Prospettive assistenziali,
n. 161, gennaio-marzo 2008
ADOZIONE APERTA? Sì O NO?
Luigi Fadiga *
1. Ho molto apprezzato l’invito dell’onorevole Presidente di centrare
l’intervento sull’interrogativo riportato nel titolo. Esso
infatti ci obbliga a riflettere su una questione ricca di implicazioni
giuridiche e metagiuridiche, tutte attuali e tutte
con importanti ricadute sulla vita del minore. Per di più, esso ha un carattere
generale, e prescinde da sperimentazioni locali che hanno avuto un
considerevole successo di immagine ma che a mio
giudizio e come cercherò di dire meglio più oltre, sono fortemente condizionate
dal contesto in cui sono sorte e si sono sviluppate.
Sono necessarie
tuttavia alcune premesse terminologiche. La nostra tradizione giuridica ignora
il termine di adozione aperta, come pure il suo opposto
logico di adozione chiusa. Conosce invece da tempo due tipi di
adozione, che hanno assunto di volta in volta denominazioni diverse. Si
è parlato infatti di adoptio plena in contrapposizione alla adoptio minus quam plena, di adozione
speciale in contrapposizione all’adozione ordinaria, ed infine di adozione
legittimante in contrapposizione alla non legittimante e alla cosiddetta
adozione in casi particolari. La distinzione non è solo nostrana. A livello
internazionale si parla infatti di full adoption in
contrapposizione alla simple adoption.
Come si vede, fra le
coppie di denominazioni vi è un salto qualitativo: a livello semantico, la
prima adozione è migliore della seconda. In tutti questi casi
infatti, al primo termine corrisponde un’adozione che attribuisce al
minore adottato la pienezza dello stato di figlio, facendo sorgere un legame di
filiazione per l’appunto “pieno” e irrevocabile, del tutto uguale a quello
della filiazione biologica (si è figli per sempre, senza condizioni sospensive
o risolutive). La seconda invece ammette la revoca, e dà luogo a un rapporto di filiazione debole, molto meno completo di
quello della prima. Si tratta insomma di un’adozione precaria.
Come è noto, il nostro legislatore già
da quarant’anni ha scelto come normale per l’adozione
dei minori il regime dell’adozione piena (o adozione legittimante), lasciando
sussistere l’adozione minus quam plena solo in via residuale, in quanto meno rispondente
all’interesse del minore.
2. Chiarito questo, e passando al
tema, possiamo intendere in via di prima
approssimazione per adozione aperta quella dove il minore adottato conserva in
vario modo e misura rapporti e relazioni con figure significative della sua
precedente situazione familiare. L’accezione traduce letteralmente il termine
anglosassone open adoption,
oggetto di lunghi dibattiti e di esperienze concrete
in particolare negli Stati Uniti (1), dove era ed è proposta e consigliata come
alternativa all’aborto nel caso di gravidanze indesiderate. È interessante
notare che è stata individuata una correlazione tra open adoptions e private or independent adoptions,
vale a dire tra adozioni aperte e adozioni realizzate per il tramite di privati
intermediari. Queste ultime, che in molti Stati dell’Unione non sono vietate,
permettono talora ai genitori biologici di scegliere essi stessi la famiglia
adottiva per il loro figlio e di concordare un regime di visita post-adozione
(2). Il rischio di pattuizioni contrarie all’interesse del minore e inquinate
da uno scopo di lucro è macroscopico.
Con riferimento al nostro diritto positivo
(dove le private pattuizioni costituiscono reato), va subito detto che il
mantenimento in vario modo e misura di rapporti tra il minore adottato e la sua
famiglia di origine può verificarsi in tutte le forme di adozione menzionate
più sopra. Certamente può accadere nell’adozione cosiddetta ordinaria o minus quam plena, e certamente nell’adozione in casi particolari,
dove il legame di filiazione con i genitori biologici non viene
rescisso ed anzi il minore adottato conserva il cognome originario. Ma anche
nell’adozione legittimante così come attualmente
disciplinata dalla legge 1983 n. 184 ciò è possibile. È accaduto ed accade nei
casi di adozioni di minori già grandi e in età
scolare, dove i giudici si trovano di fronte al problema di non troncare i
rapporti fra minore adottato ed altre figure significative della cerchia parentale allargata (per esempio, un’anziana nonna),
impossibilitate a prendersene cura ma tuttavia a lui care e ben presenti nel
suo ricordo. Ed è avvenuto anche quando le stesse
figure genitoriali, pur se abbandoniche,
erano state interiorizzate dal minore, e risultava per lui dannosa e
colpevolizzante la prospettiva di non doverle mai più incontrare.
La giurisprudenza (3), distinguendo tra rapporti
giuridici e relazioni interpersonali, ha più volte ammesso nell’interesse
preminente del minore la possibilità di contatti dell’adottato
con persone della precedente famiglia, sia pure con determinate cautele e
previo accertamento della disponibilità e della cooperazione della famiglia
adottiva. Ciò si è verificato ad esempio in casi di affidamento
familiare ex articoli 2 e seguenti legge 184/1983 poi sfociati, per
sopravvenuto abbandono, nella dichiarazione di adottabilità del minore e nella
successiva adozione da parte degli stessi affidatari. Durante l’affidamento
familiare costoro, come prescrive l’articolo 5 della legge 184/1983, avevano mantenuto regolari contatti con i parenti del
minore, e si erano dichiarati disponibili al mantenimento dei rapporti, se
positivi per il minore e con la collaborazione dei servizi sociali. In altro
caso (4) si trattava di un bambino di sette anni all’epoca della decisione
definitiva di adottabilità, in stato di abbandono per
la gravissima ma del tutto incolpevole inadeguatezza genitoriale,
per il quale il Servizio sociale aveva fatto presente l’opportunità che i
contatti con la madre naturale non venissero in futuro totalmente preclusi. I
giudici, premesso che il consentire una eventuale
frequentazione futura del minore con il nucleo d’origine non postula il
permanere di rapporti giuridici, hanno concluso che tale possibilità non viola
il disposto dell’art. 27 ultimo comma legge 184/1983, potendo essere assimilata
alla frequentazione con qualsiasi altra figura positiva della vita passata. Si
obietta che si tratta di decisioni così scarse da poter essere definite
eccezionali (5): ma non risulta che siano state
impugnate né riformate. Esse dunque costituiscono una corretta interpretazione
della norma, e sono da considerare pienamente legittime. Le ragioni della loro
scarsità vanno dunque ricercate altrove, nella carente professionalità di molti
servizi e purtroppo di non pochi giudici minorili.
Altre decisioni sembrano seguire un criterio più
restrittivo, pur non escludendo in linea di principio la possibilità di
contatti se ciò corrisponde al superiore interesse del minore. Così non è stato
consentito il ristabilimento di contatti fra tre minori adottabili, già in
affidamento preadottivo, e due loro
fratelli maggiorenni che chiedevano di poterli incontrare, ritenendosi
necessario nel caso concreto tutelare i minori adottabili «da ogni interferenza lacerante che richiami il loro triste passato ed
incida negativamente sulla serenità della loro nuova vita» (6).
Non esiste dunque contraddizione in termini fra adozione
aperta e adozione legittimante, essendo consentito al giudice prevedere
contestualmente alla pronuncia di adozione il
mantenimento di certe relazioni interpersonali tra il minore adottato e figure
significative della sua situazione precedente.
3. Detto questo, va fatta un’altra
importante precisazione. Alla domanda “adozione aperta, sì o no?” può essere data una risposta giuridicamente corretta solo facendo
riferimento al criterio guida dell’interesse preminente del minore. L’articolo
21 della Convenzione dell’Onu
sui diritti del fanciullo stabilisce infatti che «gli Stati parti che ammettono o autorizzano
l’adozione si accertano che l’interesse superiore del fanciullo sia la
considerazione fondamentale in materia», e gli articoli 1 e 4 della
Convenzione de L’Aja sull’adozione internazionale
ribadiscono tale principio ampliandone il campo di applicazione all’ambito
dell’adozione internazionale.
Di conseguenza, l’intera materia
dell’adozione dei minori è oggi regolata in Italia dal principio suddetto, al
quale il nostro legislatore si è vincolato sottoscrivendo prima, e ratificando
poi, entrambi gli strumenti internazionali sopra richiamati, che nel nostro
ordinamento giuridico sono ormai pienamente operanti e vincolanti a seguito
dell’impegno internazionale liberamente assunto con le leggi di ratifica. E basti citare al riguardo la sentenza 1/2002 della Corte costituzionale.
E dunque, la risposta alla domanda “sì o no” deve
necessariamente tener conto di un’altra domanda: “adozione
aperta, perché?”. La risposta al primo quesito potrà essere positiva
solo se la risposta al secondo sarà stata nel senso che l’adozione aperta è
necessaria per l’interesse del minore.
4. I sostenitori
dell’adozione aperta (ed il disegno di legge 1007/Senato che la propone)
affermano che per il bambino in difficoltà familiari esistono nell’attuale
sistema tre diversi percorsi (l’aiuto alla famiglia; l’affidamento familiare;
l’adottabilità e l’adozione). Questi percorsi avrebbero il grave limite
di trascurare completamente e di lasciare prive di risposta le cosiddette zone
grigie, e cioè le «situazioni
di carenza della famiglia solo parziale ma permanente» (7), che dà luogo a
uno stato di «semiabbandono permanente»
del minore. In tale situazione si troverebbe «la quasi totalità dei bambini istituzionalizzati e una parte non
modesta di quelli che sono in affidamento familiare», per i quali non è
possibile la dichiarazione di adottabilità mentre le
possibilità di rientro in famiglia sono praticamente nulle (8).
Per sopperire alla denunciata carenza
normativa, si propone il modello dell’adozione aperta, alla quale si
perverrebbe previa una dichiarazione di semiabbandono permanente, emessa dal
giudice a conclusione di un procedimento simile a quello previsto per
l’accertamento dello stato di abbandono e la dichiarazione di adottabilità (9).
Successivamente il giudice potrebbe procedere
all’affidamento preadottivo regolamentando in pari
tempo i rapporti del minore con la famiglia di origine. All’esito positivo dell’affidamento seguirebbe l’adozione, con effetti
non legittimanti e con mantenimento dei rapporti con la famiglia di origine
secondo quanto stabilito. Questi rapporti tuttavia potrebbero essere interrotti
per ordine del giudice in caso di fatti sopravvenuti pregiudizievoli per il
minore, con successiva «conversione
dell’adozione aperta in adozione legittimante»
(articolo 28 sexies).
5. Su queste premesse, le esigenze
da cui muove la proposta di adozione aperta sembrano
diverse e assai lontane da quel superiore interesse del fanciullo che, a norma
dell’articolo 21 della Convenzione Onu, deve essere
la considerazione fondamentale in materia di adozione.
Non c’è dubbio che esistano zone grigie: si potrebbe anzi
dire che tutta la materia dell’abbandono (o meglio:
della mancanza di assistenza morale e materiale) è una zona grigia. Infinita è
la varietà di situazioni umane in cui il rapporto genitore-figlio si configura
e sempre diversi sono i casi in cui esso scompare o diviene così flebile da
doversi considerare inesistente. L’abbandono allo stato puro non esiste:
nemmeno il bambino trovato nel cassonetto può dirsi abbandonato, perché la
madre può tornare e addurre a giustificazione della
sua condotta una momentanea crisi di sconforto. Nemmeno il minore non
riconosciuto può dirsi abbandonato, perché i genitori possono
comparire all’improvviso affermando di aver mutato parere e di volerlo
riconoscere. Solo l’orfano di entrambi i genitori e
del tutto privo di parenti è certamente abbandonato: ma si tratta, com’è
evidente, di una mera ipotesi di scuola.
La realtà è ben diversa. “Orfani”, oggi, sono i bambini
dimenticati in istituto o in affidamento, sono i bambini gravemente maltrattati
o abusati da genitori indegni o incapaci. Questi bambini non sono in
semiabbandono: sono veri e propri “orfani dei vivi”, come li chiamava Alfredo
Carlo Moro. E spetta al giudice specializzato, con le garanzie di legge e con
lo strumento del processo, tracciare di volta in volta nel caso concreto il
confine tra abbandono e non abbandono: dire cioè se la
privazione di assistenza morale e materiale è permanente o temporanea, dovuta a
forza maggiore o frutto di scelta personale, tale per quantità e qualità da
determinare oppure no uno stato di abbandono cui porre rimedio con la
dichiarazione di adottabilità. E prima di giungere a questa conclusione, lo
stesso procedimento di adottabilità prevede interventi
diretti a sensibilizzare genitori poco consapevoli del loro ruolo e a
sostenerli nelle responsabilità che esso comporta verso i figli.
Attraverso le prescrizioni date dal giudice, e con un
progetto di aiuto e controllo elaborato insieme ai
servizi, le zone grigie si possono e si devono chiarire: in modo che il minore
ottenga il pieno riconoscimento di quel diritto alla famiglia che la
dichiarazione di semiabbandono invece gli dà soltanto precariamente ed in
parte. E in quei casi in cui mancano realmente le condizioni per dichiarare lo
stato di abbandono ma sussiste un’incapacità genitoriale grave, che non consente di progettare il
rientro in famiglia, un affidamento giudiziale che preveda l’apertura della
tutela e il suo conferimento agli affidatari è strumento più che idoneo a
garantire i diritti di tutti i soggetti coinvolti, e del minore in primo luogo.
Di ciò sono consapevoli gli stessi assertori della
cosiddetta adozione mite, quando affermano che un punto centrale di quel
progetto è l’impegno a realizzare la deistituzionalizzazione
entro il 31 dicembre 2006, posto che «nelle
regioni meridionali, a differenza di quelle
centro-settentrionali, vi sono ancora non pochi istituti assistenziali
funzionanti» (11). Ed anche il fenomeno dei «bambini nel limbo», e cioè di quelli in
affidamento familiare da moltissimi anni, è strettamente collegato a
insufficienze o inefficienze dei servizi e dell’intero sistema di protezione
socio-giudiziaria dell’infanzia: come quando l’affidamento viene effettuato
senza un progetto per il ritorno, senza un sostegno alla famiglia di origine,
senza un’attività di vigilanza e guida agli affidatari, senza la prescritta richiesta
al giudice tutelare di rendere esecutivo il provvedimento, senza la vigilanza
del giudice tutelare stesso e del pubblico ministero minorile sugli istituti di
ricovero.
Queste inefficienze strutturali non devono essere fatte
pagare ai bambini. Se vi sono buone ragioni per
ritenere che il minore adottabile abbia necessità di conservare una relazione
con figure della sua storia precedente, ciò è già possibile, è già stato fatto,
e si può fare ancora. Non occorre cambiare più di tanto la legge. Basterebbero,
come sono bastate e bastano in molte zone del paese, politiche assistenziali locali attente alla prevenzione ed al
sostegno, servizi sociali qualificati ed efficienti, magistrati minorili
professionalmente preparati. E in ogni caso, come sottolinea
il documento 24 giugno 2006 dell’Aimmf, sarebbe
necessario «disciplinare meglio la
questione della verifica da parte dei servizi e della magistratura delle
cosiddette situazioni grigie»: in altre parole, riscrivere finalmente il
procedimento di limitazione e decadenza della potestà, introducendovi quelle
garanzie processuali che da tempo ed invano la stessa Aimmf
sollecita.
7. Sarebbe assai azzardato fare
oggi delle previsioni, nel momento in cui, dopo sei anni di proroghe disposte a
colpi di decreti legge, la parte processuale della legge 149 viene
fatta entrare in vigore quasi di soppiatto, fingendo di dimenticare la scadenza
dell’ormai consueto decreto di proroga ma omettendo al tempo stesso di colmare
quelle lacune normative che, a giudizio del governo dell’epoca (e di quello
attuale!), avevano imposto sei anni or sono la sospensione della nuova
disciplina.
Tuttavia, l’interrogativo fondamentale che già oggi si
pone riguarda l’atteggiamento delle procure minorili, uffici che il nuovo testo
costituisce arbitri assoluti e insindacabili della procedura di
accertamento dello stato di abbandono, sia esso pieno o semipieno. È
prevedibile che molti di quegli uffici, non usi ad occuparsi delle competenze
civili e del tutto assorbiti da quelle penali, trascurino le nuove
delicatissime competenze imprudentemente attribuite loro dalla legge 149, e continuino a trattare questa materia con lo stesso
disimpegno del passato. In tal caso, i procedimenti per l’accertamento dello
stato di abbandono subiranno una drastica diminuzione,
e le adozioni nazionali si ridurranno ai pochi casi di minori esposti e non
riconosciuti.
Si dovrà allora concludere che
l’interrogativo “adozione aperta: sì o no” è stato posto troppo tardi. Ma non
sarà mai troppo tardi per denunciare ancora una volta i guasti prodotti da un
metodo di legiferare in tema di adozione e di diritto
minorile che sembra basato più su emozioni del momento e sulla ricerca del
consenso, invece che su meditate riforme costruite in modo tecnicamente
corretto, aventi come unico scopo l’interesse preminente del minore.
* Docente di diritto minorile all’Università Lumsa di Roma, già Presidente della Sezione per i minorenni
della Corte d’appello di Roma. Relazione
tenuta il 16 luglio 2007 al seminario di studio “Adozione e affidamento:
proposte a confronto”, organizzato dalla Commissione parlamentare per
l’infanzia.
(1) Per un’interessante rassegna della letteratura
anglosassone sul problema, vedere W. L. Pierce, Open Adoption, in C. Marshner
e W. L. Pierce
(Eds.), Adoption Factbook, III, p. 233-238, National Council for Adoption, Washington, DC, 1999. Vedere anche per ulteriori
indicazioni il sito www.openadoption.org.
(2) vedere
però a questo proposito il sito http://www.exiledmothers.com/open_adoption/
(3) Tribunale per i minorenni di Roma, 16 gennaio
(4) Tribunale per i minorenni di Roma, 5 luglio
(5) F. Occhiogrosso,
“L’adozione mite e le nuove prospettive emergenti”, in A. Giasanti,
E. Rossi (a cura di), Milano, 2007, 106.
(6) Corte di appello di Torino, 28 febbraio
(7) cfr. Relazione al
disegno di legge 1007/Senato.
(8) Op. cit.
(9) Il disegno di legge (articolo 28 quater) non
chiarisce se la dichiarazione di semiabbandono possa essere emessa al termine
di un procedimento aperto per la dichiarazione di adottabilità, né se possa
accadere il contrario.
(10) Fadiga, “Un giudice
che non c’è:
(11) Occhiogrosso, op. cit., 93.
www.fondazionepromozionesociale.it