Prospettive assistenziali, n. 161, gennaio-marzo 2008

 

 

CURE DOMICILIARI DELLE PERSONE COLPITE DA PATOLOGIE INVALIDANTI E DA NON AUTOSUFFICIENZA: DAI BUONI DI SERVIZIO SOCIO-ASSISTENZIALI AGLI ASSEGNI DI CURA SANITARI

MAURO PERINO *

 

 

 

Premessa

In un precedente articolo (1) nel quale veniva affrontata la tematica del diritto alle cure domiciliari per le persone in condizioni di non autosufficienza, ho cercato di dimostrare che i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri 14 febbraio 2001 e 29 novembre 2001 (2) (quest’ultimo con forza di legge in base all’articolo 54 della legge 289/2002) assegnano la titolarità delle prestazioni di livello essenziale afferenti alla cosiddetta area socio-sanitaria elencate nei rispettivi allegati al comparto sanitario (3) e che, pertanto, alle tipologie d’utenza indicate nei decreti le Aziende sanitarie (Asl) devono assicurare anche le prestazioni erogate nell’ambito del micro livello “assistenza programmata a domicilio (Adi e Adp)” ed in particolare, fra le altre previste, le «prestazioni di aiuto infermieristico e assistenza tutelare alla persona» (4).

Si tratta di prestazioni non specialistiche (per “aiuto infermieristico” non si intende infatti l’attività dell’infermiere professionale ma quella “ausiliaria”) che nell’ambito dell’assistenza domiciliare integrata e nell’ospedalizzazione a domicilio vengono svolte, nella maggioranza dei casi, dai congiunti o da terzi che si impegnano a provvedere alle cure della persona non autosufficiente. Un impegno – assunto su base volontaria, stante l’obbligo del servizio sanitario di assicurare le cure senza limiti di durata sia nella fase acuta che nel periodo di cronicità – senza il quale verrebbe vanificato qualunque intervento professionale finalizzato ad evitare il ricovero e che, proprio per questa ragione, andrebbe riconosciuto, valorizzato e sostenuto dalle Asl.

A distanza di qualche mese dalla pubblicazione dell’articolo in oggetto, si è mossa in tal senso la direzione del distretto sanitario di Collegno e Grugliasco dell’Asl 5 (oggi Asl Torino 3) che – aderendo ad una precisa richiesta dei Sindaci dei due Comuni ed in accordo con il Consorzio Cisap – ha approvato il “Regolamento per l’erogazione sperimentale di assegni di cura a beneficio di anziani e persone non autosufficienti aventi diritto al ricovero in struttura” che viene pubblicato in questo numero della rivista.

Si tratta di un provvedimento che rappresenta una tappa importante nell’ambito di un percorso – certamente non concluso e del quale merita dare conto – che ha visto un progressivo coinvolgimento del comparto sanitario in un ambito (quello delle cure domiciliari alle persone non autosufficienti) che, per tutta una lunga fase, è stato totalmente delegato al settore socio-assistenziale.

 

Buoni di servizio ed assegni di cura nell’esperienza dei Comuni di Collegno e di Grugliasco

Nel novembre 1999 il Consorzio intercomunale (5) bandisce una “Gara di appalto concorso per l’affidamento dei servizi di assistenza domiciliare per specifiche aree di utenza e per l’accreditamento sperimentale di agenzie fornitrici di servizi domiciliari di aiuto alla persone e alle famiglie” riservata alle cooperative sociali di tipo A ed ai loro consorzi e raggruppamenti temporanei.

Con l’utilizzo dell’istituto dell’accreditamento si intende offrire alle persone ed alle famiglie la possibilità di individuare il fornitore nell’ambito di un elenco di soggetti, selezionati dal Consorzio, in possesso di adeguati requisiti di qualità. L’obiettivo è la costruzione di un sistema che consenta una maggior contrattualità da parte dei destinatari, che vengono messi in condizione di avere “voce in capitolo” nella individuazione degli interventi, “componendo”, attraverso il “pacchetto di servizi” (6) offerto, il proprio programma assistenziale. Le persone e le famiglie vengono a tal fine sostenute – nell’acquisto dei servizi accreditati –- attraverso un buono di servizio (non in denaro) il cui valore è determinato rapportando il reddito individuale del beneficiario con il costo del programma mensile d’intervento.

Vengono definiti tre lotti caratterizzati dalla tipologia di utenza – anziani, disabili, persone con problemi sanitari e nuclei multi problematici in carico ai servizi sociali – per i quali il Consorzio, in quanto diretto responsabile del progetto assistenziale, si impegna ad acquistare (nel triennio di vigenza dell’appalto) interventi e prestazioni sino alla concorrenza del budget fissato per ogni singolo lotto (in vecchie lire: 400 milioni per gli anziani, 300 milioni per i disabili, 200 milioni per le restanti tipologie).

Alle cooperative viene richiesto di scegliere il “segmento di mercato” nel quale collocarsi coniugando la specializzazione – richiesta per aggiudicarsi il singolo lotto (d’utenza) – con l’ulteriore opportunità offerta di coprire, tendenzialmente, tutte le tipologie di bisogno attraverso l’accreditamento conseguente all’aggiudicazione. L’importo destinato alla remunerazione dei servizi relativi ai singoli lotti (900 milioni di vecchie lire nel triennio) viene infatti integrato dall’ulteriore stanziamento di 2 miliardi e 100 milioni destinati a finanziare l’erogazione dei buoni di servizio che i cittadini possono utilizzare – ad integrazione delle spese direttamente sostenute – per acquistare, dalla cooperativa autonomamente scelta (tra le tre vincitrici sui lotti), servizi e prestazioni di assistenza alla persona e domiciliari.

Le cooperative aggiudicatarie dei lotti sono dunque poste – in quanto agenzie accreditate – in (relativa) concorrenza tra loro per aggiudicarsi i clienti beneficiari dei buoni di servizio rilasciati dal consorzio. Attraverso la gara vengono accreditate tre cooperative sociali che iniziano ad operare, nel marzo 2000, applicando un nuovo regolamento dei servizi di assistenza domiciliare, predisposto dal Consorzio, nel quale vengono previsti due percorsi di accesso ai servizi:

• uno riservato alle persone che non possono o non vogliono accedere autonomamente alle agenzie e per le quali l’accesso viene mediato dall’assistente sociale del Consorzio che sceglie la cooperativa sulla base della tipologia d’utenza e propone il progetto assistenziale a favore del proprio utente, restando responsabile del progetto e del caso;

• l’altro per le persone che possono e vogliono accedere direttamente alle agenzie, con le quali concordano direttamente il progetto assistenziale ed attraverso le quali possono richiedere al Consorzio (per via telematica) la erogazione del buono di servizio per il sostegno al pagamento delle prestazioni.

Ai cittadini che richiedono il servizio – siano essi utenti del Consorzio o clienti delle cooperative – viene richiesto di compilare la dichiarazione ai fini Isee (indicatore della situazione economica equivalente) allo scopo di determinare la loro quota di partecipazione al costo del programma assistenziale (7) (versata direttamente alla cooperativa) ed il valore del buono di servizio (che viene fatturato al Consorzio). Tutte le procedure vengono svolte presso le agenzie accreditate.

L’accreditamento dei servizi di assistenza domiciliare ha consentito – sin dalla prima fase della sperimentazione – il positivo ampliamento delle attività sia in termini di ore di intervento complessivamente erogate che nel numero delle persone assistite (oltre 60 mila ore per circa 500 assistiti l’anno dal 2004). Si sono inoltre ridotti i tempi di risposta e si è differenziata la gamma dei servizi forniti offrendo la possibilità di comporre “pacchetti assistenziali” personalizzati. Infine i fruitori dei servizi hanno espresso, in genere, buoni livelli di soddisfazione per le prestazioni ricevute e per la professionalità degli operatori delle agenzie.

Dal punto di vista del Consorzio i vantaggi si sono concretizzati in un migliore utilizzo delle (necessariamente maggiori) risorse finanziarie investite (dai 300.000 euro del 1999 ai 900.000 euro dal 2004 ad oggi) e nel risparmio del tempo lavoro degli operatori pubblici derivante dal conferimento ai soggetti accreditati delle incombenze relative alla definizione dei progetti assistenziali individuali e delle funzioni istruttorie collegate all’erogazione dei buoni di ser­vizio.

Dal giugno del 2000, parallelamente alla sperimentazione dell’accreditamento, il Consorzio avvia inoltre – in accordo con la direzione del distretto sanitario – l’erogazione di assegni di cura (contributi economici in denaro) finalizzati al pagamento di assistenze private da parte dei congiunti di anziani non autosufficienti (dichiarati tali dall’Unità di valutazione geriatrica che si esprime anche in ordine alla possibilità/opportunità di attivare l’intervento). Il contributo deve essere effettivamente utilizzato per remunerare assistenti assunti con regolare contratto ed i beneficiari sono pertanto tenuti a fornire al Con­sorzio la documentazione attestante il rispetto degli impegni richiesti. L’assegno di cura – che riscuote subito molto successo tra gli utenti – viene però erogato ad un numero molto limitato di richiedenti in quanto è l’Asl – che insieme al Consorzio si fa carico del 50% della spesa non posta a carico dell’utente (8) – a determinare il budget annuale da destinare all’intervento alternativo al ricovero in Rsa (9).

Nel corso dei sette anni di sperimentazione del buono di servizio e dell’assegno di cura (dal 2000 a tutt’oggi) si sono però verificati importanti cambiamenti del quadro normativo di riferimento a livello nazionale e regionale. È stato perciò necessario impostare una ulteriore riflessione sull’impianto consortile di fornitura dei servizi e delle prestazioni domiciliari. In particolare si è evidenziata una diversa configurazione delle prestazioni erogate con il sistema di accreditamento che – se fornite a determinate tipologie d’utenza – non possono connotarsi soltanto come opportunità da offrire al cittadino/cliente ma anche (e soprattutto) come prestazioni di livello essenziale che – a certe condizioni – spettano al cittadino/utente per diritto.

Come precisato in premessa, il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001, “Definizione dei livelli essenziali di assistenza”, all’allegato 1.C, sancisce infatti il diritto soggettivo dei cittadini ad accedere alle prestazioni afferenti all’area dell’integrazione socio-sanitaria pur con l’onere di contribuire al costo dei servizi erogati. E tra le suddette prestazioni rientrano tutte quelle a carattere domiciliare, semi residenziale e residenziale previste dalla legge 328/2000 ove le stesse siano rivolte a persone con handicap grave e ad anziani non autosufficienti.

A seguito dell’applicazione del decreto sui Lea (Livelli essenziali di assistenza) nella Regione Piemonte si è dunque resa necessaria una revisione del modello organizzativo dei servizi di assistenza alla persona accreditati dal Consorzio. Il modello originario prevedeva infatti la fornitura di prestazioni di assistenza domiciliare che si caratterizzavano come opportunità offerte dal sistema dei servizi sociali per il sostegno dei cittadini e non certamente come la doverosa risposta ad un diritto soggettivo alle cure socio-sanitarie domiciliari.

Diritto formalmente sancito dalla legge regionale piemontese 1/2004 (approvata nel quarto anno di sperimentazione dell’accreditamento dei servizi domiciliari a livello consortile) che «identifica nel bisogno il criterio di accesso al sistema integrato di interventi e servizi sociali» e riconosce, a ciascun cittadino, «il diritto di esigere, secondo le modalità previste dall’ente gestore istituzionale, le prestazioni sociali di livello essenziale» (10). L’erogazione delle quali «è organizzata mediante la valutazione multidisciplinare del bisogno, la definizione del piano di lavoro integrato e individualizzato, il monitoraggio costante, la verifica periodica e la valutazione finale dei risultati» (11).

Dal disposto regionale si evince che l’ente gestore, ove decida di erogare i servizi (dei quali è pienamente responsabile) attraverso soggetti accreditati, non può limitarsi a finanziare il sistema delegandone l’organizzazione, ma deve esercitare penetranti poteri di intervento, specie in merito ai criteri gestionali generali, nei confronti dei soggetti privati chiamati ad espletare i servizi in qualità di organi indiretti dell’amministrazione. Lo strumento dell’accreditamento va pertanto utilizzato nella sua valenza di «procedimento concessorio attraverso il quale l’ente pubblico attribuisce ai servizi sociali accreditati la natura di servizi pubblici, ed al soggetto accreditato quello di concessionario della pubblica amministrazione» (12).

Rilevata la “duttilità” dell’accreditamento per quanto attiene alla possibilità di garantire un corretto utilizzo dei soggetti privati nell’esercizio di funzioni pubbliche, rimane aperto il problema di connettere il sistema di fornitura con il percorso prestabilito che, attraverso la valutazione, conduce il cittadino non autosufficiente alla definizione di un piano assistenziale costantemente verificato dai titolari delle funzioni socio-sanitarie e, quindi, dalle Unità di valutazione delle Aziende sanitarie (delle quali fanno parte professionalità afferenti ai settori sanitario e sociale). Per rispondere a tale esigenza il Consorzio e la direzione del distretto sanitario hanno individuato nello “sportello socio-sanitario distrettuale” lo strumento idoneo ad assicurare l’accesso all’intero complesso delle prestazioni sanitarie, sanitarie a rilevanza sociale e sociali a rilevanza sanitaria assegnate, rispettivamente, alla titolarità del Servizio sanitario ed a quella dei Comuni.

Nel modello organizzativo dell’assistenza domiciliare delineato nel 1999 con l’avvio del sistema di accreditamento le tre “agenzie” territoriali si rapportavano – tramite i loro sportelli – direttamente con l’utenza, formulando i progetti di intervento ed erogando direttamente i servizi, previa approvazione dei programmi assistenziali da parte del Consorzio. La creazione dello sportello socio-sanitario, avvenuta nel 2004, ha comportato l’unificazione degli sportelli delle agenzie accreditate presso la sede del distretto sanitario e l’inserimento dei responsabili delle cooperative nella nuova struttura operativa integrata. In buona sostanza si è centralizzato l’esercizio delle funzioni di accoglienza, informazione e valutazione (quest’ultima attribuita all’Unità di valutazione distrettuale) pur mantenendo distinta la fornitura delle prestazioni ai cittadini da parte delle cooperative accreditate.

La sperimentazione del nuovo modello ha dato risultati complessivamente positivi (nel 2007 sono transitati dallo sportello 1.300 cittadini: di questi circa 400 hanno beneficiato di buoni di servizio utilizzati presso i fornitori accreditati e 40 di assegni di cura finalizzati a remunerare assistenze private). Attraverso lo sportello viene fornita una puntuale informazione sulle diverse opportunità di cura offerte dalla rete dei servizi domiciliari, semi residenziali e residenziali del distretto n. 1 dell’Asl. n. 5 (ora n. 3) e sui criteri e le procedure previsti per la richiesta e l’erogazione degli interventi. Lo sportello svolge inoltre una funzione di orientamento della domanda attraverso il sostegno del cittadino che manifesta l’esigenza di essere coadiuvato nell’assunzione di una decisione consapevole in merito al piano assistenziale da attivare per sé o per i congiunti in difficoltà. Altro importante obiettivo perseguito attraverso lo sportello è la gestione unificata delle procedure amministrative (sanitarie e consortili) connesse all’erogazione degli interventi (dalla istruttoria delle richieste, alla valutazione da parte della competente unità distrettuale, sino alla definizione degli impegni economici).

 

Riflessioni sull’utilizzo dei contributi economici in denaro

Come osservano Cristiano Gori e Sergio Pa­squinelli «il buono socio-sanitario, quando utilizzato come somma di denaro da passare ai familiari (assegno di cura), costituisce uno specifico strumento per il loro sostegno e rappresenta un riconoscimento dello sforzo quotidiano che essi compiono» (13). Nella maggiore autonomia decisionale esercitata dagli utenti nell’ambito di servizi più flessibili e nel riconoscimento delle attività di cura svolte dai familiari impegnati nell’assistenza di anziani non autosufficienti risiedono, dunque, i punti di forza di questa specifica misura di sostegno. Infatti, con l’introduzione dell’assegno di cura «il riconoscimento del fatto che le Asl devono contribuire a soddisfare bisogni legati alla non autosufficienza non implica più che siano gli operatori a decidere in che modo ciò deve avvenire. Sono gli anziani ed i loro familiari a decidere le prestazioni da ricevere (a partire dalla scelta se tenere i soldi od optare per il voucher), da chi, con quali modalità ed orari» (14).

Quanto ai punti di debolezza è da rilevare che l’offerta di un contributo economico senza l’erogazione di «servizi di sostegno alla famiglia come interventi psicologici, gruppi di auto aiuto, educazione al care o altro (…) costituisce una misura incompleta poiché i caregiver rimangono in ogni modo soli, senza le occasioni di confronto e gli interventi di sostegno di cui hanno bisogno, che richiedono e solitamente gradiscono molto». Inoltre «l’assenza di qualsiasi forma di valutazione iniziale e verifica/monitoraggio successivi rende impossibile esaminare lo stato dei rapporti reali tra i due soggetti ed intervenire qualora si presentino problemi» (15) tra gli anziani ed i familiari che li assistono.

A questi aspetti problematici  segnalati dagli Autori con riferimento agli assegni di cura erogati dalle Asl della Regione Lombardia nel triennio 1999/2001 (16) – il Consorzio tenta di fornire una risposta sin dalla fase iniziale dell’esperienza. È infatti l’Unità di valutazione multidisciplinare che formula – dopo aver verificato che il nucleo familiare è idoneo ed in grado di farsi carico delle incombenze assistenziali nei confronti del congiunto e con il coinvolgimento del medico di medicina generale – il piano assistenziale individuale nell’ambito del quale si colloca l’erogazione dell’assegno di cura. Inoltre viene assicurato il monitoraggio del progetto ed ai familiari viene offerta la possibilità di interloquire con un operatore di riferimento che ha, tra i suoi compiti, quello di connettere l’utilizzo dell’assegno di cura con le altre prestazioni sanitarie e socio-sanitarie che necessitano all’utente. L’assegno è infatti considerato alternativo al solo ricovero in struttura.

Ma accanto a questo aspetto positivo occorre rilevare il limite del non riconoscimento (in senso economico) dell’attività di cura direttamente svolta dal nucleo familiare (ad esempio, attraverso la collocazione in part time lavorativo di un componente). L’assegno erogato dal Consorzio e dal distretto sanitario sino a tutto il 2007 deve essere infatti obbligatoriamente (ed interamente) utilizzato per remunerare un assistente terzo regolarmente assunto o, almeno in linea teorica, per acquistare il servizio dalle agenzie accreditate. In pratica però l’assegno viene attivato proprio quando il ricorso al buono di servizio (e quindi all’agenzia accreditata) non risulta più conveniente per l’elevato numero di ore di assistenza necessarie all’utente. Di qui il generalizzato ricorso alle assistenze private da parte dei titolari dell’assegno di cura.

Da quanto detto si evince inoltre che – nonostante le previsioni regolamentari in tal senso – all’utente non è data una effettiva possibilità di scelta tra assegno di cura e buono di servizio. Gli assegni di cura erogati annualmente in compartecipazione di spesa con la sanità (istituzionalmente competente, in base alla vigente normativa) sono infatti “contingentati” (dal ridotto budget del distretto) mentre i buoni di servizio (a quasi completo carico del Consorzio per le quote non coperte dall’assistito) vengono erogati a tutti gli aventi diritto (inclusi i richiedenti assegno di cura collocati in lista d’attesa dall’Asl).

I dati sul successo del buono di servizio, in termini di accesso ai fornitori accreditati, vanno dunque letti con l’avvertenza di cui sopra. Si rileva, in sostanza, che il sistema del buono di servizio erogato in forma di titolo di credito riscontra un buon gradimento, da parte dei congiunti dell’utente, in quelle situazioni che richiedono interventi, in genere organizzati settimanalmente, che si concretizzano nella fornitura di prestazioni assistenziali definite e limitate a poche ore (l’alzata dal letto e la vestizione, l’igiene della persona ed il bagno assistito, la somministrazione del pasto, la mobilizzazione, ecc.). Quando l’esigenza assistenziale che si manifesta nel nucleo è protratta nell’arco della giornata (ad esempio per supplire all’assenza dell’accuditore familiare costretto ad assentarsi per lavoro) o addirittura si estende alla fascia notturna lo strumento rivela – per ragioni di costo orario – tutti i suoi limiti.

 

Riflessioni sull’utilizzo dei titoli di credito

Si è detto che il buono di servizio come titolo di credito è lo strumento che il Consorzio ha, sino ad oggi, diffusamente utilizzato per sostenere l’utente nell’acquisto di prestazioni di assistenza professionale domiciliare presso un certo numero di fornitori accreditati. In pratica ciò che differenzia l’accreditamento dal più tradizionale e diffuso sistema di fornitura fondato sui servizi di assistenza domiciliare (Sad) è che il cittadino non ha di fronte, come unico interlocutore, un servizio comunale – gestito in forma diretta o (molto più spesso) conferito all’esterno – ma viene messo (almeno formalmente) nella condizione di decidere da chi spendere il proprio buono. Si genererebbe in tal modo una “pressione competitiva” sui produttori dei servizi che verrebbero stimolati ad operare al meglio (in termini di qualità e di costi) per “intercettare” il maggior numero di clienti. In realtà – come osservano Sergio Pasqui­nelli e Alfonso Gambino con riferimento all’esperienza dei voucher sociali in Lombardia (17) – attraverso l’accreditamento la competizione tra gli attori aumenta in misura limitata.

Sia nel modello lombardo che in quello del Cisap si rileva che «le cooperative tendono a contrastare dinamiche competitive. Il voucher aumenta infatti il cosiddetto rischio di impresa: un rischio che si cerca di limitare il più possibile. Prima di arrivare a competere si preferisce così mettersi d’accordo, dividendosi il territorio o specializzandosi in termini di servizi offerti. Gli stessi Comuni tendono a evitare di esasperare l’aspetto competitivo, se non a ridurlo del tutto. Ridurre la concorrenza, soprattutto la concorrenza sul prezzo, per l’ente locale vuol dire cercare di evitare due rischi: a) il primo è che la concorrenza sul prezzo porti a un generale deterioramento della qualità degli interventi. In un mercato molto sensibile al prezzo, il rischio è quello di premiare chi offre di più con meno, e dietro la corsa al ribasso ci può essere di tutto: una qualità scadente, rapporti di lavoro poco trasparenti e così via; b) il secondo rischio è che una concorrenza sul prezzo metta a repentaglio la sopravvivenza dei soggetti più deboli, che vi siano cioè cooperative sociali costrette a chiudere. Questa è una eventualità che i Comuni vogliono evitare: inasprirebbe i rapporti all’interno del terzo settore e deteriorerebbe quelli tra l’ente pubblico e il privato sociale» (18).

Inoltre il voucher aumenta la libertà di scelta del cittadino «meno di quanto ci si poteva ragionevolmente aspettare. In numerosi casi la scelta è “obbligata”, poiché in quel territorio, per quel bisogno, il soggetto erogatore, accreditato, è uno solo. Dove la scelta esiste non siamo comunque in presenza di un’ampia rosa di possibilità. Anche dove c’è scelta infatti essa di fatto si riduce in relazione alla specificità dei bisogni. In larga misura gli enti erogatori accreditati sono gli stessi che già operavano sul territorio, buona parte dei quali in regime di convenzione con l’ente pubblico (Comuni e Asl). L’ingresso di nuovi soggetti tende ad avvenire con tempi relativamente diluiti. È significativo poi segnalare come in alcuni casi la libertà di scelta può essere vissuta come un “peso”. Soprattutto nei casi di maggiore disagio, la volontà di capire il nuovo sistema, le sue regole e di accollarsi i costi della scelta è piuttosto bassa» (19).

In sostanza nel sistema di accreditamento permangono i tratti fondamentali che caratterizzano il Sad (Servizio assistenziale domiciliare) tradizionale ove «la titolarità del servizio è quasi sempre pubblica (99,7% in Emilia Romagna), ma la gestione è quasi sempre esternalizzata (90% in Emilia Ro­ma­gna, 79% nelle Marche, 60,4% in Provincia di Cre­mo­na) e affidata a cooperative sociali (72% dei casi nelle Marche, 26,4% in Provincia di Cremona)». At­tra­verso il voucher vengono inoltre erogate le stesse prestazioni che, con riferimento al Sad, risultano così ripartite: «l’impegno più rilevante sembra essere riservato all’igiene della persona (57% delle ore di assistenza nella Provincia di Bolzano; 33,8% delle prestazioni in Veneto; 17% in Provincia di Cremona) seguito dall’aiuto domestico (29% delle ore di assistenza in Provincia di Cremona; 18,8% delle prestazioni in Veneto e 17,7% in Provincia di Bolzano). Di minore entità complessiva altre prestazioni come l’accompagnamento (4,7% nella Provincia di Bolza­no; 5% nella Provincia di Cremona), non presenti in tutte le Regioni» (20). Infine, in base ai pochissimi dati a disposizione, si può stimare che il «numero medio di ore di Sad erogate settimanalmente di poco superiore a 3» (21) corrisponda a quello dell’accreditamento che – nell’ambito territoriale del Cisap – risulta quantificato, in base ai dati relativi all’anno 2007, in 2,30 ore medie settimanali per utente.

Dunque il servizio di assistenza domiciliare – sia esso erogato da un solo soggetto esterno all’amministrazione o da più fornitori dalla stessa accreditati e posti in “concorrenza” tra loro – non si afferma «come l’attività in grado di sostenere l’anziano non autosufficiente in modo esaustivo, ma più spesso è stato inteso come uno dei servizi utilizzati per l’assistenza di uno stesso anziano non autosufficiente o, in altre situazioni, come il servizio per prevenire peggioramenti della condizione di anziani parzialmente non autosufficienti o soli e a rischio di istituzionalizzazione. In questo quadro la risposta che la popolazione ha dato di fronte alle necessità assistenziali per i non autosufficienti è ben rappresentata dall’esplosione del fenomeno delle “assistenti familiari” che raggiungono al domicilio un numero di assistiti ben più elevato di quelli gestiti dal Sad». Ed in ogni caso «sarebbe estremamente sbagliato per il Sad esprimersi in termini competitivi rispetto al lavoro delle assistenti familiari (…) visto che la spesa complessiva italiana per le assistenti familiari è almeno 10 volte tanto quella del Sad» (22).

Per le suddette ragioni è necessario ripensare l’organizzazione complessiva dell’assistenza socio-sanitaria domiciliare al fine di garantire «aiuti diversi tra loro che insieme contribuiscano all’erogazione di interventi più qualificati e consistenti, anche in termini di qualità del servizio e di numero di ore erogate per la cura della persona» (23). Ben sapendo che, come afferma Chiara Saraceno, «i compiti, e i costi, della cura che spesso richiede una presenza continua e che, a differenza che per i bambini, è segnata da un progressivo aggravamento, sono lasciati pressoché totalmente a carico delle famiglie. È un carico insieme finanziario e umano davvero molto pesante, che grava in modo fortemente asimmetrico soprattutto sulle donne: mogli, figlie, nuore, spesso anziane a propria volta, costituiscono la larga parte dei familiari che provvedono direttamente alla cura dell’anziano non autosufficiente, anche quando non abitano sotto lo stesso tetto» (24).

A tale conclusione giunge anche Franco Pesaresi secondo il quale «in Italia l’assistenza agli anziani non autosufficienti, in buona parte, pesa sulle famiglie che provvedono con l’assistenza informale o con l’utilizzo di assistenti familiari (badanti) soprattutto nelle situazioni di più grave non autosufficienza». L’intervento pubblico è infatti «molto contenuto sia per numero di anziani assistiti sia per la dimensione dei singoli interventi riuscendo ad essere esaustivi solo in una piccola percentuale di casi (2,5%) evidentemente meno impegnativi» (25).

 

Il nuovo regolamento per l’erogazione sperimentale di assegni di cura

Posto che sia dall’analisi del percorso compiuto dal Consorzio che dall’esame delle esperienze condotte in altri ambiti territoriali del Paese emerge con forza che «occorre sostenere economicamente queste famiglie» (26) che «in questi anni (…) si sono fabbricate il proprio welfare dovendo ricorrere alle badanti, quasi sempre donne immigrate» (27), i Sindaci dei Comuni di Collegno e Grugliasco hanno provveduto, in accordo con la direzione del distretto sanitario, ad approvare la deliberazione 11 gennaio 2008, n. 2 con la quale viene regolamentata l’erogazione di assegni di cura che «integrano e non sostituiscono gli altri interventi e prestazioni sanitarie eventualmente necessari» in quanto alternativi soltanto al ricovero in struttura residenziale.

Il principale elemento di novità introdotto dal regolamento è rappresentato dal riconoscimento di una “quota sanitaria” che l’Azienda corrisponde al beneficiario prescindendo dal suo reddito: così come avviene per l’erogazione della componente sanitaria della retta di ricovero in Residenza sanitaria assistenziale (Rsa).

La misura di sostegno è rivolta a coloro che si fanno carico di assistere il soggetto in condizioni di non autosufficienza certificata dall’Unità di valutazione competente e che – con il consenso dello stesso – aderiscono al progetto di intervento assistenziale che può prevedere due tipologie di contributo:

• i familiari ed i terzi che a titolo di affidatari si fanno carico di assistere la persona non autosufficiente possono beneficiare di un assegno di cura mensile di valore sino a 500 euro di cui 250 euro sono comunque assicurati dall’Azienda sanitaria n. 5 (ora n. 3) mentre, per la restante somma, interviene il Consorzio applicando – per la valutazione della situazione economica del beneficiario – il proprio regolamento sui criteri di contribuzione al costo delle prestazioni erogate nell’ambito di percorsi socio-sanitari integrati e – per la determinazione del valore della quota consortile dell’assegno – il proprio regolamento dei servizi di assistenza domiciliare (28). Il contributo di cui sopra viene considerato come rimborso forfetario delle spese sostenute per l’accoglienza o la presenza presso l’abitazione della persona non autosufficiente – compresi gli oneri derivanti dalle sostituzioni (acquisti, commissioni, ecc.) e dalla remunerazione di prestazioni assistenziali saltuarie fornite da soggetti privati – da coloro che assumono in prima persona la responsabilità del buon andamento dell’intervento domiciliare;

• qualora la persona colpita da patologie invalidanti e da non autosufficienza, per poter continuare ad essere curata al domicilio, richiedesse una assistenza continuativa, fornita a titolo oneroso da soggetti privati ed erogata nell’arco delle 24 ore, si prevede la possibilità che il soggetto interessato e/o coloro che provvedono all’accudimento possano presentare istanza all’Unità di valutazione distrettuale per ottenere un assegno di cura – alternativo al contributo di cui al punto precedente ed espressamente finalizzato (per almeno il 50% dell’importo complessivamente erogato) a coprire le spese sostenute per la regolare remunerazione degli assistenti familiari o per l’acquisto del servizio da altri soggetti abilitati a fornirlo – sino ad un valore di 1.000 euro mensili. Anche tale contributo è costituito da due quote distinte (l’una, di 500 euro mensili comunque erogata dall’Asl e l’altra, sino alla concorrenza del massimale, erogata del Consorzio con i criteri di cui al punto precedente).

Un secondo elemento importante del regolamento è rappresentato dall’impegno – che il Consorzio ed il Distretto n. 1 dell’Azienda sanitaria n. 5 (ora n. 3) assumono – ad assicurare, in ogni caso, la continuità assistenziale per gli anziani o le persone non autosufficienti beneficiarie degli assegni di cura che vengano a trovarsi nell’impossibilità di permanere al proprio domicilio a causa del modificarsi della situazione che ha dato luogo all’attivazione del progetto assistenziale. Ove se ne rilevi la necessità è infatti previsto che si proceda, a richiesta dell’interessato, ad una rivalutazione del progetto finalizzata al ricovero dell’assistito in una struttura residenziale.

Con questa nuova procedura di presa in carico l’utenza non viene costretta ad individuare nel ricovero l’unica soluzione possibile alle esigenze di cura determinate dall’insorgere di una condizione di non autosufficienza. E neppure a collocarsi in “lista d’attesa” per “prenotare” l’inserimento, in previsione di un temuto ulteriore decadimento delle condizioni di salute. È infine da osservare che le Unità di valutazione potranno più agevolmente programmare gli eventuali inserimenti attraverso il monitoraggio costante dei piani assistenziali individualizzati delle persone in carico.

 

Conclusioni

Il riconoscimento di supporti economici per le cure domiciliari delle persone colpite da patologie invalidanti e da non autosufficienza da parte di una Azienda sanitaria è un fatto molto importante: anche se la sperimentazione dell’intervento viene (auspicabilmente soltanto per ora) limitata ad un solo ambito distrettuale. È ben vero che il budget finanziario stanziato è evidentemente limitato rispetto alle esigenze e che gli importi degli assegni posti a carico del bilancio sanitario risultano molto inferiori a quel 60% della retta corrisposta dalle Asl alle Rsa che – secondo i promotori della petizione popolare (29) volta ad ottenere che nelle leggi della Regione Piemonte siano inseriti diritti esigibili per i cittadini più deboli – costituisce la misura adeguata al riconoscimento del volontariato intrafamiliare (30).

Ma si tratta, pur sempre, di un passo in avanti nella direzione giusta. Di una iniziativa che dovrebbe stimolare l’Assessorato regionale alla sanità in primo luogo a «ratificare (…) accordi territoriali che recepiscano le cosiddette assistenze domiciliari “in lungo-assistenza” che dovrebbero anche giovarsi dello strumento dell’assegno di cura sul quale non esiste attualmente una regolamentazione regionale» (31) e, successivamente, a definire in via generale i criteri attraverso i quali dare attuazione, in tutto il Piemonte, al disposto del Piano socio-sanitario regionale 2007-2010 nel quale si afferma che «occorre (…) prevedere l’erogazione di assegni di cura in misura adeguata ai P.I. (piani individualizzati) in lungo-assistenza individuati dalle Uvm (unità valutative multidisciplinari)» e che «il volontariato intrafamiliare va considerato come uno dei possibili strumenti atti a favorire il permanere della persona con disabilità in condizioni di gravità nel suo originale contesto di vita e verrà meglio definito e regolamentato con apposito atto deliberativo di Giunta regionale».

 

 

 

* Direttore del Cisap, Consorzio dei servizi alla persona dei Comuni di Collegno e Grugliasco (Torino).

(1) Mauro Perino, “Supporti economici per le cure domiciliari delle persone colpite da patologie invalidanti e da non autosufficienza”, Prospettive assistenziali, n. 159, 2007.

(2) Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 14 febbraio 2001 “Atto di indirizzo in materia di prestazioni socio-sanitarie”. Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001 “Definizione dei livelli essenziali di assistenza”.

(3) «Le prestazioni sanitarie comprese nei livelli essenziali di assistenza» – e tra queste quelle contenute nell’allegato 1.C. Area dell’integrazione socio sanitaria del Dpcm 29 novembre 2001 – «sono garantite dal servizio sanitario nazionale a titolo gratuito o con la partecipazione alla spesa, nelle forme e secondo le modalità previste dalla legislazione vigente». (art. 1, comma 3, decreto legislativo 502/1992).

(4) Nell’ambito dell’assistenza domiciliare integrata sono poste a carico del fondo sanitario le prestazioni a domicilio di medicina generale e specialistica, di assistenza infermieristica e di riabilitazione. Sono invece suddivise al 50% tra Servizio sanitario nazionale e Comuni – sempre fatta salva la compartecipazione dell’utente – l’assistenza tutelare. È infine posto a totale carico del Comune l’aiuto domestico e familiare.

(5) Il Consorzio intercomunale dei servizi alla persona tra i Comuni di Collegno e Grugliasco opera in un territorio collocato al confine ovest di Torino che si estende su una superficie di 31,24 Kmq ed è popolato da 87.216 abitanti.

(6) Oltre agli interventi professionali svolti da operatori con qualifiche di assistente domiciliare e delle strutture tutelari (Adest) e di operatore socio-sanitario (Oss), vengono offerti ai cittadini richiedenti le prestazioni – singole o aggregate in forma di “pacchetti” di servizio – relative a: interventi di manutenzione dell’ambiente di vita, lavaggio e stiratura di biancheria, interventi specifici sulla persona (podologo, pedicure, parrucchiere), fornitura pasti, animazione e socializzazione, teleassistenza e telesoccorso.

(7) Nei confronti degli ultrasessantacinquenni dichiarati non autosufficienti dalle Unità di valutazione geriatrica e delle persone con handicap in situazione di gravità, il contributo viene richiesto esclusivamente sulla base delle risorse economiche personali (reddito e beni), senza alcun onere per i congiunti, così come previsto dall’articolo 3, comma 2 ter, del decreto legislativo n. 109/1998 come modificato dal decreto legislativo n. 130/2000. Il valore Isee per determinare l’entità del buono (espresso in lire nella prima fase di sperimentazione e poi in euro) è compreso tra 9.297,99 euro –  che danno diritto ad un buono pari al 100% del costo della prestazione – e 27.889,99 euro in base ai quali è assicurato un buono di valore pari al 10% del costo dell’intervento. Per valori Isee superiori non viene erogato alcun buono di ser­vizio.

(8) Il valore Isee per determinare l’entità dell’assegno di cura (espresso in lire nella prima fase di sperimentazione e poi in euro) è compreso tra 9.297,99 euro –  che danno diritto ad assegno pari a 1.032,91 euro – e 25.822,85 euro in base ai quali è assicurato un assegno di valore pari 516,46 euro. Per valori Isee superiori non viene erogato alcun assegno di cura.

(9) Sino al 2003 gli utenti che possono beneficiare di assegni di cura sono, in media, una decina l’anno. Dal 2004 il budget viene elevato e gli utenti salgono a 40 ogni anno.

(10) Articolo 22, comma 1, legge regionale piemontese 8 gennaio 2004, n. 1 “Norme per la realizzazione del sistema regionale integrato di interventi e servizi sociali e riordino della legislazione di riferimento”.

(11) Articolo 20, comma 4, legge regionale piemontese n. 1/2004.

(12) Paolo Ferrario, “I servizi socio-sanitari e le politiche amministrative dell’accreditamento”, sito del “Gruppo Solidarietà” www.grusol.it.

(13) Cristiano Gori, Sergio Pasquinelli, “Il buono socio-sanitario nella rete dei servizi territoriali”, in Cristiano Gori (a cura di), Le politiche per gli anziani non autosufficienti, Franco Angeli, Milano, 2001.

(14) Ibidem.

(15) Ibidem.

(16) L’esperienza lombarda viene avviata negli anni 1999 e 2000 in ambito sanitario con l’erogazione – da parte dell’Azienda sanitaria (Asl) di Milano e da quelle di Legnano e Monza – di un assegno di cura per anziani non autosufficienti: un contributo monetario, sostitutivo del ricovero in Residenza sanitaria assistenziale (Rsa), da fornire alle famiglie disponibili a farsi carico dell’assistenza del proprio congiunto a casa. All’inizio del 2001 il buono socio-sanitario viene esteso a tutte le Asl della Regione Lombardia. Il buono – uguale per tutti e quantificato in 800.000 lire mensili – è destinato ad anziani assistiti a domicilio che soddisfino i seguenti criteri: avere almeno 75 anni di età; essere già fruitori dell’indennità di accompagnamento; disporre di un reddito familiare inferiore ad una data soglia, graduata in base al numero di componenti. La concessione del buono non è preceduta da alcuna valutazione clinica circa le condizioni dei richiedenti, ai quali viene semplicemente richiesta la documentazione relativa ai dati anagrafici, al reddito familiare e di attestare il diritto a beneficiare dell’indennità di accompagnamento. Gli utenti in possesso dei requisiti previsti vengono inseriti in graduatorie dalle quali le Asl attingono privilegiando i soggetti più anziani ed i buoni vengono erogati sino ad esaurimento del budget che l’Azienda riceve dalla Regione. Agli utenti vengono date due alternative: destinare il contributo direttamente ai familiari impegnati nello svolgimento di prestazioni di cura, oppure impiegarlo per l’acquisto di servizi da uno degli erogatori accreditati. Una volta fornito il buono nella prima forma prescelta, l’Asl non effettua alcuna verifica sulle modalità di utilizzo né sull’evoluzione delle condizioni dell’anziano. Nel caso di opzione per la seconda alternativa, l’Asl (autonomamente o su richiesta dell’assistito o dei suoi familiari) compie verifiche periodiche sull’effettiva attuazione dei contenuti del patto di accreditamento (stipulato tra l’azienda sanitaria ed il fornitore accreditato) che viene presentato all’assistito (perché possa sottoscriverlo) prima dell’avvio dell’intervento.

(17) Sergio Pasquinelli, Alfonso Gambino, “Il voucher sociale”, in Cristiano Gori (a cura di), Le politiche sociali di centro-destra, Carocci, Roma, 2005.

(18) Ibidem.

(19) Ibidem.

(20) Franco Pesaresi, “Il Sad per anziani in Italia”, Prospettive sociali e sanitarie, n. 18, 2007.

(21) Ibidem.

(22) Ibidem.

(23) Ibidem.

(24) Chiara Saraceno, “Prigionieri della solidarietà”, La Stampa, 15 novembre 2007.

(25) Franco Pesaresi, “Chi assiste l’anziano non autosufficiente?”, Servizi sociali oggi, n. 6, 2007.

(26) Come sostiene Mario Bo, professore aggregato di geriatria e responsabile del Centro arteriosclerosi all’ospedale Molinette di Torino, citato in Marco Accossato, “Alzheimer, le spese folli delle famiglie disperate”, La Stampa, 15 novembre 2007.

(27) Chiara Saraceno, “Prigionieri della solidarietà”, Op. cit.

(28) Entrambi i regolamenti possono essere consultati sul sito www.cisap.to.it.

(29) Nella petizione viene richiesto che la Regione Piemonte si impegni a garantire agli adulti ed agli anziani cronici non autosufficienti, ai malati di Alzheimer ed ai pazienti affetti da sindromi correlate o da disturbi psichiatrici invalidanti, il diritto esigibile alle prestazioni domiciliari nei casi in cui siano contemporaneamente soddisfatte le seguenti condizioni: «non vi siano controindicazioni cliniche o di altra natura; il soggetto sia consenziente e gli possano essere fornite le necessarie cure mediche e infermieristiche, nonché, se occorrenti, quelle riabilitative; i congiunti o soggetti terzi siano disponibili ad assicurare l’occorrente sostegno domiciliare e siano riconosciuti idonei dall’ente erogatore; siano previsti interventi di emergenza sia nel caso che i congiunti o soggetti terzi non siano più in grado di prestare gli interventi di loro competenza, sia qualora insorgano esigenze del soggetto che ne impongano il ricovero presso idonee strutture; i costi a carico delle Asl e/o dei Comuni non siano superiori a quelli di loro spettanza nei casi di ricovero presso strutture residenziali; ai congiunti e ai soggetti terzi venga riconosciuto il ruolo di volontariato intrafamiliare e ad essi venga versato dalle Asl, nella misura del 60% della retta corrisposta alle Rsa (residenze sanitarie assistenziali) un rimborso forfettario delle spese sostenute per le cure domiciliari, compresi gli oneri derivanti dalle sostituzioni della persona responsabile delle cure domiciliari per le occorrenti incombenze personali e familiari (acquisti, commissioni, ecc.)». Cfr. Maria Grazia Breda, “Petizione popolare per il Piemonte: i primi risultati ottenuti”, Prospettive assistenziali, n. 157, 2007. Nell’articolo è anche contenuto l’elenco delle numerose organizzazioni che hanno promosso la petizione.

(30) Deliberazione del Consiglio regionale 24 ottobre 2007, n. 137-40212, “Piano socio-sanitario regionale 2007-2010”.

(31) Ibidem.

 

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