Prospettive assistenziali,
n. 161, gennaio-marzo 2008
DUE INIZIATIVE ILLOGICHE: IL SERMIG DI TORINO E IL MOVIMENTO PER
È incredibile sotto il profilo sociale e allarmante
sotto gli aspetti umani che, ancora una volta, venga proposta l’installazione
di culle che, pur essendo attrezzate secondo le tecniche più moderne, hanno uno
scopo analogo a quelle delle ruote medioevali.
Una volta, secoli fa, le ruote erano state create, com’è noto, per
assicurare la sopravvivenza ai bambini che le partorienti non intendevano
allevare. Allora il parto avveniva soprattutto in casa o presso donne che,
spesso senza alcuna preparazione professionale, svolgevano il compito di ostetriche: quelle che non volevano o non potevano
provvedere al bambino, lo depositavano sulla ruota esse stesse o tramite
persone di loro fiducia. Attualmente la stragrande
maggioranza dei parti ha luogo in ospedale, assicurando in tal modo alle donne
e ai loro nati la necessaria tutela sanitaria. Se il neonato non viene riconosciuto, com’è facoltà di tutte le donne,
comprese quelle sposate (1), la legge garantisce il segreto del parto (2). A
questo riguardo si ricorda che l’ancora vigente legge 6 dicembre 1928, n. 2838,
richiamata dal quinto comma dell’articolo 8 della legge 328/2000, stabilisce
che le Amministrazioni provinciali devono assistere i fanciulli
figli di ignoti ed i bambini nati fuori dal matrimonio riconosciuti dalla madre
in condizioni di disagio socio-economico; prevede altresì che «nelle Province, nelle quali lo consiglino
le condizioni locali, l’assistenza al fanciullo deve, ove sia possibile, avere
inizio all’epoca della gestazione della madre».
Le iniziative assunte in Piemonte
Premesso che le esigenze delle donne e dei bambini esigono che il parto
avvenga in ospedale e che le donne non possono uscire da dette strutture con un
bambino non riconosciuto, l’Assessorato alla solidarietà sociale della
Provincia di Torino e l’Associazione promozione sociale (3) hanno organizzato
il convegno nazionale “Il diritto di tutti i bambini fin dalla nascita alla
famiglia e la prevenzione dell’abbandono” che si è svolto a Torino il 21
ottobre 2005 con la partecipazione di oltre trecentocinquanta persone.
Le disposizioni emanate dalla
Regione Piemonte
A seguito delle risultanze emerse dal convegno
(4),
«a) gli interventi devono essere
erogati sulla base di un progetto individuale che
tenga conto delle varie tipologie di donne che si trovano a vivere una
gravidanza accidentale, non desiderata e non
desiderabile, e pertanto della casistica delle utenti e di come tali situazioni
possono riguardare contesti diversi. Occorre inoltre considerare che le
gravidanze non volute provocano quasi sempre traumi
gravi alle donne, lasciate in solitudine, spesso anche dal proprio partner.
Gli interventi devono essere
finalizzati ad offrire alle gestanti la possibilità anticipata di riflettere,
di verificarsi e di decidere con serenità e autonomia. Devono, inoltre,
consentire agli operatori sanitari e sociali di effettuare
una valutazione delle capacità e potenzialità personali e sociali delle donne
interessate, con riferimento alla possibilità di accudire il proprio nato e di
seguirne in modo adeguato il processo di crescita. Al fine di consentire la
realizzazione di tale percorso di maturazione e valutazione è da prevedere che
il sostegno delle gestanti avvenga anche mediante l’inserimento – per le donne
che richiedano di vivere lontano dal normale ambiente di vita – nelle strutture
individuate tra le tipologie previste dalla delibera della Giunta regionale n.
41-12003 del 15 marzo 2004 “Tipologia, requisiti strutturali e gestionali delle strutture residenziali e semiresidenziali
per minori”. Al riguardo occorre tenere conto della opportunità
di tenere separate le gestanti che hanno deciso il riconoscimento da quelle
incerte e da quelle che hanno deciso il non riconoscimento. Durante la fase del
parto, alle gestanti deve essere assicurato il necessario sostegno finalizzato
a far sì che le problematiche relative al
riconoscimento o meno del nascituro vengano affrontate nei tempi e nei modi
adeguati. In tal senso è da prevedere che l’informazione della donna che non ha
ancora effettuato il riconoscimento sulla facoltà di
richiedere la sospensione del procedimento di dichiarazione di adottabilità
(articolo 11, comma 6, della legge 184/1983 e successive modifiche e
integrazioni), avvenga attraverso colloqui in cui si aiuta la donna a prendere
consapevolezza ed a capire cosa è meglio per il bambino.
Si richiama l’esigenza che detti colloqui informativi consentano una valutazione consapevole;
«b) nei sessanta giorni
successivi al parto gli interventi devono essere diversamente organizzati per
le donne che non hanno riconosciuto il proprio nato, per quelle che hanno
chiesto al tribunale per i minorenni un tempo di riflessione per decidere e per quelle
in difficoltà che hanno proceduto al riconoscimento. Alle donne che non hanno
riconosciuto deve essere assicurata una graduale dimissione dalle comunità e
dalle strutture che le hanno ospitate nel corso della gravidanza ed una
successiva presa in carico dopo i 60 giorni previsti dalla legge, in regime di
continuità assistenziale, da parte degli enti gestori
competenti per territorio. Per le donne che hanno chiesto tempo per decidere se
riconoscere il proprio nato, si tratta di garantire una ospitalità
in ambiente neutro ed in ogni caso di accompagnarle nella scelta con una
assistenza adeguata e con offerta dei necessari aiuti materiali. Anche ad esse deve essere garantita la successiva presa in carico da
parte degli enti gestori competenti per territorio al termine dei sessanta
giorni successivi al parto. Quanto alle donne che hanno
riconosciuto il bambino, ma che si trovano in difficoltà, occorre
assicurare loro nei sessanta giorni successivi al parto, ove necessario,
l’accoglienza nelle strutture individuate tra le tipologie previste dalla
citata delibera della Giunta regionale della Regione Piemonte n. 41-12003 del
15 marzo 2004, con il loro bambino per il tempo necessario ad affrontare
efficacemente la situazione. In alternativa alla
sistemazione in comunità possono essere ricercate soluzioni diverse quali, ad
esempio, l’affidamento della coppia madre-bambino. L’intervento di accoglienza deve avere in ogni caso come obiettivo:
l’osservazione da parte di personale qualificato del rapporto realmente
esistente fra madre e bambino, finalizzata ad una verifica della capacità di
svolgere il ruolo genitoriale; l’aiuto a sviluppare,
sempre che ne sussistano le condizioni di base, le potenzialità della madre e
la sua capacità di assolvere in maniera adeguata ai propri compiti; l’avvio, al
momento delle dimissioni, ad un autonomo inserimento sociale della madre e del
bambino.
Al fine di attivare tutte le
risorse presenti sul territorio utili all’inserimento sociale delle donne in
difficoltà che hanno riconosciuto il bambino, deve
essere garantito il raccordo tra gli enti gestori individuati con il presente
provvedimento e gli enti gestori territoriali destinati ad assumerne la
gestione;
«c) I servizi territoriali
socio-assistenziali e sanitari subentrano senza soluzioni di continuità nella
gestione degli interventi, secondo le rispettive competenze,
al termine dei sessanta giorni successivi al parto. Con la stessa decorrenza
assumono gli oneri finanziari degli interventi ripartendoli tra loro in base
alla vigente normativa nazionale e regionale. A tal fine gli enti gestori delle
funzioni relative alle gestanti che necessitano di
specifici interventi provvedono alla tempestiva segnalazione delle situazioni
prese in carico agli enti gestori degli ambiti territoriali di residenza delle
stesse ed ai servizi sanitari competenti in base alle problematiche manifestate
dalle donne assistite. In ogni caso deve essere tutelato il segreto del parto,
il che comporta la necessità di evitare qualsiasi indicazione che consenta
l’individuazione della donna che non ha riconosciuto il proprio nato. Per
quanto riguarda l’archiviazione delle pratiche inerenti la
materia oggetto del presente provvedimento si fa riferimento alle norme
contenute nell’art. 93 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 “Codice
in materia di protezione dei dati personali” in cui viene precisato che il
segreto del parto è garantito per cento anni».
Conclusioni
Dalle disposizioni sopra riportate risulta evidente l’illogicità della predisposizione di
culle/ ruote, iniziativa che contrasta nettamente con il diritto delle
partorienti, delle madri e dei bambini di ricevere le necessarie cure presso
idonee strutture. Inoltre è inquietante l’affermazione di Ernesto
Olivero, responsabile del Sermig e dell’Arsenale
della Pace (7) secondo cui «le donne che
vivono una gravidanza non voluta devono sapere che l’Arsenale farà da padre e
da madre alla loro creatura, come in realtà è stato ed è per tanti bambini»,
visto che dal 1967, anno di approvazione della legge 431 sull’adozione, i
bambini figli di ignoti hanno diritto ad una vera famiglia e che il numero
delle domande di adozione è di gran lunga superiore ai bambini adottabili (8).
Confidiamo pertanto che il Sermig e il Movimento
per la vita riesaminino le loro proposte di istituire
una culla/ruota a Torino e ad Asti (9) e assumano le iniziative necessarie
affinché in tutte le Regioni italiane vengano approvate norme analoghe a quelle
della Regione Piemonte, a nostro avviso pienamente rispondenti alle esigenze
delle gestanti, delle madri e dei bambini (10). Un ruolo importante può,
inoltre, essere da essi svolto, per fornire una
corretta informazione circa la legislazione vigente in Italia sulle funzioni
assegnate agli ospedali, nonché in merito agli interventi che gli enti
pubblici, preposti all’assistenza delle gestanti, delle madri e dei bambini,
sono tenuti a fornire a titolo gratuito e con l’assoluta garanzia del segreto
del parto.
(1) La sentenza della Corte costituzionale 171 del 5
maggio 1994 dispone che «qualunque donna
partoriente, ancorché da elementi informali risulti trattarsi di coniugata, può
dichiarare di non voler essere nominata nell’atto di nascita».
(2) Ai sensi dell’articolo 93 del decreto
legislativo 30 giugno 2003, n. 196 “Codice in materia di protezione dei dati
personali”, il certificato di assistenza al parto e la cartella clinica in cui
sono contenuti dati personali che rendono identificabile la donna che non ha
riconosciuto il proprio nato, possono essere rilasciati in copia integrale a
chi vi ha interesse in conformità della legge, solamente decorsi cento anni
dalla formazione del documento.
(3) L’Associazione promozione sociale è intervenuta
anche in rappresentanza del Csa, Coordinamento sanità
e assistenza fra i movimenti di base di Torino.
(4) Il convegno la cui sintesi è stata riportata sul
n. 153 bis, 2006 di Prospettive
assistenziali, è stato organizzato come era precisato
nell’invito/programma, con lo scopo di individuare «sulla base delle pluriennali esperienze realizzate nel nostro Paese,
degli atti occorrenti per garantire interventi idonei a: prevenire gli
abbandoni che mettono in pericolo la vita dei neonati; evitare gli infanticidi;
fornire alle gestanti le prestazioni necessarie perché possano assumere, con la
massima responsabilizzazione possibile,
le decisioni circa il riconoscimento o non riconoscimento dei loro nati (ogni
anno in Italia nascono circa 400 minori non riconosciuti); garantire ai minori,
con particolare riguardo a quelli in condizione di disagio, le prestazioni
previste dalla legge 184/1983 e 149/2001 per la loro migliore crescita possibile
(sostegno al nucleo familiare, adozione, affidamento a scopo educativo,
comunità, a seconda delle situazioni)».
(5) La legge della Regione Piemonte n. 16/2006
stabilisce che gli interventi alle gestanti che «necessitano di specifici sostegni in ordine al riconoscimento o non
riconoscimento dei loro nati e al segreto del parto» sono erogati «su richiesta delle donne interessate e
senza ulteriori formalità, indipendentemente dalla loro residenza anagrafica».
(6) Cfr. l’articolo “Prestazioni per le gestanti e madri in
condizioni di disagio socio-economico”, Prospettive
assistenziali, n. 158, 2007.
(7) Cfr. l’articolo “La culla del Sermig”,
(8) Ricordiamo che su
(9) Cfr. “Anche Asti avrà
la ‘culla per la vita’”,
(10) Nell’articolo “La ruota degli esposti: un
ritorno al Medio Evo”, Prospettive
assistenziali, n. 153, 2006, abbiamo deplorato le decisioni assunte dalla
Giunta comunale di Marcallo con Casone
(Milano) e dal Movimento per la vita di Firenze per l’installazione di una
culla in ciascuna delle suddette città. Precisiamo che, nonostante ogni anno
nascano circa 400 bambini non riconosciuti, finora nessuno è stato inserito
presso culle/ruote, a dimostrazione della inutilità di
dette strutture. Il caso del bambino lasciato nel 2007 nella culla/ruota del Policlinico Casilino di Roma è
l’unica eccezione.
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