SENTENZA RELATIVA AI MALTRATTAMENTI SUBITI DAGLI ANZIANI CRONICI NON
AUTOSUFFICIENTI RICOVERATI NELLA STRUTTURA “LE COLLINE DEL PO”
(anticipazione tratta dal prossimo
numero della rivista Prospettive
assistenziali)
Ancora una volta dobbiamo segnalare i gravi maltrattamenti subiti da anziani
malati cronici non autosufficienti ricoverati presso una struttura
residenziale[1].
Si tratta della residenza “Le colline del Po” situata a Tonengo, un Comune
della Provincia di Asti.
La gravità dei fatti accertati dovrebbe allertare ciascuno di noi quali
possibili utenti, spronarci ad assumere le necessarie iniziative di autotutela e
di solidarietà verso gli altri, anche perché nuovamente gli organi preposti alla
vigilanza non hanno svolto i compiti ad essi assegnati.
Ricordiamo, inoltre, che l’Ulces, Unione per la lotta contro l’emarginazione
sociale, si è costituita parte civile [2] chiedendo che venisse affermata «la
penale responsabilità di tutti gli imputati come sopra generalizzati in ordine
ai reati loro ascritti e conformemente agli addebiti contestati nel decreto che
dispone il giudizio».
È disponibile il testo integrale della sentenza, che può essere richiesto alla
segreteria di Prospettive assistenziali.
L’avvio del processo
Con decreto emesso in data 30 gennaio 2004, gli imputati venivano citati a
comparire avanti il Tribunale di Asti. Fra di essi era citato quale responsabile
civile l’Asl 19 di Asti che, riconoscendo le proprie responsabilità, provvedeva
al riconoscimento dei danni richiesti dalle parti civili, compresa l’Ulces.
Come risulta dalla sentenza del Tribunale di Asti del 26 marzo 2007, nel
novembre 1998 era stata presentata una prima denuncia da un ex Assessore «che
lamentava casi di maltrattamenti, a seguito della quale decise di effettuare un
intervento a sorpresa di notte», da cui risultava che «quella notte erano
presenti 96 ospiti, sistemati in diverse camere su tre piani e, al momento
dell’intervento, erano presenti due soli operatori, che svolgevano il turno
dalle 20,00 alle 6,00».
In tale occasione «venivano acquisiti dodici quaderni delle consegne, sui quali
erano segnati i turni di servizio con le relative annotazioni».
Successivamente i carabinieri avevano ricevuto due lettere dall’assistente B. F.
che «segnalava episodi che si verificavano la notte a danno della signora A. S.,
la quale veniva brutalmente rimproverata e non riceveva assistenza».
Lo stesso B. F. «ha confermato che accertò che l’assistenza fornita era scarsa e
non esisteva un rapporto adeguato tra assistenti e ospiti e questo già nel
1998».
Al riguardo «nel 2001 la Commissione di vigilanza fece notare che, a fronte di
un organico di 25 unità, ve ne erano in servizio solo 11».
Inoltre «è emerso che nel periodo dal gennaio all’agosto 2001 si verificò un
numero esagerato di decessi».
Gli imputati
1. A. G., amministratore unico della residenza “Le colline del Po”, è accusato
di aver maltrattato «i pazienti ricoverati presso detta struttura e
segnatamente:
«ometteva di predisporre nei confronti degli stessi, anche con riguardo a
pazienti che lamentavano serie patologie comportanti la necessità di controllo e
cure sanitarie, assistenza medica ed infermieristica adeguata;
«dava disposizioni agli operanti affinché in alcune occasioni i pazienti le cui
rette dovevano essere pagate dalla Asl, non venissero alzati dal letto e fossero
tenuti tutto il giorno nelle loro camere, ovvero affinché non fossero alzati i
pazienti più corpulenti (come, ad esempio, le pazienti S. A. e B. R.);
«dava disposizione affinché ai degenti fossero somministrate razioni di vitto
assolutamente insufficienti sia dal punto di vista quantitativo sia dal punto di
vista qualitativo;
«dava disposizioni affinché i degenti fossero lavati con acqua fredda;
«dava disposizioni agli operanti di evitare le richieste di intervento della
guardia medica o del servizio 118 anche in caso di aggravamento delle condizioni
di salute dell'ospite;
«puniva per presunte intemperanze alcuni degenti impedendo loro di partecipare
alla vita comune (comportamento attuato, ad esempio, nei confronti dei pazienti
C. G., D. N. E., A. C., F. ai quali veniva vietato di uscire dalla propria
stanza);
«poneva in essere atti lesivi dell’integrità fisica e morale di alcuni degenti:
insultava reiteratamente P. O., in un’occasione la afferrava per i capelli, la
trascinava nel corridoio della struttura, sferrandole pugni e calci e cercando
di colpirla con un tripode in metallo, in altra occasione spruzzava gas
insetticida sul volto della stessa P. O., in altra occasione colpiva con un
pugno il degente M., in altra occasione insultava e strattonava violentemente il
paziente C. G. seduto su una sedia a rotelle, dopo averlo fatto condurre
all’interno dell'ascensore».
Da notare che un testimone ha riferito che «G. A. ebbe a confidargli che il
proprio disegno era quello di causare un deterioramento della struttura, e
quindi un deprezzamento della stessa, per poter acquistare l’intera quota a
condizioni favorevoli».
2. All’operatrice C. R. è rivolta l’accusa di aver «con più azioni esecutive di
un medesimo disegno criminoso» maltrattato «i pazienti ivi ricoverati e a lei
affidati per ragioni di cura, ponendo in essere atti lesivi della loro integrità
fisica e morale» e di aver posto in essere maltrattamenti nei confronti di:
«S. A. insultandola reiteratamente, soprattutto quando la stessa in orario
notturno richiedeva il suo intervento, facendole saltare i pasti per punizione e
in un'occasione scagliandole addosso il pulsante dell'allarme che lei aveva
suonato per chiedere di essere cambiata a seguito di un episodio di dissenteria;
«B. G. insultandolo reiteratamente, negandogli assistenza arrivando a prenderlo
per i capelli, trascinarlo in uno stanzino dove lo faceva sedere, gli legava le
braccia alla spalliera ed i piedi alle gambe della sedia, gli metteva una federa
in bocca per non farlo urlare e ivi lo lasciava per diverse ore chiudendo la
porta dall'esterno;
«V. E. insultandola reiteratamente, negandogli assistenza, legandola alla sedia
con le estremità del maglione, infilandogli in bocca, quando non voleva essere
lavata, in qualche occasione una saponetta ed in altre occasione la spugna
sporca di feci;
«P. L. insultandola reiteratamente e infilandole in bocca una spugna sporca di
feci nelle occasioni in cui la lavava;
«F. C. insultandolo reiteratamente e mettendogli in bocca una federa per non
sentire i suoi lamenti in occasione delle medicazioni;
«A. R. insultandola reiteratamente e infilandole una spugna sporca di feci nelle
occasioni in cui doveva essere lavata;
«C. A. insultandola reiteratamente e afferrandola con la forza per condurla
sotto la doccia nonostante il suo rifiuto a lavarsi e le difficoltà di
deambulazione».
Inoltre è stata accusata di aver privato:
«il degente B. G. della libertà personale, trascinandolo per i capelli
all’interno di una stanza della struttura dove lo faceva sedere ad una sedia e
lo legava con le braccia alla spalliera tramite traverse, federe e sacchi di
spazzatura arrotolati e con i piedi alle gambe, chiudendo dall’esterno la porta
della stanza e ivi lasciandolo per alcune ore».
3. L’accusa a M. G., infermiere professionale, è particolarmente grave in
quanto:
«esercitava abusivamente la professione di medico, per la quale è prevista
speciale abilitazione dello Stato, effettuando sui pazienti ricoverati presso la
struttura diagnosi e somministrando terapie da lui stesso prescritte: in
particolare a fronte dello stato di agitazione del paziente B. D., che fra
l’altro presentava anche ferite sul corpo, decideva autonomamente di
somministrargli una fiala di Valium e di medicare le piaghe che lo stesso
presentava con cerotti».
4. A sua volta R. G., inserviente privo di qualsiasi qualifica esercitava:
«abusivamente la professione di infermiere professionale».
Le contestazioni del consulente tecnico
Dalla relazione presentata dal consulente tecnico nominato dal Pubblico
Ministero risulta che l’assistenza sanitaria è «stata sempre alquanto precaria,
poiché il personale infermieristico non era sempre adeguato, mancava una
copertura notturna e, con riferimento ai medici, vi era un solo medico di base
disponibile, che si recava in struttura solo un paio di volte alla settimana,
solo per le ricette, in violazione delle norme regionali in materia».
Inoltre «quanto all’alimentazione, elemento importante per l’anziano,
considerato che ad una certa età la funzione digestiva subisce un peggioramento
e vi è la tendenza al cattivo assorbimento, le tabelle dietetiche non erano in
alcun modo rispettate».
Il consulente tecnico riferisce altresì che «le cartelle mediche erano
largamente insufficienti e le visite mediche avvenivano ad intervalli lunghi, né
risultavano mai utilizzati strumenti necessari ad inquadrare le necessità
mediche del paziente non autosufficiente, quali ad esempio la scala di Norton,
valutazione dei problemi prevalenti, valutazione del livello cognitivo, ecc.
L’assistenza alla persona era affidata solo a badanti non qualificate, ed era
limitata ad interventi minimi necessari; la vigilanza notturna era gravemente
carente, in quanto quasi un centinaio di anziani, molti dei quali con gravi
patologie, la notte erano lasciati alla cura di due sole badanti prive di
qualsiasi titolo».
Quanto alla consuetudine di legare gli ospiti con federe o con sacchi della
spazzatura, il consulente tecnico afferma che non c’è «nessun dubbio che ciò
integri il reato contestato (articolo 572 del Codice penale)[3] [n.d.r., vedi
nota 1] non potendo certamente ritenersi che si rientri in poteri di legittima
contenzione degli ospiti. Infatti, la contenzione di pazienti può essere fatta,
con i mezzi necessari, ma solo a fini terapeutici, dietro ordine e controllo
medico, per un periodo limitato di tempo, nell’ambito di un progetto terapeutico
che, accanto alla contenzione, preveda interventi per ridurre sia la sua
necessità che i rischi medici ad essa connessi. Infatti, i rischi della
contenzione sono sia psicologici che fisici. Nel caso di specie, nulla di tutto
questo ricorre, non essendo avvenuta certamente l’azione della C. R. a fini
terapeutici, o nell’ambito di un progetto di tale natura, dietro controllo del
medico, ma solo a fini disciplinari o comunque del tutto gratuiti, motivati
unicamente dal fatto di voler infliggere sofferenza agli ospiti V. e B.».
Altre accuse
Nella sentenza viene rilevato che A. G., amministratore unico del complesso “Le
colline del Po”, «era il vero e proprio dominus» e che erano sue le «decisioni
sul trattamento da riservare agli ospiti».
Per contenere le spese A. G. «non faceva più accendere il riscaldamento e
ordinava di fare la doccia agli anziani con l’acqua fredda, peraltro ad orari in
cui la temperatura dell’ambiente non è mai elevata (le prime ore del mattino)».
Viene inoltre rilevato che «si fece anche ricorso all’uso di sedativi, in dosi
superiori al normale ed anche durante il giorno, per rendere del tutto inattivi
gli ospiti e far fronte alla carenza del personale, che non era in grado di dare
assistenza a tutti».
Per quanto concerne l’assistenza agli ospiti, nella sentenza si legge che «tutti
hanno riferito come il personale licenziato o dimissionario non venisse
sostituito, e come il numero degli assistenti fosse diventato assolutamente
inadeguato» e che «non erano presenti infermieri nel turno di notte, non vi
erano medici, se non in numero e con modalità di visita del tutto inadeguati.
Tale carenza di assistenza può ricondursi ad una condotta volontaria di A. G.,
poiché a causa dei suoi comportamenti il personale veniva licenziato o costretto
a dimettersi; il personale assunto per il settore pulizie veniva trasferito
successivamente all’assistenza degli ospiti, senza essere in possesso di alcun
titolo, ma per far fronte alla carenza di personale senza dover assumere nuove
entità».
Le conclusioni del Tribunale
Il Tribunale osserva che «la sussistenza del reato ex articolo 572 del Codice
penale deve essere affermata a carico di A. G. non solo per le condotte ai danni
dei singoli ospiti, ma per la generale gestione della struttura dallo stesso
condotta, preordinata a infliggere sofferenze agli ospiti.
Lo stesso impartì
diversi ordini ai dipendenti, aventi contenuto negativo e tali da cagionare una
mancanza grave di assistenza (non alzare gli ospiti, non dare loro la colazione,
non usare l'acqua calda, non accendere il riscaldamento, non chiamare 118 o
guardia medica, ecc.) ed, inoltre, assunse decisioni per la gestione della
struttura che portarono al medesimo risultato (non assumere nuovo personale per
sostituire quello che aveva costretto a dimettersi o che aveva ingiustamente
licenziato).
Il teste I. ha confermato che A. ebbe a confidargli che il proprio
disegno era quello di causare un deterioramento della struttura, e quindi un
deprezzamento della stessa, per poter acquistare l'altra quota a condizioni
favorevoli» e che tutte le condotte attive ed omissive riferite dai testi
concretizzano il reato contestato.
«È emerso un quadro di sistematici
maltrattamenti fisici, psichici, morali, attuati mediante condotte attive ed
omissive, non ultima delle quali una sistematica e programmata carenza di
assistenza, rientrante, come confermato dal teste I., in un progetto mirato e
consapevole dell’A. G. Il delitto contestato consiste in una serie di atti
lesivi dell'integrità fisica e morale, delle libertà e del decoro delle persone
affidate alla cura, in modo tale da rendere abitualmente dolorose e mortificanti
le relazioni tra il soggetto attivo e le vittime. Vi rientrano i fatti lesivi
dell'integrità fisica e del patrimonio morale del soggetto passivo, che rendano
abitualmente dolorose le relazioni con l'agente, e manifestatisi mediante le
sofferenze morali che determinano uno stato di avvilimento o con atti o parole
che offendono il decoro e la dignità della persona, ovvero con violenze capaci
di produrre sanzioni dolorose, ancorché, in ipotesi, tali da non lasciare
traccia. Vi rientrano non solo le percosse, le ingiurie e le privazioni imposte
alla vittima, ma anche gli atti di disprezzo ed umiliazione, che cagionano
durevole sofferenza morale».
Le condanne
Le condanne inflitte dal Tribunale di Asti sono state le seguenti:
- quattro anni
e sei mesi di reclusione ad A. G. con l’interdizione dai pubblici uffici per la
durata di anni cinque;
- tre anni a C. R.;
- sono stati prescritti i reati
contestati a R. G. e a M. G.
Inoltre A. G. e C. R. sono stati condonati al risarcimento dei danni subiti
dalle parti civili costituite, nonché delle relative spese di costituzione e
rappresentanza in giudizio.
Le carenze della vigilanza e la mancata selezione del personale
Anche la vicenda sopra descritta evidenzia, ancora una volta, le nefaste
conseguenze della carenza delle attività di vigilanza e della mancata selezione
preventiva del personale.
In merito alla vigilanza su tutte le strutture residenziali per anziani, minori,
soggetti con handicap, ecc. ribadiamo la necessità che detta funzione, previo
adeguamento delle relative disposizioni, venga assegnata alle Province anche
allo scopo di evitare che le Asl ed i Comuni continuino a controllare le
condizioni di vita dei loro malati e dei loro assistiti.
Inoltre è necessario che nelle commissioni di vigilanza siano inseriti
rappresentanti dei sindacati e delle organizzazioni di volontariato.
È altresì urgente la verifica da parte delle attuali commissioni di controllo
che le strutture di ricovero degli anziani cronici non autosufficienti
rispettino le disposizioni della delibera della Giunta regionale del Piemonte n.
17-15226 del 30 marzo 2005 in cui è stabilito che:
a) «l’orario di servizio degli operatori deve essere portato a conoscenza degli
utenti e familiari attraverso l’esposizione di uno schema di presenze di
ciascuna professionalità impegnata nella struttura»;
b) «deve essere stabilito ed opportunamente pubblicizzato l’orario settimanale
di effettiva presenza medica [direttore sanitario e altri medici, n.d.r.]
all’interno della struttura concordato con la direzione sanitaria della
struttura o con il distretto»;
L’applicazione delle sopra riportate disposizioni, fortemente volute dal Csa,
Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base di Torino, consente ai
ricoverati e ai loro congiunti di poter verificare l’effettiva presenza del
personale stabilito dalle norme regionali e dalle convenzioni stipulate dalla
struttura con le Asl e/o i Comuni.
Per quanto riguarda la scelta del personale delle strutture di ricovero di
persone incapaci di autodifendersi dovrebbe essere ovvia la necessità di evitare
l’assunzione di persone con gravi disturbi della personalità. Infatti, gli
anziani cronici non autosufficienti, i soggetti con gravi handicap intellettivi
ed i bambini piccoli non sono in grado né di reagire alle violenze, né di
segnalarle.
Allo scopo vi è la necessità[4] «che tutti gli operatori, prima di essere
assunti per lo svolgimento di attività siano sottoposti, con tutte le garanzie
di riservatezza del caso, ad un esame approfondito della loro personalità.
«Centri scientificamente riconosciuti validi, scelti di comune accordo dagli
enti e dai sindacati dei lavoratori, dovrebbero essere incaricati di rilasciare
una dichiarazione attestante che l’operatore è adeguato, per le caratteristiche
della sua personalità e per la sua professionalità, a svolgere le attività di
assistenza alle persone con handicap, in particolare quelle aventi una ridotta o
nulla autonomia.
«Ovviamente dovrebbe essere garantita la totale riservatezza nei confronti di
coloro che non ottenessero la suddetta certificazione, riservatezza totale anche
nei riguardi dell'ente pubblico e privato che li ha indirizzati, al quale nulla
deve essere comunicato né direttamente né indirettamente, ad esclusione di
quanto scritto nella certificazione consegnata direttamente a ciascun operatore
ritenuto idoneo».
--------------------------------------------------------------------------------
[1] Gli articoli pubblicati su Prospettive assistenziali in merito alle violenze
patite da minori, soggetti con handicap, anziani, ecc. sono riportati
nell’allegato 1 dell’articolo “Come prevenire le violenze nelle strutture
residenziali per minori, adulti e anziani”, n. 149, 2005.
[2] L’Ulces si è costituita parte civile anche in altri processi. Si vedano su
questa rivista gli articoli “Gestori e operatori di una casa di riposo
condannati dal Tribunale di Mondovì”, n. 135, 2001 e “Agghiaccianti violenze
subite dai minori assistiti presso due comunità di Torino”, n. 149, 2005.
[3] L’articolo 572 del Codice penale è così redatto: «Chiunque, fuori dei casi
indicati nell'articolo precedente, maltratta una persona della famiglia, o un
minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a
lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia,
o per l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito con la reclusione da
uno a cinque anni. Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica
la reclusione da quattro a otto anni; se ne deriva una lesione gravissima, la
reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da
dodici a venti anni».
[4] Cfr. Vincenzo Bozza, Maria Grazia Breda e Giuseppe D’Angelo, Handicap: come
garantire una reale integrazione - Riflessioni, esperienze, proposte, Utet
Università, Torino, 2007.