Prospettive assistenziali, n. 160, ottobre - dicembre 2007

 

 

NELLE RESIDENZE SANITARIE ASSISTENZIALI L’ORGANIZZAZIONE DELLE CURE DEVE ESSERE ADEGUATA ALLE ESIGENZE DEI MALATI

 

 

Sin dalla costituzione delle residenze socio-sanitarie, è emersa l’assoluta inadeguatezza delle prestazioni sanitarie affidate a singoli medici di medicina generale, esterni alla struttura di ricovero, come se l’organizzazione necessaria in una Rsa, Residenza sanitaria assistenziale (struttura in cui possono essere presenti dai 60 ai 120 pazienti gravemente malati con una media di 2-3 patologie ciascuno) sia analoga a quella richiesta dal singolo malato curato a casa sua.

Tale posizione, sostenuta anche dalla Fimmg, Fe­derazione italiana medici di medicina generale (1), parte dalla considerazione – errata – che i ricoverati abbiano esigenze puramente di tipo assistenziale in quanto le patologie croniche di cui soffrono sono stabilizzate e, pertanto, non necessitano di un’elevata assistenza sanitaria.

In realtà, come afferma Pierantonio Visentin (2), medico geriatra, «nella maggior parte dei casi non vi è alcuna differenza tra curare un malato anziano in ospedale e in una casa di riposo».

Analoghe considerazioni sono contenute nel documento del Ministero della salute integralmente riportato in questo numero.

Per tali ragioni da sempre sosteniamo che gli anziani malati cronici non autosufficienti ricoverati in Rsa hanno precise esigenze e diritti:

1) diritto a cure sanitarie continuative e, quindi, diritto alle prestazioni di un’équipe di medici, infermieri, riabilitatori e altri operatori che garantiscano interventi per complessive 10-12 ore al giorno;

2) diritto ad avere prestazioni dei medici in servizio presso la Rsa presenti o reperibili anche nella notte, al sabato e nei giorni festivi;

3) diritto a ricevere cure sanitarie tempestive adeguate all’interno della Rsa nei frequenti momenti di crisi o acuzie evitando, salvo i casi di assoluta necessità, inutili, dolorosi e costosi spostamenti al Pronto soccorso;

4) diritto ad avere in tutta la misura del possibile le occorrenti prestazioni specialistiche nella Rsa in cui sono ricoverati.

Inoltre nelle Rsa dovrebbero essere previsti anche:

a) un coordinatore ed un vice di modo che anche nei casi di assenza del titolare per ferie, malattia o altro, sia garantita una adeguata organizzazione delle cure;

b) gli altri medici occorrenti per la diagnosi e la cura anche nelle fasi acute, salvo i casi in cui il paziente necessita di ricovero ospedaliero.

Dalle riflessioni che seguono di Laura Bert, medico geriatra e direttore sanitario di una Rsa e di Emilio Chiodo, medico di famiglia, emerge che continuano a perdurare le resistenze dei medici di medicina generale al lavoro in équipe e che, per quanto possa essere valido e capace il direttore sanitario, vi sono ostacoli normativi (e tutele eccessive della categoria dei medici di medicina generale) che inesorabilmente finiscono per penalizzare i malati ricoverati nelle Rsa a cui sovente è negato di fatto il diritto a ricevere, in tempo reale, le prestazioni sanitarie adeguate alle loro necessità.

Il problema delle “giuste” cure agli anziani cronici non autosufficienti in Rsa, richiede quindi a nostro parere una revisione, non più rinviabile, del rapporto di “libero professionista” del medico di medicina generale e della relativa convenzione con il Servizio sanitario nazionale.

 

 

la divisione della cura: riflessioni sul ruolo del direttore sanitario e del medico di medicina generale nelle rsa piemontesi

LAURA BERT *

 

La normativa della Regione Piemonte prevede che le competenze e le responsabilità sanitarie all’interno delle Rsa (Residenze sanitarie assistenziali) siano così distribuite:

• al medico di medicina generale convenzionato compete l’assistenza medica degli ospiti (Delibera della Giunta regionale n. 47 del 1998) assicurando una presenza oraria settimanale di 3 o 5 ore in base al numero di assistiti (con un massimale di 20). La Dgr n. 17 del 2005 attribuisce al medico curante anche la predisposizione, verifica e aggiornamento del Piano di assistenza individuale (Pai) in collaborazione con gli altri membri dell’équipe multidisciplinare (coordinatore dell’assistenza infermieristica e operatore socio-sanitario, direttore sanitario, fisioterapista, psicologo, ecc.);

• al direttore sanitario, preferibilmente geriatra, compete l’accoglienza dell’ospite, la verifica dell’espletamento dei compiti di rilevanza sanitaria e assistenziale da parte dei vari addetti, la verifica delle modalità e della qualità delle prestazioni rese da parte dei medici di medicina generale informando, se del caso, direttamente l’Asl e il distretto sanitario, la verifica che agli ospiti vengano rilasciate le necessarie certificazioni e l’erogazione degli interventi ritenuti necessari; è inoltre responsabilità del direttore sanitario l’esecuzione operativa del Pai (Dgr n. 17 del 2005).

Si viene pertanto a definire una situazione atipica in cui la direzione sanitaria, interna alla struttura, ha una funzione di verifica delle modalità e della qualità delle prestazioni rese da un libero professionista che opera in regime di convenzione con un ente (Asl) esterno alla struttura: un medico “esterno” che cura e un medico “interno” che ne verifica le prestazioni.

Indubbiamente il fatto che l’assistenza sanitaria in Rsa sia interamente di competenza territoriale attraverso il distretto sanitario (medici di medicina generale e specialisti ambulatoriali) garantisce la trasparenza delle prestazioni attuando, di fatto, un controllo sulle modalità operative della struttura.

Se dal punto di vista di una reciproca verifica della presa in carico dei problemi sanitari degli ospiti ciò presenta degli innegabili vantaggi, alcune incomprensioni possono nascere dal fatto che un ruolo di così grande responsabilità nella programmazione globale e nel monitoraggio delle cure fornite all’ospite sia attribuito ad un “collaboratore esterno” alla Rsa che difficilmente conosce, nella loro completezza, procedure operative e protocolli della struttura, e raramente riesce ad essere presente con regolarità nei momenti in cui si svolgono attività di rilevanza sanitaria e assistenziale sui propri assistiti (medicazioni, riunioni multidisciplinari, fisioterapia, interventi di riorientamento formali e informali).

La concordanza fra gli orari previsti dai piani di lavoro di una struttura complessa, che deve tenere conto delle esigenze di diverse figure professionali, e quelli di un professionista con molteplici attività esterne, non è facile da ottenere.

Le difficoltà di integrazione fra le procedure operative della struttura e lo “stile personale” di lavoro del professionista (che fra l’altro è differente per i diversi medici di medicina generale che intervengono nella struttura con conseguenti differenze nei trattamenti sanitari ricevuti dai diversi ospiti), emergono con particolare evidenza nel momento della predisposizione, verifica e aggiornamento del Pai (competenza attribuita al medico curante). La Dgr 17/2005 definisce il Pai come «un fondamentale strumento finalizzato a garantire, nel breve-medio periodo, il completo soddisfacimento dei bisogni dell’ospite individuando e definendo gli interventi, i tempi, e le modalità nonché la valutazione dei risultati […]. La predisposizione, la verifica e l’aggiornamento del Pai avviene nell’ambito di una équipe multidisciplinare, composta dal medico di medicina generale, dal coordinatore dell’assistenza infermieristica e/o tutelare, in stretta collaborazione con le altre professionalità operanti nella struttura (direttore sanitario, responsabili dei vari settori/reparti, fisioterapista, assistente sociale, educatore o animatore professionale»; un lavoro di questo tipo presuppone inoltre una buona conoscenza della metodologia geriatrica basata sulla valutazione multidimensionale con determinazione degli obiettivi e definizione di interventi specifici e mirati e, benché esplicitamente previsto dalla Dgr n. 47 del 1998, non risulta essere stato attivato alcun corso regionale di formazione mirato a perfezionare le competenze professionali relative all’assistenza al paziente ospite multiproblematico.

Il medico di medicina generale dovrebbe quindi collaborare attivamente con tutte le diverse figure professionali coinvolte nell’assistenza (operatori socio-sanitari, infermieri professionali, fisioterapisti, psicologi, ecc), oltre che con l’ospite e i suoi familiari, quando in realtà la sua presenza è limitata alle ore settimanali previste dalla convenzione e non sempre adattabili alle esigenze della struttura.

Si viene così a definire, nella maggior parte dei casi, una situazione in cui il medico curante intrattiene un rapporto privilegiato con il personale sanitario della struttura (capo sala, infermiere professionale), da cui riceve informazioni riguardanti i problemi di carattere sanitario e a cui riferisce, sia attraverso la documentazione sanitaria prevista sia direttamente, eventuali variazioni nella terapia, provvedimenti di carattere generale, necessità di approfondimento. Saltuariamente il rapporto si estende al fisioterapista e allo psicologo di fronte a situazioni particolari. Anche il rapporto con i familiari è, in molti casi, mediato dal personale sanitario della struttura che inevitabilmente, essendo presente sulle 24 ore, accoglie direttamente osservazioni, richieste ed impressioni del parente, trovandosi a dovere gestire addirittura contenziosi riguardanti decisioni, azioni e comportamenti del medico di famiglia.

L’intervento sulla predisposizione del Pai è inevitabilmente mediato dal personale della struttura che interpella il medico quando dalla riunione di équipe emergono problemi a rilevanza prevalentemente sanitaria, solo raramente se ne richiede l’intervento per i problemi di carattere prevalentemente assistenziale in quanto,  proprio per quanto sopra esposto, difficilmente il medico è in grado di dare risposte. Ma quando si parla di una persona anziana, fragile, con polipatologia e bisogni multipli, il limite fra ciò che è di competenza sanitaria e ciò che riguarda l’assistenza è molto sfumato.

La mancanza di una presenza medica continuativa (attiva o reperibile) sulle 24 ore, con funzione di cura, condiziona inoltre la possibilità di gestire situazioni con carattere di urgenza od emergenza, o di marcata instabilità clinica. Secondo le attuali norme regionali è possibile che nelle strutture residenziali manchi il medico, e addirittura anche l’infermiere professionale, per alcune ore al giorno, in ogni caso durante la notte e nei giorni festivi è necessario fare ricorso ai servizi di urgenza-emergenza territoriale (continuità assistenziale, 118), il medico che interviene in queste situazioni non conoscendo il paziente, spesso molto complesso, e non potendone seguire il decorso propone nella maggior parte dei casi un ricovero ospedaliero. Anche una temporanea condizione di elevata instabilità clinica, pur in assenza di elementi di reale urgenza, rende il trasferimento in ospedale quasi obbligatorio per garantire chi necessita di un monitoraggio costante, le necessarie prestazioni sanitarie, ed è purtroppo ben noto come un periodo di ospedalizzazione possa creare non pochi problemi legati all’instaurarsi di una sindrome da immobilizzazione in un paziente anziano e fragile.

In conclusione molto è stato fatto dal 1995 quando la Dgr n. 41 ha imposto la presenza di un responsabile sanitario, preferibilmente geriatra, nelle Rsa. La Dgr n. 47 del 1998 ha sancito l’accordo per l’attività di assistenza sanitaria dei medici di medicina generale agli ospiti in Rsa e Raf della Regione Piemonte, e la Dgr n. 17 del 2005 ha coinvolto il medico di medicina generale nella predisposizione del Pai.

Un’organizzazione di questo tipo può tutelare l’ospite garantendo una doppia verifica delle prestazioni rese fra struttura e medico convenzionato con l’Asl a prezzo però di una “divisione della cura”. In ogni singola realtà, in base alle risorse umane disponibili, la responsabilità sanitaria della struttura e la responsabilità sanitaria del singolo medico sulla cura dell’ospite sono state definite in modo più o meno preciso a discapito della  presa in carico globale della persona.

È quindi necessaria una sempre maggiore integrazione fra le diverse figure sanitarie che intervengono nelle Rsa affinché l’attività medica divenga davvero «una presa in carico sia della salute che della malattia, quindi del percorso fisiopatologico che lega malattia e disabilità, con attuazione di programmi di terapia che si integrano con i programmi di sostegno globale alla persona attuati dalla équipe di cura. Il medico non interviene ad aggiustare il guasto, ma è corresponsabile della qualità di vita e di cura del residente nella struttura» (dalle Linee guida della Società italiana di gerontologia e Geriatria per le Rsa).

 

 

il punto di vista del medico di famiglia

EMILIO CHIODO **

 

Ho letto con grande attenzione il lavoro della dottoressa Laura Bert su quelli che sono alcuni punti di “contrasto” tra  le rispettive competenze nell’esercizio professionale all’interno delle Rsa e Raf (Residenze assistenziali e flessibili). Sicuramente direttore sanitario e medico di famiglia non sono aiutati dalla presenza di una legislazione univoca e dirimente. Tale affermazione non deve stupire in quanto, nei più svariati ambiti, il legislatore regionale pare non voler tenere conto di quanto prescritto da quello nazionale, ignorando una gerarchia delle fonti che dovrebbe sempre essere tenuta presente.

Com’è notorio il paziente è affidato dal Servizio sanitario nazionale al medico di famiglia che ne ha dunque la responsabilità giuridica per quanto riguarda gli aspetti clinico terapeutici.

Ben altro conto sono gli aspetti organizzativi e gestionali (reperimento farmaci, assistenza infermieristica, assistenza operatori socio-sanitari, assistenza riabilitativa e quant’altro), che sono affidati al direttore sanitario della struttura.

È evidente come tra i due soggetti vi debba essere una buona collaborazione al fine di garantire una cosiddetta “gestione globale” dell’ospite-paziente.

Sicuramente questa è un’affermazione di principio ma è bene partire proprio dai principi per evitare discussioni filosofiche o di scarso ritorno pratico.

Sarebbe bene tener conto del fatto che il medico di famiglia è presente per un numero ristretto di ore (com’è giusto che sia, in caso contrario si tratterebbe di un ospedale) e che delle varie attività svolte all’interno della struttura dovrebbe essere messo al corrente solo di quelle che incidono sulle decisioni terapeutiche non potendo lo stesso essere dotato del dono dell’ubiquità.

È evidente come tali notizie debbano e possano essere filtrate proprio dal direttore sanitario che ne ha il ruolo e le competenze specialistiche.

Che il medico di famiglia abbia un rapporto privilegiato proprio con tale figura, oltrechè con la caposala e/o l’infermiere professionale non è solo normale ma auspicabile e dovuto.

Con le restanti figure professionali (psicologi, fisioterapisti, operatori socio-sanitari, ecc.) la collaborazione consiste nel ricevere notizie, anche scritte, esattamente come accade per qualsiasi consulenza e, solo in caso di dubbi, il prudente contatto personale. Tale dinamica è peraltro prassi comune anche all’interno dei reparti ospedalieri.

Nulla vi è da dire sui rapporti coi pazienti cui il medico dovrà fornire le informazioni dovute nei limiti previsti dalla legge.

Per i pazienti che non siano dichiarati incapaci si ricorda come le informazioni ed il consenso non possano passare dall’interpretazione dei familiari a meno che non sia il paziente medesimo ad autorizzarne l’informativa e, sotto questo profilo, mi pare che questa sia la situazione che normalmente ac­cade.

Che i pazienti creino dei canali non istituzionalizzati (infermiere professionale, operatore socio-sanitario, ecc.) per ottenere informazioni è malvezzo evitabile solo con la negazione dei dati sensibili malgrado ciò possa sicuramente provocare delle intolleranze.

Una serie di ottemperanze previste dalla legislazione regionale, solo parzialmente accolta dagli accordi regionali delegati dallo Stato alle regioni ed alle rappresentanze dei medici di famiglia (ciò spiega la diversità legislativa tra le regioni) devono essere applicate, sempre tenendo conto del contesto generale disegnato nell’accordo nazionale per la medicina di famiglia.

La riunione mensile esplicitamente prevista tra la direzione sanitaria ed i medici di medicina generale deve rappresentare momento formativo e di scambio di notizie cliniche utili al miglioramento dell’assistenza medica. In queste riunioni possono farsi confluire i Pai, magari esposti da un “coordinatore delegato”(potrebbe essere lo stesso direttore sanitario) non potendosi pretendere la presenza del medico ad ogni riunione per ogni ospite negli orari più disparati. In altri termini l’organizzazione deve tenere conto delle disponibilità del medico al pari di quelle dei professionisti che operano nella Rsa.

Da medico legale non ho alcun problema a dichiarare come le linee guida siano strumenti a disposizione del clinico e non ordini di servizio, né tantomeno direttive di legge. È notorio come tutte le Società scientifiche ne producano in abbondanza e come vi siano spesso contraddizioni tra le diverse indicazioni. In altri termini non si tratta di affermare la preminenza del geriatra rispetto il medico di famiglia, bensì di organizzare il servizio tenendo conto, al di là delle filosofie politiche, di alcuni fatti incontestabili:

- la responsabilità della diagnosi e terapia ricade in via esclusiva sul medico di famiglia;

- la responsabilità organizzativa ricade in via esclusiva sul direttore sanitario della struttura;

- ogni altro professionista si assume la propria personale responsabilità negli atti che la legge gli delega;

- non si può pretendere che ogni riunione sia un’oceanica sede di discussione, dovendosi ovviamente mediare le istanze che arrivano al clinico. In questo è grande il ruolo del direttore sanitario.

Personalmente non sono convinto che l’assistenza e la competenza medica sfumino facilmente una nell’altra ma, almeno in questo, mi si permetta di essere in disaccordo con l’amica e collega.

 

(1) Si veda la lettera della Fimmg, riportata nell’articolo “Polemica Csa - Medici di medicina generale sulle cure sanitarie per i degenti nelle Rsa”, Prospettive assistenziali, 123, 1998.

(2) Cfr. Pierantonio Visentin, “Residenze per anziani non autosufficienti: la tutela della salute e della sicurezza compete al Servizio sanitario nazionale”, Ibidem, 131, 2000.

* Medico geriatra, direttore sanitario della Rsa Senior Residence di Torino.

** Medico di medicina generale.

 

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