Prospettive assistenziali, n. 161, gennaio-marzo 2008

 

 

Libri

 

 

AA.VV., Come pinguini del deserto - Genitori con figli con sindrome di Down a confronto, Edizioni del Cerro, Tirrenia (Pisa), 2005, pag. 489, euro 15,00.

Il volume, stampato grazie al contributo dell’Asso­cia­zione regionale Down Abruzzo, è una selezione di scritti di genitori di figli con sindrome di Down.

Le esperienze sono state raccolte e organizzate in tematiche di primario interesse, dalla vita quotidiana agli aspetti medici e riabilitativi, dall’integrazione scolastica al vissuto emotivo che comporta l’essere genitori di fanciulli con handicap.

Il volume ha anche lo scopo di informare i neogenitori e accompagnarli nel loro personale percorso di accettazione, aiutandoli  a superare le difficoltà.

Nella presentazione, Eugenio Finardi, con una figlia Down, precisa che nel volume non sono inseriti «pareri medici, sentenze inappellabili e soluzioni preconfezionate riguardo alla sindrome di Down, ma – al contrario – il resoconto quotidiano della ricerca operosa, piena di speranza e spesso di disillusione di un equilibrio individuale, di coppia, e di un approccio personale alla disabilità del proprio figlio. In questa ricerca i genitori hanno giocato tutta l’energia, la fantasia e anche il senso dell’umorismo che solo persone provate sì dalla sofferenza, ma ancora di più innamorate della vita e dei propri figli possono impegnare».

«In questo cammino – aggiunge Finardiè importante non dimenticare mai che se i nostri figli oggi possono godere di una buona qualità di vita e raggiungere obiettivi impensabili in un tempo non troppo lontano lo dobbiamo alla strada di chi ci ha preceduti e quindi – in prospettiva – dal punto in cui saremo stati capaci di arrivare potranno partire coloro che si dovranno confrontare con la stessa realtà».

 

MELITA CAVALLO, Figli cercasi - L’adozione internazionale: istituzioni, leggi, casi, Bruno Mondadori, Milano, 2005, pag. 213, euro 13,50

Il volume raccoglie le esperienze acquisite da Melita Cavallo nell’attività svolta come giudice minorile e quale presidente dal 2001 al 2005 della Commissione per le adozioni internazionali.

Innanzitutto spiace rilevare che è totalmente ignorata l’azione svolta dall’Anfaa, inizialmente senza alcun sostegno da parte di parlamentari, amministratori e magistrati, per segnalare all’opinione pubblica le gravi sofferenze dei fanciulli istituzionalizzati e per proporre una regolamentazione dell’adozione che ponesse al centro della normativa le esigenze dei bambini senza famiglia.

È vero che la proposta di legge n. 1439 presentata il 20 maggio 1954 “Legittimazione per adozione e favorire i minori in stato di abbandono” reca solo le firme di parlamentari donne (prima firmataria l’on. Maria Pia Dal Canton), ma è altrettanto noto che detta iniziativa venne presentata dopo che nel nostro Paese era stata condotta una attiva azione informativa sugli effetti nefasti della carenza di cure familiari, erano state presentate numerose denunce sui gravi maltrattamenti subiti dai bambini ricoverati in istituto (ricordiamo in particolare quello noto come il ricovero dei Celestini di Prato) e l’Anfaa aveva elaborato un testo il cui fondamento era costituito dalla dichiarazione di adottabilità dei bambini privi di assistenza morale e materiale da parte dei loro congiunti.

Circa il riconoscimento da parte del minore alla famiglia, l’Anfaa ritiene che «una più piena azionabilità del diritto del minore a essere educato nell’ambito delle famiglie d’origine si otterrà solo quando sarà introdotta a livello nazionale la figura del pubblico tutore».

A nostro avviso la questione è molto più complessa. In primo luogo occorrerebbe che la legge riconoscesse alle persone e ai nuclei familiari in condizioni di disagio il diritto esigibile alle prestazioni dei servizi indispensabili per vivere (casa, sanità, istruzione, ecc.), nonché agli interventi aggiuntivi (non sostitutivi) di natura socio-assistenziale a favore di coloro che ne hanno l’esigenza.

Infatti, il pubblico tutore può svolgere una funzione di effettiva protezione solamente se ai minori in gravi difficoltà sono riconosciuti diritti esigibili, fra i quali quello di vivere a casa sua in tutti i casi in cui ne sussistono le relative condizioni o esse possono essere conseguite mediante idonei sostegni psico-socio-economici.

A questo riguardo non è vero – purtroppo – che, come sostiene l’Autrice,  «con la legge n. 149 l’affidamento familiare è definitivamente divenuto uno dei tanti servizi che l’Amministrazione pubblica locale offre come risposta ai bisogni dei cittadini» in quanto non vi sono leggi che obbligano i Comuni o altre istituzioni pubbliche ad istituirlo.

Dunque, non è vero che «la legge n. 149 ha reso l’affidamento familiare maggiormente fruibile dalle famiglie in difficoltà», per il semplice motivo che detto servizio può o non può essere istituito dai Comuni singoli o associati, che discrezionalmente decidono altresì la quantità delle risorse in personale e mezzi economici destinati a detta attività.

In sostanza si può affermare che la posizione dell’Autrice è troppo orientata alla difesa delle istituzioni, mentre a nostro avviso le vigenti norme in materia di affidamento e adozione dovrebbero essere valutate partendo sempre dal prevalente interesse del minore.

Significativo a questo proposito sia il favore espresso da Melita Cavallo nei riguardi dell’articolo 44 della legge 184/1984, in base al quale potrebbero essere adottati nei casi particolari anche i minori dichiarati in stato di adottabilità, sia il parere favorevole all’adozione da parte delle persone sole, nonostante che il numero delle richieste presentate dai coniugi sia di gran lunga superiore alla presenza di bambini adottabili.

 

ACHILLE ARDIGÒ, Famiglie, solidarietà e nuovo welfare, Franco Angeli, Milano, 2006, pag. 92, euro 12,00

Come abbiamo già ricordato (cfr. Prospettive assistenziali, n. 140, 2002, pag. 63), Achille Ardirgò è stato «uno dei promotori dell’esclusione degli anziani cronici non autosufficienti dalla piena competenza del Servizio sanitario nazionale».

Come risulta dal verbale della riunione dell’8 giugno 1984, il Consiglio sanitario nazionale, di cui Ardigò era un autorevole esponente, assunse la seguente deplorevole decisione: «considerando lo stretto intreccio della presenza sanitaria e socio-assistenziale anche nelle strutture protette, appare necessario che, nel transitorio, sia per l’inadeguatezza dei servizi sanitari sul territorio, che non possono farsi carico in maniera completa del problema, sia perché storicamente il non autosufficiente è stato ricoverato e assistito in ambito ospedaliero e paraospedaliero, la sfera relativa al ricovero in casa protetta o struttura similare di persone non autosufficienti carichi parzialmente (fino al massimo del 50%) sul fondo sanitario nazionale, ai fini di determinare la correlativa riduzione della sfera ospeda­liera».

In sostanza il Consiglio sanitario nazionale, nonostante che le leggi vigenti stabilissero che gli anziani cronici non autosufficienti avevano diritto alle cure sanitarie gratuite e senza limiti di durata, chiedeva al Governo di assumere provvedimenti allo scopo di ridurre la spesa ospedaliera nella misura del 50%, asserendo strumentalmente che i servizi sanitari «non possono farsi carico in maniera completa del problema» e cioè delle cure di cui abbisognavano.

Dalla decisione del Consiglio sanitario nazionale, assunta a fondamento del decreto Craxi dell’8 agosto 1985, sono derivate le ancora perduranti estese situazioni di abbandono terapeutico dei vecchi malati dimessi dagli ospedali anche nei casi in cui necessitano delle prosecuzione delle cure, nonché il conseguente scarico delle relative incombenze, comprese quelle economiche, ai loro congiunti, con il risultato della caduta in condizioni di povertà di decine di migliaia di famiglie.

Sorprende, quindi, che Achille Ardigò, nel libro in oggetto, si accorga, dopo vent’anni dalla citata decisione del Consiglio sanitario nazionale, rilevi che «l’esplosione della domanda di cure a favore di malati vecchi e anziani non autosufficienti resta infatti un problema da risolvere» anche in considerazione che il crescente invecchiamento «porta al declino di larga parte delle autonomie funzionali delle famiglie, specie con familiare da assistere a domicilio».

Invece di sollecitare il doveroso intervento del Servizio sanitario nazionale (gli anziani sono non autosufficienti a causa di patologie in atto o di loro esiti), Achille Ardigò si richiama all’assistenza e quindi alla legge 328/2000 nei cui confronti esprime un giudizio positivo (sarebbe «di grande apertura innovativa») nonostante che non preveda alcun diritto esigibile essendo fondata sulla assoluta discrezionalità degli interventi.

Il sociologo bolognese manifesta un positivo apprezzamento delle leggi della Regione Emilia Romagna 12 marzo 2003, n. 2, più volte citata erroneamente come legge n. 32 del 13 marzo 2003, anche se le sue disposizioni non stabiliscano diritti esigibili di sorta.

Nel volume viene giustamente rivendicata la priorità delle cure domiciliari, senza però rilevare – fatto gravissimo a nostro avviso – che spetta al Servizio sanitario nazionale garantire, anche a casa degli anziani malati non autosufficienti, le occorrenti prestazioni mediche, infermieristiche e se necessario riabilitative.

Inoltre, occorre che ai congiunti che svolgono un’attività di volontariato, venga garantito il rimborso forfetario delle spese sostenute. Le cure domiciliari non debbono essere promosse solamente o prevalentemente per ridurre le spese a carico della collettività.

 

 

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