Prospettive assistenziali n. 161
Editoriale
CURE SOCIO-SANITARIE
DOMICILIARI: UNA POSITIVA SVOLTA A FAVORE DEGLI
ANZIANI CRONICI NON AUTOSUFFICIENTI
Riconosciuta la
primaria competenza della sanità
Come insistiamo fin dal 1978[1],
ferma restando la priorità – tuttora quasi sempre ignorata
nei fatti – della prevenzione della cronicità, compete alla sanità (e non
all’assistenza) non solo garantire i necessari interventi terapeutici alle
persone colpite da patologie invalidanti e da non autosufficienza, ma anche
organizzare i servizi e le attività in modo che «tutto il personale sanitario assuma in proprio le valenze relazionali
e cioè intrattenga validi rapporti interpersonali con i malati ed i loro
congiunti, considerando questa prassi una parte integrante delle prestazioni
curative»[2].
Purtroppo, per quanto concerne sia le
attività domiciliari che quelle residenziali, vi sono state e continuano ad
essere esercitate forti pressioni a livello nazionale, regionale e locale per
il trasferimento dalla sanità all’assistenza del maggior numero possibile di infermi con limitata o nulla autonomia, e quindi non
soltanto anziani e adulti cronici non autosufficienti e dementi senili, ma
anche malati psichiatrici gravi, tossicodipendenti, ecc.[3].
Inoltre, occorre purtroppo rilevare
che quasi mai le organizzazioni di volontariato e di tutela dei soggetti deboli
(ad esempio i Centri di servizio per il volontariato, il Movimento di
volontariato italiano,
Finalmente, dopo anni e anni di intenso lavoro (elaborazione di proposte di legge e di
delibere, predisposizione di petizioni popolari e organizzazione delle attività
occorrenti per la raccolta delle relative adesioni, stesura di documenti e di
articoli, presidi e volantinaggi, rapporti con organizzazioni di base per
raccogliere e fornire informazioni, nonché per un loro
attivo coinvolgimento nelle iniziative concordate, ecc.), sono stati approvati
due provvedimenti che rappresentano una importantissima svolta in merito alle
cure socio-sanitarie domiciliari rivolte agli anziani cronici non
autosufficienti e alle persone affette dalla malattia di Alzheimer o da altre
forme di demenza senile.
I provvedimenti delle
Asl To 3 e To 5
I provvedimenti delle Asl To 3 e To 5[6], che
riproduciamo in questo numero[7],
rappresentano una svolta importante nelle cure domiciliari, in quanto il
Servizio sanitario assume il ruolo fondamentale che gli compete nei riguardi
delle terapie domiciliari a cui hanno diritto anche le persone colpite da
patologie inguaribili[8].
Se si confrontano le decisioni
assunte dalle Asl To 3 e To 5 con le richieste del Csa, emergono differenze
anche importanti soprattutto per quanto concerne l’importo versato agli
accuditori e la mancanza di un riconoscimento concreto del loro ruolo di
volontari intrafamiliari, ruolo che dovrebbe essere tenuto non solo presente ma
anche valorizzato anche in merito alla programmazione degli interventi
domiciliari e la verifica delle loro efficacia ed
efficienza.
Inoltre, resta ancora in parte aperta
la fondamentale questione dell’abolizione della lista di attesa
per l’accesso alle prestazioni domiciliari.
La gestione diretta di Rsa da parte
delle Asl di Torino e di altre zone del Piemonte è
stata una iniziativa di fondamentale importanza per l’effettivo riconoscimento
del diritto degli anziani malati cronici non autosufficienti ad essere
adeguatamente curati nelle strutture residenziali[9].
Confidiamo quindi che i due
provvedimenti diventino la base dell’attuazione di detto diritto anche a
livello domiciliare, in quanto rappresentano un miglioramento delle condizioni
di vita degli anziani cronici non autosufficienti e sono un esempio concreto di effettiva solidarietà intrafamiliare.
La priorità delle cure
sanitarie domiciliari non deve essere un atto speculativo
Per comprendere i principi a cui si ispirano le richieste del Csa, da cui discendono i due
provvedimenti in oggetto, è necessario ricordare che nei casi di ricovero
presso Rsa (Residenze sanitarie assistenziali) o strutture analoghe di persone
colpite da patologie invalidanti e da non autosufficienza, l’importo mensile
della quota sanitaria è mediamente di circa 1.500 euro[10].
Si tratta, com’è noto, di una spesa
obbligatoria per il Servizio sanitario nazionale che riguarda tutti i degenti,
indipendentemente dalle loro risorse economiche.
Dunque per le cure domiciliari il Servizio
sanitario ha a disposizione 1.500 euro mensili.
Partendo da questa constatazione, il
Csa ha rivendicato e rivendica l’assegnazione di un
rimborso spese ai congiunti o alle terze persone che forniscono le prestazioni
indispensabili per la permanenza di persone non autosufficienti a casa loro o
del loro accuditore.
Non è richiesto alcun pagamento delle
prestazioni fornite a livello domiciliare, ma viene
ritenuto corretto che ai volontari intrafamiliari sia riconosciuto un rimborso
spese tale da evitare che, oltre al già gravoso impegno personale occorrente
per l’accudimento dei soggetti con autonomia estremamente limitata o nulla,
venga anche richiesta una loro partecipazione alle spese.
Se la sanità spende ogni mese 1.500
euro per la retta sanitaria di ricovero presso le Rsa, non è accettabile che
trattenga detto importo: la permanenza a domicilio non deve essere favorita solo
per risparmiare denaro.
Coloro (parenti o non parenti), che operano per consentire le cure domiciliari,
svolgono una lodevole attività come volontari e, in quanto tali, devono
giustamente ottenere il rimborso delle spese vive sostenute. Quindi
nessun compenso per il loro lavoro, ma neanche alcun onere economico a loro
carico.
D’altra parte le Asl, mediante il
versamento ai volontari intrafamiliari del 60% della retta sanitaria
corrisposta alle Rsa, ottengono un beneficio finanziario del 40% (circa 600 euro
mensili), somma dalla quale occorre dedurre le spese relative
alle prestazioni infermieristiche domiciliari, il cui costo non è
mediamente superiore alla metà dell’importo sopra indicato. Dunque, per i
malati curati a domicilio, le Asl risparmiano circa 300 euro al
mese, e cioè il 20% della somma corrisposta alle Rsa.
In sostanza il Csa chiede che anche
nei riguardi degli anziani non autosufficienti le Regioni e le Asl assumano
iniziative analoghe a quelle attuate dal Cisap (Consorzio intercomunale dei servizi
alla persona dei Comuni di Collegno e Grugliasco) nei
confronti dei soggetti con handicap invalidante[11].
Cure domiciliari e
petizione popolare
Nella petizione popolare, di cui è in
corso la raccolta delle firme (le prime 18 mila sono già state consegnate alla
Presidente della giunta della
Regione Piemonte)[12], il
primo punto riguarda il “Riconoscimento del diritto alle cure sanitarie
domiciliari (assistenza domiciliare integrata e
ospedalizzazione a domicilio)”[13].
Il testo è il seguente:
«Al fine di
promuovere effettivamente le cure domiciliari degli adulti e degli anziani
cronici non autosufficienti, dei malati di Alzheimer
e dei pazienti affetti da sindromi correlate o da disturbi psichiatrici
invalidanti, si chiede che
-
non vi siano
controindicazioni cliniche o di altra natura;
-
il soggetto sia
consenziente e gli possano essere fornite le necessarie cure mediche e
infermieristiche, nonché, se occorrenti, quelle riabilitative;
-
i congiunti o
soggetti terzi siano disponibili ad assicurare l’occorrente sostegno
domiciliare e siano riconosciuti idonei dall’ente erogatore;
-
siano previsti gli
interventi di emergenza sia nel caso che i congiunti o i soggetti terzi non
siano più in grado di prestare gli interventi di loro competenza, sia qualora
insorgano esigenze del soggetto che ne impongano il ricovero presso idonee
strutture;
-
i costi a
carico delle Asl e/o dei Comuni non siano superiori a quelli di loro spettanza
nei casi di ricovero presso strutture residenziali;
-
ai congiunti e
ai soggetti terzi venga riconosciuto il ruolo di volontariato intrafamiliare e
ad essi venga versato dalle Asl, nella misura del 60% della retta corrisposta
alle Rsa (Residenze sanitarie assistenziali) un rimborso forfetario
delle spese sostenute per le cure domiciliari, compresi gli oneri derivanti
dalle sostituzioni della persona responsabile delle cure domiciliari per le
occorrenti incombenze personali e familiari (acquisti, commissioni, ecc.)».
Aspetti organizzativi
Allo scopo di favorire lo sviluppo
delle cure domiciliari, i percorsi per ottenerle dovrebbero essere semplici,
rapidi e certi. A questo riguardo, assumendo come riferimento quanto esposto in
precedenza, il Csa ha avanzato le seguenti proposte:
1.
ricevuta l’istanza volta ad ottenere
la certificazione di non autosufficienza, l’Uvg (Unità valutativa geriatrica)
incarica un suo operatore per lo svolgimento delle indagini necessarie per
verificare le concrete possibilità dell’attuazione delle cure sanitarie
domiciliari;
2.
se viene reperita una persona disposta
a provvedere all’accudimento domiciliare dell’anziano non autosufficiente, e ne
viene accertata l’inesistenza di controindicazioni, a detto soggetto è fornita
la bozza del contratto di accudimento predisposto dall’Asl;
3.
l’Uvg, accertate le condizioni di non
autosufficienza, stabilisce, sulla base dell’indagine di cui ai punti
precedenti, se sono praticabili le cure sanitarie domiciliari. In caso
affermativo, tenendo conto dei criteri definiti dalla Regione o dall’Asl, viene precisato dall’Uvg l’importo del rimborso forfettario
da erogare mensilmente all’accuditore; un funzionario della stessa Asl è incaricato
di stipulare il contratto di accudimento con la persona che, con la
sottoscrizione del documento di cui sopra, si impegna a fornire le prestazioni
elencate nello stesso contratto, in cui sono definiti anche gli interventi di
competenza dell’Asl e del medico di medicina generale del paziente;
4.
l’accuditore dispone autonomamente l’utilizzo
del rimborso forfettario delle spese, fermo restando l’obbligo dell’Asl e del
medico di medicina generale di effettuare tutti i controlli previsti nel
contratto di cui sopra;
5.
qualora il paziente non autosufficiente sia
in grado di prendere le decisioni concernenti le cure sanitarie domiciliari che
lo riguardano o sia rappresentato da un tutore o curatore o amministratore di
sostegno, le iniziative di cui ai punti precedenti sono assunte nei confronti
di detti soggetti;
6.
l’accuditore dispone dell’assegno di
accompagnamento secondo le modalità concordate con il paziente o con chi lo
rappresenta;
7.
qualora l’accuditore ritenesse insufficiente
l’importo del rimborso spese stabilito dall’Asl, può rivolgersi al Comune di
residenza del paziente. Detto ente dovrebbe provvedere ad
integrare il rimborso spese stabilito dall’Asl sulla base delle proprie
competenze in materia di sostegno economico;
8.
l’Asl, se possibile congiuntamente ai Comuni
del territorio, provvede all’accreditamento di agenzie in grado di fornire
prestazioni alle persone curate a domicilio, ad esclusione di quelle di
competenza del medico di medicina generale. Resta ferma in ogni caso la libertà
del paziente o di chi lo rappresenta di rivolgersi o meno
a dette agenzie.
Auspicabile
tempestività delle decisioni delle Asl
Le Asl, essendo tenute ad accertare
solamente la condizione patologica della non autosufficienza e l’idoneità della
persona disponibile all’accudimento domiciliare, e non dovendo procedere a complesse
verifiche relative alle risorse economiche possedute
dall’utente, sono in grado di assumere decisioni rapide.
Nelle sopra citate proposte del Csa, dette decisioni dovrebbero essere assunte dall’Uvg contemporaneamente
alla rilevazione della non autosufficienza.
In questo modo potrebbe essere
garantito un sostegno immediato ai congiunti, ai conviventi e ai conoscenti,
preoccupati delle deficitarie condizioni di salute del
loro caro che intendono garantire.
Anche se il rimborso forfettario verrà erogato con una scadenza non immediata, la conoscenza
degli impegni assunti dall’Asl e dell’importo erogato rappresentano importanti
elementi che possono essere decisivi per la scelta delle cure domiciliari.
Invece, nei casi in cui, come succede
nella città di Torino, la valutazione relativa al
sostegno economico viene compiuta dai servizi sociali, i rilevanti tempi di
attesa (anche 3-4-mesi) accentuano le perplessità e le preoccupazioni dei
possibili accuditori e, nell’incertezza delle azioni decise dalle istituzioni,
favoriscono la scelta del ricovero presso le Rsa e strutture similari con i
conseguenti notevoli aumenti delle spese a carico delle Asl e con condizioni di
vita dell’anziano non autosufficiente quasi sempre meno valide rispetto alla
permanenza a casa propria o dell’accuditore.
Le proposte dei
Consorzi socio-assistenziali
Di particolare importanza per un
corretto e proficuo sviluppo delle cure domiciliari sono le richieste avanzate
da tutti i Presidenti dei Consorzi socio-assistenziali della Provincia di
Torino che, con lettera da essi sottoscritta in data
12 febbraio 2008, hanno rivolto agli Assessori regionali alla sanità e al
welfare, Eleonora Artesio e Angela Teresa Migliasso, le seguenti istanze:
«l’attuale
Giunta regionale ha realizzato importanti interventi finalizzati alla tutela
della salute e dell’integrazione sociale della popolazione anziana. Sono stati
stanziati complessivamente 46.000.000 di euro
finalizzati all’incremento dei posti letto convenzionati nelle strutture
residenziali, con un aumento atteso di più di 2.450 posti nell’intero
territorio regionale; sono stati erogati complessivamente 31.000.000 di euro
dei fondi sociali per interventi di sostegno ad anziani non autosufficienti e
alle loro famiglie.
«Gli Enti gestori dei servizi socio assistenziali riconoscono tale impegno, peraltro ribadito
dalla priorità che il Piano socio-sanitario regionale riconosce alla tutela
della popolazione anziana tuttavia, anche a nome dei Sindaci, fanno presente la
necessità di un ulteriore provvedimento che consenta di mettere a regime gli
interventi economici a sostegno della domiciliarità in quanto modalità di
intervento sperimentata con successo nelle varie realtà territoriali.
«La creazione di una rete articolata e diversificata di servizi domiciliari a sostegno delle
persone anziane non autosufficienti, enunciata con forza dalla legge 328/2000 e
dalla legge regionale 1/2004 è stata ribadita dal Piano socio-sanitario
regionale come centrale per la tutela del loro benessere. In questi anni i
Comuni e gli Enti gestori sono stati impegnati nella sua realizzazione,
coinvolgendo sempre più le Asl, non solo per ottemperare agli obiettivi
legislativi suddetti, ma perché convinti che solo una pluralità di interventi integrati possa rispondere adeguatamente a
necessità e bisogni manifestati con forza dai cittadini.
«Infatti se è ormai
indiscusso che gli interventi domiciliari, articolati e differenziati per
adattarsi alle diverse necessità sociali e sanitarie presentate dagli anziani,
permettono, dove possibile, una migliore qualità della vita con costi
notevolmente inferiori per la collettività, è altrettanto vero che questa è la
richiesta maggiormente avanzata dagli interessati e dalle famiglie. In quasi
tutte le nostre realtà, le liste d’attesa maggiori sono quelle relative ai servizi domiciliari, non quelle relative ai
ricoveri.
«Non si tratta, ovviamente, di contrapporre due
tipi di intervento entrambi necessari per la varietà
delle situazioni personali, famigliari, socio-abitative degli anziani, ma di
sottolineare un dato, evidente nel nostro territorio, che non è
sufficientemente conosciuto. Anche se differenti criteri di compilazione
rendono le liste d’attesa non sempre comparabili, il confronto tra le richieste
vede, in molte delle nostre realtà, la lista d’attesa relativa
ai servizi domiciliari superare di due o addirittura tre volte quella
relativa al ricovero in struttura residenziale.
«Il supporto programmatico, economico e
normativo della Regione si rivela, perciò, fondamentale a questo proposito. Infatti il consolidarsi della rete degli interventi
domiciliari è condizionato dalla limitatezza delle risorse e dalla necessità di
definire maggiormente con le Aziende sanitarie le modalità di attuazione della
delibera della Giunta regionale 51 del 23 dicembre 2003 “Applicazione dei Lea
all’area dell’integrazione socio-sanitaria”. Ciò vale per l’insieme degli
interventi di domiciliarità previsti dai Lea, ma in particolare per l’assegno
di cura e l’affido intrafamiliare che prevedono una
erogazione di denaro e consentono la massima flessibilità e adattabilità alle
esigenze del progetto individuale di ciascun anziano.
«Lo stesso
Piano socio-sanitario 2007/2010 individua tra le criticità nel sistema
integrato degli interventi e dei servizi che vengono
individuate dal Piano socio-sanitario la mancata ratifica, in gran parte del
Piemonte, degli “accordi territoriali che recepiscano le cosiddette
assistenze domiciliari ‘in lungo-assistenza’ che dovrebbero anche giovarsi dello
strumento dell’assegno di cura sul quale non esiste attualmente una
regolamentazione regionale”. Nel Piano si afferma inoltre che – nell’ambito
delle strategie generali di sviluppo degli interventi finalizzati alla tutela
della salute della popolazione anziana e disabile – “occorre
(…) prevedere l’erogazione di assegni di cura in
misura adeguata ai P.I. (piani
individualizzati) in lungo-assistenza individuati dalla Uvm (Unità valutative
multidisciplinari)”, e che “il volontariato
intra-familiare va considerato come uno dei possibili strumenti atti a favorire
il permanere della persona con disabilità in condizioni di gravità nel suo
originale contesto di vita e verrà meglio definito e regolamentato con apposito
atto deliberativo di Giunta regionale”.
«L’esigenza di un
pronunciamento sulla domiciliarità per le persone che necessitano
di “lungo-assistenza” – e sullo strumento degli assegni di cura in particolare
– da parte degli Assessorati regionali alle politiche sociali ed alla Sanità è,
quindi, fortemente sentita in ambito territoriale. Infatti – nonostante
l’erogazione di interventi economici a sostegno delle
cure domiciliari venisse già individuata dalla delibera della Giunta regionale
n. 72 del 20 dicembre 2004 come possibile risposta alle esigenze delle persone
con patologie croniche tali da determinare condizioni di non autosufficienza –
ad oggi, la prassi di gran lunga prevalente tra le Aziende sanitarie, si
allinea ancora sulla tesi della impossibilità di fornire direttamente tali
interventi per mancanza dei necessari presupposti normativi. Fanno eccezione
l’ex Azienda sanitaria n. 8 che – di recente – ha assunto la decisione di
erogare direttamente assegni di cura alternativi al ricovero di
anziani non autosufficienti e l’ex Azienda sanitaria n. 5 che –
limitatamente al distretto di Collegno e Grugliasco – ha deliberato, in accordo
con il Consorzio, di riconoscere una “quota sanitaria” (non su base di reddito)
agli assegni di cura destinati a persone aventi diritto al ricovero.
«A fronte della richiesta
di sostegno alle attività di cura svolte in ambito familiare – che emerge con
forza dagli assistiti – il problema della mancanza di un quadro regolamentare
definito a livello regionale viene affrontato in
maniera disomogenea e non risolutiva nei diversi ambiti territoriali. Accade
così che molte Aziende sanitarie si facciano carico del rimborso (parziale)
della spesa sostenuta dall’Ente gestore socio-assistenziale per la fornitura di assegni di cura che vengono però erogati sulla base di
regolamenti locali che commisurano l’entità dell’intero contributo al reddito
dell’utente. È del tutto evidente che, in tal modo, il contributo economico non
può rappresentare una valida alternativa al ricovero
in struttura. Mentre la “quota sanitaria” di una retta in Rsa viene erogata agli aventi diritto, a prescindere dal reddito
dell’utente, almeno sino alla concorrenza del 50% della retta totale, l’assegno
di cura – proprio perché valorizzato in termini economici con criteri selettivi
– non si caratterizza come una misura di sostegno in grado di includere tutti i
congiunti che possano e vogliano farsi carico del paziente anziano o con
handicap grave. Inoltre sarebbe di estremo interesse
l’avvio di una sperimentazione finalizzata a riconoscere ed a valorizzare il
ruolo del volontariato intra-familiare, non solo con riferimento alle leggi
nazionali, ma anche perché conforme alle indicazioni del Piano socio-sanitario
ed all’articolo 49, comma 2, lettere c), f) e g) della legge regionale n. 1/2004.
«In conclusione, questo
Coordinamento fa presente la necessità di un intervento dei due Assessorati
regionali che completi l’azione che ha portato all’aumento dei posti letto per
gli anziani che necessitano di interventi
residenziali, con azioni volte a promuovere e ad implementare la rete dei
servizi domiciliari per chi ne faccia richiesta, attraverso:
·
la
destinazione di apposite risorse economiche;
·
una chiara
definizione normativa degli aspetti soprattutto relativi all’integrazione
socio-sanitaria (quota parte sanitaria
indipendente dal reddito negli assegni di cura e nell’affido intrafamiliare,
ecc..).
«Questo permetterebbe di
superare l’attuale precarietà e disomogeneità delle soluzioni che tanto
sconcerta i cittadini, sosterrebbe la diffusione e il consolidamento della rete
degli interventi e la sperimentazione di nuove forme di servizi, in attuazione
delle disposizioni nazionali, regionali e delle indicazioni del
Pssr.
«Confidando nella vostra disponibilità, vi chiediamo un incontro per approfondire le tematiche che sono oggetto della presente nota e per ricercare le possibili soluzioni ai problemi esposti».
[1] Cfr.
“Gli anziani definiti cronici vengono calpestati nei
loro diritti”, Prospettive assistenziali,
n. 44, 1978.
[2] Cfr.
“Le inaccettabili iniziative concernenti gli adulti
non autosufficienti colpiti da patologie invalidanti e le disastrose
conseguenze dell’integrazione socio-sanitaria: occorre ripartire dalle esigenze
e dai diritti”, Ibidem, n. 139, 2002.
[3] Si
pone su questa linea anche il progetto di legge n. 3284 presentato alla Camera
dei Deputati il 3 dicembre 2007. Cfr. “Disegno di legge delega sulla non
autosufficienza: il Governo vuole togliere diritti ai più deboli e imporre
contributi economici ai loro congiunti”, Ibidem,
n. 160, 2007.
[4] Una positiva eccezione è rappresentata dalle iniziative assunte
nel corso del
[5] Si vedano, ad esempio, l’inserto di Franco Santamaria e Giorgio Volpe “Farsi paese nel farsi carico delle persone anziane”, pubblicato sul n. 6/7, 2007 di Animazione sociale e gli articoli apparsi su Prospettive sociali e sanitarie, n. 1, 2008: Sergio Pasquinelli dell’Istituto per la ricerca sociale di Milano, “Lavoro di cura: oltre il fai da te”; Maria Gabriella Melchiorre, Sabrina Quattrini, Cristian Balducci e Giovanni Lamura dell’Istituto nazionale riposo e cura anziani, Dipartimento ricerche gerontologiche di Ancona, “Servizi per familiari caregiver di anziani”. Da notare che nei suddetti articoli gli Autori lamentano l’attuale mancanza di informazioni adeguate alle esigenze degli anziani non autosufficienti.
[6] A seguito di un recente provvedimento della Regione Piemonte sono state accorpate alcune Asl, per cui la loro numerazione è stata modificata. Le attuali Asl To 3 e To 5 erano in precedenza le n. 5 e 8.
[7] Si
vedano in questo numero i testi “Provvedimento dell’Asl 3 sulle cure
domiciliari” e “Accordo dell’Asl 5 con i Consorzi
socio-assistenziali sull’assegno di cura”. Il primo testo è commentato
nell’articolo di Mauro Perino “Cure domiciliari delle persone colpite da
patologie invalidanti e da non autosufficienza: dai buoni di servizio
socio-assistenziali agli assegni di cura sanitari”.
[8] Si osservi che il diritto alle cure domiciliari era previsto dall’articolo 14 della legge 833/1978, il cui terzo comma stabilisce che «nell’ambito delle proprie competenze, l’unità sanitaria locale provvede (…) h) all’assistenza medico-generica e infermieristica, domiciliare e ambulatoriale; i) all’assistenza medico-specialistica e infermieristica, ambulatoriale e domiciliare per le malattie fisiche e psichiche». Da rimarcare che nella lettera del 18 novembre 2005 le Direzioni per la programmazione sanitaria e per le politiche sociali dell’Assessorato della Regione Piemonte sanità, welfare e lavoro, affermavano di ritenere «che il servizio sanitario pubblico non possa essere chiamato (…) a farsi carico di erogazioni di risorse economiche per assegni di cura». Ancora una volta viene dimostrato nei fatti il valore della partecipazione popolare per superare le resistenze politiche e burocratiche.
[9] Anche se le attività di supporto sono affidate dalle Asl a cooperative, il livello qualitativo delle cure fornite nelle Rsa gestite dalle Asl è di gran lunga superiore a quello delle analoghe strutture private.
[10] Per quanto riguarda il Piemonte, l’importo della quota sanitaria non comprende gli oneri relativi alle attività mediche generiche e specialistiche fornite ai soggetti ricoverati presso le Rsa.
[11] Cfr.
l’articolo di Mauro Perino, “Volontariato
intrafamiliare: dalla sperimentazione alla regolamentazione definitiva”, Prospettive assistenziali, n. 144, 2003.
L’Autore segnala che «il ricovero in
struttura residenziale dei cinque utenti affidati nel 2001, al costo di lire
250.000 giornaliere (129,11 euro), avrebbe comportato una spesa complessiva
annua di lire 456.250.000 pari a 235.633,46 euro (lire
91.250.000, pari a 47.126,69 euro annui pro capite). La spesa annua per la
frequenza del centro diurno degli stessi cinque utenti (lire 162.500.000 pari a
83.924,25 euro) sommata alla spesa effettivamente sostenuta per l’affido
intrafamiliare risulta pari a lire 192.500.000,
corrispondenti a 99.417,95 euro (lire 38.500.000, pari a 19.883,59 euro pro
capite). Si può dunque affermare – conclude il Direttore
del Cisap – che l’affido intrafamiliare è
risultato conveniente – anche dal punto di vista economico – sin dal primo anno
di sperimentazione».
[12] Cfr, l’editoriale “Una petizione popolare per richiedere idonei
provvedimenti sanitari, socio-sanitari e socio-assistenziali a favore dei soggetti
deboli del Piemonte”, Ibidem, n. 153,
2006. Il testo della petizione, allegato a detto numero di Prospettive assistenziali, è reperibile
nel sito www.fondazionepromozionesociale.it.
Si veda anche l’editoriale del n. 157, 2007 “Petizione popolare per il
Piemonte: primi risultati ottenuti” di Maria Grazia Breda.
[13] Il
secondo punto della petizione riguarda il “Riconoscimento del diritto alle
prestazioni socio-assistenziali domiciliari” ed è così redatto: «Si chiede che analoga iniziativa
legislativa venga assunta dalla Regione Piemonte per
favorire la permanenza in famiglia degli adulti colpiti da gravi handicap
intellettivi. Il rimborso forfettario delle spese dovrà
essere versato dagli enti gestori delle attività socio-assistenziali (Comuni
singoli e associati, Comunità montane, ecc.) nello stesso importo di cui al
punto precedente».