Prospettive assistenziali, n. 162, aprile-giugno 2008

 

 

ANIMAZIONE SOCIALE NON FORNISCE NOTIZIE SUL DIRITTO ALLE CURE SOCIO-SANITARIE DEGLI ANZIANI MALATI CRONICI

NON AUTOSUFFICIENTI E NON PUBBLICA PRECISAZIONI IN MERITO

 

 

Nell’articolo “Farsi paese nel farsi carico delle persone anziane” apparso su Animazione sociale, giugno-luglio 2007, Franco Santamaria e Giorgio Volpe espongono gli obiettivi, la metodologia scelta ed i risultati del progetto “Nonos”, iniziativa dell’Azienda per i servizi sanitari “Bassa Friulana” realizzato dall’Associazione nazionale terza età attiva del Friuli Venezia Giulia (Antea), dalla Caritas diocesana di Udine, dal Movimento di volontariato italiano del Friuli Venezia Giulia (Movi) e dalla Confcooperative.

Nel dettagliato e lungo resoconto (ben 33 pagine) gli Autori assumono come riferimento gli anziani non autosufficienti e affermano che «le strutture ospedaliere non sono disponibili a “parcheggiare” la persona anziana, in quanto il ricovero è riservato a situazioni acute».

Ne consegue che «diverse famiglie con anziani e le stesse persone anziane sole si vedono a volte costrette ad “arrangiarsi” da sole, accompagnate da sentimenti di sfiducia e rassegnazione, senza intravedere alternativa all’istituzionalizzazione».

Quindi, continuano gli Autori, vi è l’esigenza della promozione di una strategia volta a riaffermare «il valore delle relazioni con le persone anziane, anche quando sono totalmente dementi o improduttive» il che «vuol dire fare di tutto per non consegnarle alle istituzioni dell’esclusione assistenziale».

Queste sono affermazioni fuorvianti.

Tenuto conto che è anche mio interesse il conseguimento della priorità delle cure domiciliari, obiet­tivo per il quale opero dal 1962 (1) ho predisposto – previo assenso del direttore di Animazione sociale l’articolo che viene riprodotto di seguito, allo scopo di fornire ai lettori informazioni corrette sui loro diritti/doveri.

Lo stesso Direttore ha però deciso di non pubblicarlo perché «va bene, ma non rientra tra gli aspetti di cui Animazione sociale si occupa. Non perché le cose che dici non siano decisive, ma perché siamo orientati a consolidare i “processi” quotidiani di lavoro nel costruire quegli spazi di cittadinanza entro cui possano emergere anche i compiti di costruzione dei diritti delle persone» (2).

A mio avviso si tratta di una motivazione inconsistente e temo che il vero motivo riguardi la scelta di non creare contrapposizioni con le istituzioni che non rispettano il diritto alle cure sanitarie e socio-sanitarie degli anziani malati cronici non autosufficienti.

Infatti finora su Animazione sociale non sono mai state pubblicate notizie in merito agli obblighi imposti dalle leggi vigenti (la prima, la n. 692, risale addirittura al 1955 e l’ultima è la n. 289 del 2002) alle Regioni e alle Asl.

Com’è noto, a causa dell’illegittimo omesso intervento della sanità, decine di migliaia sono i nuclei familiari che sono costretti a sostenere spese estremamente rilevanti. Ad esempio per assistere a domi­cilio una persona in stato vegetativo (vi prov­vedono la madre di 80 anni e il fratello) «in un anno abbiamo speso 47 mila euro. E nessuno ci aiuta» (3).

Di qui la pubblicazione su Prospettive assisten­ziali

 

 

Testo dell’articolo rifiutato da Animazione sociale

 

Nell’inserto di Franco Santamaria e Giorgio Volpe “Farsi paese nel farsi carico delle persone anziane”, pubblicato sul n. 6/7, 2007 di Animazione sociale, non c’è alcun riferimento alle leggi vigenti che, da oltre mezzo secolo (la prima, la n. 692 risale al 1955), riconoscono agli anziani cronici non autosufficienti il diritto esigibile e senza limiti di durata alle cure sanitarie, ivi comprese quelle praticate presso ospedali, case di cura private convenzionate e strutture socio-sanitarie (Rsa, Residenze sanitarie assistenziali, ecc.).

Detto diritto è stato confermato dall’articolo 54 della legge 289/2002 che ha assegnato valore di legge alle norme contenute nel decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 novembre 2001 riguardante i Lea (Livelli essenziali di assistenza).

 

Come ottenere il rispetto delle leggi vigenti

A conferma del diritto esigibile alle cure sanitarie (dovute ai malati acuti e totalmente gratuite) e a quelle socio-sanitarie (fornite alle persone, comprese quelle anziane, colpite da malattie invalidanti e da non autosufficienza), si segnala che con il semplice invio di alcune raccomandate A/R (si veda il sito www.fondazionepromozionesociale.it) ci si può opporre alle dimissioni da ospedali e da case di cura private convenzionate dei pazienti con patologie inguaribili e non più in grado di provvedere autonomamente alle loro esigenze.

Detta procedura, che può essere praticata anche dai congiunti del malato, è prevista dall’articolo 41 della legge 12 febbraio 1968, n. 132, nonché dagli articoli 4 della legge 23 ottobre 1985, n. 595 e 14 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502.

Nei casi di opposizione alle dimissioni o il Servizio sanitario continua a provvedere, assumendo i relativi oneri economici, alla prosecuzione delle cure gratuite presso le strutture di degenza ospedaliera, oppure trasferisce a sua cura e spese il paziente in una casa di cura privata convenzionata o, se il soggetto è colpito da patologie invalidanti croniche e da non autosufficienza, presso una Rsa.

 

Oneri economici a carico dei soggetti ricoverati presso le Rsa

Nei casi in cui gli anziani cronici non autosufficienti e gli individui assimilabili sono ricoverati presso le Rsa, gli assistiti, se ultrasessantacinquenni non autosufficienti o colpiti da handicap in situazione di gravità (ad esempio i malati di Alzheimer), devono contribuire al pagamento della quota alberghiera, il cui importo non può essere superiore al 50% della retta totale.

Infatti le Asl devono versare la quota sanitaria la cui percentuale rispetto all’intera retta non può essere inferiore al 50%.

Nel Piemonte la quota sanitaria è del 54%, per cui quella alberghiera è del 46%.

In base alle norme vigenti dal 1° gennaio 2001, i ricoverati devono corrispondere detta quota alberghiera esclusivamente sulla base delle loro personali risorse economiche (redditi e beni), senza alcun onere a carico dei loro congiunti, compresi quelli conviventi.

Infatti l’articolo 25 della legge 328/2000 di riforma dell’assistenza stabilisce che «ai fini dell’accesso ai servizi disciplinati dalla presente legge, la verifica della situazione economica del richiedente è effettuata secondo le disposizioni previste dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, come modificato dal decreto legislativo 3 maggio 2000, n. 130».

A sua volta il testo unificato dei sopra citati decreti legislativi stabilisce al comma 2 ter dell’articolo 3 che «limitatamente alle prestazioni sociali agevolate assicurate nell’ambito di percorsi assistenziali di natura socio-sanitaria, erogate a domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo, rivolte a persone con handicap permanente grave (…), nonché a soggetti ultrasessantacinquenni non autosufficienti» si deve «evidenziare la situazione economica del solo assistito».

Mentre vi sono Comuni, come quello di Torino, che hanno correttamente applicato le disposizioni di legge di cui sopra (la relativa delibera risale al 4 dicembre 2000), numerosi sono gli Enti locali che, con vari pretesti, hanno continuato e continuano a pretendere denaro dai parenti conviventi e certuni addirittura a quelli esterni dal nucleo familiare.

Questo illecito provoca sovente la caduta in povertà di molte famiglie, come viene confermato dal documento “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ufficio del Ministro per la solidarietà sociale, Roma, ottobre 2000, in cui si precisa che «nel corso del 1999, 2 milioni di famiglie italiane sono scese sotto la soglia della povertà a fronte del carico di spesa sostenuta per la “cura” di un componente affetto da una malattia cronica».

È molto significativo osservare che in nessuno dei numerosi settori non assistenziali (casa, lavoro, istruzione, ecc.) i Comuni richiedono ai parenti di versare contributi economici nei casi in cui il nucleo interessato non abbia risorse sufficienti per il pagamento delle quote di competenza.

Ad esempio i Comuni assumono sempre a loro carico tutte le spese relative ai soggiorni di vacanza dei minori e degli anziani non versate dal nucleo familiare interessato e non hanno mai richiesto contributi economici ai nonni dei bambini che frequentano asili nido, scuola materna o utilizzano la mensa scolastica nei casi in cui i genitori non siano in grado di corrispondere tutto l’importo della tariffa stabilita, anche se l’articolo 148 del codice civile stabilisce che, quando i genitori non hanno i mezzi occorrenti per provvedere all’obbligo di mantenere, educare ed istruire i figli «gli altri ascendenti legittimi o naturali, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli».

Questo comportamento, a mio avviso, pienamente valido in quanto ha lo scopo di consentire la massima autonomia ai soggetti in difficoltà e di rispettare le loro esigenze personali, coniugali e familiari indipendentemente dagli atteggiamenti dei parenti, è praticato giustamente anche dagli altri Enti pub­blici.

Ad esempio, non vengono chiamati in causa i parenti tenuti agli alimenti, anche se in possesso di rilevanti patrimoni e consistenti redditi, per i contributi erogati ai nuclei in difficoltà per il pagamento dell’affitto delle loro abitazioni, per i sussidi di disoccupazione, per gli emolumenti ai lavoratori in cassa integrazione, per l’assegnazione di alloggi dell’edilizia economica e popolare da parte delle Agenzie territoriali per la casa (ex Iacp), per l’ammissione al patrocinio già gratuito ora a carico dello Stato, per l’integrazione al minimo delle pensioni (per quest’ultima prestazione lo Stato spende ogni anno ben 20 miliardi di euro).

È pertanto estremamente positiva l’ordinanza del 6 settembre 2007 del Tar della Toscana che ha annullato la determinazione dirigenziale n. 2906/2007 del 23 marzo 2007 del Comune di Firenze in base alla quale per il ricovero in una Rsa di una signora invalida con un reddito annuo di euro 8.756,25 veniva richiesto il versamento di euro 14.200,00 per il solo fatto di avere un padre che percepiva anch’egli una pensione.

Il Tar, confermando che per il pagamento della retta devono essere prese esclusivamente in considerazione le risorse economiche dell’assistito ultrasessantacinquenne non autosufficiente o con handicap in situazione di gravità, ha altresì annullato il regolamento del Comune di Firenze che non rispettava le norme di cui sopra.

 

Documento del Ministero della sanità

Molto importante è il documento “Prestazioni residenziali e semiresidenziali per anziani” approvato nella seduta del 30 maggio 2007 dalla Commissione nazionale per la definizione e l’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, istituita dal Ministero della salute.

In detta relazione non solo viene affermato che gli anziani non autosufficienti sono persone malate «in condizione di cronicità e/o relativa stabilizzazione delle condizioni cliniche», ma altresì che «gli stessi principi di “cronicità” e “stabilizzazione” meritano un approfondimento, assumendo che un paziente anziano affetto da patologia cronica invalidante non potrà essere definito stabile in senso assoluto e rilevando quindi che le strutture residenziali devono essere in grado di affrontare la relativa instabilità clinica connessa alla patologia, o polipatologia, che accompagna le condizioni di non autosufficienza dell’anziano, nonché problematiche intercorrenti, anche acute, gestibili in ambiente extra-ospeda­liero».

Inoltre in detto documento viene rilevato – aspetto di estrema importanza sotto il profilo dei principi e per quanto concerne le conseguenze operative – che «la prestazione “residenziale” non si differenzia necessariamente da quella “ospedaliera” per un minore gradiente di assistenza».

Viene altresì precisato che nei riguardi degli anziani non autosufficienti «sussistono (…) condizioni di cronicità che impongono significativi e continui trattamenti di natura sanitaria, anche per il supporto alle funzioni vitali (respirazione, nutrizione), nelle quali il gradiente assistenziale globale richiesto può risultare anche superiore a quello di alcune prestazioni di ricovero in condizioni di acuzie».

Dunque, anche per quanto concerne la degenza presso le Rsa, di assoluta necessità e importanza sono le cure sanitarie rivolte anche ad evitare gli aggravamenti, a limitare in tutta la misura del possibile il dolore e quindi in grado di assicurare una accettabile qualità della vita al paziente.

 

La priorità delle cure domiciliari

Gli Autori dell’inserto in oggetto sostengono giustamente, sia per quanto concerne gli anziani non autosufficienti che in merito ai soggetti con handicap e limitata o nulla autonomia, la priorità delle prestazioni domiciliari e la loro migliore rispondenza alle esigenze di coloro che devono ricorrere all’aiuto di terze persone per ricevere le occorrenti cure sanitarie e socio-assistenziali.

In merito alle persone malate, le cure domiciliari  sono previste come un diritto esigibile dall’articolo 14 della legge di riforma sanitaria n. 833/1978 che così si esprime: «L’Unità sanitaria locale provvede in particolare (…) h) all’assistenza medico-generica e infermieristica, domiciliare e ambulatoriale; i) all’assistenza medico-specialistica e infermieristica, ambulatoriale e domiciliare, per le malattie fisiche e psichiche».

A questo proposito va precisato che il diritto alla prosecuzione delle cure degli anziani cronici non autosufficienti degenti in ospedale o presso case di cura private convenzionate può essere fatto rispettare con estrema facilità poiché l’interruzione della loro degenza costituisce un reato grave  per le autorità sanitarie. Inoltre le spese relative al ricovero presso ospedali o case di cura private convenzionate sono interamente a carico delle Asl  ed esse sono di gran lunga superiori all’importo della retta sanitaria da corrispondere alle Rsa.

Dunque le autorità sanitarie non possono procedere alle dimissioni dei pazienti colpiti da patologie invalidanti e da non autosufficienza ed hanno una rilevante convenienza di natura economica a trasferirli presso le residenze sanitarie assistenziali.

Infatti mentre il costo medio giornaliero della degenza ospedaliera è di circa 500,00 euro e la retta da corrispondere alle case di cura private am­monta a circa 150,00 euro al dì, la quota sanitaria delle Rsa in genere non supera i 50 euro al giorno.

Ben diversa è la situazione per quanto concerne le cure domiciliari.

Da un lato è quasi sempre difficile per la persona malata e/o per i suoi congiunti fornire una dimostrazione oggettiva delle esigenze del paziente per quanto concerne la frequenza degli interventi dei medici, degli infermieri e dei riabilitatori.

Possono essere altresì oggetto di contestazione le competenze del medico di famiglia, il quale, ad esempio, può rifiutare di fornire la diagnosi invocando la necessità di analisi di vario tipo o la consulenza di uno o più specialisti.

Se le richieste dei malati e dei loro familiari non vengono accolte, l’unico percorso praticabile è il ricorso ad un consulente medico, le cui prestazioni sono interamente a carico del paziente e/o dei suoi parenti, che confermi la validità delle loro istanze. Se però l’Asl non intende riconoscere le esigenze individuate dal consulente e le relative indicazioni, si deve avviare un contenzioso che può anche durare anni. Pertanto questa strada è impraticabile sul piano concreto.

Inoltre, i medici di medicina generale, che sono la figura fondamentale per le cure sanitarie domiciliari, hanno sempre la possibilità di cancellare dai loro elenchi i pazienti indesiderati senza nemmeno l’obbligo di fornire alcuna giustificazione (4).

Ne consegue che molto spesso la scelta delle cure domiciliari comporta l’assunzione di oneri economici rilevanti da parte del soggetto malato e dei suoi congiunti.

Inoltre, sovente non sono sufficienti le prestazioni dei congiunti (spesso si tratta di persone ultraottantenni: coniugi, fratelli e sorelle, ecc.) per cui occorre ricorrere alle badanti: il loro orario di lavoro è di 40 ore se vivono per loro conto e di 54 se coabitano con l’utente. Le ore della settimana sono 168.

Nei casi di persone non autosufficienti da assistere 24 ore su 24 (5), occorre quindi disporre di altre persone per le restanti 114-128 ore e, qualora non si riescano a reperire volontari, bisogna provvedere al pagamento di una seconda e a volte di una terza badante, il che comporta spese impossibili da sostenere per la stragrande maggioranza dei nuclei familiari.

Un percorso possibile, ma difficilmente praticabile, può essere tentato se il malato cronico non autosufficiente è ricoverato in ospedale.

Tenuto conto che, come già ho rilevato, la competenza delle cure è attribuita dalla legge alla sanità, è possibile “contrattare” le cure domiciliari, segnalando che le dimissioni vengono accettate solamente se la stessa Asl competente in base alla residenza del malato si impegna per iscritto a fornire le occorrenti prestazioni mediche e infermieristiche, nonché occorrendo quelle riabilitative.

In ogni caso, al fine di evitare contrasti e incomprensioni, l’Asl e il congiunto dovrebbero definire i relativi compiti.

Una particolare attenzione dovrebbe essere prevista per le eventuali emergenze, sia quelle derivanti dal peggioramento delle condizioni di salute del paziente, sia quelle dovute a gravi e improvvise difficoltà della persona impegnata nell’accudimento del malato.

Ritengo tuttavia che lo sviluppo delle cure domiciliari possano avvenire soltanto se verranno approvate apposite norme.

Nella petizione popolare avviata in Piemonte da alcune organizzazioni di volontariato (6) è stato previsto al primo punto il «riconoscimento del diritto alle cure sanitarie domiciliari (assistenza domiciliare integrata e ospedalizzazione a domicilio)» con la richiesta alla Regione Piemonte di approvare a favore «degli adulti e degli anziani cronici non autosufficienti, dei malati di Alzheimer e dei pazienti affetti da sindromi correlate o da disturbi psichiatrici e invalidanti (…) una legge per garantire il diritto esigibile alle prestazioni domiciliari nei casi in cui siano
contemporaneamente soddisfatte le seguenti con­­dizioni:

- non vi siano controindicazioni cliniche o di altra natura;

- il soggetto sia consenziente e gli possano essere fornite le necessarie cure mediche e infermieristiche, nonché, se occorrenti, quelle riabilitative;

- i congiunti o soggetti terzi siano disponibili ad assicurare l’occorrente sostegno domiciliare e siano riconosciuti idonei dall’ente erogatore;

- siano previsti gli interventi di emergenza sia nel caso che i congiunti o i soggetti terzi non siano più in grado di prestare gli interventi di loro competenza, sia qualora insorgano esigenze del soggetto che ne impongano il ricovero presso idonee strutture;

- i costi a carico delle Asl e/o dei Comuni non siano superiori a quelli di loro spettanza nei casi di ricovero presso strutture residenziali;

- ai congiunti e ai soggetti terzi venga riconosciuto il ruolo di volontariato intrafamiliare e ad essi venga versato dalle Asl, nella misura del 60% della retta corrisposta alle Rsa (Residenze sanitarie assistenziali), un rimborso forfettario delle spese sostenute per le cure domiciliari, compresi gli oneri derivanti dalle sostituzioni della persona responsabile delle cure domiciliari per le occorrenti incombenze personali e familiari (acquisti, commissioni, ecc.)».

 

Volontariato intrafamiliare

Come è stato in precedenza rilevato, la cura delle persone malate compete al Servizio sanitario nazionale.

Infatti, coloro che accettano le dimissioni da ospedali o da case di cura private convenzionate di malati incapaci di esprimere le loro esigenze, sono considerati sotto il profilo giuridico come soggetti che volontariamente hanno sottratto il paziente dalle competenze della sanità ed hanno liberamente assunto tutte le relative responsabilità civili e penali, nonché i conseguenti oneri economici.

Per evitare di porre i familiari in queste condizioni molto pesanti e spesso insostenibili sotto il profilo finanziario, occorrerebbe che venisse riconosciuto con idonei provvedimenti (legge nazionale o regionale o delibera assunta dall’Asl) il volontariato intrafamiliare, così come ha fatto il Cisap, Consorzio dei servizi alla persona dei Comuni di Collegno e Grugliasco, nei riguardi dei soggetti con handicap e limitata o nulla autonomia, mediante il regolamento approvato il 6 novembre 2003, dopo l’esito positivo della sperimentazione avviata il 29 febbraio 2001.

ai congiunti dei soggetti con invalidità 100 per 100 e con il diritto all’indennità di accompagnamento il Cisap versa un contributo economico e garantisce la frequenza presso centri diurni aperti 40 ore settimanali.

A seconda delle condizioni l’importo è pari ad una mensilità dell’assegno di accompagnamento (il cui ammontare è attualmente di euro 457,66) o ai due terzi di detta somma.

Dall’analisi dei costi è risultato che l’affido intrafamiliare è conveniente per il Cisap anche sotto il profilo economico, in quanto ben più rilevanti sarebbero stati gli oneri a suo carico nel caso di ricovero dei soggetti rimasti in famiglia.

Assumendo come riferimento la delibera del Cisap, per il volontariato intrafamiliare rivolto ad anziani colpiti da patologie invalidanti e da non autosufficienza, dovrebbero essere previste non solo le prestazioni (obbligatorie) di natura medica e infermieristica a carico delle Asl, ma occorrerebbe altresì definire i compiti assegnati agli accuditori volontari e fornire il rimborso – se del caso forfettario – delle spese vive sostenute per la permanenza a domicilio, somme che dovrebbero essere a carico della sanità, indipendentemente dalla situazione economica del malato.

ai congiunti non dovrebbe essere erogata alcuna somma per la loro attività di volontariato, ma non dovrebbero essere costretti a pagare di tasca loro le spese conseguenti all’accudimento del loro congiunto, comprese quelle relative alla sostituzione della persona responsabile nei casi di assenza, così com’è previsto nella sopra citata petizione popolare piemontese.

In sostanza le cure domiciliari non dovrebbero mai, come avviene attualmente, essere considerate dalle Asl un affare economico in quanto risparmiano quasi interamente la quota sanitaria che altrimenti dovrebbe essere versata alle Rsa (circa 1.500,00 euro al mese) e assumano a loro carico solamente le limitatissime spese riguardanti le prestazioni domiciliari dei loro infermieri.

l’importo sopra indicato in euro 1.500,00 è relativo al Piemonte e non comprende i costi relativi alle cure mediche generiche e specialistiche che, nei casi di ricovero, sono interamente di competenza delle Asl e non rientrano nella quota sanitaria corrisposta alle Rsa dalle stesse Asl.

 

 

(1) Si vedano le iniziative assunte in merito agli aiuti socio-economici ai nuclei familiari in condizione di disagio, al volontariato intrafamiliare rivolto ai soggetti con hnadicap o malattie invalidanti, all’ospedalizzazione a domicilio, all’adozione, all’affidamento familiare di minori, di adulti e di anziani.

(2)  L’e-mail del direttore di Animazione sociale, Franco Floris, è dell’8 dicembre 2007. Senza alcun seguito è rimasta la lettera da me inviata a Don Luigi Ciotti, Responsabile del Gruppo Abele, organizzazione che pubblica la rivista in oggetto.

(3) Cfr. l’articolo “Malati terminali, la collaborazione di tutti per aiutare le famiglie”, Avvenire, 29 febbraio 2008. Ricordo inoltre il IV rapporto del Ceis Sanità, Università di Tor Vergata di Roma, presentato il 20 dicembre 2006 che segnala «la presenza nel nostro Paese di uno “zoccolo duro” di dignità sociale, numericamente rappresentato dalle famiglie che impoveriscono e da quelle che sostengono spese “catastrofiche”. In termini assoluti si tratta di un fenomeno ragguardevole che coinvolge complessivamente oltre 1 milione e 200 mila nuclei familiari. E l’età avanzata è un catalizzatore potente della fragilità socio-economica. Sopra i 65 anni aumenta infatti del 50% la probabilità di un impoverimento causato da spese sanitarie out of pochet. In breve dagli ultimi dati 2004 dell’Istat, risulta che 295.572 famiglie (pari a circa l’1,3% della popolazione) sono scese al di sotto della soglia della povertà a causa delle spese sanitarie sostenute. Mentre le famiglie soggette a spese catastrofiche sempre per ragioni sanitarie, sono 967.619 (pari al 4,2% della popolazione)».

(4) Cfr. l’articolo di Angelo Conti, “Mia madre è troppo malata. Scaricata dai medici di base”, La Stampa, 28 settembre 2007.

(5) Colui che si è assunto il compito di provvedere ad una persona totalmente non autosufficiente può incorrere nel reato di abbandono di incapace nei casi in cui non sia assicurata la presenza continuativa di un individuo, soprattutto qualora insorgano emergenze che richiedono interventi immediati.

(6) La petizione popolare piemontese di cui è in corso la raccolta delle firme (le prime 18mila sono già state consegnate alla Presidente della Giunta regionale, On. Mercedes Bresso) è stata promossa dalle seguenti organizzazioni: Aip, Associazione italiana parkinsoniani; Almm, Associazione per la lotta contro le malattie mentali; Alzheimer Piemonte; Ama, Associazione malati di Alzheimer; Associazione Montevideo; Avo, Associazione volontari ospedalieri; Cpd, Consulta per le persone in difficoltà; Diapsi, Difesa ammalati psichici Piemonte; Fondazione Idea, Istituto per la ricerca e la prevenzione della depressione e dell’ansia; Fondazione Promozione sociale; Gvv, Gruppi di volontariato vincenziano; Società di San Vincenzo de’ Paoli; Csa, Coordinamento sanità e assistenza tra i movimenti di base di Ivrea di cui fanno parte le seguenti organizzazioni: Aias, Associazione italiana assistenza agli spastici; Associazione comunità alloggio; Associazione l’Argine; Associazione per la lotta contro le malattie mentali; Centro di solidarietà l’Orizzonte; Cooperativa Pentagramma; Cooperativa S. Michele; Società di San Vincenzo de Paoli; Associazione Casainsieme; Associazione comunità casa dell’ospitalità; Associazione per la consulenza familiare; AvulssMaria Quassola” di Ivrea; Cooperativa Marypoppins; Cooperativa Praie; Grama, Gruppo di auto mutuo aiuto; Tribunale per i diritti del malato; Csa, Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base di Torino a cui aderiscono: Geaph, Genitori e amici dei portatori di handicap di Sangano (To); Agafh, Associazione genitori adulti e fanciulli handicappati di Orbassano (To); Aias, Associazione italiana assistenza spastici di Torino; Associazione “La Scintilla” di Collegno-Grugliasco (To); Associazione “Mai più istituti di assistenza”; Anfaa, Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie; Associazione “Odissea 31” di Chivasso (To); Associazione “Oltre il Ponte” di Lanzo Torinese (To); Associazione “Prader Willi”, sezione di Torino; Aps, Associazione promozione sociale; Asvad, Associazione solidarietà volontariato a domicilio; Associazione tutori volontari; Cogeha, Collettivo genitori dei portatori di handicap di Settimo Torinese (To); Comitato integrazione scolastica; Coordinamento dei Comitati spontanei di quartiere “Domenico Sereno Regis”; Cumta, Comitato utenti mezzi trasporto accessibili; Ggl, Gruppo Genitori per il diritto al lavoro delle persone con handicap intellettivo; Grh, Genitori ragazzi handicappati di Venaria-Druento (To); Gruppo inserimento sociale handicappati ex Ussl 27 Ciriè (To); Ulces, Unione per la lotta contro l’emarginazione sociale; Utim, Unione per la tutela degli insufficienti mentali; “Vivere insieme” di Rivoli (To).

 

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