Prospettive assistenziali, n. 160, ottobre - dicembre 2007
Interrogativi
PERCHÈ IL DIFENSORE CIVICO DELLA REGIONE FRIULI VENEZIA GIULIA SOSTIENE CHE I
PARENTI DEVONO CONTRIBUIRE ALLE SPESE DI RICOVERO DEGLI ANZIANI NON
AUTOSUFFICIENTI?
Stupefacenti sono le argomentazioni
dell’avv. Caterina Dolcher, Difensore civico della
Regione Friuli Venezia Giulia, in merito alle contribuzioni economiche.
Infatti, nel parere trasmeso
in data 4 luglio 2007 ai Presidenti del Comitato dei parenti degli anziani non
autosufficienti ricoverati presso l’Istituto geriatrico
d’Udine e dell’Associazione invalidi civili Apici della stessa città, nonché al Difensore civico del Comune di Udine e ai
Dirigenti della Regione, ha sostenuto quanto segue: «Non ritengo che siano più ammissibili (…) da parte dei parenti il
rifiuto a priori ed indipendentemente dalle condizioni economiche del proprio
nucleo familiare di ogni compartecipazione sulla base
del presupposto che i terzi non sono legittimati a far valere la pretesa degli
alimenti ex articolo 433 del Codice civile».
Inoltre ha affermato che «i parenti debbono
perciò essere coscienti che, se hanno la capacità economica che gli consenta
una compartecipazione alla spesa sono tenuti a concorrere, nei limiti di tale
capacità, al pagamento di quella parte della retta cui il loro parente non può
far fronte con le sue proprie risorse».
Dunque, per il Difensore civico della Regione Friuli Venezia
Giulia, le leggi vigenti contano nulla. A nulla conterebbe l’articolo 25 della
legge 328/2000 sulle attività socio-assistenziali che sancisce quanto segue: «Ai fini dell’accesso ai servizi
disciplinati dalla presente legge, la verifica della situazione economica del
richiedente è effettuata secondo le disposizioni
previste dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, come modificato dal
decreto legislativo 3 maggio 2000, n. 130».
Detto articolo è di fondamentale
importanza, in quanto anche coloro che conoscono
superficialmente le basi del diritto, sanno che le norme di legge aboliscono
quelle precedenti che contengono disposizioni contrastanti.
Non tenendo in alcuna
considerazione quanto disposto dal sopra citato articolo 25 della legge
328/2000, il Difensore civico della Regione Friuli Venezia Giulia riporta la
giurisprudenza della Corte di Cassazione (sentenza n. 3629 del 24 febbraio
2004) secondo cui «l’articolo 1 della
legge 3 dicembre 1931, n. 1580 sul diritto di rivalsa delle spese di ospedalità a carico dei ricoverati che non si trovino in
condizioni di povertà e, in caso di loro morte, dei loro eredi legittimi e
testamentari, in favore delle amministrazioni degli ospedali e dei Comuni, non
è stato abrogato».
Ma l’applicabilità della legge
1580/1931 è considerata dalla Corte di Cassazione in
riferimento alla legge 833/1978 di riforma della sanità, mentre è stata
abrogata dalla legge 328/2000.
D’altra parte le
questioni trattate dalla Cassazione nella sentenza 3629/2004 riguardano
fatti avvenuti prima dell’entrata in vigore della legge di riforma delle
attività socio-assistenziali.
Inoltre è assai preoccupante che il Difensore civico della
Regione Friuli Venezia Giulia non faccia alcun riferimento all’articolo 23
della Costituzione, in base al quale «nessuna
prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla
legge», che ovviamente deve essere emanata a livello nazionale.
Ne deriva che le Regioni, comprese
quelle a statuto speciale, nonché le Province autonome
di Bolzano e di Trento, non hanno alcun potere di emanare norme in materia di
contribuzioni economiche al di fuori delle disposizioni stabilite dalle leggi
nazionali.
Tenendo conto delle norme contenute nel
comma 2 ter dell’articolo 3 del testo unificato dei decreti legislativi 109/1998 e 130/2000, gli enti
pubblici non possono pretendere alcun contributo economico dai parenti,
compresi quelli conviventi, degli assistiti ultrasessantacinquenni non
autosufficienti o colpiti da handicap in situazione di gravità.
Sulla base di quanto in precedenza esposto, come può affermare il
Difensore civico della Regione Friuli Venezia Giulia che, come abbiamo già
rilevato «i parenti debbono perciò essere
coscienti che, se hanno la capacità economica che gli consenta una
compartecipazione alla spesa sono tenuti a concorrere, nei limiti di tale
capacità, al pagamento di quella parte della retta cui il loro parente non può
far fronte con le sue proprie risorse»?
Si tratta, a nostro avviso, non solo di
un obbligo assolutamente
inesistente sul piano giuridico ma nemmeno valido sotto il profilo etico.
Se i parenti degli assistiti posseggono adeguate
disponibilità finanziarie e vogliono aiutare veramente i loro congiunti, invece
di regalare denaro ai Comuni non è preferibile che mettano a disposizione dei
loro familiari una o più persone che provvedano a fornire le prestazioni
(compagnia, igiene personale, accompagnamento dentro e fuori l’istituto e, se occorre,
imboccamento e lettura dei giornali e riviste, ecc.)
in modo da assicurare la più idonea qualità della loro vita?
Inoltre chiediamo in base a quali dati oggettivi
l’avv. Dolcher ha asserito che «i Comuni non possono essere tenuti ad integrare le rette di tutti coloro che non hanno una rendita (in
genere pensioni) sufficiente a coprirne il costo, perché si tratterebbe di una
spesa pubblica assolutamente insostenibile»?
Si rende conte che con tale affermazione si pone come super Parlamento con
il potere di stabilire l’inapplicabilità delle leggi?
Come mai il Comune di Torino ed i Consorzi socio-assistenziali della prima
e seconda cintura del capoluogo piemontese continuano ad essere in grado di
funzionare pur non richiedendo più dal 2001 alcun contributo economico ai
congiunti degli assistiti ultrasessantacinquenni non autosufficienti e dei
soggetti con handicap in situazione di gravità?
Si possono definire «assolutamente
insostenibili» le spese a carico dei Comuni quand’essi hanno la possibilità
di riequilibrare le uscite con un aumento, ad esempio, di qualche centesimo
delle aliquote dell’Ici (Imposta comunale sugli immobili), considerato anche il
fatto che nessun investimento è stato finora così proficuo come l’acquisto di immobili?
Tenuto conto che il Csa (Coordinamento sanità e
assistenza fra i movimenti di base) ha inviato in data 20 aprile 2006 al
Difensore civico della Regione Friuli Venezia Giulia (nonché
ai suoi colleghi) la nota sottoscritta dal Segretario generale del Garante per
la riservatezza dei dati personali in cui era precisato, per quanto concerne
gli assistiti ultrasessantacinquenni ed i soggetti in situazione di gravità,
che l’Inps deve raccogliere «soltanto le informazioni personali riguardanti la situazione economica
dell’interessato, anziché quelle del nucleo familiare di appartenenza», gradiremmo sapere per quali
motivi Lei non ha citato le suddette disposizioni nel suo parere del 4 luglio
2007.
Nella lettera inviata a F. C.
il 25 luglio 2007, il Sindaco e il Dirigente dell’Area interventi sociali-educativi del Comune di Cologno Monzese affermano che i
decreti legislativi 109/1998 e 130/2000 in base ai quali non possono essere
chiesti contributi economici ai parenti degli ultrasessantacinquenni non
autosufficienti e dei soggetti con handicap in situazione di gravità, non
sarebbero applicabili in quanto il Presidente del Consiglio dei Ministri non ha
emanato un decreto che, a differenza di quelli precedenti aventi valore di
legge, ha natura esclusivamente amministrativa.
Da quanto risulta dalla sopra
ricordata lettera, il Presidente del Consiglio dei Ministri non era rimasto
inattivo, ma aveva predisposto nel corso del 2005 uno schema del provvedimento
mancante.
Tuttavia – udite, udite ciò che scrivono
il Sindaco e il citato Dirigente del Comune di Cologno
Monzese – l’iniziativa del Presidente del Consiglio
dei Ministri «ha trovato l’opposizione
della Conferenza Stato-Regioni-Autonomie locali per
le conseguenze che avrebbe potuto avere sulla spesa locale».
Sorpresi e allarmati dalla
situazione chiediamo agli esperti se è stata modificata
È stato introdotto il parere vincolante della Conferenza Stato-Regioni-Autonomie locali,
senza il quale i Comuni sono autorizzati a violare le leggi?
Sorge anche un altro interrogativo. Come mai nella sopra
menzionata lettera del 25 luglio 2007 il Sindaco e il Dirigente del Comune di Cologno Monzese asseriscono che
nel caso di reddito insufficiente da parte dell’anziano assistito, l’ente
locale «ai sensi dell’articolo 2, comma
6, del decreto legislativo 109/1998 e dell’articolo 433 e seguenti del Codice
civile, deve essere verificata la posizione economica e reddituale
degli eventuali altri familiari obbligati agli alimenti»?
Infatti detto comma 6 stabilisce quanto
segue: «Le disposizioni del presente
decreto non modificano la disciplina relativa ai
soggetti tenuti alla prestazione degli alimenti ai sensi dell’articolo 433 del
Codice civile e non possono essere
interpretate nel senso dell’attribuzione agli enti erogatori della facoltà di
cui all’articolo 433, primo comma, del Codice civile nei confronti dei
componenti il nucleo familiare del richiedente la prestazione sociale
agevolata».
Poiché il primo comma dell’articolo 438 del Codice civile
sancisce che «gli alimenti possono essere
chiesti solo da chi versa in stato
di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento», il
Sindaco e il Dirigente del Comune di Cologno Monzese non hanno affermato il
contrario della verità?
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