Prospettive assistenziali,
n. 161, gennaio-marzo 2008
CURE
DOMICILIARI DELLE PERSONE COLPITE DA PATOLOGIE INVALIDANTI E DA NON
AUTOSUFFICIENZA: DAI BUONI DI SERVIZIO SOCIO-ASSISTENZIALI AGLI ASSEGNI DI CURA
SANITARI
MAURO PERINO *
Premessa
In un precedente articolo (1) nel
quale veniva affrontata la tematica del diritto alle
cure domiciliari per le persone in condizioni di non autosufficienza, ho
cercato di dimostrare che i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri
14 febbraio 2001 e 29 novembre 2001 (2) (quest’ultimo con forza di legge in
base all’articolo 54 della legge 289/2002) assegnano la titolarità delle
prestazioni di livello essenziale afferenti alla cosiddetta area
socio-sanitaria elencate nei rispettivi allegati al comparto sanitario (3) e
che, pertanto, alle tipologie d’utenza indicate nei decreti le Aziende
sanitarie (Asl) devono assicurare anche le prestazioni erogate nell’ambito del
micro livello “assistenza programmata a domicilio (Adi e Adp)” ed in
particolare, fra le altre previste, le
«prestazioni di aiuto infermieristico e assistenza tutelare alla persona» (4).
Si tratta di prestazioni non
specialistiche (per “aiuto infermieristico” non si intende
infatti l’attività dell’infermiere professionale ma quella “ausiliaria”) che
nell’ambito dell’assistenza domiciliare integrata e nell’ospedalizzazione a
domicilio vengono svolte, nella maggioranza dei casi, dai congiunti o da terzi
che si impegnano a provvedere alle cure della persona non autosufficiente. Un
impegno – assunto su base volontaria, stante l’obbligo del servizio sanitario di assicurare le
cure senza limiti di durata sia nella fase acuta che
nel periodo di cronicità – senza il quale verrebbe vanificato qualunque
intervento professionale finalizzato ad evitare il ricovero e che, proprio per
questa ragione, andrebbe riconosciuto, valorizzato e sostenuto dalle Asl.
A distanza di qualche mese dalla
pubblicazione dell’articolo in oggetto, si è mossa in tal senso la direzione
del distretto sanitario di Collegno e Grugliasco dell’Asl 5 (oggi Asl Torino 3)
che – aderendo ad una precisa richiesta dei Sindaci dei due Comuni ed in
accordo con il Consorzio Cisap – ha approvato il “Regolamento per l’erogazione
sperimentale di assegni di cura a beneficio di anziani
e persone non autosufficienti aventi diritto al ricovero in struttura” che
viene pubblicato in questo numero della rivista.
Si tratta di un provvedimento che
rappresenta una tappa importante nell’ambito di un percorso – certamente non
concluso e del quale merita dare conto – che ha visto un progressivo
coinvolgimento del comparto sanitario in un ambito (quello delle cure domiciliari
alle persone non autosufficienti) che, per tutta una lunga fase, è stato
totalmente delegato al settore socio-assistenziale.
Buoni di servizio ed assegni di cura nell’esperienza dei Comuni di Collegno
e di Grugliasco
Nel novembre 1999 il Consorzio
intercomunale (5) bandisce una “Gara di appalto
concorso per l’affidamento dei servizi di assistenza domiciliare per specifiche
aree di utenza e per l’accreditamento sperimentale di agenzie fornitrici di
servizi domiciliari di aiuto alla persone e alle famiglie” riservata alle
cooperative sociali di tipo A ed ai loro consorzi e
raggruppamenti temporanei.
Con l’utilizzo dell’istituto dell’accreditamento si intende offrire alle persone ed alle famiglie la
possibilità di individuare il fornitore nell’ambito di un elenco di soggetti,
selezionati dal Consorzio, in possesso di adeguati requisiti di qualità. L’obiettivo
è la costruzione di un sistema che consenta una
maggior contrattualità da parte dei destinatari, che vengono messi in
condizione di avere “voce in capitolo” nella individuazione degli interventi,
“componendo”, attraverso il “pacchetto di servizi” (6) offerto, il proprio
programma assistenziale. Le persone e le famiglie vengono a tal fine sostenute
– nell’acquisto dei servizi accreditati –- attraverso un buono di servizio (non in denaro) il cui valore è determinato
rapportando il reddito individuale del beneficiario con il costo del programma
mensile d’intervento.
Vengono definiti tre lotti
caratterizzati dalla tipologia di utenza – anziani, disabili, persone con
problemi sanitari e nuclei multi problematici in carico ai servizi sociali –
per i quali il Consorzio, in quanto diretto responsabile del progetto
assistenziale, si impegna ad acquistare (nel triennio di vigenza dell’appalto)
interventi e prestazioni sino alla concorrenza del budget fissato per ogni
singolo lotto (in vecchie lire: 400 milioni per gli anziani, 300 milioni per i
disabili, 200 milioni per le restanti tipologie).
Alle cooperative viene
richiesto di scegliere il “segmento di mercato” nel quale collocarsi coniugando
la specializzazione – richiesta per aggiudicarsi il singolo lotto (d’utenza) –
con l’ulteriore opportunità offerta di coprire, tendenzialmente, tutte le
tipologie di bisogno attraverso l’accreditamento conseguente
all’aggiudicazione. L’importo destinato alla remunerazione dei servizi relativi ai singoli lotti (900 milioni di vecchie lire nel
triennio) viene infatti integrato dall’ulteriore stanziamento di 2 miliardi e
100 milioni destinati a finanziare l’erogazione dei buoni di servizio che i
cittadini possono utilizzare – ad integrazione delle spese direttamente
sostenute – per acquistare, dalla cooperativa autonomamente scelta (tra le tre
vincitrici sui lotti), servizi e prestazioni di assistenza alla persona e
domiciliari.
Le cooperative aggiudicatarie dei lotti sono
dunque poste – in quanto agenzie accreditate – in (relativa) concorrenza tra
loro per aggiudicarsi i clienti beneficiari dei buoni
di servizio rilasciati dal consorzio.
Attraverso la gara vengono accreditate tre cooperative
sociali che iniziano ad operare, nel marzo 2000, applicando un nuovo
regolamento dei servizi di assistenza domiciliare, predisposto dal Consorzio,
nel quale vengono previsti due percorsi di accesso ai servizi:
• uno riservato alle persone che
non possono o non vogliono accedere autonomamente alle
agenzie e per le quali l’accesso viene mediato dall’assistente sociale del
Consorzio che sceglie la cooperativa sulla base della tipologia d’utenza e
propone il progetto assistenziale a favore del proprio utente, restando
responsabile del progetto e del caso;
• l’altro per le persone che
possono e vogliono accedere direttamente alle agenzie,
con le quali concordano direttamente il progetto assistenziale ed attraverso le
quali possono richiedere al Consorzio (per via telematica) la erogazione del
buono di servizio per il sostegno al pagamento delle prestazioni.
Ai cittadini che richiedono il
servizio – siano essi utenti del Consorzio o clienti delle cooperative – viene richiesto di compilare la dichiarazione ai fini Isee (indicatore della situazione economica
equivalente) allo scopo di determinare la loro quota di partecipazione al costo
del programma assistenziale (7) (versata direttamente alla cooperativa) ed il
valore del buono di servizio (che viene fatturato al Consorzio). Tutte le
procedure vengono svolte presso le agenzie
accreditate.
L’accreditamento dei servizi di assistenza domiciliare ha consentito – sin dalla prima
fase della sperimentazione – il positivo ampliamento delle attività sia in
termini di ore di intervento complessivamente erogate che nel numero delle
persone assistite (oltre 60 mila ore per circa 500 assistiti l’anno dal 2004). Si
sono inoltre ridotti i tempi di risposta e si è differenziata
la gamma dei servizi forniti offrendo la possibilità di comporre “pacchetti
assistenziali” personalizzati. Infine i fruitori dei
servizi hanno espresso, in genere, buoni livelli di soddisfazione per le
prestazioni ricevute e per la professionalità degli operatori delle agenzie.
Dal punto di vista del Consorzio
i vantaggi si sono concretizzati in un migliore utilizzo delle (necessariamente
maggiori) risorse finanziarie investite (dai 300.000 euro del 1999 ai 900.000
euro dal 2004 ad oggi) e nel risparmio del tempo lavoro degli operatori
pubblici derivante dal conferimento ai soggetti accreditati delle incombenze relative alla definizione dei progetti assistenziali
individuali e delle funzioni istruttorie collegate all’erogazione dei buoni di
servizio.
Dal giugno del 2000,
parallelamente alla sperimentazione dell’accreditamento, il Consorzio avvia
inoltre – in accordo con la direzione del distretto sanitario – l’erogazione di assegni di cura (contributi economici in denaro)
finalizzati al pagamento di assistenze private da parte dei congiunti di
anziani non autosufficienti (dichiarati tali dall’Unità di valutazione
geriatrica che si esprime anche in ordine alla possibilità/opportunità di
attivare l’intervento). Il contributo deve essere effettivamente utilizzato per
remunerare assistenti assunti con regolare contratto ed i beneficiari sono
pertanto tenuti a fornire al Consorzio la
documentazione attestante il rispetto degli impegni richiesti. L’assegno di
cura – che riscuote subito molto successo tra gli
utenti – viene però erogato ad un numero molto limitato di richiedenti in
quanto è l’Asl – che insieme al Consorzio si fa carico del 50% della spesa non
posta a carico dell’utente (8) – a determinare il budget annuale da destinare
all’intervento alternativo al ricovero in Rsa (9).
Nel corso dei sette anni di
sperimentazione del buono di servizio e dell’assegno di cura (dal
Come precisato in premessa, il
decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001,
“Definizione dei livelli essenziali di assistenza”,
all’allegato
A seguito dell’applicazione del
decreto sui Lea (Livelli essenziali di assistenza)
nella Regione Piemonte si è dunque resa necessaria una revisione del modello
organizzativo dei servizi di assistenza alla persona accreditati dal Consorzio.
Il modello originario prevedeva infatti la fornitura
di prestazioni di assistenza domiciliare che si caratterizzavano come
opportunità offerte dal sistema dei servizi sociali per il sostegno dei
cittadini e non certamente come la doverosa risposta ad un diritto soggettivo
alle cure socio-sanitarie domiciliari.
Diritto formalmente sancito dalla
legge regionale piemontese 1/2004 (approvata nel quarto anno di sperimentazione
dell’accreditamento dei servizi domiciliari a livello consortile) che «identifica nel bisogno il criterio di accesso al sistema integrato di interventi e servizi
sociali» e riconosce, a ciascun cittadino, «il diritto di esigere, secondo le modalità previste dall’ente gestore
istituzionale, le prestazioni sociali di livello essenziale» (10). L’erogazione delle quali «è organizzata mediante la valutazione
multidisciplinare del bisogno, la definizione del piano di lavoro integrato e
individualizzato, il monitoraggio costante, la verifica periodica e la
valutazione finale dei risultati» (11).
Dal disposto regionale si evince
che l’ente gestore, ove decida di erogare i servizi (dei quali è pienamente
responsabile) attraverso soggetti accreditati, non può limitarsi a finanziare
il sistema delegandone l’organizzazione, ma deve esercitare penetranti poteri di intervento, specie in merito ai criteri gestionali
generali, nei confronti dei soggetti privati chiamati ad espletare i servizi in
qualità di organi indiretti dell’amministrazione. Lo strumento
dell’accreditamento va pertanto utilizzato nella sua valenza di «procedimento concessorio attraverso il
quale l’ente pubblico attribuisce ai servizi sociali accreditati la natura di servizi pubblici, ed al soggetto accreditato quello di
concessionario della pubblica amministrazione» (12).
Rilevata la “duttilità”
dell’accreditamento per quanto attiene alla possibilità di garantire un
corretto utilizzo dei soggetti privati nell’esercizio di funzioni pubbliche,
rimane aperto il problema di connettere il sistema di fornitura con il percorso
prestabilito che, attraverso la valutazione, conduce il cittadino non
autosufficiente alla definizione di un piano assistenziale
costantemente verificato dai titolari delle funzioni socio-sanitarie e, quindi,
dalle Unità di valutazione delle Aziende sanitarie (delle quali fanno parte
professionalità afferenti ai settori sanitario e sociale). Per rispondere a tale esigenza il Consorzio e la direzione del distretto
sanitario hanno individuato nello “sportello socio-sanitario distrettuale” lo
strumento idoneo ad assicurare l’accesso all’intero complesso delle prestazioni
sanitarie, sanitarie a rilevanza sociale e sociali a rilevanza sanitaria
assegnate, rispettivamente, alla titolarità del Servizio sanitario ed a quella
dei Comuni.
Nel modello organizzativo
dell’assistenza domiciliare delineato nel 1999 con l’avvio del sistema di accreditamento le tre “agenzie” territoriali si
rapportavano – tramite i loro sportelli – direttamente con l’utenza, formulando
i progetti di intervento ed erogando direttamente i servizi, previa
approvazione dei programmi assistenziali da parte del Consorzio. La creazione
dello sportello socio-sanitario, avvenuta nel
La sperimentazione del nuovo
modello ha dato risultati complessivamente positivi
(nel 2007 sono transitati dallo sportello 1.300 cittadini: di questi circa 400
hanno beneficiato di buoni di servizio utilizzati presso i fornitori
accreditati e 40 di assegni di cura finalizzati a remunerare assistenze
private). Attraverso lo sportello viene fornita una
puntuale informazione sulle diverse opportunità di cura offerte dalla rete dei
servizi domiciliari, semi residenziali e residenziali del distretto n. 1
dell’Asl. n. 5 (ora n. 3) e sui criteri e le procedure
previsti per la richiesta e l’erogazione degli interventi. Lo sportello svolge
inoltre una funzione di orientamento della domanda
attraverso il sostegno del cittadino che manifesta l’esigenza di essere
coadiuvato nell’assunzione di una decisione consapevole in merito al piano
assistenziale da attivare per sé o per i congiunti in difficoltà. Altro
importante obiettivo perseguito attraverso lo
sportello è la gestione unificata delle procedure amministrative (sanitarie e
consortili) connesse all’erogazione degli interventi (dalla istruttoria delle
richieste, alla valutazione da parte della competente unità distrettuale, sino
alla definizione degli impegni economici).
Riflessioni sull’utilizzo dei contributi economici in denaro
Come osservano Cristiano Gori e
Sergio Pasquinelli «il buono socio-sanitario, quando utilizzato come somma di
denaro da passare ai familiari (assegno di cura), costituisce uno specifico
strumento per il loro sostegno e rappresenta un riconoscimento dello sforzo
quotidiano che essi compiono» (13). Nella maggiore autonomia decisionale
esercitata dagli utenti nell’ambito di servizi più flessibili e nel
riconoscimento delle attività di cura svolte dai familiari impegnati
nell’assistenza di anziani non autosufficienti
risiedono, dunque, i punti di forza di questa specifica misura di sostegno. Infatti, con l’introduzione dell’assegno di cura «il riconoscimento del fatto che le Asl
devono contribuire a soddisfare bisogni legati alla non autosufficienza non
implica più che siano gli operatori a decidere in che modo ciò deve avvenire. Sono
gli anziani ed i loro familiari a decidere le prestazioni da ricevere (a partire dalla scelta se tenere i soldi od optare per il voucher), da chi, con quali modalità ed orari» (14).
Quanto ai punti di debolezza è da
rilevare che l’offerta di un contributo economico senza l’erogazione di «servizi di sostegno alla famiglia come
interventi psicologici, gruppi di auto aiuto,
educazione al care o altro (…)
costituisce una misura incompleta poiché i caregiver rimangono in ogni modo soli, senza le occasioni di confronto e gli
interventi di sostegno di cui hanno bisogno, che richiedono e solitamente
gradiscono molto». Inoltre
«l’assenza di qualsiasi forma di
valutazione iniziale e verifica/monitoraggio successivi rende impossibile
esaminare lo stato dei rapporti reali tra i due soggetti ed intervenire qualora
si presentino problemi» (15) tra gli anziani ed i familiari che li
assistono.
A questi aspetti problematici –
segnalati dagli Autori con riferimento agli assegni di cura erogati
dalle Asl della Regione Lombardia nel triennio 1999/2001 (16) – il Consorzio
tenta di fornire una risposta sin dalla fase iniziale dell’esperienza. È infatti l’Unità di valutazione multidisciplinare che
formula – dopo aver verificato che il nucleo familiare è idoneo ed in grado di
farsi carico delle incombenze assistenziali nei confronti del congiunto e con
il coinvolgimento del medico di medicina generale – il piano assistenziale
individuale nell’ambito del quale si colloca l’erogazione dell’assegno di cura.
Inoltre viene assicurato il monitoraggio del progetto
ed ai familiari viene offerta la possibilità di interloquire con un operatore
di riferimento che ha, tra i suoi compiti, quello di connettere l’utilizzo
dell’assegno di cura con le altre prestazioni sanitarie e socio-sanitarie che
necessitano all’utente. L’assegno è infatti
considerato alternativo al solo ricovero in struttura.
Ma accanto a questo
aspetto positivo occorre rilevare il limite del non riconoscimento (in
senso economico) dell’attività di cura direttamente svolta dal nucleo familiare
(ad esempio, attraverso la collocazione in part
time lavorativo di un componente). L’assegno erogato dal Consorzio e dal
distretto sanitario sino a tutto il 2007 deve essere infatti
obbligatoriamente (ed interamente) utilizzato per remunerare un assistente
terzo regolarmente assunto o, almeno in linea teorica, per acquistare il
servizio dalle agenzie accreditate. In pratica però l’assegno viene attivato proprio quando il ricorso al buono di
servizio (e quindi all’agenzia accreditata) non risulta più conveniente per
l’elevato numero di ore di assistenza necessarie all’utente. Di
qui il generalizzato ricorso alle assistenze private da parte dei titolari
dell’assegno di cura.
Da quanto detto si evince inoltre
che – nonostante le previsioni regolamentari in tal senso – all’utente non è data una effettiva possibilità di scelta tra assegno di
cura e buono di servizio. Gli assegni di cura erogati annualmente in
compartecipazione di spesa con la sanità (istituzionalmente competente, in base
alla vigente normativa) sono infatti “contingentati”
(dal ridotto budget del distretto) mentre i buoni di servizio (a quasi completo
carico del Consorzio per le quote non coperte dall’assistito) vengono erogati a
tutti gli aventi diritto (inclusi i richiedenti assegno di cura collocati in lista
d’attesa dall’Asl).
I dati sul successo del buono di
servizio, in termini di accesso ai fornitori
accreditati, vanno dunque letti con l’avvertenza di cui sopra. Si rileva, in
sostanza, che il sistema del buono di servizio erogato in forma di titolo di
credito riscontra un buon gradimento, da parte dei congiunti dell’utente, in
quelle situazioni che richiedono interventi, in genere organizzati
settimanalmente, che si concretizzano nella fornitura di prestazioni assistenziali definite e limitate a poche ore (l’alzata dal
letto e la vestizione, l’igiene della persona ed il bagno assistito, la
somministrazione del pasto, la mobilizzazione, ecc.). Quando l’esigenza assistenziale che si manifesta nel nucleo è protratta
nell’arco della giornata (ad esempio per supplire all’assenza dell’accuditore
familiare costretto ad assentarsi per lavoro) o addirittura si estende alla
fascia notturna lo strumento rivela – per ragioni di costo orario – tutti i
suoi limiti.
Riflessioni sull’utilizzo dei
titoli di credito
Si è detto
che il buono di servizio come titolo di credito è lo strumento che il Consorzio
ha, sino ad oggi, diffusamente utilizzato per sostenere l’utente nell’acquisto
di prestazioni di assistenza professionale domiciliare presso un certo numero
di fornitori accreditati. In pratica ciò che differenzia l’accreditamento dal
più tradizionale e diffuso sistema di fornitura fondato sui servizi di assistenza domiciliare (Sad) è che il cittadino non ha di
fronte, come unico interlocutore, un servizio comunale – gestito in forma
diretta o (molto più spesso) conferito all’esterno – ma viene messo (almeno
formalmente) nella condizione di decidere da chi spendere il proprio buono. Si
genererebbe in tal modo una “pressione competitiva” sui produttori dei servizi
che verrebbero stimolati ad operare al meglio (in
termini di qualità e di costi) per “intercettare” il maggior numero di clienti.
In realtà – come osservano Sergio Pasquinelli e Alfonso Gambino con
riferimento all’esperienza dei voucher
sociali in Lombardia (17) – attraverso l’accreditamento la
competizione tra gli attori aumenta in misura limitata.
Sia nel modello lombardo che in
quello del Cisap si rileva che «le
cooperative tendono a contrastare dinamiche
competitive. Il voucher aumenta infatti il cosiddetto rischio di impresa: un rischio che si
cerca di limitare il più possibile. Prima di arrivare a competere si preferisce
così mettersi d’accordo, dividendosi il territorio o specializzandosi in
termini di servizi offerti. Gli stessi Comuni tendono a
evitare di esasperare l’aspetto competitivo, se non a ridurlo del tutto. Ridurre
la concorrenza, soprattutto la concorrenza sul prezzo, per l’ente locale vuol
dire cercare di evitare due rischi: a) il primo è che la concorrenza sul prezzo
porti a un generale deterioramento della qualità degli
interventi. In un mercato molto sensibile al prezzo, il rischio è quello di
premiare chi offre di più con meno, e dietro la corsa al ribasso ci può essere
di tutto: una qualità scadente, rapporti di lavoro poco
trasparenti e così via; b) il secondo rischio è che una concorrenza sul
prezzo metta a repentaglio la sopravvivenza dei soggetti più deboli, che vi
siano cioè cooperative sociali costrette a chiudere. Questa è una eventualità che i Comuni vogliono evitare: inasprirebbe
i rapporti all’interno del terzo settore e deteriorerebbe quelli tra l’ente
pubblico e il privato sociale» (18).
Inoltre il voucher aumenta la libertà di
scelta del cittadino «meno di quanto ci
si poteva ragionevolmente aspettare. In numerosi casi la scelta è “obbligata”, poiché in quel territorio, per quel bisogno, il
soggetto erogatore, accreditato, è uno solo. Dove la scelta esiste non siamo comunque in presenza di un’ampia rosa di possibilità. Anche
dove c’è scelta infatti essa di fatto si riduce in
relazione alla specificità dei bisogni. In larga misura gli enti erogatori
accreditati sono gli stessi che già operavano sul territorio, buona parte dei
quali in regime di convenzione con l’ente pubblico (Comuni e Asl). L’ingresso
di nuovi soggetti tende ad avvenire con tempi relativamente diluiti. È significativo poi segnalare come in alcuni casi la libertà
di scelta può essere vissuta come un “peso”. Soprattutto nei casi di maggiore
disagio, la volontà di capire il nuovo sistema, le sue regole e di accollarsi i
costi della scelta è piuttosto bassa» (19).
In sostanza nel sistema di accreditamento permangono i tratti fondamentali che
caratterizzano il Sad (Servizio assistenziale domiciliare) tradizionale ove «la titolarità del servizio è quasi sempre
pubblica (99,7% in Emilia Romagna), ma la gestione è quasi sempre
esternalizzata (90% in Emilia Romagna, 79% nelle Marche, 60,4% in Provincia
di Cremona) e affidata a cooperative sociali (72% dei casi nelle Marche,
26,4% in Provincia di Cremona)». Attraverso il voucher vengono inoltre erogate le stesse
prestazioni che, con riferimento al Sad, risultano così ripartite: «l’impegno più rilevante sembra essere
riservato all’igiene della persona (57% delle ore di assistenza nella Provincia
di Bolzano; 33,8% delle prestazioni in Veneto; 17% in Provincia di Cremona)
seguito dall’aiuto domestico (29% delle ore di assistenza in Provincia di
Cremona; 18,8% delle prestazioni in Veneto e 17,7% in Provincia di Bolzano). Di
minore entità complessiva altre prestazioni come l’accompagnamento (4,7% nella
Provincia di Bolzano; 5% nella Provincia di Cremona),
non presenti in tutte le Regioni» (20). Infine, in base ai pochissimi dati
a disposizione, si può stimare che il «numero
medio di ore di Sad erogate settimanalmente di poco
superiore a 3» (21) corrisponda a quello dell’accreditamento che –
nell’ambito territoriale del Cisap – risulta quantificato, in base ai dati
relativi all’anno
Dunque il servizio di assistenza domiciliare – sia esso erogato da un solo
soggetto esterno all’amministrazione o da più fornitori dalla stessa
accreditati e posti in “concorrenza” tra loro – non si afferma «come l’attività in grado di sostenere
l’anziano non autosufficiente in modo esaustivo, ma più spesso è stato inteso
come uno dei servizi utilizzati per l’assistenza di uno stesso anziano non
autosufficiente o, in altre situazioni, come il servizio per prevenire
peggioramenti della condizione di anziani parzialmente non autosufficienti o
soli e a rischio di istituzionalizzazione. In questo quadro la risposta che la
popolazione ha dato di fronte alle necessità assistenziali
per i non autosufficienti è ben rappresentata dall’esplosione del fenomeno
delle “assistenti familiari” che raggiungono al domicilio un numero di
assistiti ben più elevato di quelli gestiti dal Sad». Ed in ogni caso «sarebbe estremamente
sbagliato per il Sad esprimersi in termini competitivi rispetto al lavoro delle
assistenti familiari (…) visto che la spesa complessiva italiana per le
assistenti familiari è almeno 10 volte tanto quella del Sad» (22).
Per le suddette ragioni è
necessario ripensare l’organizzazione complessiva dell’assistenza
socio-sanitaria domiciliare al fine di garantire «aiuti diversi tra loro che insieme contribuiscano all’erogazione di interventi più qualificati e consistenti, anche in
termini di qualità del servizio e di numero di ore erogate per la cura della
persona» (23). Ben sapendo che, come afferma Chiara
Saraceno, «i compiti, e i costi, della
cura che spesso richiede una presenza continua e che, a differenza che per i
bambini, è segnata da un progressivo aggravamento, sono lasciati pressoché
totalmente a carico delle famiglie. È un carico insieme finanziario e umano davvero molto pesante, che
grava in modo fortemente asimmetrico soprattutto sulle
donne: mogli, figlie, nuore, spesso anziane a propria volta, costituiscono la
larga parte dei familiari che provvedono direttamente alla cura dell’anziano
non autosufficiente, anche quando non abitano sotto lo stesso tetto» (24).
A tale conclusione giunge anche
Franco Pesaresi secondo il quale «in
Italia l’assistenza agli anziani non autosufficienti, in buona parte, pesa
sulle famiglie che provvedono con l’assistenza informale o con l’utilizzo di assistenti familiari (badanti) soprattutto nelle
situazioni di più grave non autosufficienza». L’intervento pubblico è infatti «molto
contenuto sia per numero di anziani assistiti sia per la dimensione dei singoli
interventi riuscendo ad essere esaustivi solo in una piccola percentuale di
casi (2,5%) evidentemente meno impegnativi» (25).
Il nuovo regolamento per l’erogazione sperimentale di assegni
di cura
Posto che sia dall’analisi del
percorso compiuto dal Consorzio che dall’esame delle esperienze condotte in
altri ambiti territoriali del Paese emerge con forza che «occorre sostenere economicamente queste famiglie» (26) che
«in questi anni (…) si sono fabbricate il proprio welfare dovendo ricorrere alle badanti, quasi sempre donne immigrate» (27), i Sindaci dei Comuni
di Collegno e Grugliasco hanno provveduto, in accordo con la direzione del
distretto sanitario, ad approvare la deliberazione 11 gennaio 2008, n. 2 con la
quale viene regolamentata l’erogazione di assegni di cura che «integrano e non sostituiscono gli altri
interventi e prestazioni sanitarie eventualmente necessari» in quanto
alternativi soltanto al ricovero in struttura residenziale.
Il principale elemento di novità
introdotto dal regolamento è rappresentato dal riconoscimento di una “quota
sanitaria” che l’Azienda corrisponde al beneficiario prescindendo dal suo
reddito: così come avviene per l’erogazione della componente
sanitaria della retta di ricovero in Residenza sanitaria assistenziale (Rsa).
La misura di sostegno è rivolta a
coloro che si fanno carico di assistere il soggetto in condizioni di non
autosufficienza certificata dall’Unità di valutazione competente e che – con il
consenso dello stesso – aderiscono al progetto di intervento
assistenziale che può prevedere due tipologie di contributo:
• i familiari ed i terzi che a
titolo di affidatari si fanno carico di assistere la
persona non autosufficiente possono beneficiare di un assegno di cura mensile
di valore sino a 500 euro di cui 250 euro sono comunque assicurati dall’Azienda
sanitaria n. 5 (ora n. 3) mentre, per la restante somma, interviene il
Consorzio applicando – per la valutazione della situazione economica del
beneficiario – il proprio regolamento sui criteri di contribuzione al costo
delle prestazioni erogate nell’ambito di percorsi socio-sanitari integrati e –
per la determinazione del valore della quota consortile dell’assegno – il
proprio regolamento dei servizi di assistenza domiciliare (28). Il contributo
di cui sopra viene considerato come rimborso
forfetario delle spese sostenute per l’accoglienza o la presenza presso
l’abitazione della persona non autosufficiente – compresi gli oneri derivanti
dalle sostituzioni (acquisti, commissioni, ecc.) e dalla remunerazione di prestazioni
assistenziali saltuarie fornite da soggetti privati – da coloro che assumono in
prima persona la responsabilità del buon andamento dell’intervento domiciliare;
• qualora la persona colpita da
patologie invalidanti e da non autosufficienza, per poter continuare ad essere
curata al domicilio, richiedesse una assistenza
continuativa, fornita a titolo oneroso da soggetti privati ed erogata nell’arco
delle 24 ore, si prevede la possibilità che il soggetto interessato e/o coloro
che provvedono all’accudimento possano presentare istanza all’Unità di valutazione
distrettuale per ottenere un assegno di cura – alternativo al contributo di cui
al punto precedente ed espressamente finalizzato (per almeno il 50%
dell’importo complessivamente erogato) a coprire le spese sostenute per la
regolare remunerazione degli assistenti familiari o per l’acquisto del servizio
da altri soggetti abilitati a fornirlo – sino ad un valore di 1.000 euro
mensili. Anche tale contributo è costituito da due quote distinte (l’una, di
500 euro mensili comunque erogata dall’Asl e l’altra,
sino alla concorrenza del massimale, erogata del Consorzio con i criteri di cui
al punto precedente).
Un secondo elemento importante
del regolamento è rappresentato dall’impegno – che il Consorzio ed il Distretto
n. 1 dell’Azienda sanitaria n. 5 (ora n. 3) assumono – ad assicurare, in ogni
caso, la continuità assistenziale per gli anziani o le
persone non autosufficienti beneficiarie degli assegni di cura che vengano a
trovarsi nell’impossibilità di permanere al proprio domicilio a causa del
modificarsi della situazione che ha dato luogo all’attivazione del progetto
assistenziale. Ove se ne rilevi la necessità è infatti
previsto che si proceda, a richiesta dell’interessato, ad una rivalutazione del
progetto finalizzata al ricovero dell’assistito in una struttura residenziale.
Con questa nuova procedura di
presa in carico l’utenza non viene costretta ad
individuare nel ricovero l’unica soluzione possibile alle esigenze di cura
determinate dall’insorgere di una condizione di non autosufficienza. E neppure
a collocarsi in “lista d’attesa” per “prenotare” l’inserimento, in previsione
di un temuto ulteriore decadimento delle condizioni di
salute. È infine da osservare che le Unità di valutazione potranno più
agevolmente programmare gli eventuali inserimenti attraverso il monitoraggio
costante dei piani assistenziali individualizzati
delle persone in carico.
Conclusioni
Il riconoscimento di supporti economici per le
cure domiciliari delle persone colpite da patologie invalidanti e da non
autosufficienza da parte di una Azienda sanitaria è un
fatto molto importante: anche se la sperimentazione dell’intervento viene
(auspicabilmente soltanto per ora) limitata ad un solo ambito distrettuale. È
ben vero che il budget finanziario
stanziato è evidentemente limitato rispetto alle esigenze e che gli importi
degli assegni posti a carico del bilancio sanitario risultano
molto inferiori a quel 60% della retta corrisposta dalle Asl alle Rsa che –
secondo i promotori della petizione popolare (29) volta ad ottenere che nelle leggi
della Regione Piemonte siano inseriti diritti esigibili per i cittadini più
deboli – costituisce la misura adeguata al riconoscimento del volontariato
intrafamiliare (30).
Ma si tratta, pur sempre, di un
passo in avanti nella direzione giusta. Di una iniziativa
che dovrebbe stimolare l’Assessorato regionale alla sanità in primo luogo a «ratificare (…) accordi territoriali che
recepiscano le cosiddette assistenze domiciliari “in lungo-assistenza” che
dovrebbero anche giovarsi dello strumento dell’assegno di cura sul quale non
esiste attualmente una regolamentazione regionale» (31) e, successivamente,
a definire in via generale i criteri attraverso i quali dare attuazione, in
tutto il Piemonte, al disposto del Piano socio-sanitario regionale 2007-2010
nel quale si afferma che «occorre (…)
prevedere l’erogazione di assegni di cura in misura adeguata ai P.I. (piani individualizzati) in
lungo-assistenza individuati dalle Uvm (unità
valutative multidisciplinari)» e che «il
volontariato intrafamiliare va considerato come uno dei possibili strumenti
atti a favorire il permanere della persona con disabilità in condizioni di
gravità nel suo originale contesto di vita e verrà meglio definito e
regolamentato con apposito atto deliberativo di Giunta regionale».
*
Direttore del Cisap, Consorzio dei servizi alla persona dei Comuni di Collegno
e Grugliasco (Torino).
(1) Mauro
Perino, “Supporti economici per le cure domiciliari delle persone colpite da
patologie invalidanti e da non autosufficienza”, Prospettive assistenziali, n. 159, 2007.
(2)
Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 14 febbraio 2001 “Atto di
indirizzo in materia di prestazioni socio-sanitarie”. Decreto del Presidente
del Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001 “Definizione dei livelli essenziali
di assistenza”.
(3) «Le prestazioni sanitarie comprese nei livelli essenziali di assistenza» – e tra queste quelle contenute
nell’allegato
(4)
Nell’ambito dell’assistenza domiciliare integrata sono poste a carico del fondo
sanitario le prestazioni a domicilio di medicina generale e specialistica, di
assistenza infermieristica e di riabilitazione. Sono invece suddivise al 50%
tra Servizio sanitario nazionale e Comuni – sempre fatta salva la
compartecipazione dell’utente – l’assistenza tutelare. È infine posto a totale
carico del Comune l’aiuto domestico e familiare.
(5) Il
Consorzio intercomunale dei servizi alla persona tra i Comuni di Collegno e
Grugliasco opera in un territorio collocato al confine ovest di Torino che si
estende su una superficie di 31,24 Kmq ed è popolato da 87.216 abitanti.
(6) Oltre
agli interventi professionali svolti da operatori con qualifiche di assistente
domiciliare e delle strutture tutelari (Adest) e di operatore socio-sanitario
(Oss), vengono offerti ai cittadini richiedenti le prestazioni – singole o
aggregate in forma di “pacchetti” di servizio – relative a: interventi di
manutenzione dell’ambiente di vita, lavaggio e stiratura di biancheria,
interventi specifici sulla persona (podologo, pedicure, parrucchiere),
fornitura pasti, animazione e socializzazione, teleassistenza e telesoccorso.
(7) Nei
confronti degli ultrasessantacinquenni dichiarati non autosufficienti dalle
Unità di valutazione geriatrica e delle persone con handicap in situazione di
gravità, il contributo viene richiesto esclusivamente sulla base delle risorse
economiche personali (reddito e beni), senza alcun onere per i congiunti, così
come previsto dall’articolo 3, comma 2 ter, del decreto legislativo n. 109/1998
come modificato dal decreto legislativo n. 130/2000. Il valore Isee per
determinare l’entità del buono (espresso in lire nella prima fase di
sperimentazione e poi in euro) è compreso tra 9.297,99 euro – che danno diritto ad un buono pari al
100% del costo della prestazione – e 27.889,99 euro in base ai quali è
assicurato un buono di valore pari al 10% del costo dell’intervento. Per valori
Isee superiori non viene erogato alcun buono di servizio.
(8) Il
valore Isee per determinare l’entità dell’assegno di cura (espresso in lire
nella prima fase di sperimentazione e poi in euro) è compreso tra 9.297,99 euro
– che danno diritto ad assegno pari a
1.032,91 euro – e 25.822,85 euro in base ai quali è assicurato un assegno di
valore pari 516,46 euro. Per valori Isee superiori non viene
erogato alcun assegno di cura.
(9) Sino
al 2003 gli utenti che possono beneficiare di assegni di cura sono, in media,
una decina l’anno. Dal 2004 il budget viene elevato e
gli utenti salgono a 40 ogni anno.
(10)
Articolo 22, comma 1, legge regionale piemontese 8 gennaio 2004, n. 1 “Norme
per la realizzazione del sistema regionale integrato di interventi e servizi
sociali e riordino della legislazione di riferimento”.
(11)
Articolo 20, comma 4, legge regionale piemontese n. 1/2004.
(12) Paolo
Ferrario, “I servizi socio-sanitari e le politiche amministrative
dell’accreditamento”, sito del “Gruppo Solidarietà” www.grusol.it.
(13)
Cristiano Gori, Sergio Pasquinelli, “Il buono socio-sanitario nella rete dei
servizi territoriali”, in Cristiano
Gori (a cura di), Le politiche per gli
anziani non autosufficienti, Franco Angeli, Milano, 2001.
(14) Ibidem.
(15) Ibidem.
(16)
L’esperienza lombarda viene avviata negli anni 1999 e
(17) Sergio
Pasquinelli, Alfonso Gambino, “Il voucher sociale”, in Cristiano Gori (a cura di), Le
politiche sociali di centro-destra, Carocci, Roma, 2005.
(18) Ibidem.
(19) Ibidem.
(20) Franco
Pesaresi, “Il Sad per anziani in Italia”, Prospettive
sociali e sanitarie, n. 18, 2007.
(21) Ibidem.
(22) Ibidem.
(23) Ibidem.
(24) Chiara
Saraceno, “Prigionieri della solidarietà”,
(25) Franco
Pesaresi, “Chi assiste l’anziano non autosufficiente?”, Servizi sociali oggi, n. 6, 2007.
(26) Come
sostiene Mario Bo, professore aggregato di geriatria e responsabile del Centro
arteriosclerosi all’ospedale Molinette di Torino, citato in Marco Accossato,
“Alzheimer, le spese folli delle famiglie disperate”,
(27) Chiara
Saraceno, “Prigionieri della solidarietà”, Op.
cit.
(28)
Entrambi i regolamenti possono essere consultati sul sito www.cisap.to.it.
(29) Nella
petizione viene richiesto che
(30)
Deliberazione del Consiglio regionale 24 ottobre 2007, n. 137-40212, “Piano
socio-sanitario regionale 2007-
(31) Ibidem.
www.fondazionepromozionesociale.it