comuni. Occorre, inoltre, che la priorità delle prestazioni domiciliari venga riconosciuta come diritto esigibile;

- l’esperienza ormai quarantennale dimostra che, per la permanenza a domicilio dei soggetti con handicap intellettivo non in grado, a causa della gravità delle loro condizioni di poter svolgere alcuna attività lavorativa retribuita, occorre predisporre centri diurni aventi al massimo 20 posti, aperti almeno 40 ore settimanali con frequenza e trasporti gratuiti per i soggetti che hanno quali unici introiti la pensione da fame (una vergogna per il Parlamento ed il Governo!) di 253,00 euro mensili e l’assegno di accompagnamento di euro 457,00 (15 euro al giorno anche per coloro che abbisognano di essere assistiti 24 ore su 24, vestiti, lavati, puliti e spesso imboccati);

- analoghe strutture semiresidenziali sono indispensabili per consentire la permanenza a domicilio delle persone colpite da demenza senile;

- i finanziamenti da predisporre per l’istituzione e gestione delle strutture carenti in quasi tutte le zone del nostro Paese e riguardanti:

a) i sopra ricordati centri diurni per soggetti con handicap;

b) le comunità alloggio per i soggetti con handicap e limitata o nulla autonomia;

c) le analoghe strutture per le persone con gravi disturbi psichiatrici;

d) le Rsa, Residenze sanitarie assistenziali, per gli anziani colpiti da patologie invalidanti e da non autosufficienza.

 

4. Sono ignorate le profonde differenze fra le persone malate croniche ed i soggetti con gravi handicap

L’impostazione del disegno di legge non tiene in alcuna considerazione le profonde differenze esistenti fra gli anziani colpiti da malattie così gravi da determinare anche la non autosufficienza, la cui competenza ad intervenire spetta al Servizio sanitario nazionale, e le persone (minori e adulti) con handicap invalidanti di natura fisica o sensoriale o intellettiva o relazionale, le cui funzioni assistenziali sono attribuite dalle leggi vigenti ai Comuni. Inoltre occorre considerare le specifiche esigenze dei malati psichiatrici.

Ricordiamo inoltre che, com’è stato precisato anche dall’Organizzazione mondiale della sanità (cfr. il volume Classificazione internazionale del funzionamento e della disabilità, edito nel 2002 da Erickson), «malattia e disabilità sono costrutti distinti». La stessa precisazione è stata fatta dalla Corte europea di giustizia nella sentenza dell’11 luglio 2006.

Mentre per gli adulti e gli anziani malati cro­nici non autosufficienti (compresi quelli affetti dal morbo di Alzheimer o da altre forme di demenza senile) la loro esistenza è sempre, salvo si tratti di errata diagnosi, orientata verso l’aggravamento delle condizioni di salute, la minore autonomia e la morte, è estremamente allarmante, soprattutto per i bambini ed i ra­gazzi con handicap anche gravissimo, prevedere la certificazione della loro non autosufficienza.

È assurdo stabilire percorsi incentrati sulla perdita di autonomia delle persone con handicap, soprattutto se si tratta di minorenni; occorre invece che tutte le iniziative praticabili, se necessario a partire dalla nascita, siano fondate sullo sviluppo e sulla valorizzazione delle capacità. Vi sono esperienze riguardanti i soggetti con handicap estremamente gravi che con opportune misure sociali (prestazioni sanitarie e sociali, attività riabilitative e socializzanti, frequenza degli asili nido, delle scuole materne, dell’obbligo e superiori, collocamento mirato, abbattimento delle barriere architettoniche, ecc.), hanno consentito loro di diventare parte attiva della società e, in molti casi, di svolgere un’attività lavorativa proficua. È quindi assai inquietante che nella bozza, invece di fare riferimento allo sviluppo delle abilità personali, venga istituita una commissione per l’accertamento della non autosufficienza, che addirittura dovrebbe operare nel settore dei minori di qualsiasi età. È, altresì, assai grave la previsione della dichiarazione di non autosufficienza dei malati psichiatrici.

 

5. L’organizzazione delle cure sanitarie dovrebbe tener presente la rilevante frequenza delle patologie acute da cui sono colpiti i malati cronici

Nel capitolo “Anziani non autosufficienti” del recente documento “Prestazioni residenziali e semiresidenziali”, la Commissione nazionale per la definizione e l’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza del Ministero della salute ha giustamente rilevato che «un paziente anziano affetto da una patologia cronica invalidante non potrà essere definito stabile in senso assoluto» e che «le strutture residenziali devono essere in grado di affrontare la relativa instabilità clinica connessa alla patologia, o polipatologia, che accompagna le condizioni di non autosufficienza nell’anziano, nonché problematiche intercorrenti, anche acute, gestibili in ambiente extra-ospedaliero». In detto documento viene altresì affermato che sussistono «condizioni di cronicità che impongono significativi e continui trattamenti di natura sanitaria, anche per il supporto alle funzioni vitali (respirazione, nutrizione), nelle quali il gradiente assistenziale globale richiesto può risultare ancora superiore a quello di alcune prestazioni di ricovero in condizioni di acuzie».

Ad avviso del Csa occorre quindi che l’organizzazione delle cure sanitarie nelle strutture residenziali sia tale da essere in grado di curare anche le situazioni acute al fine di limitare, in tutta la misura del possibile, i trasferimenti dei pazienti dalle Rsa agli ospedali e di evitare ai pazienti stessi i conseguenti traumi derivanti dal cambiamento dell’ambiente e del personale di cura e assistenza.

D’altra parte anche le cure sanitarie domiciliari dovrebbero essere organizzate in modo da provvedere alle esigenze dei pazienti acuti e cronici, come opera dal 1985 il servizio di ospedalizzazione a domicilio dell’ospedale Molinette di Torino.

Dunque la creazione del fondo per le non autosufficienze dovrebbe essere disposta in modo da non determinare una illogica separazione del comparto delle cure sanitarie per i malati cronici dal settore delle cure per i pazienti acuti per quanto riguarda le prestazioni domiciliari, semiresidenziali e residenziali, separazione che comporta inoltre rilevanti spese aggiuntive soprattutto per il Servizio sanitario nazionale.

 

6. Anche le persone non autosufficienti hanno diritto all’apporto dei medici specialisti

Secondo il disegno di legge in oggetto l’accertamento della condizione di non autosufficienza delle persone colpite da patologie fisiche o psichiche o da handicap invalidanti di natura fisica, sensoriale, cognitiva o relazionale è affidato alle «Unità di valutazione multidisciplinare in cui è assicurata la partecipazione, tra gli altri, del medico di medicina generale della persona non autosufficiente, di personale sanitario dell’area infermieristica e riabilitativa e delle figure socio-assistenziali dei Comuni». Detta Commissione deve inoltre accertare il livello di gravità e predisporre il «piano personalizzato di assistenza».

Tenuto conto delle profonde differenze delle esigenze degli adulti e degli anziani malati rispetto ai bisogni dei soggetti con handicap e delle numerose e positive esperienze in atto, si chiede che per i primi siano confermate le Unità valutative geriatriche e per i secondi le Unità valutative handicap anche quali «punti unici di accesso» ai servizi.

 

7. Viene abrogata una legge non più in vigore da anni

È sorprendente che nel testo in esame sia prevista la modifica dell’articolo 1 della legge 3 dicembre 1931 n. 1580 in quanto le relative norme non sono sicuramente più in vigore a seguito dell’approvazione dell’articolo 25 della legge 328/2000 e dei decreti legislativi 109/1998 e 130/2000. Al riguardo va precisato che:

- l’articolo 25 della legge 328/2000 stabilisce quanto segue: «Ai fini dell’accesso ai servizi disciplinati dalla presente legge, la verifica della condizione economica del richiedente è effettuata secondo le disposizioni previste dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, come modificato dal decreto legislativo 3 maggio 2000, n. 130»;

- tutti i provvedimenti della Corte di Cassazione che si richiamano alla legge 1580/1931, compresi quelli emanati dopo il 2000, riguardano fatti avvenuti prima dell’entrata in vigore della legge 328/2000;

- le sentenze in merito alle contribuzioni relative ai soggetti con handicap grave, emanate per questioni relative al periodo successivo all’entrata in vigore della legge 328/2000 e cioè dopo il 1° gennaio 2001 fanno tutte riferimento alla stessa legge 328/2000 e ai sopra citati decreti legislativi 109/1998 e 130/2000. Si vedano le sentenze del Giudice di Pace di Bologna n. 359/2006 depositata in Cancelleria il 12 ottobre 2006 e la n. 42/2007 del 6 dicembre 2006 della Sezione di Catania del Tar della Sicilia e le ordinanze assunte dal Tar della Toscana in data 6 settembre 2007, n. 733/2000 e dal Tar delle Marche il 18 settembre 2007, n. 521/2007.

Anche se detti provvedimenti riguardano soggetti con handicap in situazione di gravità, il riferimento alle personali risorse economiche dell’interessato si applica anche agli ultrasessantacinquenni non autosufficienti in quanto identiche sono le condizioni giuridiche, com’è previsto dai richiamati decreti legislativi 109/1998 e 130/2000.

 

 

8. Prevista una nuova “tassa” per i familiari delle persone non autosufficienti

In base all’articolo 25 della legge 328/2000 e ai decreti legislativi 109/1998 e 130/2000, gli assistiti, se con handicap in condizione di gravità o se ultrasessantacinquenni non autosufficienti, devono contribuire alle spese di ricovero esclusivamente sulla base delle loro personali risorse economiche, senza alcun onere per i congiunti compresi quelli conviventi con l’assistito.

Invece, nella bozza del Ministero della solidarietà sociale, viene stabilito che «limitatamente alla fase di graduale raggiungimento dei livelli essenziali [5-10-20 anni? n.d.r.] e per le sole prestazioni residenziali non rivolte a persone in condizione di non autosufficienza particolarmente grave (…) nella determinazione dei criteri di compartecipazione al costo delle prestazioni» possano essere rilevate «le condizioni economiche del coniuge e dei soli parenti in linea retta di primo grado [genitori e figli, n.d.r.], entro limiti definiti rispetto al loro reddito, ai loro carichi familiari e alle quote di compartecipazione richiesta».

Ne consegue che potranno essere pretesi contributi ai figli, conviventi o non conviventi, per le prestazioni fornite ai loro genitori non autosufficienti, mentre alle madri e ai padri potrà essere richiesto di contribuire ai costi sostenuti dagli enti pubblici per i loro figli non autosufficienti, siano essi conviventi o meno.

Inoltre è assai oscuro, e quindi interpretabile in modo molto ampio, il significato del comma in cui è previsto «che l’articolo 1 della legge 3 dicembre 1931, n. 1580, sia modificato in coerenza con i criteri di identificazione delle persone tenute a partecipare, direttamente o indirettamente, al costo della componente sociale delle prestazioni». Si ricorda che, proprio a causa degli oneri economici scaricati sulle famiglie, nel documento “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ufficio del Ministro per la solidarietà sociale, Roma, ottobre 2000, era stato precisato che «nel corso del 1999, 2 milioni di famiglie italiane sono scese sotto la soglia della povertà a fronte del carico di spese sostenute per la “cura” di un componente affetto da una malattia cronica».

Questa situazione, che si è attenuata notevolmente nelle zone in cui sono stati attuati i decreti legislativi 109/1998 e 130/2000, o è stata risolta come si è verificato in Piemonte per i congiunti degli ultrasessantacinquenni non autosufficienti e in gran parte per i soggetti con handicap in situazione di gravità, rischia di aggravarsi se verranno approvate le disposizioni contenute nel disegno di legge delega al Governo.

Inoltre, è molto preoccupante che nel testo in oggetto sia prevista «la revisione delle modalità di calcolo dell’indicatore Isee relativamente alle componenti economiche», stabilendo in tal modo che le norme dell’Isee (Indicatore della situazione economica equivalente) non saranno più identiche per tutte le attività sociali in cui è richiesta la contribuzione da parte dell’utenza, con il rischio che alle persone non autosufficienti siano imposte condizioni più sfavorevoli rispetto a coloro che utilizzano gli altri servizi sociali e socio-assistenziali.

 

 

Proposte

 

1. Occorre un disegno di legge e non una delega al Governo

Come abbiamo rilevato, in una materia così delicata per le persone non autosufficienti ed i loro familiari e con evidenti problemi di costituzionalità in quanto il disegno di legge interferisce con le competenze assegnate alle Regioni, non è accettabile la delega al Governo tenuto conto delle competenze delle Regioni in assistenza sanitaria e socio-assistenziale, nonché del fatto che i principi ed i criteri direttivi delle funzioni delegate contenuti nel testo in oggetto sono molto generici e quindi è estremamente estesa la discrezionalità con la quale il Governo potrebbe definire le molteplici e complesse questioni riguardanti più di un milione di persone e le relative famiglie.

Inoltre, nel testo in esame sono stati omessi aspetti fondamentali (cfr. il punto 3) tali da non consentire l’attuazione di numerose e basilari prestazioni per le persone non autosufficienti.

È quindi necessario predisporre disegni di legge specifici per ciascuno dei problemi di cui si è in grado di mettere a disposizione i relativi finanziamenti, anche allo scopo di consentire a tutte le persone e organizzazioni interessate di poterne valutare i contenuti mano a mano che i testi verranno esaminati dai due rami del Parlamento.

Per quanto riguarda gli ultrasessantacinquenni non autosufficienti, mentre la citata legge 1580/1931 “Nuove norme per la rivalsa delle spese di spedalità e manicomiali”, definita nella circolare ministeriale n. 25200-I del 29 gennaio 1932 rispondente «all’alta finalità, eminentemente fascista, di tener salda la compagine familiare» non prevedeva la richiesta di contributi economici ai congiunti dei ricoverati «che NON si trovino in condizioni di povertà», l’attuale Governo di centro-sinistra li impone.

 

2. Non cancellare i vigenti diritti esigibili

Si chiede che nella malaugurata ipotesi che il disegno di legge in oggetto venga presentato alle Camere, non vengano cancellati o limitati i vigenti diritti esigibili, in particolare i seguenti:

a) articolo 54 della legge 289/2002 e decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 novembre 2001 sui Lea;

b) articoli 154 e 155 del regio decreto 773/1931, in base ai quali i Comuni sono tuttora obbligati a provvedere al ricovero (purtroppo non alle iniziative alternative) dei soggetti totalmente inabili e privi dei mezzi necessari per vivere;

c) articolo 25 della legge 328/2000 e decreti legislativi 109/1998 e 130/2000 secondo i quali gli assistiti, se ultrasessantacinquenni non autosufficienti o colpiti da handicap in situazione di gravità, devono corrispondere le quote a loro carico esclusivamente sulla base delle loro personali risorse economiche senza alcun onere per i congiunti conviventi o non conviventi.

 

3. Adeguare i finanziamenti del Servizio sanitario nazionale e del settore socio-assistenziale

Premesso che, com’è evidente, gli adulti e gli anziani cronici non autosufficienti ed i soggetti colpiti dal morbo di Alzheimer o da altre forme di demenza senile sono persone malate (vi sono in Piemonte una decina di Asl che gestiscono Rsa), che hanno quindi la necessità e il diritto di essere curate dalla sanità, occorrerebbe verificare se gli attuali stanziamenti destinati al Servizio sanitario nazionale sono sufficienti o meno, oppure se le somme assegnate sono dirottate ad altre attività sanitarie ritenute più interessanti.

Occorre inoltre adeguare i finanziamenti relativi al settore socio-assistenziale, senza però che vengano considerate di competenza dell’assistenza le funzioni attualmente svolte dalla sanità.

Si segnala che la Giunta della Regione Piemonte, con la delibera del 23 luglio 2007 n. 37-6500, ha stanziato 5 milioni di euro annuali per rimborsare ai Comuni l’importo sostenuto per l’integrazione delle rette alberghiere non corrisposte interamente dagli anziani malati cronici non autosufficienti sulla base delle loro personali risorse economiche.

Si può dunque ritenere che con i 200 milioni stanziati per il 2008 dal fondo per le non autosufficienze possano essere fornite ai Comuni le risorse occorrenti per l’integrazione delle rette riguardanti non solo gli anziani non autosufficienti ed i dementi senili degenti presso le Rsa, ma anche i soggetti con handicap in situazione di gravità.

A questo riguardo è assai preoccupante che il Ministero della solidarietà sociale non abbia finora comunicato l’importo versato dai Comuni (o almeno quelli più importanti) a titolo di integrazione delle rette di loro spettanza, in modo da predisporre stanziamenti adeguati agli effettivi oneri sostenuti dai Comuni.

Ancora più allarmante sarebbe se il Ministero non avesse nemmeno provveduto a raccogliere questi dati, poiché in tal caso avrebbe avanzato richieste di finanziamento senza possedere i relativi indispensabili elementi di conoscenza.

 

4. Fondo per le non autosufficienze

Il finanziamento di cui al comma 1264 della legge finanziaria 2007 potrebbe essere disposto, come ha fatto la Regione Piemonte con la sopra citata delibera del 23 luglio 2007, per rimborsare le spese sostenute dai Comuni in applicazione delle norme vigenti in materia di contribuzioni economiche .

A questo riguardo sarebbe opportuno che, tenuto anche conto che il comma 1264 si riferisce al fondo per le non autosufficienze, il finanziamento fosse suddiviso in due sezioni:

- sezione A per gli adulti e gli anziani malati cronici non autosufficienti;

- sezione B per i soggetti maggiorenni colpiti da handicap gravissimi e non autosufficienti.

 

5. Altri indispensabili provvedimenti legislativi

Allo scopo di evitare che le disposizioni contenute nel disegno di legge di delega del Governo sulle persone non autosufficienti siano un’altra scatola vuota (lo sono la legge 104/1992 sull’handicap con la sola esclusione delle norme relative ai permessi di lavoro e la legge 328/2000 sull’assistenza), ad avviso di questo Coordinamento occorre che siano approvate, se necessario con una programmata gradualità, leggi che stabiliscano diritti esigibili per i soggetti in difficoltà e prevedano i necessari stanziamenti non solo per le attività gestionali, ma anche per gli occorrenti investimenti.

Riteniamo quindi indispensabili leggi per:

- l’attivazione e lo sviluppo delle cure sanitarie e socio-sanitarie domiciliari per i malati acuti e cronici, nonché delle iniziative rivolte alla “vita indipen­dente”;

- il riconoscimento del volontariato intrafamiliare, stabilendo anche il principio del rimborso delle spese vive sostenute da congiunti e conviventi;

- l’istituzione obbligatoria dell’affidamento familiare di minori, di soggetti con handicap, di adulti e di anziani con limitata o nulla autonomia. Dette attività sono state deliberate dal Comune di Torino il 14 settembre 1976;

- la costruzione e il finanziamento di centri diurni specifici funzionanti per almeno 40 ore settimanali quale supporto indispensabile per la permanenza a domicilio in particolare di:

a) ultradiciottenni colpiti da handicap intellettivo grave e gravissimo, impossibilitati a svolgere qualsiasi attività lavorativa proficua e necessitanti di assistenza continua;

b) persone affette dal morbo di Alzheimer o da altre forme di demenza senile;

c) soggetti con gravi patologie psichiatriche;

- la costruzione di residenze sanitarie assistenziali per la cura e l’assistenza degli anziani cronici non autosufficienti con la presenza di nuclei per le persone colpite da demenza senile, approvando se del caso un provvedimento analogo alla legge 11 marzo 1988 n. 67 (finanziaria 1988) in base alla quale vennero realizzati 140mila posti letto per anziani non autosufficienti.

 

 

DOCUMENTO DELL’ANCI PIEMONTE **

 

Premessa

Le osservazioni che seguono prendono in considerazione l’articolo 1 del provvedimento in quanto necessita – a nostro parere – di modifiche volte a ribadire l’importante principio che l’obiettivo principale del disegno di legge deve essere quello di perseguire la cura delle persone malate qualunque sia la causa, la fenomenologia e la durata della malattia, di migliorare le condizioni di vita delle persone in condizione di non autosufficienza e di contrastare l’impoverimento delle loro famiglie.

È quindi necessario che il testo di legge sia fondato sul rispetto delle leggi vigenti – che già riconoscono il diritto soggettivo alle cure per le persone alle quali sono destinate le prestazioni oggetto del provvedimento – evitando di introdurre norme peggiorative quali la modificazione del decreto legislativo n. 130/2000 che prevede che non si possano coinvolgere i familiari per il pagamento delle rette. Ad essi andrebbe invece erogato un contributo economico – ad integrazione dei servizi di cura domiciliare (sanitaria e sociale) – finalizzato a sostenere l’oneroso compito di assistenza che i congiunti delle persone croniche non autosufficienti si sobbarcano per consentire ai malati di continuare a vivere presso il domicilio.

Tutto ciò premesso si formulano, di seguito, alcune più puntuali osservazioni.

 

1. Distinguere la malattia dall’handicap

L’impostazione del disegno di legge promosso congiuntamente dai Ministri della solidarietà sociale e della sanità non tiene conto della necessità di tenere distinta la normativa per le persone non autosufficienti da quella relativa alle persone (minori e adulti) con handicap di natura fisica o psichica o sensoriale o intellettiva o relazionale.

Nel primo caso si tratta di persone malate, prevalentemente anziane, che richiedono interventi di cura ed assistenza, mentre per le persone in condizione di handicap, in particolare minori in età evolutiva di cui alla legge 104/1992, devono essere messe in atto – se necessario fin dalla nascita – tutte le iniziative praticabili per lo sviluppo e la valorizzazione delle loro capacità anche per un possibile inserimento attivo nella società.

Purtroppo, nel disegno di legge, invece di assumere come riferimento lo sviluppo delle abilità e delle autonomie personali, si prevede una commissione per l’accertamento della non autosufficienza che dovrebbe inoltre operare anche nei confronti di minori di qualsiasi età.

 

2. Definire gli standard delle prestazioni di livello essenziale

Nel testo esaminato si prevede che «con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (…) siano contestualmente determinate: i. le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria da garantire alle persone non autosufficienti al fine di favorirne l’autonomia e la permanenza a domicilio, con particolare riguardo all’assistenza tutelare, all’aiuto personale nello svolgimento delle attività quotidiane, all’aiuto domestico familiare, alla promozione di attività di socializzazione volta a favorire stili di vita attivi, nonché le prestazioni della medesima natura da garantire presso le strutture residenziali e semi residenziali per le persone non autosufficienti non assistibili a domicilio, incluse quelle di ospitalità alberghiera; ii. le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, correlate alla natura del bisogno, da garantire alle persone non autosufficienti in ambito domiciliare, semi residenziale e residenziale, articolate in base alla intensità, complessità e durata dell’assistenza; iii. i costi posti a carico del Servizio sanitario nazionale e quelli relativi alla componente sociale posti a carico del Comune, con l’eventuale compartecipazione dell’assistito ai sensi della successiva lettera d), per ciascuna tipologia di prestazione, ad esclusione di quelle ad elevata integrazione sanitaria, comprese nei livelli essenziali di assistenza sanitaria e interamente a carico del Servizio sanitario nazionale».

La lettura del brano riportato suggerisce una prima domanda: per quale ragione occorre determinare tali prestazioni, visto e considerato che esse sono già state oggetto dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri 14 febbraio 2001 (1) e 29 novembre 2001 (2) (il secondo dei quali ha addirittura assunto forza di legge con l’approvazione dell’articolo 54 della legge 289/2002)? Semmai – come giustamente prevede il disegno di legge – andrebbero definiti con chiarezza gli standard quantitativi e qualitativi di tali prestazioni.

Se si esamina il primo dei due decreti, si rileva infatti (articolo 3, comma 2) che le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria «di competenza dei Comuni, sono prestate con partecipazione alla spesa, da parte dei cittadini, stabilita dai Comuni stessi» e «si esplicano attraverso: a) gli interventi di sostegno e promozione a favore dell’infanzia, dell’adolescenza e delle responsabilità familiari; b) gli interventi per contrastare la povertà nei riguardi dei cittadini impossibilitati a produrre reddito per limitazioni personali o sociali; c) gli interventi di sostegno e di aiuto domestico familiare finalizzati a favorire l’autonomia e la permanenza nel proprio domicilio di persone non autosufficienti; d) gli interventi di ospitalità alberghiera presso strutture residenziali e semiresidenziali di adulti e anziani con limitazione dell’autonomia, non assistibili a domicilio; e) gli interventi, anche di natura economica, atti a favorire l’inserimento sociale di soggetti affetti da disabilità o patologia psicofisica e da dipendenza, fatto salvo quanto previsto dalla normativa vigente in materia di diritto al lavoro dei disabili; f) ogni altro intervento qualificato quale prestazione sociale a rilevanza sanitaria ed inserito tra i livelli essenziali di assistenza secondo la legislazione vigente. Dette prestazioni, inserite in progetti personalizzati di durata non limitata, sono erogate nelle fasi estensive e di lungo assistenza».

Il secondo decreto (oggi legge dello Stato) con riferimento alla prestazioni sanitarie a rilevanza sociale così si esprime: «nella tabella riepilogativa, per le singole tipologie erogative di carattere socio sanitario, sono evidenziate, accanto al richiamo alle prestazioni sanitarie, anche quelle sanitarie di rilevanza sociale ovvero le prestazioni nelle quali la componente sanitaria e quella sociale non risultano operativamente distinguibili e per le quali si è convenuta una percentuale di costo non attribuibile alle risorse finanziarie destinate al Servizio sanitario nazionale. In particolare, per ciascun livello sono individuate le prestazioni a favore di minori, donne, famiglia, anziani, disabili, pazienti psichiatrici, persone con dipendenza da alcool, droghe e farmaci, malati terminali, persone con patologie da Hiv».

Confrontando i testi della legge delega e dei due decreti si può tentare una risposta alla domanda precedentemente formulata. L’attenzione degli estensori non sembra tanto rivolta alla determinazione delle prestazioni (3) (che, come afferma con apprezzabile sincerità il secondo decreto, «non risultano operativamente distinguibili e per le quali si è convenuta una percentuale di costo non attribuibile alle risorse finanziarie destinate al Servizio sanitario nazionale») quanto alla “ricollocazione” di alcune di esse: dal sanitario a rilievo sociale, al sociale a rilievo sanitario. Con la conseguente possibilità di rideterminare «i costi posti a carico del Servizio sanitario nazionale e quelli relativi alla componente sociale posti a carico del Comune, con l’eventuale compartecipazione dell’assistito ai sensi della successiva lettera d), per ciascuna tipologia di prestazione».

In buona sostanza, vi è il rischio che vengano riviste (a ribasso) le “percentuali di costo” attualmente attribuite al Servizio sanitario nazionale. Con relativo maggiore aggravio per gli assistiti e – altra novità contenuta nel testo esaminato – per i loro congiunti, chiamati entrambi a farsi carico di una componente sociale di spesa probabilmente più elevata di quella attuale.

 

3. Rispetto dei decreti legislativi 109/1998 e 130/2000

Quanto alle «modalità sulla cui base può essere richiesta agli assistiti la compartecipazione al costo delle prestazioni per la componente sociale» il testo di delega se da un lato (giustamente) prevede «con riferimento alla componente sociale delle prestazioni per i non autosufficienti, la revisione delle modalità di calcolo dell’indicatore Isee relativamente alle componenti economiche con evidenziazione della situazione economica della sola persona assistita», dall’altro stabilisce che «limitatamente alla fase di graduale raggiungimento dei livelli essenziali e per le sole prestazioni residenziali non rivolte a persone in condizione di non autosufficienza particolarmente grave (…) nella determinazione dei criteri di compartecipazione al costo delle prestazioni (…) possano rilevare le condizioni economiche del coniuge e dei soli parenti in linea retta di primo grado, entro limiti definiti rispetto al loro reddito, ai carichi familiari e alla quota di compartecipazione richiesta».

In pratica viene annunciata la “sospensione” (per un lasso di tempo non determinato e difficilmente determinabile) del decreto legislativo 109/1998 e del decreto legislativo 130/2000, in base ai quali «limitatamente alle prestazioni sociali agevolate assicurate nell’ambito di percorsi assistenziali integrati di natura socio sanitaria, erogate a domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo, rivolte a persone con handicap permanente grave, di cui all’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertato ai sensi dell’articolo 4 della stessa legge, nonché a soggetti ultrasessantacinquenni la cui non autosufficienza fisica o psichica sia stata accertata dalle Aziende unità sanitarie locali, le disposizioni del presente decreto si applicano nei limiti stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri per la solidarietà sociale e della sanità. Il suddetto decreto è adottato, previa intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, al fine di favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza e di evidenziare la situazione economica del solo assistito, anche in relazione alle modalità di contribuzione al costo della prestazione, e sulla base delle indicazioni contenute nell’atto di indirizzo e coordinamento di cui all’articolo 3 septies, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni» (4).

Inoltre non si comprende che senso abbia prevedere che tale disposizione si applica a «prestazioni residenziali non rivolte a persone in condizione di non autosufficienza particolarmente grave». Si vuol forse dire che si applica a tutti coloro che non raggiungono il livello più alto di gravità? Si spiegherebbe così la decisione di prevedere «l’articolazione della condizione di non autosufficienza in diversi livelli di gravità» che verrebbe evidentemente effettuata non solo con lo scopo di “calibrare” adeguatamente il piano assistenziale dell’utente, ma anche al fine di prevedere la possibilità di una “penalizzazione economica” dei congiunti di coloro che necessitano di ricovero in struttura.

È però da ricordare che l’utenza alla quale la bozza fa riferimento dovrebbe essere composta esclusivamente da adulti e da anziani che, in quanto affetti da patologie, hanno il diritto soggettivo ad essere curati, e da persone con handicap permanente grave riconosciuto ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 104/1992. Per queste ragioni la disposizione “transitoria” che chiama i congiunti a contribuire al pagamento delle rette in caso di ricovero di persone in condizione di non autosufficienza «non particolarmente grave» risulta discriminatoria, in quanto viola le norme sul diritto alle cure e quelle poste a tutela della condizione di handicap grave. In ogni caso o il ricovero in struttura è necessario per la tutela dell’utente – e allora deve essere garantito a tutti a parità di condizioni – oppure non lo è (ed allora la prestazione può essere negata in modo motivato ed assicurando all’utente la possibilità di opporre ricorso).

 

4. Riconfermare i vigenti diritti esigibili

A fronte delle direttive per la definizione di non autosufficienza fornite dal testo della legge delega – che accomunano persone con problematiche generate da cause diverse (e che, conseguentemente, richiedono diversi interventi e prestazioni) – potrà verificarsi la situazione in cui ai genitori di un giovane con handicap intellettivo non inseribile al lavoro (e percettore del solo reddito derivante dalla pensione di invalidità civile e dall’indennità di accompagnamento) verrà richiesto di contribuire –- limitatamente alla fase di graduale (?) raggiungimento dei livelli essenziali – al costo dell’inserimento del proprio figlio in comunità alloggio. Esattamente come si potrà richiedere alla moglie ed ai figli di un adulto con patologie psichiatriche, o con il morbo di Alzheimer – e cioè di malati che hanno il diritto soggettivo ad essere curati – di farsi parzialmente carico dei costi di prestazioni residenziali che, con ogni evidenza, non possono che afferire pienamente alle competenze del sistema sanitario.

Che l’utenza alla quale il testo di legge fa riferimento venga chiamata a contribuire al costo delle prestazioni sulla base del reddito individuale è già previsto dalla vigente normativa. Ma gli effetti dell’estensione dell’onere di contribuzione ai congiunti non mancherà di farsi sentire, perché andrà inevitabilmente ad interferire con la possibilità di proporre ed effettuare interventi adeguati alle reali necessità degli utenti. Potrà cioè accadere – come ben sa chi ha avuto a che fare con gli anziani in condizioni di indigenza – che piuttosto di veder coinvolti i propri congiunti, gli interessati rinuncino alla necessaria assistenza. O che siano i familiari, “disincentivati” attraverso la leva dell’imposizione economica, a non richiedere le prestazioni che necessitano al proprio parente.

Occorre dunque adeguare i finanziamenti relativi al settore socio-assistenziale, senza però che vengano considerate di competenza dell’assistenza le funzioni attualmente svolte dalla sanità. Si segnala – a tale proposito – che la Giunta della Regione Piemonte con la deliberazione del 23 luglio 2007, n. 37-6500, ha stanziato 5 milioni di euro annuali per rimborsare ai Comuni l’importo sostenuto per l’integrazione delle rette alberghiere non corrisposte interamente dagli anziani cronici non autosufficienti sulla base delle loro personali risorse economiche. Si può dunque ritenere, in base all’esperienza piemontese, che con i 200 milioni stanziati per il 2008 dal fondo per le non autosufficienze possano essere fornite ai Comuni le risorse occorrenti per l’integrazione delle rette riguardanti non solo gli anziani non autosufficienti ed i dementi senili degenti presso le Rsa, ma anche ai soggetti con handicap ricoverati.

A tale proposito sarebbe opportuno che il finanziamento di cui sopra venisse suddiviso in due sezioni distinte: una per adulti ed anziani in condizione di non autosufficienza a causa di patologie croniche ed una per le persone maggiorenni colpite da handicap grave e non autosufficienti.

Infine appare difficile accettare che nel testo dello schema di legge delega non venga dato atto che la legge 1580 del 1931, essendo in contrasto con le norme di legge successive ed in particolare con l’articolo 25 della legge n. 328/2000, risulta abrogata.

 

 

DISEGNO DI LEGGE RECANTE NORME RELATIVE ALLE PERSONE NON AUTOSUFFICIENTI, ALLE POLITICHE SOCIALI E ALLA FAMIGLIA

 

Art. 1 Delega al Governo in materia di protezione sociale e cura delle persone non autosufficienti

1. Con l’obiettivo di garantire l’attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni in favore delle persone non autosufficienti, il Governo è delegato ad adottare, entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi che definiscano un sistema di protezione sociale e di cura per le persone non autosufficienti sulla base dei principi generali di universalità nell’accesso alle prestazioni, di integrazione delle politiche sociali e sanitarie, di presa in carico attraverso una progettualità personalizzata e partecipata, di sostegno alla scelta della persona non autosufficiente di poter rimanere nel suo domicilio, di coinvolgimento delle comunità locali e della società civile nella definizione, attuazione e valutazione degli interventi. I decreti assicurano che le finalità della presente legge siano conseguite in armonia con i principi di cui al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni e alla legge 8 novembre 2000, n. 328.

2. Nell’esercizio della delega di cui al comma 1, il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:

a) definizione dei criteri e delle modalità di accertamento e valutazione della condizione di non autosufficienza attraverso:

1) la definizione della condizione di non autosufficienza con riferimento alla perdita permanente, totale o parziale, delle abilità fisiche, psichiche, sensoriali, cognitive e relazionali, da qualsiasi ragione determinata, con conseguente incapacità di compiere gli atti essenziali della vita quotidiana senza l’aiuto rilevante di altre persone;

2) l’articolazione della condizione di non autosufficienza in diversi livelli di gravità in rapporto all’entità e alla tipologia degli atti essenziali della vita quotidiana che la persona non è in grado di compiere, con particolare riguardo alla limitazione dell’autonomia cognitiva e della mobilità ed alla complessità, intensità e durata delle prestazioni di aiuto personale, di tutela e di cura necessarie a compensare la mancanza di autonomia e a promuovere e sostenere la piena espressione delle capacità della persona non autosufficiente;

3) l’accertamento della condizione di non autosufficienza attraverso strumenti di valutazione multidimensionale delle condizioni funzionali della persona, uniformi su tutto il territorio nazionale, rispondenti alle indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità ed ispirati ai principi generali della Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute (Icf), tenuto conto della facilità di gestione e delle modalità di accertamento già sperimentate nei diversi ambiti regionali; l’accertamento è effettuato da Unità di valutazione multidisciplinari in cui è assicurata la partecipazione, tra gli altri, del medico di medicina generale della persona non autosufficiente, di personale sanitario dell’area infermieristica e riabilitativa e delle figure professionali socio-assistenziali dei Comuni. Agli adempimenti derivanti dal presente criterio di delega le amministrazioni competenti provvedono avvalendosi delle risorse umane, strumentali e finanziarie nella disponibilità delle medesime amministrazioni e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica;

b) definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sanitarie a rilevanza sociale e delle prestazioni sociali a rilevanza sanitaria da garantire, ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, lettera m), alle persone non autosufficienti, con l’obiettivo di favorire la loro permanenza all’interno del proprio domicilio o del nucleo familiare, mediante:

1) la previsione o il rafforzamento di “punti unici di accesso” che garantiscano l’accoglienza e l’informazione sulle opportunità e le tipologie di assistenza disponibili, anche in funzione della prevenzione dell’aggravamento della condizione di non autosufficienza, e che agevolino e semplifichino l’accesso ai servizi sanitari, socio-sanitari e sociali, incluso il percorso di ricovero o dimissione dall’ospedale ovvero da strutture residenziali, anche qualora il ricovero si renda necessario per ragioni di temporaneo sollievo dei familiari o conviventi;

2) la definizione delle modalità di presa in carico della persona non autosufficiente attraverso la formulazione di un piano personalizzato di assistenza che individui le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale e le prestazioni sanitarie a cui la persona ha diritto in base ai bisogni accertati, assicurando la partecipazione dell’assistito e dei suoi familiari o conviventi alla definizione del piano, nonché dei soggetti del Terzo settore coinvolti nell’attuazione del piano, e favorendo il mantenimento e il recupero di condizioni di autonomia anche attraverso l’uso di ausili e nuove tecnologie;

3) la previsione che per le persone disabili di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, il piano personalizzato di cui al punto 2) sia predisposto, in coerenza con l’articolo 14 della legge 8 novembre 2000, n. 328, al fine di realizzare la loro piena integrazione nell’ambito della vita familiare e sociale, nonché nei percorsi dell’istruzione scolastica o professionale e del lavoro e la previsione che per le persone anziane non autosufficienti il piano sia volto, in coerenza con l’articolo 15 della legge 8 novembre 2000, n. 328, a sostenere e a favorire l’autonomia e la permanenza nell’ambiente fami­liare;

4) la previsione, previa ricognizione delle risorse destinate a tali fini dalle Regioni, dagli enti locali e dal Servizio sanitario nazionale per quanto riguarda sia la componente sociale che quella sociosanitaria della spesa, in via aggiuntiva rispetto alle risorse di cui all’articolo 1, comma 2, lettera c), punto 4), che con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della solidarietà sociale e del Ministro della salute, di concerto con il Ministro delle politiche per la famiglia ed il Ministro dell’economia e delle finanze, d’intesa con la Conferenza unificata Stato, Regioni ed Autonomie locali di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sentite le Commissioni parlamentari competenti per materia, le quali si esprimono entro trenta giorni dalla data di comunicazione dell’atto, trascorsi i quali il decreto è emanato anche in assenza del parere, nonché sentite le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei pensionati maggiormente rappresentative e il Forum del Terzo settore, siano contestualmente determinate:

i. le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria da garantire alle persone non autosufficienti al fine di favorire l’autonomia e la permanenza a domicilio, con particolare riguardo all’assistenza tutelare, all’aiuto personale nello svolgimento delle attività quotidiane, all’aiuto domestico familiare, alla promozione di attività di socializzazione volta a favorire stili di vita attivi, nonché le prestazioni della medesima natura da garantire presso le strutture residenziali e semi-residenziali per le persone non autosufficienti non assistibili a domicilio, incluse quelle di ospitalità alberghiera;

ii. le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, correlate alla natura del bisogno, da garantire alle persone non autosufficienti in ambito domiciliare, semi-residenziale e residenziale, articolate in base alla intensità, complessità e durata dell’assistenza;

iii. i costi posti a carico del Servizio sanitario nazionale e quelli relativi alla componente sociale posti a carico del Comune, con l’eventuale compartecipazione dell’assistito ai sensi della successiva lettera d), per ciascuna tipologia di prestazione, ad esclusione di quelle ad elevata integrazione sanitaria, comprese nei livelli essenziali di assistenza sanitaria e interamente a carico del Servizio sanitario nazionale;

5) la definizione di standard qualitativi e quantitativi delle prestazioni sociali a rilevanza sanitaria e delle prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, in relazione alla complessità, intensità e durata dell’assistenza, al livello di non autosufficienza accertato ai sensi della lettera a) e alle caratteristiche del nucleo familiare o di convivenza dell’assistito, nonché di standard quantitativi dell’offerta di servizi in relazione alle caratteristiche della popolazione e del territorio;

6) il recepimento e l’integrazione degli standard di cui al precedente punto 4) nei criteri di autorizzazione e accreditamento dei servizi e delle strutture concernenti il sistema di protezione sociale e di cura per le persone non autosufficienti, nonché nella definizione dei profili professionali delle figure professionali sociali ai sensi dell’articolo 12 della legge 8 novembre 2000, n. 328;

7) l’individuazione di idonee modalità di compensazione tra Regioni e autonomie locali dei costi sostenuti per l’assistenza semiresidenziale e residenziale nell’ipotesi di beneficiari non residenti nel territorio di erogazione della prestazione, nonché per l’assistenza domiciliare, semiresidenziale e re­sidenziale nel caso di cambio di residenza ana­grafica;

c) definizione delle modalità di attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali a rilevanza sanitaria e dei criteri di riparto del Fondo per le non autosufficienze (Fna) di cui all’articolo 1, comma 1264, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, nei limiti della cornice finanziaria indicata all’articolo 1, comma 2, lettera b), punto 4), attraverso:

1) un piano biennale per gli anni 2008 e 2009 per la protezione sociale dei soggetti non autosufficienti, che individui una progressione graduale, nel raggiungimento dei livelli essenziali delle prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, con riferimento ai livelli di cui alla lettera b), punti 1), 2) e 4), alinea i), da garantirsi su tutto il territorio nazionale nei limiti delle risorse complessivamente ed effettivamente disponibili; il Piano è adottato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della solidarietà sociale, di concerto con il Ministro della salute, il Ministro delle politiche per la famiglia ed il Ministro dell’economia e delle finanze, d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sentite le Commissioni parlamentari competenti per materia, le quali si esprimono entro trenta giorni dalla data di comunicazione dell’atto, trascorsi i quali il decreto è emanato anche in assenza del parere, nonché sentite le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei pensionati maggiormente rappresentative e il Forum del Terzo settore;

2) la previsione, limitatamente alla fase di graduale raggiungimento dei livelli essenziali, di criteri di priorità per l’accesso alle prestazioni sociali di rilevanza sanitaria definite dal piano personalizzato di cui alla lettera b), punto 2), tenuto conto della gravità della condizione di non autosufficienza, del tipo di patologia o disabilità, delle condizioni economiche come definite alla lettera d);

3) la previsione, limitatamente alla fase di graduale raggiungimento dei livelli essenziali e per le sole prestazioni residenziali non rivolte a persone in condizione di non autosufficienza particolarmente grave, da definire con le modalità di cui alla lettera a), che nella determinazione dei criteri di compartecipazione al costo delle prestazioni, di cui alla successiva lettera d), possano rilevare le condizioni economiche del coniuge e dei soli parenti in linea retta di primo grado, entro limiti definiti rispetto al loro reddito, ai loro carichi familiari e alla quota di compartecipazione richiesta;

4) la previsione che il Fna sia ripartito, d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sulla base di indicatori che tengano conto della distribuzione regionale delle persone non autosufficienti accertate ai sensi della lettera a), integrati da indicatori demografici e socio-economici su base territoriale, con l’individuazione delle risorse necessarie a finanziare il sistema informativo di cui alla lettera e), punto 1);

5) l’individuazione, limitatamente alla fase di graduale raggiungimento dei livelli essenziali, di quote destinate a garantire un’offerta di servizi uniforme su tutto il territorio nazionale tenuto conto delle diverse situazioni regionali e di quote destinate al raggiungimento di obiettivi specifici da parte di ciascuna regione e provincia autonoma nell’ambito dei livelli essenziali di cui alla lettera b);

6) la previsione che il Piano biennale sia definito in coerenza con misure volte a favorire l’assunzione da parte dei soggetti non autosufficienti o dei loro familiari di  addetti all’assistenza personale o familiare stabilite nell’ambito delle politiche coordinate dalla cabina di regia nazionale di cui all’arti­colo 1, comma 1156 della legge 27 dicembre 2006, n. 296;

7) la previsione che le risorse del Fna sono finalizzate alla copertura dei costi della componente sociale delle prestazioni a favore delle persone non autosufficienti e sono aggiuntive rispetto alle risorse finalizzate al finanziamento dei livelli essenziali di assistenza sanitaria incluse le prestazioni ad elevata integrazione sanitaria, nonché a quelle già iscritte sui bilanci di competenza dell’esercizio finanziario 2007 già destinate da parte delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano, nonché da parte delle autonomie locali. In particolare, sono fatti salvi i trattamenti di maggior favore eventualmente già riconosciuti da parte delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano, nonché da parte delle autonomie locali;

8) la promozione di forme di accompagnamento, supporto e partenariato, in relazione alle specifiche situazioni regionali, finalizzate al raggiungimento di una maggiore uniformità nel sistema di protezione sociale e di cura per le persone non autosufficienti;

9) il recupero delle risorse assegnate alle regioni e alle province autonome che, in base alle risultanze del monitoraggio effettuato ai sensi della lettera e), risultino non utilizzate; il recupero è disposto anche quando sia accertata una riduzione dell’ammontare di risorse proprie regionali destinate ai servizi per la non autosufficienza;

d) definizione dei principi e delle modalità sulla cui base può essere richiesta agli assistiti la compartecipazione al costo delle prestazioni per la componente sociale secondo quanto previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui alla lettera b), punto 3), del presente comma, in coerenza con la cornice finanziaria ivi prevista, mediante:

1) l’utilizzo dell’Indicatore della situazione economica equivalente (Isee) di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, e successive modificazioni;

2) con riferimento alla componente sociale delle prestazioni per i non autosufficienti, la revisione delle modalità di calcolo dell’indicatore Isee relativamente alle componenti economiche con evidenziazione della situazione economica della sola persona assistita;

3) la previsione di una soglia di Isee al di sotto della quale non può essere richiesta alcuna compartecipazione al costo delle prestazioni e di una soglia al di sotto della quale la compartecipazione non può essere pari all’intero costo della prestazione, fatte salve le soglie più elevate definite a livello regionale e locale;

4) l’individuazione di modalità con cui, nei casi di valori Isee inferiori alle soglie di cui al punto 3), possano rilevare nella compartecipazione al costo della componente sociale delle prestazioni anche le condizioni economiche delle persone beneficiarie di donazione da parte della persona assistita nei cinque anni antecedenti l’accertamento della condizione di non autosufficienza, entro limiti definiti rispetto al valore della donazione stessa;

5) la previsione che l’articolo 1 della legge 3 dicembre 1931, n. 1580, sia modificato in coerenza con i criteri di identificazione delle persone tenute a partecipare, direttamente o indirettamente, al costo della componente sociale delle prestazioni ai sensi della lettera c), punto 3) e della lettera d), punti 2), 3) e 4);

6) il rafforzamento del sistema dei controlli dell’Isee anche attraverso le misure di cui alla successiva lett. e);

e) definizione di un sistema di monitoraggio e valutazione degli interventi sociali e sociosanitari in favore delle persone non autosufficienti attraverso:

1) la predisposizione di un sistema informativo degli interventi di protezione sociale e di cura per le persone non autosufficienti (Sina) che rilevi le persone prese in carico dal sistema, nonché l’offerta e i costi dei servizi, inclusi i punti unici di accesso di cui alla lettera b), punto 1), nel rispetto delle disposizioni in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e successive modificazioni e nel rispetto delle regole tecniche e di sicurezza di cui all’articolo 71, comma 1bis, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, con riferimento agli interventi previsti nel Piano biennale di cui alla lettera c), punto 1);

2) le modalità di integrazione tra il Sina e il sistema informativo dell’Isee di cui dell’articolo 4-bis del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, e successive modificazioni;

3) le modalità di integrazione del Sina con il sistema informativo dei servizi sociali di cui all’articolo 21 della legge 8 novembre 2000, n. 328 e il Nuovo sistema informativo sanitario, nell’ambito della cornice tecnico normativa del sistema pubblico di connettività di cui agli articoli 72 e seguenti del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82;

4) la previsione che il monitoraggio degli interventi collegato al Piano biennale, sulla base delle risultanze del Sina, sia illustrato mediante la presentazione di una relazione al Parlamento alla fine del biennio;

5) l’individuazione di modalità di valutazione della progettazione e dell’attuazione dei servizi relativi alla presente legge a livello nazionale e regionale, con articolazione a livello locale, anche con riferimento all’efficacia degli standard di cui alla lettera b) punto 5), delle cui conclusioni dia conto la relazione di cui al punto precedente;

6) la previsione che ad ogni articolazione territoriale corrispondano idonei strumenti volti ad assicurare la partecipazione attiva nella valutazione degli interventi da parte delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative e delle associazioni di tutela dei cittadini non autosufficienti, in armonia con i principi di partecipazione richiamati dalla legge 8 novembre 2000, n. 328.

3. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono emanati su proposta dei Ministri della solidarietà sociale e della salute di concerto con il Ministro delle politiche per la famiglia e con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentite le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei pensionati maggiormente rappresentative e il Forum del Terzo settore. Gli schemi di decreti legislativi sono trasmessi alla Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, che si esprime entro trenta giorni e alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica per il parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario, che si esprimono entro quaranta giorni dalla data di assegnazione, trascorsi i quali i decreti legislativi sono emanati anche in assenza del parere.

4. Con uno o più decreti legislativi da emanare entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, possono essere adottate disposizioni correttive e integrative, nel rispetto dei principi e criteri direttivi e delle procedure stabiliti all’articolo 2.

 

Art. 2 Delega per l’adeguamento del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151

1. Al fine di completare il sistema di tutela e sostegno della maternità e della paternità, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Governo è delegato ad adottare un decreto legislativo di adeguamento del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, tenendo conto delle esigenze organizzative e del rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, secondo i seguenti principi e criteri direttivi:

a) riordino, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, della disciplina dei congedi di cui al citato testo unico n. 151 del 2001 nei confronti di tutti i lavoratori autonomi e subordinati, nonché dei soggetti ad essi equiparati;

b) piena attuazione dei principi di eguaglianza di genere e di pari opportunità tra uomini e donne nella materia dei congedi, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, attraverso meccanismi di rimodulazione o di alternanza tra lavoratrice e lavoratore;

c) introduzione di meccanismi di flessibilità che consentano di usufruire dei congedi di cui al citato testo unico n. 151 del 2001 nei periodi di effettiva necessità personale o familiare, ferma restando la durata massima dei congedi;

d) introduzione della fruizione oraria del congedo parentale nel limite massimo della metà dell’orario giornaliero, con esclusione della cumulabilità della fruizione oraria del congedo parentale con altri permessi o riposi previsti dalla legge;

e) facoltà per le lavoratrici madri, nel caso di decesso del bambino all’atto della nascita o durante il periodo di astensione obbligatoria, di riprendere anticipatamente l’attività lavorativa, previa presentazione di idonea certificazione medica attestante che tale opzione non arreca pregiudizio alla loro salute;

f) previsione della possibilità di partecipazione della lavoratrice a concorsi pubblici, a procedure selettive interne, anche finalizzate alla progressione in carriera, a corsi di formazione professionale, a corsi di riqualificazione per la progressione in carriera, comunque denominati, nel periodo del congedo di maternità, previa presentazione di idonea certificazione medica attestante che tale opzione non arreca pregiudizio alla loro salute;

g) previsione che il divieto di licenziamento di cui al comma 9 dell’articolo 54 del testo unico si applichi, oltre che nel caso di adozione e di affidamento, anche nel caso di affidamento preadottivo, e che abbia durata pari al periodo complessivamente previsto per i genitori biologici;

h) previsione che la lavoratrice, o il lavoratore, per la cura di ciascun figlio minore di età, anche nel caso di adozione o affidamento di minori, abbia diritto, alternandosi con l’altro genitore, su istanza e con preavviso al datore di lavoro di almeno tre mesi, alla trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale in misura non superiore al cinquanta per cento, verificando con il datore di lavoro le modalità di articolazione della prestazione, per un periodo della durata massima di dodici mesi, al termine del quale è prevista l’automatica trasformazione del rapporto di lavoro da tempo parziale a tempo pieno;

i) previsione che al rapporto di lavoro a tempo parziale di cui alla lettera h) non si applichino le norme in materia di lavoro supplementare, lavoro straordinario, clausole elastiche di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61.

2. Lo schema del decreto legislativo di cui al comma 1 è deliberato dal Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro delle politiche per la famiglia, del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, del Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, del Ministro per i diritti e le pari opportunità, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentite le organizzazioni sindacali e le associazioni datoriali maggiormente rappresentative, ed è trasmesso, con apposita relazione cui è allegato il parere del Consiglio di Stato, alle competenti Commissioni parlamentari, che esprimono il parere entro quarantacinque giorni dall’assegnazione. Decorsi i termini previsti il decreto è emanato anche in mancanza dei pareri.

3. Entro due anni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 1, possono essere emanate, nel rispetto dei principi e criteri direttivi di cui al medesimo comma 1 e con le modalità di cui al comma 2, ulteriori disposizioni integrative e correttive.

 

Art. 3 Conciliazione dei tempi di vita e dei tempi di lavoro

1. L’articolo 9 della legge 8 marzo 2000, n. 53 e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

Art. 9. Misure per conciliare tempi di vita e tempi di lavoro - 1. Al fine di promuovere e incentivare azioni volte a conciliare tempi di vita e tempi di lavoro, nell’ambito del Fondo delle politiche per la famiglia di cui all’articolo 19 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, è destinata annualmente una quota individuata con decreto del Ministro delle politiche per la famiglia, al fine di erogare contributi, di cui almeno il cinquanta per cento destinati a soggetti che impiegano fino a cinquanta lavoratrici o lavoratori, in favore di datori di lavoro privati iscritti in pubblici registri o albi professionali, aziende sanitarie locali, aziende ospedaliere e aziende ospedaliere universitarie i quali attuino accordi contrattuali che prevedano azioni positive per le finalità di cui al presente comma, ed in particolare:

a) progetti articolati per consentire alle lavoratrici e ai lavoratori di usufruire di particolari forme di flessibilità degli orari e dell’organizzazione del lavoro, quali part time, telelavoro e lavoro a domicilio, orario flessibile in entrata o in uscita, banca delle ore, flessibilità sui turni, orario concentrato, ed in particolare i progetti che prevedano di applicare, contestualmente, sistemi innovativi per la valutazione della produttività;

b) programmi ed azioni volti a favorire il reinserimento dei lavoratori dopo il periodo di congedo;

c) progetti che, anche attraverso l’attivazione di reti tra enti territoriali, aziende e parti sociali, promuovano interventi e servizi innovativi in risposta alle esigenze di conciliazione dei lavoratori. Tali progetti possono essere presentati anche da consorzi o associazioni di imprese, ivi comprese quelle temporanee, che insistono sullo stesso territorio e possono prevedere la partecipazione degli enti locali anche nell’ambito dei piani per l’armonizzazione dei tempi delle città e dei piani triennali per l’applicazione delle buone pratiche in materia di pari opportunità.

2. Destinatari dei progetti di cui al comma 1 possono essere lavoratrici o lavoratori con figli minori, con priorità nel caso di disabilità ovvero di minori fino a dodici anni di età, o fino a quindici anni in caso di affidamento o di adozione, ovvero con a carico persone disabili o non autosufficienti, ovvero soggetti affetti da documentata grave infermità.

3. Le risorse di cui al comma 1 sono inoltre impiegate per l’erogazione di contributi in favore di progetti che consentano ai titolari di impresa, ai lavoratori autonomi o ai liberi professionisti, laddove esigenze legate alla maternità o alla presenza di figli minori limitino, in tutto o in parte, la prosecuzione dell’attività lavorativa, di avvalersi della collaborazione di soggetti in possesso dei necessari requisiti professionali.

4. Con decreto del Ministro delle politiche per la famiglia, di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale, e per i diritti e le pari opportunità, sono definiti i criteri e le modalità per la concessione dei contributi di cui al presente articolo e, in particolare, la percentuale delle risorse da destinare a ciascuna tipologia progettuale, l’importo massimo finanziabile per ciascuna tipologia progettuale e la durata delle azioni progettuali. In ogni caso, le richieste dei contributi provenienti dai soggetti pubblici saranno soddisfatte a concorrenza della somma che residua una volta esaurite le richieste di contributi dei soggetti privati.

5. Le risorse di cui al comma 1 possono essere in parte destinate alle attività di promozione delle misure in favore della conciliazione, di consulenza alla progettazione, di monitoraggio delle azioni da effettuarsi anche attraverso reti territoriali.

6. I commi 1254, 1255 e 1256 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sono abrogati.

 

Art. 4 Carta della famiglia

1. È istituita la carta della famiglia, destinata alle famiglie costituite da cittadini italiani o da cittadini stranieri regolarmente residenti sul territorio italiano, con almeno tre figli minori.

2. La carta è rilasciata alle famiglie che ne facciano richiesta, previo pagamento dei soli costi di emissione, con i criteri e le modalità stabilite con decreto del Ministro delle politiche per la famiglia, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico ed il Ministro dell’economia e delle finanze.

3. La carta dà diritto a sconti sull’acquisito di beni o servizi ovvero a riduzioni tariffarie concordati con i soggetti pubblici o privati che intendano contribuire all’iniziativa. I partner che concederanno sconti o riduzioni maggiori di quelli normalmente praticati sul mercato potranno valorizzare la loro partecipazione all’iniziativa a scopi promozionali e pubblicitari. Il Dipartimento per le politiche della famiglia predispone ed aggiorna sul sito istituzionale l’elenco dei soggetti convenzionati. Le attività di promozione e di diffusione dell’iniziativa poste in essere da parte del Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri rientrano tra quelle previste, per il Fondo delle politiche della famiglia di cui all’articolo 19, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, dall’articolo 1, comma 1250, della legge 27 dicembre 2006, n. 296.

 

Art. 5 Istituzione dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità

1. Allo scopo di promuovere la piena integrazione delle persone con disabilità, in attuazione dei principi indicati nella legge 5 febbraio 1992, n. 104 e successive modificazioni nonché dei principi sanciti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità fatta a New York il 13 dicembre 2006, è istituito presso il Ministero della solidarietà sociale l’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità.

2. L’Osservatorio è presieduto dal Ministro della solidarietà sociale. I componenti dell’Os­servatorio sono nominati, in numero non superiore a 40, nel rispetto del principio di pari opportunità tra donne e uomini.

3. Il Ministro della solidarietà sociale, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con regolamento adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, con il concerto del Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, disciplina la composizione, l’organizzazione e il funzionamento dell’Osservatorio, prevedendo che siano rappresentati le amministrazioni centrali coinvolte nella definizione ed attuazione di politiche in favore delle persone con disabilità, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, le autonomie locali, gli istituti di previdenza, l’Istituto nazionale di statistica, le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei lavoratori e dei datori di lavoro, le associazioni nazionali maggiormente rappresentative delle persone con disabilità, le organizzazioni rappresentative del terzo settore operanti nel campo della disabilità. L’Osservatorio è integrato, nella sua composizione, con esperti di comprovata esperienza nel campo della disabilità, designati dal Ministro della solidarietà sociale in numero non superiore a cinque.

4. L’Osservatorio dura in carica tre anni. Tre mesi prima della scadenza del termine di durata, l’Osservatorio presenta una relazione sull’attività svolta al Ministro della solidarietà sociale, che la trasmette alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ai fini della valutazione congiunta della perdurante utilità dell’organismo e della eventuale proroga della durata, comunque non superiore a tre anni, da adottarsi con decreto del Presidente del Con­siglio dei Ministri, su proposta del Ministro della solidarietà sociale. Gli eventuali successivi decreti di proroga sono adottati secondo la medesima procedura.

5. L’Osservatorio ha i seguenti compiti:

a) predisporre un programma d’azione biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità, in attuazione della legislazione nazionale ed internazionale;

b) predisporre la relazione sulla stato di attuazione delle politiche sulla disabilità, di cui all’articolo 41, comma 8, della legge 5 febbraio 1992, n. 104;

c) promuovere la raccolta di dati statistici che illustrino la condizione delle persone con disabilità, anche con riferimento alle diverse situazioni territoriali;

d) promuovere l’attuazione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità ed elaborare il rapporto dettagliato sulle misure adottate di cui all’articolo 35 della Convenzione;

e) promuovere la realizzazione di studi e ricerche che possano contribuire ad individuare aree prioritarie verso cui indirizzare azioni e interventi per la promozione dei diritti delle persone con disabilità.

6. Al funzionamento dell’Osservatorio è destinato uno stanziamento annuo di 500 mila euro, a decorrere dall’anno 2008, mediante corrispondente riduzione sull’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 20, comma 8 della legge 8 novembre 2000, n. 328.

7. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare le occorrenti variazioni di bi­lancio.

8. All’articolo 41, comma 8, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, le parole «entro il 15 aprile di ogni anno» sono sostituite dalle seguenti parole: «ogni due anni, entro il 15 aprile».

 

Art. 6 Istituzione del Fondo per la lotta alle povertà estreme

1. Per favorire il rilancio e la promozione di iniziative di contrasto alle più gravi forme di disagio sociale, di assistenza e presa in carico delle persone che versano in stato di grave emarginazione e delle persone senza fissa dimora, anche allo scopo di prevenire e rimuovere le cause di caduta nei cir­cuiti dell’illegalità, è istituito nello stato di previsione del Ministero della solidarietà sociale un fondo denominato “Fondo per la lotta alle povertà estreme”, finalizzato all’attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117 della Costituzione, secondo comma, lettera m, con riferimento alle persone che vivono in condizione di povertà estrema.

2. Gli atti e i provvedimenti concernenti l’utilizzazione del Fondo sono adottati dal Ministro della
solidarietà sociale, di concerto con il Ministro dell’interno, d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.

3. Il Fondo è ripartito tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Una quota delle risorse del Fondo definita dal comma 6 del presente articolo è riservata al finanziamento di interventi da realizzare nei comuni di Venezia, Milano, Torino, Ge­nova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Brin­disi, Taranto, Reggio Calabria, Catania, Palermo e Cagliari.

4. Il Fondo di cui al comma 1 del presente articolo è destinato in particolare alla realizzazione sul territorio di azioni e progetti di carattere sperimentale ed innovativo, fondati su un approccio multidimensionale, sulla costruzione di reti di partenariato tra soggetti pubblici e del privato sociale e finalizzati principalmente alla prima accoglienza, al ripristino di condizioni primarie di dignità della persona, all’accompagnamento ed al reinserimento sociale. Nei comuni di cui al comma 3 del presente articolo il Fondo è destinato anche alla realizzazione di interventi per la lotta al degrado delle periferie e dei quartieri sensibili.

5. Al fine di favorire il monitoraggio, la diffusione delle conoscenze, lo scambio delle buone prassi e la qualità degli interventi, il Ministero della so­lidarietà sociale attiva un servizio di informazione, di promozione, di consulenza, di monitoraggio e di supporto tecnico per la realizzazione delle finalità del presente articolo. Il servizio opera in rac­cordo con il sistema informativo dei servizi sociali di cui all’articolo 21 della legge 8 novembre 2000, n. 328.

6. Al Fondo di cui al comma 1 del presente articolo è assegnata per ciascuno degli anni 2008, 2009 e 2010 la somma di 10 milioni di euro, di cui 5 milioni di euro riservati ai 15 comuni individuati dal comma 3 del presente articolo e 500 mila euro per il finanziamento del servizio, di cui al comma 5 del presente articolo.

7. Previa intesa con la Conferenza Unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, annualmente, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, su proposta del Ministro della solidarietà sociale, si provvede ad un anticipo ai comuni di cui al comma 3 del presente articolo nella misura del 50% degli stanziamenti complessivamente disponibili per gli stessi comuni per l’anno in corso ai sensi del comma 6. Con lo stesso decreto vengono disposte le occorrenti variazioni di bilancio. L’anticipo è assegnato a ciascun comune sulla base della quota ad esso assegnata nel riparto dell’anno precedente sul complesso delle risorse assegnate agli stessi comuni.

 

Art. 7 Istituzione del Fondo di solidarietà sui mutui per l’acquisto della prima casa

1. Al fine di sostenere i cittadini in difficoltà temporanea nel pagamento delle rate di mutuo per la prima casa, è istituito il “Fondo di solidarietà sui mutui per l’acquisto della prima casa”. Il funzionamento del fondo sarà disciplinato, previa intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, con decreto del Ministro della solidarietà sociale di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanarsi entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. La dotazione del Fondo è pari 5 milioni di euro per ciascuna delle annualità 2008, 2009, 2010.

 

Art. 8 Ulteriori norme in materia di politiche sociali

1. Al comma 1258 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, dopo le parole “è determinata” sono aggiunte le seguenti parole: “limitatamente alle risorse destinate ai comuni di cui al secondo comma, secondo periodo dello stesso articolo 1”.

2. Ai fini di migliorare la qualità della spesa pubblica, rendendo possibile una più tempestiva e puntuale programmazione degli interventi e della spesa, previa intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, annualmente, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, su proposta del Ministro della solidarietà sociale, si provvede ad un anticipo sulle somme destinate al Ministero della solidarietà sociale e alle regioni e province autonome di Trento e di Bolzano nel riparto del Fondo nazionale per le politiche sociali di cui all’articolo 20, comma 8, della legge 8 novembre 2000, n. 328, nella misura massima del 50% degli stanziamenti complessivamente disponibili per l’anno in corso, al netto della parte destinata al finanziamento dei diritti soggettivi. Con lo stesso decreto vengono disposte le occorrenti variazioni di bilancio.

3. L’anticipo è assegnato a ciascun ente sulla base della quota proporzionale ad esso assegnata nel riparto dell’anno precedente sul complesso delle risorse assegnate agli enti cui si applica l’anticipo.

4. Al decreto annuale di riparto del Fondo nazionale per le politiche sociali continua ad applicarsi l’articolo 21, comma 7, della legge 8 novembre 2000, n. 328.

5. All’articolo 21, nota 3, del decreto del Ministro delle finanze del 28 dicembre 1995, dopo le parole «nonché a non vedenti» sono aggiunte le seguenti parole «e sordi».

6. Per il potenziamento delle attività di indagine, monitoraggio e valutazione delle politiche pubbliche in ambito sociale, è attribuito all’Istituto italiano di medicina sociale, di cui alla legge 10 febbraio 1961, n. 66, un finanziamento di 1,5 milioni di euro a decorrere dall’anno 2008.

 

Art. 9 Copertura finanziaria

1. All’onere derivante dall’attuazione degli articoli 6, 7 e 8, pari a euro 17 milioni per ciascuno degli anni 2008, 2009 e 2010 e a euro 2 milioni annui a decorrere dall’anno 2011, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008-2010, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente “Fondo speciale” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno medesimo, allo scopo utilizzando parzialmente gli accantonamenti relativi al Ministero della solidarietà sociale.

2. Il Ministero dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 

 

* Il documento del Csa, datato 12 dicembre 2007, ha per oggetto “Richiesta di sostanziali modifiche al disegno di legge di delega al Governo, predisposto dal Ministero della sicurezza sociale, in merito al fondo per le non autosufficienze: l’attuale stesura contiene numerose norme molto sfavorevoli per gli utenti e per i loro congiunti”.

** Il documento dell’Anci (Associazione nazionale Comuni italiani) del Piemonte, datato 5 dicembre 2007, reca il titolo “Osservazioni Anci Piemonte sullo schema di disegno di legge recante norme relative alle persone non autosufficienti, alle politiche sociali e alle famiglie approvato dal Consiglio dei Ministri il 21 novembre 2007”.

(1) Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 14 febbraio 2001 “Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie” emanato in ottemperanza del disposto dell’articolo 2, comma 1, lettera n) della legge 419/1998.

(2) Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001 “Definizione dei livelli essenziali di assistenza”.

(3) Della definizione degli standard qualitativi e quantitativi delle prestazioni si fa infatti menzione a parte, in un apposito comma dello stesso articolo.

(4) L’atto di indirizzo al quale si fa riferimento nel testo citato, è il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 14 febbraio 2001 citato precedentemente.

 

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