Prospettive assistenziali,
n. 161, gennaio-marzo 2008
COME AFFRONTARE IN MODO EFFICACE LE QUESTIONI RELATIVE AL “DURANTE E DOPO DI NOI”
MARIA GRAZIA BREDA *
Solo il diritto può tutelare i
più deboli
Intervengo a nome della Fondazione promozione
sociale e del Csa, Coordinamento sanità e assistenza
tra i movimenti di base, le cui esperienze sono descritte nei libri che avete
in cartellina: A scuola di diritti e Il volontariato dei diritti.
L’impostazione del volontariato dei diritti parte da un dato molto
semplice: solo il diritto ci tutela come persone; per cui
a maggior ragione, più un soggetto è debole, più dovrebbe contare su diritti
certi ed esigibili. L’azione della Fondazione e del Csa
mira quindi ad
ottenere che siano approvate leggi e
delibere che, per assicurare diritti esigibili alle persone non in grado di
autodifendersi, devono però soddisfare tutti i requisiti indicati da Carapelle, D’Angelo e Santanera
nel libro A scuola di diritti e cioè
definire in modo chiaro: gli aventi diritto, i soggetti che devono fornire il
servizio, il contenuto degli interventi erogati, le modalità organizzative, il
luogo di erogazione dei servizi e di presentazione delle relative istanze, i
tempi, i costi. Infine, il diritto è esigibile solo se non è condizionato alle
risorse disponibili e se il diretto interessato, qualora sia respinta la sua
richiesta, ha la facoltà di ricorrere.
Esempio di diritto esigibile
Esempi di diritto esigibili nel campo degli emolumenti economici
riconosciuti alle persone in situazione di handicap sono la pensione di invalidità e l’indennità di accompagnamento, mentre sul
piano delle prestazioni esigibili ricordo il diritto soggettivo alle cure
sanitarie e quello all’integrazione scolastica. Certamente non mancano i
problemi per quanto riguarda la qualità delle prestazioni e molto si deve ancora
conquistare soprattutto per chi ha maggiori difficoltà. Tuttavia la riflessione
che propongo oggi parte dalla constatazione del fatto
che il diritto all’integrazione scolastica è esigibile in tutto il nostro Paese
e i genitori di un bambino con handicap, anche intellettivo e in situazione di
gravità, hanno la certezza che, al compimento dei sei anni, il loro figlio
verrà iscritto nella scuola del quartiere in cui abita, come tutti gli altri
bambini della sua età. Se la scuola rifiuta il suo inserimento
la famiglia ha la possibilità di ricorrere in giudizio e, anche se questo è un
percorso che non auguriamo a nessuno, è tuttavia una strada percorribile, se
necessaria.
Con l’introduzione dell’obbligo formativo (articolo 68
della legge 144/1999, oggi recepito dalla legge 53/2003 e dal successivo
decreto legislativo 17 ottobre 2005) il percorso scolastico-formativo
è assicurato fino al compimento dei 18 anni anche per le persone con handicap
intellettivo con limitata o nulla autonomia, oggetto del nostro convegno.
Terminato l’obbligo formativo, queste persone se non avviabili
al lavoro a causa della gravità delle loro condizioni, avrebbero diritto
all’assistenza, ai sensi del primo comma dell’articolo 38 della
Costituzione, in quanto inabili e sprovvisti dei mezzi necessari per vivere. Purtroppo
non è sempre così.
Le gravi carenze in fatto di
diritti esigibili del settore socio-assistenziale
Le famiglie, comprese quelle adottive e affidatarie, scoprono molto presto
che per i loro figli handicappati intellettivi con limitata o nulla autonomia,
nel settore socio-assistenziale, a differenza di quanto avviene nella scuola,
non ci sono prestazioni certe, ma interventi
discrezionali:
• ogni territorio ha le sue regole; quasi sempre
la risposta che viene data dai servizi socio-assistenziali – spesso dopo lunghi
mesi di attesa – è inferiore alle richieste dell’interessato e della sua
famiglia;
• spesso gli interventi non sono predisposti sulla base del bisogno
dell’utenza, ma limitatamente alle risorse disponibili, decise di anno in anno dalle amministrazioni;
• sovente è negata la frequenza a tempo pieno del centro diurno, anche
quando ciò è indispensabile per permettere ad entrambi i genitori di continuare
a lavorare;
• quasi sempre non sono considerati diritti
esigibili soggiorni per brevi periodi durante l’anno sia per assicurare alla
famiglia un periodo di riposo, sia per favorire nuove esperienze socializzanti
al figlio;
• rari se non nulli sono i momenti di “tregua” che prevedono l’ospitalità
in comunità alloggio del figlio per il fine settimana, o almeno qualche volta al mese, sia per permettere alla famiglia di vivere la
dimensione di coppia e il tempo libero con gli altri eventuali figli, sia per
favorire il di-stanziamento, così come lo ha definito Francesco Belletti del Cisf (Centro internazionale studi famiglia), che propone «l’attivazione di percorsi di
accompagnamento alla famiglia, nell’elaborare questo suo poter essere
trampolino di lancio per l’uscita del figlio». Ne consegue, secondo Belletti, che la questione del “dopo di noi” deve
essere «avviata in anticipo rispetto
all’emergenza del momento in cui i genitori non ce la fanno più» (1);
• molti enti locali chiedono alle famiglie di contribuire anche al
pagamento delle prestazioni socio-assistenziali (mensa e trasporto per il
centro diurno, parte della retta di ricovero in comunità alloggio), benché i
decreti legislativi 109/1998 e 130/2000 abbiano confermato che è solo il
diretto interessato maggiorenne (e non i familiari) che deve contribuire in
base alla sua situazione economica (redditi e beni). Ovviamente se l’utente del
centro diurno ha le risorse economiche sufficienti
dovrà contribuire. Ma non si può certo accettare che gli enti gestori dei
servizi chiedano contributi ai soggetti con handicap intellettivo non avviabili al lavoro, che per vivere devono
contare solo sulla vergognosa pensione di 253 euro al mese erogata dallo Stato.
Perché abbiamo indetto il convegno solo in merito alle
persone con handicap intellettivo con limitata o nulla autonomia
Abbiamo ritenuto di limitare questo momento di riflessione alle persone con
handicap intellettivo in situazione di gravità, perché si tratta di persone ad
alto rischio di esclusione sociale: a causa della
mancanza di servizi esigibili o finiscono per restare a totale carico della
famiglia o sono ricoverati anzitempo, proprio perché diventa insostenibile per
la famiglia provvedervi a lungo senza aiuti esterni.
Al contrario, è ormai dimostrato che la presenza concreta di prestazioni
alternative al ricovero (aiuti domiciliari, centri diurni, affidamenti diurni, attività sportive, soggiorni, periodi di tregua e
sollievo) favoriscono il mantenimento a casa del figlio con handicap, benché
grave, anche a lungo nel tempo.
I nostri punti di riferimento, i
risultati ottenuti
Propongo come pista di riflessione la nostra esperienza perché, dopo
trentasette anni di attività, possiamo trarre un primo
bilancio del volontariato che opera per la promozione dei diritti e affermare, sulla base delle leggi e
delibere ottenute, che il convegno affronta un tema che può trovare una
traduzione concreta da parte delle istituzioni pubbliche.
È necessaria quindi una breve premessa per riassumere sinteticamente come
abbiamo impostato il problema generale dell’integrazione sociale delle persone
in situazione di handicap e degli interventi specifici per chi ha un handicap intellettivo.
Innanzitutto la nostra attività è rivolta in primo luogo nei
confronti del Parlamento proprio al fine di ottenere leggi che sanciscano il
diritto esigibile su tutto il territorio nazionale. Ovviamente questo richiede
molto tempo e non sempre si raggiunge lo scopo. Per questo agiamo altresì nei
confronti delle Regioni, che hanno poteri legislativi e possono quindi
anticipare le norme nazionali. Infine, non tralasciamo di coinvolgere i Comuni
singoli o associati che, a loro volta, possono riconoscere il diritto esigibile
mediante proprie deliberazioni. I nostri punti di riferimento per impostare le
richieste agli enti perché si traducano in leggi e delibere sono i seguenti:
1. stabilire la natura della minorazione: handicap o malattia? Per assicurare all’interessato il
diritto esigibile alle prestazioni è fondamentale stabilire se la natura della
minorazione è di origine organica o se è conseguente
ad una patologia invalidante in atto. Nel primo caso, in base alle norme
vigenti, sono i Comuni singoli o associati obbligati, come vedremo, a intervenire, mentre nei confronti di persone affette da
malattie croniche invalidanti è il Servizio sanitario nazionale. Questa impostazione è peraltro
confermata anche dall’Oms, Organizzazione mondiale della sanità, che nella definizione raggruppata
sotto la sigla Icdh-2, distingue nettamente tra handicap e malattia e,
conseguentemente, affida ai rispettivi enti la titolarità di cui sono
responsabili in base alle norme vigenti;
2. definire l’ente tenuto ad intervenire per legge. Definire la titolarità dell’ente
tenuto ad intervenire non è quindi questione di poco conto, neppure per il
cittadino/utente, che per poter vantare un diritto esigibile ed eventualmente
agire contro l’ente che non vi provvede, deve sapere esattamente contro chi deve intentare causa ed essere certo che, in base alla
normativa vigente, sia obbligato ad intervenire.
In base alla suddetta impostazione ci siamo rivolti (e ci rivolgiamo):
• al Servizio sanitario nazionale e alle Asl per ottenere il diritto alle cure sanitarie e le
prestazioni socio-sanitarie per i soggetti affetti da
malattie croniche invalidanti, comprese
le persone che presentano oltre alla patologia (psicosi, gravi forme di
epilessia, complicazioni respiratorie gravi) anche insufficienza mentale, come
previsto dall’art. 54 della legge 289/2002, che ha reso legge il decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001 “Definizione dei livelli
essenziali di assistenza” (Lea). Ad esempio abbiamo chiesto e ottenuto (benché
ci siano voluti 12 anni) l’apertura da parte dell’Asl 3 di Torino, in locali messi a disposizione dal
Comune di Torino, di due comunità alloggio a totale gestione sanitaria,
organizzate in due nuclei da 8 posti letto, per il ricovero e la cura di
soggetti con handicap intellettivo associato a rilevanti problemi sanitari
(epilessia, gravi osteoporosi, problemi respiratori). Le attività sanitarie
sono gestite direttamente dall’Asl, mentre quelle di assistenza tutelare alla persona sono state affidate ad
una cooperativa sociale;
• al Parlamento, alle Regioni, alle Province
autonome di Bolzano e Trento, ai Comuni singoli e associati perché siano
garantiti:
a) il diritto
all’accesso ai servizi sociali primari, predisposti per gli altri cittadini,
anche a tutti i soggetti in situazione di
handicap: sanità, scuola, formazione
professionale, lavoro, trasporti, tempo libero, sport, cultura. Tutti i settori
devono quindi prevedere risorse e personale che assicurino il diritto alle
prestazioni sociali anche per le persone in situazione di handicap. Abbiamo
così ottenuto:
n dall’Assessorato ai servizi
educativi (e non dall’assistenza) il
servizio di consulenza educativa domiciliare istituito per accompagnare la
famiglia e il bambino con handicap dalla nascita all’inserimento a scuola oltre
all’integrazione scolastica assicurata in ogni ordine e grado a partire dal
nido e dalla scuola materna;
n piani
comunali per l’eliminazione delle barriere architettoniche;
n diritto
al trasporto mediante taxi e mezzi attrezzati gestito ora dall’assessorato ai
trasporti;
n avvio
di corsi prelavorativi, nell’ambito delle normali
attività di formazione professionale, per allievi con handicap intellettivo,
medio o medio-grave, non in grado di frequentare con
profitto i normali corsi di formazione professionale, ma con potenzialità
lavorative. Grazie all’intesa siglata tra il Csa e il
Comune di Torino, Assessorato alla formazione professionale, i corsi prelavorativi hanno portato alla progressiva chiusura dei
centri speciali e al finanziamento da parte della Regione, Assessorato alla
formazione professionale, dei corsi prelavorativi,
che oggi sono presenti in tutte le Province del Piemonte;
n attività
rivolte all’inserimento lavorativo delle persone in situazione di handicap,
compreso quello di natura intellettiva, con capacità lavorative anche ridotte. L’Assessorato
al lavoro (e non l’assistenza) ha assunto delibere in merito prima ancora
dell’entrata in vigore della legge 68/1999. Grazie
alle iniziative assunte nei confronti dell’amministrazione comunale di Torino
abbiamo ottenuto l’assunzione di oltre 500 persone con handicap intellettivo
e/o fisico con limitata autonomia;
b) il diritto a prestazioni
socio-assistenziali per le persone che sono inabili al lavoro
e sprovviste dei mezzi necessari per vivere. Tra queste
rientrano anche i soggetti
con handicap intellettivo con limitata o nulla autonomia, che al
termine del percorso scolastico-formativo sono
dichiarati dai competenti centri provinciali per l’impiego non occupabili (2).
Per quanto riguarda il settore socio-assistenziale abbiamo ottenuto dal
Comune di Torino, ma anche da molti altri enti gestori dei servizi
socio-assistenziali della Provincia di Torino, delibere che prevedono:
n prestazioni
socio-assistenziali per persone o nuclei in difficoltà: aiuti domiciliari e
altre forme di assistenza, compresa quella economica;
n sostegno
alle famiglie d’origine con minori, promozione dell’affidamento familiare e
dell’adozione di minori anche con gravi handicap;
n centri
diurni per i soggetti con handicap intellettivo con limitata o nulla autonomia
non avviabili al lavoro;
n comunità
alloggio di tipo familiare. Nella Città di Torino non ci sono al momento liste
d’attesa, anche per quanto concerne i centri diurni (3);
n il pagamento delle prestazioni
socio-assistenziali calcolato limitatamente alla situazione degli interessati,
con esclusione dei parenti, come previsto dai decreti legislativi 109/1998 e
130/2000, sia per le persone handicappate in situazione di gravità, che per gli
anziani cronici non autosufficienti;
n il
riconoscimento
Due aspetti su cui proponiamo una
riflessione in più
a) valorizzare
il volontariato intrafamiliare piuttosto che incentivare
l’assistenza totale alla famiglia. Il Csa ha
assunto come riferimento le proposte di deliberazione pubblicate
dalla rivista Prospettive assistenziali (4).
Per ora solo il Cisap, Consorzio socio-assistenziale
dei Comuni di Collegno-Grugliasco (Torino) ha
deliberato il riconoscimento di un contributo forfetario a sostegno delle
maggiori spese sostenute dalla famiglia per il mantenimento del figlio
handicappato intellettivo con limitatissima o nulla autonomia, a cui viene
comunque assicurato il diritto alla frequenza a tempo pieno del centro diurno
assistenziale. Merita sottolineare che, come molto
bene viene descritto nella delibera che trovate in cartellina, oltre ai
benefici per il diretto interessato, è conveniente sul piano economico anche
per il Consorzio socio-assistenziale rispetto ai costi che dovrebbe sostenere
con un ricovero anticipato della stessa persona. Dal Comune di Torino, invece,
abbiamo ottenuto il riconoscimento di un contributo forfetario alle famiglie
che accolgono presso di sé anziani cronici non autosufficienti.
Non aiutano, invece, ad avviso del Csa e come si
sostiene nel
numero 158 della rivista Prospettive assistenziali (5), le
proposte di legge che puntano ad incentivare l’assistenza familiare totale dei
soggetti con handicap in situazione di gravità. Ad esempio la proposta di legge
n. 1902 concernente “Norme in materia previdenziale in favore di lavoratori e
lavoratrici con a carico familiari gravemente
disabili” presentata dall’On. Belillo ed altri, in
assenza del diritto esigibile ad interventi di aiuto domiciliare e del diritto
alla frequenza dei centri diurni assistenziali finisce per scaricare ancora una
volta il peso dell’assistenza sulle spalle della famiglia, deresponsabilizza le
istituzioni, già inadempienti, e distoglie risorse che non verranno più
impiegate per realizzare i servizi territoriali;
b) Superare le criticità
dell’integrazione socio-sanitaria con un atto regionale. Molte delle
suddette prestazioni del settore socio-assistenziale rientrano nei Livelli
essenziali di assistenza (Lea) ovvero nell’area
dell’integrazione socio-sanitaria. La nostra posizione è sempre stata assai
critica, perché l’unico
dato certo è che l’integrazione socio-sanitaria ha sicuramente provocato una
riduzione dei diritti dei cittadini malati cronici non autosufficienti. Per
quanto riguarda in specifico i soggetti con handicap intellettivo che necessitano di interventi assistenziali domiciliari, diurni
o residenziali, riteniamo che l’integrazione socio-sanitaria sia stata finora
soprattutto un elemento di conflittualità tra gli enti gestori dei servizi
socio-assistenziali e le Asl.
Vi è quindi l’esigenza di eliminare «i
nefasti effetti delle reciproche interferenze fra Asl
e Comune (…) assegnando al Servizio
sanitario nazionale piena competenza in materia sanitaria, come peraltro
prevede la legge n. 833/1978, ed ai Comuni la totale giurisdizione in merito
alle attività socio-assistenziali. Di conseguenza, a ciascuno dei suddetti enti
potrebbe essere attribuita la totalità dei finanziamenti relativi
ai servizi di propria competenza, evitando l’attuale stortura per cui
dette erogazioni sono assegnate per le stesse attività in parte alle Asl ed in parte ai Comuni. Ad esempio, se ai Comuni venisse erogato dalla Regione uno stanziamento complessivo
riguardante le comunità alloggio e i centri diurni per i soggetti con handicap
intellettivo, si eviterebbe che i Comuni stessi siano costretti ad intavolare
trattative spesso lunghe e defatiganti con le Asl per
ottenere il versamento della cosiddetta quota sanitaria. Si eliminerebbero,
inoltre, le odierne inevitabili e ingiustificate differenze da zona a zona
dell’ammontare delle quote sanitarie e sociali» (6).
Come siamo
intervenuti nell’urgenza applicando le norme vigenti
I tempi per ottenere leggi e delibere non sempre seguono il passo delle
esigenze – sovente indifferibili – delle persone. Anche
noi ci siamo quindi trovati nella necessità di trovare risposte immediate alla
richiesta di ricovero da parte di familiari di persone con handicap
intellettivo con nulla autonomia.
In questi casi di emergenza abbiamo utilizzato
quanto già previsto dal regio decreto 19 novembre 1889, n. 6535, che impone ai
Comuni l’obbligo di provvedere al ricovero degli inabili al lavoro. Le sopra
citate norme sono state inserite negli ancora vigenti articoli 154 e 155 del
regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 “Testo unico delle leggi di pubblica
sicurezza”, in base ai quali le persone in situazione di handicap con limitata
o nulla autonomia e prive di mezzi economici sufficienti per vivere hanno il diritto di pretendere dai Comuni di essere
ricoverati. Non capiamo quindi perché da più parti si continui a proporre la
questione del “dopo di noi”, anche in termini drammatici, come se non vi fosse
obbligo alcuno da parte degli enti pubblici ad intervenire in caso di
necessità. Purtroppo, ad eccezione della rivista Prospettive assistenziali, i
sopra citati articoli non sono mai ricordati, né tanto meno vengono utilizzati
dagli operatori dei servizi socio-assistenziali per assicurare interventi
immediati. Il suddetto decreto è superato solo in Piemonte per gli effetti
conseguenti all’entrata in vigore della legge regionale 1/2004 che riconosce
diritti esigibili più adeguati.
A conferma della vigenza degli articoli 154 e 155 del regio decreto
773/1931 e dell’efficacia della procedura abbiamo inserito in cartellina
l’articolo “Come abbiamo procurato un ricovero d’emergenza ad un nostro
congiunto colpito da grave handicap intellettivo”, Prospettive assistenziali, n. 123, 1998.
Il dopo di noi non può essere l’istituto: chiediamo
comunità alloggio di tipo familiare
Vogliamo superare le criticità che le suddette norme
contengono. Siamo ben coscienti del fatto che l’obbligo dei Comuni potrebbe
essere assolto con il ricovero della persona in un istituto, magari rimodernato,
ma pur sempre con gli effetti nefasti che contiene in sé qualunque istituzione
che accolga 20-30-40 e più persone, spesso con
problematiche diverse, anche se organizzata in nuclei di 10 posti.
Raramente si programma per tempo l’inserimento in una comunità alloggio di
tipo familiare, mentre quasi sempre si agisce con la
fretta dettata dall’emergenza: morte del genitore o gravi malattie invalidanti.
È anche per tali ragioni che la persona viene sovente
ricoverata dove c’è posto, quindi anche in strutture che sorgono in vecchi
istituti ristrutturati in zone isolate e spesso lontano dal luogo in cui la
persona è cresciuta con la conseguente riduzione delle visite da parte di
familiari, parenti e amici. Una vera e propria emarginazione sociale.
Invece noi chiediamo la comunità alloggio perché è il naturale
proseguimento della vita vissuta in famiglia e quindi una vera alternativa agli
istituti tradizionali. La comunità alloggio, così come è
prevista dalla delibera della Giunta regionale del Piemonte n. 42/2002
(ottenuta dopo lunghe trattative dalle associazioni del Csa)
con al massimo 8-10 posti letto (di cui due per il pronto intervento o il
servizio di tregua), situata nel normale contesto abitativo, facilmente
raggiungibile con i mezzi di trasporto, dotata del necessario personale
educativo e di assistenza e inserita nella rete dei servizi del territorio.
I limiti del privato
Le oggettive difficoltà che abbiamo incontrato, strada facendo,
nell’ottenere dagli enti locali
comunità alloggio di tipo familiare non ci hanno scoraggiato e abbiamo sempre
preferito insistere con il settore pubblico. Soprattutto, non
ci siamo mai illusi sul fatto che un problema così impegnativo sul piano
economico, possa essere sostenuto dalla famiglia con le sue risorse personali.
Al fine di promuovere la diffusione delle comunità alloggio, ma anche dei
centri diurni assistenziali, numerose iniziative di
pressione sono state attivate nei riguardi della Regione Piemonte per chiedere
risorse da destinare a tale scopo.
Con la legge regionale 43/1997 e le deliberazioni successive approvate fino a maggio 2006 sono state realizzate 35
comunità alloggio socio-assistenziali da 10 posti letto; 19 gruppi appartamento
da 4-6 posti letto; 14 edifici con un nucleo residenziale da 10 posti e un
centro diurno e 45 centri diurni assistenziali, con al massimo 20 utenti. Altri
5 milioni di euro sono stati deliberati dalla Regione
Piemonte per finanziare strutture diurne e residenziali per il 2007 e 2008 (7).
I servizi diurni e residenziali sono gestiti direttamente dagli enti gestori
dei servizi socio-assistenziali o mediante organizzazioni pubbliche e private
in convenzione.
Questo aspetto non è di poco conto perché il problema del “durante e dopo di noi”
non comprende solo la realizzazione delle strutture, ma riguarda in modo assai
più rilevante l’onere della gestione dei servizi. Il costo annuo della
conduzione di una comunità alloggio per 8-10 persone
in situazione di handicap è di circa 400-500 mila euro. Un
costo insostenibile per le famiglie e che nessuna polizza assicurativa mai
coprirà se non a fronte del pagamento di premi i cui rilevanti importi non
possono essere assunti dalla stragrande maggioranza della popolazione. Tanto
meno si può accettare che solo le famiglie molto facoltose possano permettersi
di creare risposte abitative esclusivamente per i propri figli, come in qualche
caso è stato fatto.
Ci preoccupano molto anche le fondazioni promosse e favorite dall’ente
pubblico come quelle nate con la partecipazione del Comune di Roma e di
Firenze, perché in questo modo il Comune si sottrae deliberatamente agli
obblighi di assistenza che la legge gli impone – come
abbiamo visto in precedenza – per rispondere al “dopo di noi”.
La fondazione, o qualunque altro ente privato, può cessare ogni attività,
non avere più risorse ade-guate oppure limitare i suoi interventi a chi
elar-gisce consistenti donazioni. In ogni caso, nessun privato può garantire il
diritto all’accoglienza. Quindi, anche le numerose iniziative finora intraprese
dal privato sociale (fondazioni, banche, ecc.) possono essere utili solo se
inserite in una programmazione pubblica che ne
mantiene la titolarità ed il coordinamento e garantisce diritti esigibili a
tutti i cittadini che si trovano nelle stesse condizioni.
Ecco perché insistiamo nell’ottenere leggi e delibere che riconoscano diritti esigibili e, conseguentemente, le
risorse necessarie per renderli concreti.
Il Csa si è adoperato in questi anni per ottenere
innanzitutto dal Parlamento l’approvazione di leggi
nazionali che recepissero le positive esperienze realizzate a livello locale a
tutela delle persone con handicap intellettivo con limitata o nulla autonomia
ma, nonostante tutti i tentativi fatti, le leggi quadro 104/1992 e 328/2000 non
hanno introdotto nuovi diritti esigibili. La nostra attività di volontariato è
stata quindi diretta nei confronti della Regione Piemonte perché venissero riconosciuti dalla legge regionale diritti
esigibili anche per quanto concerne le prestazioni di assistenza sociale,
indispensabili per le persone più deboli, comprese quelle con handicap intellettivo. Allo scopo è stata
presentata la proposta di legge regionale di iniziativa
popolare “Interventi prioritari per i minori in difficoltà, i soggetti con
handicap, i malati di Alzheimer, gli anziani cronici non autosufficienti” (8).
Dalla legge n. 1/2004 della Regione Piemonte alla
delibera del Consorzio socio-assistenziale Cisap dei
Comuni di Collegno e Grugliasco
La legge 8 gennaio 2004 n. 1 “Norme per la realizzazione del sistema
regionale integrato di interventi e servizi sociali e
riordino della legislazione di riferimento”, che
a) sono definiti gli utenti aventi diritto. L’articolo 22 della legge n. 1/2004
stabilisce che «i soggetti in condizioni
di povertà o con limitato reddito o con incapacità totale o parziale di
provvedere alle proprie esigenze per inabilità di ordine
fisico e psichico, con difficoltà di inserimento nella vita sociale attiva e
nel mercato del lavoro, nonché i soggetti sottoposti a provvedimenti
dell’autorità giudiziaria che rendono necessari interventi assistenziali, i
minori, specie se in condizioni di disagio familiare, accedono prioritariamente
ai servizi e alle prestazioni erogati dal sistema integrato di interventi e
servizi sociali». Sempre lo stesso articolo «identifica nel bisogno il criterio di accesso
al sistema integrato di interventi e servizi sociali» e «riconosce a ciascun cittadino il diritto di
esigere, secondo le modalità previste dall’ente gestore istituzionale, le
prestazioni sociali di livello essenziale». Infine è previsto il ricorso
per opposizione «allo stesso ente
competente per l’erogazione della prestazione» nei casi in cui ai cittadini
non vengano forniti gli interventi occorrenti per la risoluzione
dei loro bisogni;
b) sono indicati gli enti titolari
delle prestazioni socio-assistenziali. Ai sensi dell’articolo 6 della stessa legge 1/2004 «i Comuni sono titolari delle funzioni
concernenti gli interventi sociali svolti a livello locale e concorrono alla
programmazione regionale, anche mediante l’elaborazione di proposte per la
definizione del piano regionale degli interventi e dei servizi sociali».
I Comuni devono, altresì, programmare e realizzare
«il sistema locale degli interventi
sociali a rete, stabilendone le forme di organizzazione
e di coordinamento, i criteri gestionali e le modalità operative ed erogano i
relativi servizi secondo i principi individuati dalla presente legge al fine di
realizzare un sistema di interventi omogeneamente distribuiti sul territorio»;
c) è assicurata la copertura economica. In merito alla copertura economica
delle prestazioni, è previsto dalla legge regionale in oggetto che i Comuni
devono assicurare «il raggiungimento di
livelli d’assistenza adeguati ai bisogni espressi dal proprio territorio» (articolo 35). Inoltre, aspetto estremamente importante, è sancito che i Comuni che
partecipano alla gestione associata dei servizi (è il caso dei Consorzi) «sono tenuti ad iscrivere nel proprio
bilancio le quote di finanziamento stabilite dall’organo associativo competente
e ad operare i relativi trasferimenti in termini di cassa alle scadenze
previste dagli enti gestori istituzionali»;
d) sono previste le prestazioni essenziali.
L’articolo 18 stabilisce che «il sistema
integrato degli interventi e dei servizi sociali fornisce risposte omogenee sul
territorio» e precisa che, ai sensi del successivo articolo 19, le
prestazioni ed i servizi essenziali «costituiscono
la risposta minima ed omogenea che i Comuni tramite gli enti gestori
istituzionali sono tenuti a garantire su tutto il territorio piemontese». Detti
servizi sono i seguenti: «a) servizio
sociale professionale e segretariato sociale; b) servizio di assistenza
domiciliare territoriale e di inserimento sociale; c) servizio di assistenza
economica; d) servizi residenziali e semiresidenziali; e) servizi per
l’affidamento e le adozioni; f) pronto intervento sociale per le situazioni di
emergenza personali e familiari».
Non mancano i limiti nella legge regionale piemontese n.
1/2004. Ad esempio non sono stati definiti gli standard delle
prestazioni essenziali che obbligatoriamente gli enti gestori dei servizi socio-assistenziali dovrebbero
erogare e non è stato ribadito con chiarezza che, in
base alle norme vigenti, gli enti pubblici non possono chiedere contributi ai
familiari delle persone con handicap in situazione di gravità, anche se molti
Comuni (ad esempio quello di Torino come in precedenza ricordato) e numerosi
Consorzi socio-assistenziali da anni applicano le norme vigenti che considerano
solo la situazione economica dell’assistito.
Ruolo dei Comuni e degli enti gestori socio-assistenziali
per validi piani di zona
Stiamo intervenendo affinché gli enti gestori dei servizi
socio-assistenziali recepiscano le norme della legge
regionale n. 1/2004, come ha fatto il Cisap,
Consorzio socio-assistenziale dei Comuni di Collegno-Grugliasco,
che con la deliberazione del 22 febbraio 2006 (9), ha confermato che è
concretamente possibile per gli enti locali garantire diritti esigibili ai
propri cittadini più deboli. Per tali ragioni da oltre un anno una cinquantina di associazioni e organizzazioni del terzo settore sono
attivamente impegnate nella raccolta di
firme (con annessi incontri, dibattiti, presidi) a sostegno di una petizione
popolare (15 mila firme già consegnate alla Presidente della Giunta della
Regione Piemonte entro settembre 2007) finalizzata, fra le altre richieste, ad
ottenere l’attuazione della legge regionale 1/2004 da parte dei Comuni e degli
enti gestori dei servizi socio-assistenziali e, dunque, l’esigibilità del
diritto alle prestazioni assistenziali, oltre che il rispetto delle norme in
materia di contribuzione da parte degli assistiti.
Questo aspetto dovrebbe interessare anche agli assessori ai servizi sociali e gli stessi operatori dei
servizi del durante e dopo di noi: ottenere leggi e delibere che stabiliscono
ad esempio il diritto a centri diurni e comunità alloggio
con determinati standard di prestazioni, significa programmare con maggior
respiro, assicurare prestazioni di qualità, investire nelle risorse umane, non
discutere ad ogni approvazione di bilancio le risorse da destinare a questo
ambito. È questa la condizione perché il piano di zona, espressione dei bisogni
del territorio, diventi uno strumento efficace di programmazione e non un piano
dei sogni. Le delibere sono indispensabili per porre fine alla discrezionalità,
che è anche precarietà dei servizi e di chi vi lavora.
Lettera a/r per chiedere prestazioni socio-assistenziali (10)
In attesa dell’approvazione delle deliberazioni comunali,
per quanto riguarda i cittadini piemontesi, nella cartellina c’è il fac-simile
della lettera predisposta per chiedere – per iscritto – alle amministrazioni
locali le prestazioni socio-assistenziali ai sensi della legge 1/2004. Il Csa appoggia, ovviamente, i familiari nelle iniziative che vengono intraprese nei confronti degli Assessorati
competenti e dei rispettivi Consigli comunali.
Cosa chiedere al Parlamento
Certamente questo percorso non è semplice. Il convegno è nato anche con
l’auspicio che i partecipanti, ovviamente interessati al tema proposto, si attivino in prima persona – ciascuno per il proprio ruolo –
per ottenere dal Parlamento l’approvazione di una legge che riconosca il
diritto esigibile alle prestazioni socio-assistenziali indispensabili per le
persone con handicap con limitata o nulla autonomia, che sono i soggetti
maggiormente a rischio di esclusione sociale.
La proposta di legge, che potrebbe essere fatta propria e presentata al
Parlamento dal Governo stesso, dai Consigli regionali, promossa da singoli
Parlamentari, sostenuta da Province ed enti locali e da ogni forza sociale,
potrebbe essere la seguente:
Bozza di proposta di legge “misure urgenti a favore delle persone con invalidità civile
totale impossibilitate a svolgere qualsiasi attività lavorativa”
Articolo 1 (Persone aventi
diritto)
1. Le persone maggiorenni di età inferiore ai 65
anni alle quali è erogata l’indennità di accompagnamento ai sensi della legge
11 febbraio 1980, n. 18 e nei cui confronti le commissioni previste
dall’articolo 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché dall’articolo 1
della legge 12 marzo 1999 n. 68 e del decreto del Presidente del Consiglio dei
Ministri 13 gennaio 2000, hanno accertato la loro totale e definitiva
impossibilità a svolgere qualsiasi attività lavorativa, hanno diritto, a
decorrere dal primo giorno del mese successivo all’entrata in vigore della
presente legge, all’equiparazione dell’importo della pensione di invalidità al
trattamento minimo delle pensioni di vecchiaia dei soggetti aventi un’età
superiore ai 70 anni, secondo le condizioni e le modalità stabilite per il
suddetto trattamento.
Articolo 2 (Volontariato intra ed extra familiare)
1. Ai congiunti e alle terze persone che accolgono
a casa loro i soggetti di cui all’articolo 1 della presente legge, è
riconosciuto il ruolo sociale di volontariato intra o
extra familiare e le loro organizzazioni sono riconosciute di diritto come
organismi non lucrativi di utilità sociale.
3. Le Regioni e le Province autonome di Bolzano e Trento, entro e non oltre
120 giorni dall’entrata in vigore della presente legge, determinano le
condizioni e le modalità di sostegno anche economico ai nuclei familiari e alle
persone singole che accolgono soggetti di cui all’articolo 1 affinché tale
inserimento si possa fondare sulla disponibilità e l’idoneità all’accoglienza,
indipendentemente dalle loro condizioni economiche e predispongono gli
interventi occorrenti per la risoluzione delle emergenze indifferibili.
Articolo 3 (Piano straordinario
per l’istituzione di centri diurni e comunità alloggio)
1. Al fine di consentire la permanenza a domicilio
dei soggetti di cui all’articolo 1, sono stanziati euro… per la predisposizione
di centri diurni, aventi non più di venti posti, aperti almeno dal lunedì al
venerdì per non meno di quaranta ore settimanali.
2. Sotto il profilo dell’offerta devono essere
assicurati … posti in centri diurni ogni mille abitanti.
3. Allo scopo di garantire la permanenza nel
proprio contesto sociale di appartenenza dei soggetti
di cui all’articolo 1, per i quali non è praticabile la permanenza domiciliare,
sono stanziati euro… per la predisposizione di comunità alloggio aventi al
massimo dieci posti, di cui due per le emergenze.
4. Le comunità alloggio sono
approntate tenendo anche conto delle norme stabilite dal primo comma
dell’articolo 4 della legge 17 febbraio 1992, n. 179 “Norme per l’edilizia
residenziale pubblica”.
5. Gli stanziamenti sono erogati alle Regioni che
li assegnano ai Comuni singoli o associati.
6. I Comuni singoli o associati gestiscono le
strutture di cui al presente articolo direttamente o tramite organizzazioni
pubbliche o private.
7. Sotto il profilo dell’offerta devono essere assicurati … posti in
comunità alloggio per ogni mille abitanti.
Articolo 4 (Incremento del fondo
nazionale per le politiche sociali)
1. Allo scopo di assicurare ai Comuni singoli o associati la copertura
delle spese gestionali derivanti dalle norme della
presente legge, il fondo nazionale per le politiche sociali è aumentato di
euro…
Articolo 5 (Livelli essenziali)
1. Fatto salvo quanto già previsto dall’articolo 54 della legge 27 dicembre
2002 n. 289 e dal decreto sui livelli essenziali di assistenza
del 29 novembre
Articolo 6 (Copertura
finanziaria)
1. Alla copertura finanziaria delle disposizioni di cui
alla presente legge si provvede come segue:…
Il riconoscimento dei sopra indicati diritti esigibili dovrebbe essere
sancito nell’ambito dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale come
previsto dalla lettera m, del 2° comma, dell’articolo 117 della Costituzione.
La carta del gemellaggio sociale
Con il mio intervento spero di avere dimostrato
che la strada del diritto esigibile è perseguibile concretamente. Insieme possiamo agire nei confronti del Parlamento e del Governo e
promuovere iniziative nei confronti delle singole Regioni perché legiferino in
materia stanziando le risorse indispensabili per realizzare i servizi per il
“durante e dopo di noi”. Possiamo altresì intervenire nei confronti dei Comuni
singoli o associati. Nell’emergenza sappiamo che possiamo contare comunque su norme di legge ancora vigenti che garantiscono
il ricovero di un nostro congiunto con handicap intellettivo in situazione di
gravità.
La strada non è certo facile. Per questo ringrazio
Spero che le Province italiane che sono state coinvolte in questo percorso
accettino di sottoscrivere la carta del gemellaggio sociale e con questo atto si impegnino, anche con il sostegno dei rappresentanti del
personale dei servizi, ad operare sul piano istituzionale perché il Parlamento,
il Governo, le Regioni, le Province autonome di Trento e Bolzano e i Comuni
assumano gli atti indispensabili per dare certezza di diritto ai soggetti con
handicap con limitata o nulla autonomia e quindi anche serenità alle famiglie
nel “durante e dopo di noi”.
* Presidente della Fondazione promozione sociale, Via Artisti 36, 10124 Torino, www.fondazionepromozionesociale.it
Relazione presentata al convegno
“Durante e dopo di noi: come garantire diritti esigibili e tutele effettive
alle persone con handicap intellettivo e limitata o nulla autonomia”, che ha
avuto luogo a Torino, presso
(1) Cfr. l’Editoriale di Famiglia oggi, n. 10, ottobre 2003.
(2) Come è noto, ai sensi del 1° comma dell’articolo
38 della Costituzione, il settore socio-assistenziale deve intervenire
limitatamente a quei soggetti che, a causa della gravità delle loro condizioni
personali, non sono avviabili al lavoro e hanno
pertanto diritto a specifiche prestazioni aggiuntive.
(3) Ovviamente non mancano le criticità che il Csa continua a segnalare per il miglioramento della qualità
delle prestazioni. Ad esempio nella Città di Torino sono presenti solo comunità
alloggio con al massimo 10 posti letto, ma negli
ultimi tre anni molti soggetti con handicap intellettivo sono finiti in
strutture residenziali da 20, 30, 40 posti letto, situate fuori dalla Città di
Torino e anche fuori Provincia a causa della mancata programmazione di comunità
alloggio in misura adeguata al fabbisogno. Inoltre, non tutte le prestazioni
succitate rispondono ad un reale diritto esigibile, perché il Comune di Torino
non ha deliberato in materia con i criteri che ricordavo prima e che sono
indicati nel libro A scuola di diritti -
Come difendersi da inadempienze e abusi della burocrazia socio-sanitaria, di
Roberto Carapelle, Giuseppe D’Angelo
e Francesco Santanera, Utet
Libreria.
(4) Cfr. in Prospettive
assistenziali, “Proposta di delibera sul volontariato intrafamiliare”, n.
123, 1998 e “Seconda proposta di delibera sul volontariato intrafamiliare
rivolto a congiunti colpiti da malattie invalidanti e da non autosufficienza”,
n. 124, 1998.
(5) Cfr. l’articolo “È corretto incentivare l’assistenza ‘totale’ dei
soggetti con handicap in situazione di gravità?”, Ibidem, n. 157, 2007.
(6) Cfr. l’editoriale “Le inaccettabili iniziative concernenti gli
adulti non autosufficienti colpiti da patologie invalidanti e le disastrose
conseguenze dell’integrazione socio-sanitaria: occorre ripartire dalle esigenze
e dai diritti”, Ibidem, n. 139, 2002.
(7) La legge regionale piemontese n. 43/1997 prevede
che le risorse siano assegnate anche a soggetti privati, che ne diventano
proprietari mediamente nell’arco di vent’anni. Questo
aspetto è assai negativo, perché mette a rischio la continuità del servizio. Infatti nulla vieta che il soggetto privato muti la
destinazione dell’immobile realizzato con i finanziamenti pubblici. Inoltre, se il gestore privato commette abusi
anche gravi a danno degli utenti, l’ente locale che è responsabile nei loro
confronti non può che trasferirli in un’altra struttura
con tutte le conseguenze negative immaginabili per gli interessati. Per tali
ragioni siamo ora impegnati nel richiedere la revisione
della legge regionale per ottenere che le risorse siano trasferite dalla
Regione Piemonte solamente agli enti locali.
(8) Cfr. Proposta di legge
regionale di iniziativa popolare “Interventi
prioritari per i minori in difficoltà, i soggetti con handicap, i malati di
Alzheimer, gli anziani cronici non autosufficienti”, Prospettive assistenziali, n. 130, 2000.
(9) Cfr. “Delibera del Consorzio tra i Comuni di Collegno
e Grugliasco per l’individuazione dei diritti dei destinari degli interventi socio-assistenziali”, Ibidem, n. 153, 2006.
(10) Il fac-simile è riprodotto nel n. 151, 2005 di Prospettive assistenziali.
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