Prospettive assistenziali,
n. 161, gennaio-marzo 2008
SENTENZA RELATIVA
AI MALTRATTAMENTI SUBITI DA ANZIANI CRONICI NON AUTOSUFFICIENTI
RICOVERATI NELLA STRUTTURA “LE COLLINE DEL PO”
Ancora una volta dobbiamo
segnalare i gravi maltrattamenti subiti da anziani malati cronici non
autosufficienti ricoverati presso una struttura residenziale (1).
Si tratta della residenza “Le
colline del Po” situata a Tollegno, un Comune della
Provincia di Asti.
La gravità dei fatti accertati
dovrebbe allertare ciascuno di noi quali possibili
utenti, spronarci ad assumere le necessarie iniziative di autotutela e di solidarietà verso gli altri, anche perché
nuovamente gli organi preposti alla vigilanza non hanno svolto i compiti ad
essi assegnati.
Ricordiamo, inoltre, che l’Ulces, Unione per la lotta contro l’emarginazione sociale,
si è costituita parte civile (2) chiedendo che venisse
affermata «la penale responsabilità di
tutti gli imputati come sopra generalizzati in ordine ai reati loro ascritti e
conformemente agli addebiti contestati nel decreto che dispone il giudizio».
È disponibile il testo integrale
della sentenza, che può essere richiesto alla
segreteria di Prospettive assistenziali.
L’avvio del processo
Con decreto emesso in data 30
gennaio 2004, gli imputati venivano citati a comparire
avanti il Tribunale di Asti. Fra di essi era citato
quale responsabile civile l’Asl 19 di Asti che,
riconoscendo le proprie responsabilità, provvedeva al riconoscimento dei danni
richiesti dalle parti civili, compresa l’Ulces.
Come risulta
dalla sentenza del Tribunale di Asti del 26 marzo 2007, nel novembre 1998 era
stata presentata una prima denuncia da un ex Assessore «che lamentava casi di maltrattamenti, a seguito della quale decise di
effettuare un intervento a sorpresa di notte», da cui risultava che «quella notte erano presenti 96 ospiti,
sistemati in diverse camere su tre piani e, al momento dell’intervento, erano
presenti due soli operatori, che svolgevano il turno dalle 20,00 alle 6,00».
In tale occasione «venivano acquisiti
dodici quaderni delle consegne, sui quali erano segnati i turni di servizio con
le relative annotazioni».
Successivamente i carabinieri avevano ricevuto
due lettere dall’assistente B. F. che «segnalava episodi che si verificavano la
notte a danno della signora A. S., la quale veniva brutalmente rimproverata e non
riceveva assistenza».
Lo stesso B. F. «ha confermato che
accertò che l’assistenza fornita era scarsa e non esisteva un rapporto adeguato
tra assistenti e ospiti e questo già nel 1998».
Al riguardo «nel 2001 la Commissione di vigilanza fece
notare che, a fronte di un organico di 25 unità, ve ne erano
in servizio solo 11».
Inoltre «è emerso che nel periodo dal gennaio all’agosto 2001 si verificò un numero esagerato di decessi (23)».
Gli imputati
«ometteva di predisporre nei confronti degli stessi,
anche con riguardo a pazienti che lamentavano serie patologie comportanti la
necessità di controllo e cure sanitarie, assistenza medica ed infermieristica
adeguata;
«dava disposizioni agli operanti affinché in alcune
occasioni i pazienti le cui rette dovevano essere pagate dalla
Asl, non venissero alzati dal letto e fossero
tenuti tutto il giorno nelle loro camere, ovvero affinché non fossero alzati i
pazienti più corpulenti (come, ad esempio, le pazienti S. A. e B. R.);
«dava disposizione affinché ai degenti fossero
somministrate razioni di vitto assolutamente insufficienti sia dal punto di
vista quantitativo sia dal punto di vista qualitativo;
«dava disposizioni affinché i degenti fossero lavati con
acqua fredda;
«dava disposizioni agli operanti di evitare le richieste di intervento della guardia medica o del servizio 118 anche
in caso di aggravamento delle condizioni di salute dell’ospite;
«puniva per presunte intemperanze alcuni degenti
impedendo loro di partecipare alla vita comune (comportamento attuato, ad
esempio, nei confronti dei pazienti C. G., D. N. E., A. C., F.
ai quali veniva vietato di uscire dalla propria
stanza);
«poneva in essere atti lesivi dell’integrità fisica e
morale di alcuni degenti: insultava reiteratamente P.
O., in un’occasione la afferrava per i capelli, la trascinava nel corridoio
della struttura, sferrandole pugni e calci e cercando di colpirla con un
tripode in metallo, in altra occasione spruzzava gas insetticida sul volto
della stessa P. O., in altra occasione colpiva con un pugno il degente M., in
altra occasione insultava e strattonava violentemente il paziente C. G. seduto
su una sedia a rotelle, dopo averlo fatto condurre all’interno dell’ascensore».
Da notare che
un testimone ha riferito che «G. A. ebbe a
confidargli che il proprio disegno era quello di
causare un deterioramento della struttura, e quindi un deprezzamento della
stessa, per poter acquistare l’intera quota a condizioni favorevoli».
2. All’operatrice C. R. è rivolta l’accusa di aver «con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso» maltrattato
«i pazienti ivi ricoverati e a lei
affidati per ragioni di cura, ponendo in essere atti lesivi della loro
integrità fisica e morale» e di aver posto in essere
maltrattamenti nei confronti di:
«S. A. insultandola reiteratamente, soprattutto quando la
stessa in orario notturno richiedeva il suo intervento, facendole
saltare i pasti per punizione e in un’occasione scagliandole addosso il
pulsante dell’allarme che lei aveva suonato per chiedere di essere cambiata a
seguito di un episodio di dissenteria;
«B. G. insultandolo reiteratamente, negandogli assistenza
arrivando a prenderlo per i capelli, trascinarlo in uno stanzino dove lo faceva
sedere, gli legava le braccia alla spalliera ed i piedi alle gambe della sedia,
gli metteva una federa in bocca per non farlo urlare e ivi lo lasciava per
diverse ore chiudendo la porta dall’esterno;
«V. E. insultandola reiteratamente, negandogli
assistenza, legandola alla sedia con le estremità del maglione, infilandogli in
bocca, quando non voleva essere lavata, in qualche occasione una saponetta ed in altre occasione la spugna sporca di feci;
«P. L. insultandola reiteratamente e infilandole in bocca una
spugna sporca di feci nelle occasioni in cui la lavava;
«F. C. insultandolo reiteratamente e mettendogli
in bocca una federa per non sentire i suoi lamenti in occasione delle medicazioni;
«A. R. insultandola
reiteratamente e infilandole una spugna sporca di feci nelle occasioni in cui
doveva essere lavata;
«C. A. insultandola reiteratamente e afferrandola con la forza per condurla
sotto la doccia nonostante il suo rifiuto a lavarsi e le difficoltà di deambulazione».
Inoltre è stata accusata di aver
privato:
«il degente B. G. della libertà personale, trascinandolo
per i capelli all’interno di una stanza della struttura dove lo faceva sedere
ad una sedia e lo legava con le braccia alla spalliera tramite traverse, federe
e sacchi di spazzatura arrotolati e con i piedi alle gambe, chiudendo
dall’esterno la porta della stanza e ivi lasciandolo per alcune ore».
3. L’accusa
a M. G., infermiere professionale, è particolarmente grave in quanto:
«esercitava abusivamente la professione di medico, per la quale è prevista speciale abilitazione dello Stato,
effettuando sui pazienti ricoverati presso la struttura diagnosi e
somministrando terapie da lui stesso prescritte: in particolare a fronte dello
stato di agitazione del paziente B. D., che fra l’altro presentava anche ferite
sul corpo, decideva autonomamente di somministrargli una fiala di Valium e di
medicare le piaghe che lo stesso presentava con cerotti».
«abusivamente la professione di infermiere
professionale».
Le contestazioni del consulente tecnico
Dalla relazione presentata dal
consulente tecnico nominato dal Pubblico Ministero risulta
che l’assistenza sanitaria è «stata
sempre alquanto precaria, poiché il personale infermieristico non era sempre
adeguato, mancava una copertura notturna e, con riferimento ai medici, vi era
un solo medico di base disponibile, che si recava in struttura solo un paio di
volte alla settimana, solo per le ricette, in violazione delle norme regionali
in materia».
Inoltre «quanto all’alimentazione, elemento importante per l’anziano,
considerato che ad una certa età la funzione digestiva subisce un peggioramento
e vi è la tendenza al cattivo assorbimento, le tabelle dietetiche non erano in alcun modo rispettate».
Il consulente
tecnico riferisce altresì che «le
cartelle mediche erano largamente insufficienti e le visite mediche avvenivano
ad intervalli lunghi, né risultavano mai utilizzati
strumenti necessari ad inquadrare le necessità mediche del paziente non
autosufficiente, quali ad esempio la scala di Norton,
valutazione dei problemi prevalenti, valutazione del livello cognitivo, ecc.
L’assistenza alla persona era affidata solo a badanti non qualificate, ed era
limitata ad interventi minimi necessari; la vigilanza notturna era gravemente
carente, in quanto quasi un centinaio di anziani, molti dei quali con gravi
patologie, la notte erano lasciati alla cura di due sole badanti prive di qualsiasi
titolo».
Quanto alla consuetudine di
legare gli ospiti con federe o con sacchi della spazzatura, il consulente
tecnico afferma che non c’è «nessun
dubbio che ciò integri il reato contestato (articolo 572 del Codice penale) (3) [n.d.r., vedi nota 1] non
potendo certamente ritenersi che si rientri in poteri di legittima contenzione
degli ospiti. Infatti, la contenzione di pazienti può essere fatta, con i mezzi
necessari, ma solo a fini terapeutici, dietro ordine e controllo medico, per un
periodo limitato di tempo, nell’ambito di un progetto terapeutico che, accanto
alla contenzione, preveda interventi per ridurre sia
la sua necessità che i rischi medici ad essa connessi. Infatti, i rischi della
contenzione sono sia psicologici che fisici. Nel caso
di specie, nulla di tutto questo ricorre, non essendo avvenuta certamente
l’azione della C. R. a fini terapeutici, o nell’ambito di un progetto di tale
natura, dietro controllo del medico, ma solo a fini disciplinari o comunque del tutto gratuiti, motivati unicamente dal fatto
di voler infliggere sofferenza agli ospiti V. e B.».
Altre accuse
Nella sentenza viene rilevato che A. G., amministratore unico del complesso
“Le colline del Po”, «era il vero e proprio dominus»
e che erano sue le «decisioni sul
trattamento da riservare agli ospiti».
Per contenere le
spese A. G. «non faceva più accendere il
riscaldamento e ordinava di fare la doccia agli anziani con l’acqua fredda,
peraltro ad orari in cui la temperatura dell’ambiente non è
mai elevata (le prime ore del mattino)».
Viene inoltre rilevato che «si fece anche ricorso all’uso di sedativi,
in dosi superiori al normale ed anche durante il giorno, per rendere del tutto
inattivi gli ospiti e far fronte alla carenza del personale, che non era in
grado di dare assistenza a tutti».
Per quanto concerne l’assistenza
agli ospiti, nella sentenza si legge che «tutti
hanno riferito come il personale licenziato o dimissionario non venisse sostituito, e come il numero degli assistenti fosse
diventato assolutamente inadeguato» e che «non erano presenti infermieri nel turno di notte, non vi erano medici,
se non in numero e con modalità di visita del tutto inadeguati. Tale carenza di assistenza può ricondursi ad una condotta
volontaria di A.G., poiché a causa dei suoi
comportamenti il personale veniva licenziato o costretto a dimettersi; il
personale assunto per il settore pulizie veniva trasferito successivamente
all’assistenza degli ospiti, senza essere in possesso di alcun titolo, ma per
far fronte alla carenza di personale senza dover assumere nuove entità».
Le conclusioni del Tribunale
Il Tribunale osserva che «la sussistenza del reato ex articolo 572
del Codice penale deve essere affermata a carico di A.
G. non solo per le condotte ai danni dei singoli ospiti, ma per la generale
gestione della struttura dallo stesso condotta, preordinata a infliggere
sofferenze agli ospiti. Lo stesso impartì diversi ordini ai dipendenti, aventi
contenuto negativo e tali da cagionare una mancanza grave di assistenza
(non alzare gli ospiti, non dare loro la colazione, non usare l’acqua calda,
non accendere il riscaldamento, non chiamare 118 o guardia medica, ecc.) ed,
inoltre, assunse decisioni per la gestione della struttura che portarono al
medesimo risultato (non assumere nuovo personale per sostituire quello che
aveva costretto a dimettersi o che aveva ingiustamente licenziato). Il teste I.
ha confermato che A. ebbe a confidargli che il proprio
disegno era quello di causare un deterioramento della struttura, e quindi un
deprezzamento della stessa, per poter acquistare l’altra quota a condizioni
favorevoli» e che tutte le condotte attive ed omissive riferite dai testi
concretizzano il reato contestato. «È
emerso un quadro di sistematici maltrattamenti fisici, psichici, morali,
attuati mediante condotte attive ed omissive, non ultima delle quali una
sistematica e programmata carenza di assistenza,
rientrante, come confermato dal teste I., in un progetto mirato e consapevole
dell’A. G. Il delitto contestato consiste in una serie di atti
lesivi dell’integrità fisica e morale, delle libertà e del decoro delle persone
affidate alla cura, in modo tale da rendere abitualmente dolorose e
mortificanti le relazioni tra il soggetto attivo e le vittime. Vi rientrano i
fatti lesivi dell’integrità fisica e del patrimonio morale del soggetto
passivo, che rendano abitualmente dolorose le relazioni con l’agente, e
manifestatisi mediante le sofferenze morali che determinano uno stato di avvilimento o con atti o parole che offendono il decoro e
la dignità della persona, ovvero con violenze capaci di produrre sanzioni
dolorose, ancorché, in ipotesi, tali da non lasciare traccia. Vi rientrano non
solo le percosse, le ingiurie e le privazioni imposte alla vittima, ma anche
gli atti di disprezzo ed umiliazione, che cagionano durevole sofferenza
morale».
Le condanne
Le condanne inflitte dal
Tribunale di Asti sono state le seguenti: quattro anni
e sei mesi di reclusione ad A. G. con l’interdizione dai pubblici uffici per la
durata di anni cinque e tre anni a C. R., mentre sono stati prescritti i reati
contestati a R. G. e a M. G.
Inoltre A. G. e C. R. sono stati
condannati al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili costituite, nonché delle relative spese di costituzione e rappresentanza
in giudizio.
Le carenze della
vigilanza e la mancata selezione del personale
Anche la vicenda sopra descritta
evidenzia, ancora una volta, le nefaste conseguenze della carenza
delle attività di vigilanza e della mancata selezione preventiva del personale.
In merito alla vigilanza su tutte
le strutture residenziali per anziani, minori, soggetti con handicap, ecc. ribadiamo la necessità che detta funzione, previo
adeguamento delle relative disposizioni, venga assegnata alle Province anche
allo scopo di evitare che le Asl ed i Comuni continuino
a controllare le condizioni di vita dei loro malati e dei loro assistiti.
Inoltre è necessario che nelle
commissioni di vigilanza siano inseriti rappresentanti dei sindacati e delle
organizzazioni di volontariato.
È altresì urgente la verifica da
parte delle attuali commissioni di controllo che le strutture di ricovero degli
anziani cronici non autosufficienti rispettino le
disposizioni della delibera della Giunta regionale del Piemonte n. 17-15226 del
30 marzo
a) «l’orario di servizio degli operatori deve essere portato a conoscenza
degli utenti e familiari attraverso l’esposizione di uno schema di presenze di ciascuna professionalità impegnata nella struttura»;
b) «deve essere stabilito ed opportunamente pubblicizzato l’orario
settimanale di effettiva presenza medica [direttore
sanitario e altri medici, n.d.r.] all’interno della struttura concordato con
la direzione sanitaria della struttura o con il distretto»;
L’applicazione delle sopra
riportate disposizioni, fortemente volute dal Csa, Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di
base di Torino, consente ai ricoverati e ai loro congiunti di poter verificare
l’effettiva presenza del personale stabilito dalle norme regionali e dalle
convenzioni stipulate dalla struttura con le Asl e/o
i Comuni.
Per quanto riguarda la scelta del
personale delle strutture di ricovero di persone incapaci di autodifendersi
dovrebbe essere ovvia la necessità di evitare l’assunzione di persone con gravi
disturbi della personalità. Infatti, gli anziani
cronici non autosufficienti, i soggetti con gravi handicap intellettivi ed i
bambini piccoli non sono in grado né di reagire alle violenze, né di
segnalarle.
Allo scopo vi è la necessità (4) «che tutti gli operatori, prima di essere
assunti per lo svolgimento di attività siano
sottoposti, con tutte le garanzie di riservatezza del caso, ad un esame
approfondito della loro personalità.
«Centri scientificamente riconosciuti validi, scelti di comune accordo
dagli enti e dai sindacati dei lavoratori, dovrebbero essere incaricati di
rilasciare una dichiarazione attestante che l’operatore è adeguato, per le
caratteristiche della sua personalità e per la sua professionalità, a svolgere
le attività di assistenza alle persone con handicap,
in particolare quelle aventi una ridotta o nulla autonomia.
«Ovviamente dovrebbe essere garantita la totale riservatezza nei confronti
di coloro che non ottenessero la suddetta
certificazione, riservatezza totale anche nei riguardi dell’ente pubblico e
privato che li ha indirizzati, al quale nulla deve essere comunicato né
direttamente né indirettamente, ad esclusione di quanto scritto nella
certificazione consegnata direttamente a ciascun operatore ritenuto idoneo».
(1) Gli articoli pubblicati su Prospettive assistenziali in merito alle violenze patite da minori,
soggetti con handicap, anziani, ecc. sono riportati nell’allegato 1
dell’articolo “Come prevenire le violenze nelle strutture residenziali per
minori, adulti e anziani”, n. 149, 2005.
(2) L’Ulces si è costituita parte civile anche in altri processi.
Si vedano su questa rivista gli articoli “Gestori e operatori di una casa di
riposo condannati dal Tribunale di Mondovì”, n. 135,
2001 e “Agghiaccianti violenze subite dai minori assistiti presso due comunità
di Torino”, n. 149, 2005.
(3) L’articolo 572
del Codice penale è così redatto: «Chiunque,
fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della
famiglia, o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua
autorità, o a lui affidata per ragione di educazione,
istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o
di un’arte, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Se dal fatto
deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a otto anni; se ne deriva una lesione gravissima, la
reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da
dodici a venti anni».
(4) Cfr. Vincenzo
Bozza, Maria Grazia Breda e
Giuseppe D’Angelo, Handicap: come
garantire una reale integrazione - Riflessioni, esperienze, proposte,
Utet Università, Torino, 2007.
www.fondazionepromozionesociale.it