Prospettive assistenziali, n. 161, gennaio-marzo 2008

 

 

L’ASSESSORE AI SERVIZI SOCIALI DI PAVIA CONSIGLIA IL RICOVERO A UN MAGISTRATO CON HANDICAP

 

 

 

Dal n. 21  del 15 novembre 2007 di Hpress, Agenzia giornalistica internazionale dei portatori di handicap con sede in Monza, Via S. Martino 5, riproduciamo la lettera inviata al giudice Lorenzo Pernetti dall’Assessore ai servizi sociali del Comune di Pavia e la relativa replica.

 

Lettera dell’Assessore ai servizi sociali del Comune di Pavia

Egregio dottor Pernetti,

in riferimento alla Sua lettera del 12 settembre u.s. Le posso consigliare, in attesa di una sistemazione autonoma, la struttura Villa Ticinum, di recente apertura, situata in viale Oberdan a Pavia.

Si tratta di una residenza di proprietà del Comune di Pavia data in concessione alla Cooperativa Villa Ticinum che l’ha ristrutturata con la massima attenzione all’abbattimento delle barriere architettoniche.

La struttura ospita inoltre un servizio comunale per l’autonomia lavorativa di persone disabili e la sede dell’Associazione Uildm. L’ospitalità comporta il pagamento di una retta.

 

La replica del giudice pernetti

Questa è la risposta che ho ricevuto dall’Assessore ai servizi sociali del Comune di Pavia a seguito della mia richiesta per ottenere un appartamento idoneo alle mie necessità di persona disabile.

Vi racconto l’intera vicenda, precisando che risale all’anno 2007 e non al paleolitico.

Sono tetraplegico e, da diversi anni, esercito la funzione di magistrato (Got) presso il Tribunale di Pavia.

Abito a circa 30 km da Pavia e gli spostamenti quotidiani costituiscono, data la mia grave invalidità, un onere assai dispendioso sotto vari profili.

Malgrado la mia professione potrebbe far supporre privilegi da casta, ci tengo a sottolineare che non sono uno dei beneficiari delle 574.215 auto blu in dotazione alle “personalità” del nostro Paese (un poco invidiabile record mondiale, negli Stati Uniti ne circolano 75.000).

E poi si dice “fare l’americano”!; non sono inserito neanche nel libro paga dei ministri, un elenco di 1.253 amici e amici degli amici dotati di non si sa quali competenze che per non meglio precisate consulenze incassano da 13 mila a 143 mila euro all’anno. Non siedo su una comoda poltrona in grado di garantire sicurezza economica con annessi extra, non ho neanche un bracciolo della poltrona: ho una sedia a rotelle e con questo mezzo non vengono riconosciuti benefit, solo grane. Tornando ai fatti, da qualche anno ho avviato le ricerche per affittare una abitazione in città. Ovviamente, una abitazione con requisiti tali da giustificare e rendere utile un eventuale trasferimento.

Ahimé! Pavia è una città storica, e nel centro storico (cioè nei pressi del Tribunale) reperire un’abitazione conforme, per quanto possibile, alle esigenze di un tetraplegico, non è cosa facile: barriere architettoniche (con conseguente necessità di dispendiosi adattamenti) e canoni di affitto elevati sono la regola. Così, l’anno scorso, ho pensato di rivolgermi direttamente al Comune, nella persona dell’As­sessore ai servizi sociali e del Sindaco, per rappresentare la mia necessità e sperando che nel patrimonio immobiliare comunale potesse individuarsi qualche soluzione utile alla soluzione del problema.

Sembrava proprio di essere vicini al traguardo: gli immobili (dismessi o inutilizzati) non mancavano; le proposte e le aperture, da parte mia, alla realizzazione nelle forme e con le modalità più opportune, neanche.

Incontri; scambio di corrispondenza, interpello di tecnici, valutazioni di ordine amministrativo, nulla venne trascurato. Non rimaneva che aspettare le determinazioni degli uffici e degli organi competenti.

 

La storia

Silenzio di alcuni mesi. Mando una raccomandata per sollecitare: nessuna risposta. Al ritorno dalle vacanze, scrivo all’Assessore informandolo che sopravvenute stringenti esigenze di natura personale e familiare richiedono che io sappia quale decisione prendere.

La risposta pervenutami è quella che avete letto all’inizio dell’articolo: una struttura d’accoglienza con annesso laboratorio di lavoro per disabili, così magari la pianto di fare il magistrato e mi metto a fare l’handicappato!

Carissimi colleghi con handicap, italiani, dimenticate la vita indipendente (per intenderci quella con cui si riempiono la bocca proprio gli amministratori pubblici), scordate la possibilità di lavorare in un contesto di normalità, buttate alle ortiche le ipotesi di integrazione sociale.

Voi come me per questo Paese che si definisce “civile ed evoluto” non potete avere un’esistenza paragonabile a quella degli altri cittadini, il nostro destino è inesorabilmente segnato da un traguardo che prima o poi siamo obbligati a sentirci proporre come fosse l’unica soluzione possibile per chi si trova nelle nostre condizioni: l’istituto.

Ok, adesso lo chiamano “casa famiglia” perché almeno dal nome traspaia un minimo di accoglienza e calore e lo affidano ad una delle innumerevoli cooperative da molti salutate come le benefattrici per eccellenza (e pazienza se ogni tanto si trovano disabili e anziani legati ai letti in condizioni al limite dell’umano, accuditi così teneramente proprio dal personale delle cooperative che intascano soldi pubblici per gestire i servizi sociali).

Casa famiglia o istituto che dir si voglia, appena ci mettiamo in testa di gestire in maniera più autonoma la nostra esistenza è lì che veniamo dirottati esattamente come accadeva trent’anni fa.

E naturalmente previo il pagamento di una retta. Ma con 242,84 euro al mese di pensione a malapena si compra il pane, figuriamoci una retta!

Sic transit gloria mundi!

 

 

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