Prospettive assistenziali, n. 162, aprile-giugno 2008

 

 

GRAVISSIME ACCUSE A UN GESTORE DI CASE DI CURA PRIVATE CONVENZIONATE CON LA REGIONE PIEMONTE E INASPETTATO NON LUOGO A PROCEDERE

 

 

Nell’udienza del 23 ottobre 2007, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino, Emanuela Gai, ha emesso una sentenza di non luogo a procedere nei confronti di P. C. «perché il reato è estinto per prescrizione».

Molto pesanti erano le accuse. Infatti era stato rinviato a giudizio perché, come si legge nella sopra citata sentenza «con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in qualità di amministratore unico:

- della “Villa Papa Giovanni XXIII Srl” proprietaria della casa di cura privata Villa Papa Giovanni XXIII, in Pianezza Strada San Gillio 75, accreditata, quale erogatore privato di prestazioni sanitarie, presso il Servizio sanitario nazionale con delibera della Giunta regionale del Piemonte n. 156-21885 del 6 agosto 1997 e 228-23697 del 22 dicembre 1997;

- della “Villa Iris Srl” proprietaria della casa di cura privata Villa Iris, in Pianezza Via Cesare Pavese 12, accreditata, quale erogatore privato di prestazioni sanitarie, presso il Servizio sanitario nazionale con delibera della Giunta regionale del Piemonte n. 156-21885 del 6 agosto 1997 e 228-23697 del 22 dicembre 1997;

- della “Villa Adriana Srl” proprietaria della casa di cura privata Villa Adriana, in Arignano Via Robiola 9, accreditata, quale erogatore privato di prestazioni sanitarie, presso il Servizio sanitario nazionale con delibera della Giunta regionale del Piemonte n. 33-27524, verbale 349 del 7 giugno 1999;

con artifici e raggiri consistiti nell’aver sistematicamente dimesso – con provvedimento del personale medico in attuazione delle disposizioni della proprietà che, tramite le strutture amministrative delle singole cliniche, provvedeva a comunicare mensilmente ai sanitari gli elenchi dei soggetti da dimettere – i pazienti ricoverati in regime di lungodegenza e riabilitazione neuromotoria entro il sessantesimo giorno quale che fosse il punto di arrivo del loro iter terapeutico, nell’avere trasferito tali pazienti nelle altre case di cura dello stesso gruppo occultando il trasferimento dietro le dimissioni, nell’avere così spezzato fittiziamente il percorso di cura dei pazienti in diverse frazioni, simulando che ciascuna di esse fosse un ricovero a sé stante e nell’avere in tal modo impedito agli enti pubblici, i cui controlli avvenivano con criteri logico-formali sui dati informatici estratti dalle singole schede di dimissione ospedaliera (Sdo) di avere piena cognizione degli episodi di trasferimento dei degenti,

inducendo in errore le Aziende sanitarie locali territorialmente competenti in relazione alla residenza dei ricoverati – tenute, ai sensi della delibera della Giunta regionale n. 70-1459 del 18 settembre 1995 e successive modifiche, attuativa dei decreti legislativi 502/1992 e 517/1993, a remunerare i ricoveri in regime di riabilitazione e lungodegenza postacuzie, effettuati presso le case di cura accreditate, a tariffa giornaliera piena per i primi 60 giorni (tariffa minima pari a lire 224.000) e, oltre il 60° giorno di ricovero consecutivo, a tariffa giornaliera decurtata del 40% – in merito ai casi di degenze formalmente presentate quali nuovi ricoveri, rimborsabili a tariffa piena, costituenti, in realtà, necessarie prosecuzioni di ricoveri già in atto e pretestuosamente interrotti con trasferimento dei degenti ad altra delle strutture indicate, in particolare, nell’anno 1999, in merito ai 278 episodi degenziali di cui all’allegato elenco, qui integralmente richiamato, relativi a pazienti dimessi una o più volte e contestualmente riammessi, a rotazione, nelle case di cura di cui sopra,

si procuravano l’ingiusto profitto pari al 40% della tariffa giornaliera (lire 224.000) relativa ai giorni di ricovero successivi ai primi 60, ricovero che avrebbe dovuto proseguire presso la prima casa di cura e venne invece artatamente trasformato, con i trasferimenti indicati, in una nuova degenza in diversa struttura e così presentato e contabilizzato, con pari danno della Regione Piemonte e delle Aziende sanitarie locali competenti per residenza che pagavano – entro 60-90 giorni dalle dimissioni – a tariffa piena il periodo complessivo di ricovero.

«Con le aggravanti di aver commesso il fatto ai danni di ente pubblico e di aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità.

«In Chieri nel corso dell’anno 1999 e sino al gennaio 2000.

«Recidivo ex articolo 99 del codice penale (ex articoli 99, III comma del codice di procedura penale contestata all’udienza del 27 aprile 2007) a seguito  della sentenza pronunciata dal Tribunale di Torino per il reato di cui agli articoli 319 e 319 bis del codice penale e cioè per corruzione».

 

Uno strano processo

Da notare che il procedimento era stato avviato dalla Procura di Torino con riferimento all’articolo 323 del codice penale (1), mentre il Tribunale, con ordinanza dell’8 giugno 2006 aveva restituito gli atti alla stessa Procura avendo accertato che doveva essere preso in considerazione l’articolo 640 del codice penale (2).

Inoltre va osservato che l’istruttoria si era protratta per oltre tre anni con rilevantissimi oneri a carico dello Stato derivanti sia dalla costituzione di numerosi parti civili (Regione Piemonte, Asl n. 3, 4, 5, 8, 9, 16, 18, 19, 21) (3), sia dalla complessa attività dei periti nominati dall’autorità giudiziaria per accertare le responsabilità dell’imputato, accusato in relazione a 245 soggetti «di avere sistematicamente dimesso i pazienti entro il sessantesimo giorno quale che fosse il punto di arrivo del loro iter terapeutico, di avere trasferito tali pazienti in altre case di cura dello stesso gruppo occultando il trasferimento dietro le dimissioni, di avere così spezzato fittiziamente il percorso di cura dei pazienti in diverse frazioni, simulando che ciascuna di esse fosse un ricovero a sé stante» ed inoltre per 33 pazienti «di avere fittiziamente dimesso, entro il sessantesimo giorno, pazienti che in realtà continuavano la propria degenza nella stessa casa di cura, con l’unica variante di passare per un certo periodo a regime privatistico per poi essere nuovamente ammessi a regime convenzionato, così simulando anche qui, soprattutto con l’apertura di nuove cartelle cliniche per lo stesso paziente, che ciascuna frazione di degenza fosse  un ricovero a sé stante».

Occorre, inoltre, tener presente che, secondo quanto riportato da La Stampa del 7 aprile 2000, «sarebbero 15 i miliardi incassati in modo illecito» per il periodo dal 6 agosto al 22 dicembre 1997.

 

Alcune considerazioni

A parte la singolare istanza avanzata dalla Procura della Repubblica di Torino affinché il signor P. C., che non ricopriva cariche pubbliche e svolgeva attività quale proprietario e gestore di case di cura private, venisse processato per il reato di abuso di potere da parte di pubblico ufficiale anziché di quello di truffa, si rileva che la stessa Procura ha richiesto per la seconda volta il rinvio a giudizio dello stesso P. C. per poi proporre «la pronuncia di sentenza di non luogo a procedere del reato previa concessione delle attenuanti generiche ritenute equivalenti alle aggravanti».

A questo proposito, come abbiamo già segnalato, essendo già stato il P. C. condannato alcuni anni or sono per il reato di corruzione di un Assessore alla sanità della Regione Piemonte, questa aggravante non è stata tempestivamente contestata all’imputato dalla Procura, per cui il Tribunale è stato costretto ad emettere sentenza di non luogo a procedere «perché il reato è estinto per prescrizione», mentre, come si legge nella sentenza, «senza concessione delle circostanze attenuanti generiche, la predetta causa estintiva non si sarebbe ancora verificata».

Rileviamo, altresì, che la Regione Piemonte, il cui danno subito è stato indicato (v. sopra) in 15 miliardi delle ex lire per il periodo 1° novembre 1998-31 dicembre 1999, non ha finora effettuato indagini per accertare se vi sono state irregolarità nel periodo successivo.

Inoltre, non ci risulta che la Regione Piemonte, che pur si lamenta continuamente dell’insufficienza delle sue risorse economiche, intenda assumere iniziative per ottenere il rimborso delle eventuali somme versate al P. C. a seguito degli eventuali ingiustificati profitti conseguiti mediante il trasferimento dei pazienti da una sua struttura all’altra dopo il 1° gennaio 2000.

 

 

(1) L’articolo 323 del codice penale stabilisce quanto segue: «Il pubblico ufficiale che, abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni, commette, per recare ad altri un danno o per procurargli un vantaggio, qualsiasi fatto non preveduto come reato da una particolare disposizione di legge, è punito con la reclusione fino a due anni o con la multa da lire ventimila a quattrocentomila».

(2) L’articolo 640 del codice penale è così redatto: «Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire ventimila a quattrocentomila. La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da lire centoventimila a seicentomila: se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare».

(3) Anche l’Ulces (Unione per la lotta contro l’emarginazione sociale) si era costituita parte civile. Cfr. Prospettive assistenziali, n. 144, 2003.

 

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